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  San Cipriano di Cartagine sulla Chiesa: primato di Pietro o primato di Roma?
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Qualche notizia biografica

Tascio Cipriano (ca. 200-258) visse a Cartagine, una delle città principali della provincia romana dell’Africa proconsolare, agli inizi del III sec.: era uno dei più conosciuti ed apprezzati avvocati del foro ed esercitò tale professione, godendo delle ricchezze e del prestigio che essa gli conferiva, fino ad un’età abbastanza matura, anche se non sappiamo esattamente quanti anni avesse quando si convertì.

L’amicizia che lo aveva legato a Cecilio, un anziano presbitero della locale comunità cristiana, e l’ammirazione che nutriva per la purezza e l’esempio di vita dei membri di essa, lo indusse ad avvicinarsi alla Chiesa e lo condusse alla fede in Cristo. Richiese pertanto di essere battezzato e il giorno di Pasqua dell’anno 246 (1) venne accolto in tal modo in seno alla Chiesa di Cristo; in tale occasione, per sottolineare il ruolo che ebbe il suo padre spirituale in questa seconda nascita, assunse il nome di Cecilio (2).

In breve tempo venne poi ordinato diacono e presbitero e, forse nell’anno 248 o 249, alla morte del vescovo Donato, venne eletto a capo della comunità di Cartagine.

Il rigore di vita si accompagnava in lui al desiderio di sostenere la Chiesa e di rispondere agli attacchi contro i Cristiani, che provenivano da ogni parte: per questo scrisse, nel tempo, numerosi trattati, sia contro gli errori dei pagani (Quod idola non sunt dii – Gli idoli non sono dei -, Ad Demetrianum – A Demetriano -, Testimoniorum adversus Iudaeos – Testimonianze contro i Giudei), sia per sostenere i fedeli nelle difficoltà delle persecuzioni (Ad Fortunatum de exhortatione martyrii – A Fortunato sull’esortazione al martirio -, De laude martyrii – A lode del martirio -, De bono patientiae – Sulla pazienza) e ad esortarli alla vita cristiana (De habitu virginum – Sul comportamento delle vergini -, De oratione dominica – Sul Padre Nostro – De zelo et livore – Sulla gelosia e l’invidia).

Nel 250 ebbe inizio la persecuzione voluta dall’imperatore Decio: i Cristiani venivano costretti a scegliere se fare sacrifici agli idoli, rinnegando così la loro fede, o essere uccisi. Cipriano ritenne opportuno (anche a causa di un sogno premonitore) allontanarsi da Cartagine, mantenendo però un vivo rapporto epistolare con la comunità, per non lasciarla senza guida. Molti detrattori lo accusarono di essere fuggito per paura, ma egli si premurò di rispondere che si era allontanato in considerazione del fatto che l’accanimento contro la comunità sarebbe stato maggiore se fosse stato possibile catturare il suo vescovo, e nella certezza che tale allontanamento rispondesse anche ai disegni divini, annunciatigli in sogno.

La durezza della persecuzione pose un difficile problema: che comportamento tenere nei confronti di coloro che, per debolezza, avevano fatto i sacrifici richiesti o quantomeno avevano pagato per ottenere una dichiarazione di averli fatti e che, in seguito, chiedevano di essere riammessi nella comunità (i cosiddetti lapsi)?

La posizione di Cipriano fu di rinviare la questione a tempi più tranquilli, ma senza riammettere coloro che avevano sacrificato agli idoli, a meno che non fossero in punto di morte. Le modalità di riammissione degli altri sarebbero state discusse più avanti, ma in linea di massima si sarebbe richiesto un serio pentimento.

Nonostante il desiderio di rinvio, alcuni chierici (in particolare il prete Novato e il diacono Felicissimo) si ribellarono contro la decisione del vescovo, determinando così uno scisma nella chiesa di Cartagine e venendo per questo scomunicati.

Quando Cipriano poté tornare in città, convocò immediatamente un concilio per risolvere la questione dei lapsi (251), che confermò le scomuniche e stabilì che coloro che avevano sacrificato agli idoli potessero essere riammessi solo in punto di morte, mentre quelli che avevano ottenuto con denaro una dichiarazione di sacrificio dovessero essere riammessi se pentiti sinceramente.

Lo scisma si aggravò perché il partito di Felicissimo elesse Fortunato come vescovo, in opposizione a Cipriano e si legò ad un altro partito scismatico, sorto all’interno della chiesa di Roma, che aveva illegittimamente eletto come vescovo Novaziano in opposizione a Cornelio.

La scarsa documentazione giuntaci sul seguito che ebbe questa rottura dimostrerebbe tuttavia come essa si sia in seguito lentamente risanata.

Un secondo problema che Cipriano si trovò ad affrontare (intorno al 255) fu la questione dottrinale circa la validità del battesimo amministrato dagli eretici: nel caso un eretico si convertisse e chiedesse di entrare nella Chiesa, doveva essere nuovamente battezzato? La posizione assunta dal vescovo di Cartagine, in accordo con l’episcopato nordafricano e con alcune comunità orientali, come ad esempio Cesarea di Cappadocia, fu affermativa. Egli riteneva infatti che solo la vera Chiesa di Cristo potesse amministrare validamente i sacramenti, anche in funzione di una consuetudine che faceva risalire ai tempi apostolici. A questa visione si opponeva il vescovo di Roma, Stefano, che riteneva che il battesimo eretico potesse comunque considerarsi valido, se amministrato nel nome della santissima Trinità.

Dall’epistolario di Cipriano emergono, a questo proposito, due posizioni significative: in primo luogo sembra che egli non ritenesse di dover imporre la sua visione a tutta la Chiesa, in quanto a suo dire ciascun vescovo aveva la responsabilità del proprio gregge di fronte a Dio; in secondo luogo le divergenze dottrinali, peraltro esistenti anche in altri ambiti, non dovevano, a suo dire, comportare una rottura dell’armonia e della concordia dell’episcopato, essendo l’unità della Chiesa un bene superiore a simili contrasti.

Papa Stefano non la pensava allo stesso modo e infatti ruppe la comunione con Cipriano e con tutti i vescovi che seguivano la sua impostazione dottrinale, cosa che determinò una rabbiosa reazione da parte di Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia, che definì il vescovo di Roma “folle”, per il suo comportamento di rottura, più che non per le sue posizioni sul battesimo. (3)

Il 256 vide l’inizio di una nuova persecuzione, da parte dell’imperatore Valeriano. Sia Stefano che il suo successore, Sisto II, subirono il martirio a Roma. A Cartagine Cipriano continuò a consolare e ad esortare la propria comunità, finché anch’egli non fu arrestato e processato dal proconsole Galerio Massimo, il 13 settembre del 258. Il giorno seguente, 14 settembre, la sentenza lo condannò a morte; la sua risposta fu: “Sia reso grazie a Dio”.

Cipriano è celebrato come santo dalla chiesa ortodossa il 31 agosto e dalla chiesa cattolica romana il 16 settembre.

 

Obiettivi del presente lavoro

Lo scopo del presente scritto è quello di dare una panoramica, il più possibile esaustiva, del pensiero ciprianeo in materia ecclesiologica e di fornirne un breve commento come ausilio alla comprensione, anche mediante accenni a testi di altri Padri occidentali sullo stesso argomento; si è pertanto cercato di effettuare una raccolta di brani tratti dagli scritti del vescovo di Cartagine, non limitandosi ad estrapolarne soltanto alcune frasi ad effetto, ma con l’intento di permettere il più possibile al lettore di seguire il ragionamento di Cipriano e di comprenderne le sfumature. A tal scopo si è anche deciso di fornire in nota l’originale latino, con la speranza di suscitare interesse e di invitare ad un approfondimento personale e ad una lettura attenta degli scritti di questo importante Padre della chiesa africana.

 

EPISTULAE – LETTERE (4)

Ep. 33

La lettera risale circa al 250 ed è la risposta ad una missiva, non pervenutaci, inviata a Cipriano da parte dei lapsi.

I1 Nostro Signore, i cui insegnamenti dobbiamo temere ed osservare, regolando la funzione del vescovo e l’organizzazione della sua Chiesa, parla nel Vangelo e dice a Pietro: «E io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa; e a te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli (Mt. 16, 18)». Da quel momento, attraverso l’avvicendarsi dei tempi e delle successioni, la consacrazione dei vescovi e l’organizzazione della Chiesa si svolsero in modo che la Chiesa fosse costituita sui vescovi e ciascun atto della Chiesa fosse governato da questi stessi capi. 2 Essendo stato così stabilito dalla legge divina, mi stupisco che alcuni, con audace temerarietà, abbiano voluto scrivermi così, come se facessero delle lettere a nome della Chiesa, quando la Chiesa è stabilita sul vescovo, sul clero e su tutti i fedeli. (5)

Ep. 34 ai fratelli presbiteri e diaconi di Roma

Si tratta della risposta ad una lettera precedente inviata dal clero romano, in quel momento senza un vescovo per il martirio di Fabiano. Riguarda sempre la questione dei lapsi e dà risposta ad alcune richieste della chiesa di Roma sul comportamento da adottare nei confronti di alcuni membri del clero africano, come il prete Gaio di Dida.

III 1 Voi dunque badate fedelmente e correttamente, secondo le mie lettere, a non recedere dai migliori consigli. Leggete queste stesse lettere anche ai miei colleghi, sia che sianopresenti, sia che sopraggiungano in seguito, affinché unanimi e concordi ci atteniamo ad una decisione salutare per curare e sanare le ferite dei lapsi, in modo che trattiamo esaustivamente tutte le cose quando, per divina misericordia, potremo cominciare a riunirci. (6)

Ep. 35 ai fratelli presbiteri e diaconi che sono in Roma

Informa il clero romano delle vicende del partito dei lapsi a Cartagine e manda copie delle lettere da questi ricevute.

I 1 Sia l’amicizia reciproca, sia la stessa ragione richiedono, carissimi fratelli, che nulla sia sottratto, alla vostra conoscenza, di ciò che accade presso di noi, affinché ci sia un comune scambio di idee sul buon governo della Chiesa. (7)

Ep. 43 a tutto il popolo

Lettera scritta dall’esilio a proposito dello scisma che si era creato, in seno alla chiesa cartaginese, per opera di Felicissimo e di cinque preti che si erano uniti a lui e che si erano ribellati all’autorità di Cipriano ed alle sue decisioni sulla questione dei lapsi.

V 1 Dio chiama e dice: «Non ascoltate i discorsi degli pseudo-profeti, perché le visioni del loro cuore li ingannano. Parlano, ma non dalla bocca del Signore. Dicono a quelli che rigettano la parola del Signore: la pace sarà con voi». Ora offrono la pace quegli stessi che non ce l’hanno, coloro che dalla Chiesa si allontanarono promettono di ricondurre e riportare alla Chiesa i lapsi. 2 Uno è Dio e uno Cristo e una la Chiesa e una la cattedra fondata su Pietro dalla voce del Signore. Non può essere stabilito un altro altare o un nuovo episcopato al di fuori dell’unico altare e dell’unico episcopato. E chi raccoglie altrove, disperde. E’ adultero, empio, sacrilego ciò che viene istituito dalla passione umana per violare una disposizione divina. (8)

Ep. 52 a Cornelio, vescovo di Roma

Risposta ad un’altra lettera di Cornelio, in cui questi metteva Cipriano al corrente degli sviluppi dello scisma di Novato e Novaziano (9) nella chiesa di Roma e in cui il vescovo di Cartagine presenta la personalità del prete Novato, che proveniva dal suo clero.

II 3 Egli stesso [Novato] costituì diacono, con spirito di fazione e per ambizione, il suo satellite Felicissimo, senza che io lo permettessi o ne sapessi niente, e navigando con la sua carica di tempesta anche a Roma per sovvertire la chiesa, fece lì cose pari e simili, separando dal clero una parte di popolo e rompendo la concordia in una fraternità ben coerente e unita. Naturalmente, poiché per la sua grandezza Roma doveva precedere Cartagine, fece là danni maggiori e più gravi. Qui contro la Chiesa aveva fatto un diacono, là fece un vescovo. (10)

Ep. 55 ad Antoniano

Si tratta della risposta ad una lettera di questo vescovo, piuttosto incerto, pare, se essere in comunione con Cornelio o con Novaziano (che si era fatto eleggere vescovo di Roma illegittimamente) e chiede lumi a Cipriano.

XXI 1 Presso i nostri predecessori vi furono alcuni vescovi di questa provincia che non ritennero di concedere la comunione agli adulteri ed esclusero completamente la possibilità di fare penitenza contro l’adulterio. Nonostante ciò non si ritirarono dal collegio dei vescovi, né ruppero l’unità della Chiesa cattolica con la durezza dell’ostinazione o dell’opinione al punto che, dal momento che presso gli altri veniva data la comunione agli adulteri, chi non la dava venisse separato dalla Chiesa. 2 Essendo intatto il vincolo della concordia e perdurante l’indissolubile legame della Chiesa cattolica, ciascun vescovo, sapendo che renderà ragione al Signore dei suoi obiettivi, dispone e dirige la sua azione. (11)

XXIV 2 [...] e sebbene da Cristo provenga una sola chiesa sparsa per tutto il mondo, divisa in molte membra, ed un solo episcopato, diffuso in una moltitudine armonica di molti vescovi, egli (12), nonostante l’insegnamento divino e nonostante che l’unità della Chiesa sia presente e ovunque congiunta, si sforza di creare una chiesa umana e invia in molte città suoi apostoli e getta alcune fondamenta di una sua nuova dottrina. (13)

XXIV 4 Non potrebbe inoltre tenere l’episcopato, nemmeno se eletto regolarmente, se venisse a separarsi dal corpo dei suoi colleghi vescovi e dall’unità della Chiesa, quando l’Apostolo ci ammonisce a che ci sosteniamo a vicenda fra noi e non ci allontaniamo dall’unità che Dio ha costituito, e dice: «Sostenendovi vicendevolmente nell’amore, cercando di conservare l’unità dello spirito nel legame della pace». Perciò chi non osserva né l’unità di spirito, né il legame della pace e si separa dal vincolo della Chiesa e dal collegio dei vescovi, non può avere del vescovo né l’autorità, né la funzione, lui che non volle conservare né l’unità, né la pace dell’episcopato. (14)

Ep. 59 a Cornelio

Risposta ad una lettera di Cornelio nella quale questi informava Cipriano di aver respinto il diacono Felicissimo, da lui scomunicato, ma anche delle sue preoccupazioni per minacce avanzate dal partito cartaginese scismatico di denigrare pubblicamente Cipriano se Cornelio non li avesse ricevuti.

VII 3 Pietro tuttavia, sul quale era stata edificata dal Signore stesso la Chiesa, parlando lui come uno per tutti e rispondendo con la voce della Chiesa disse: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. E noi crediamo e sappiamo che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo». (15)

XIV 1 [...] Dopo queste cose inoltre, fattisi consacrare un finto vescovo dagli eretici, osarono mettersi in mare e portare alla cattedra di Pietro e alla chiesa principale (16), da cui sorse l’unità dei vescovi (17), delle lettere da parte di scismatici e profani, senza pensare che quelli sono i Romani la cui fede è stata lodata dall’Apostolo e ad essi la perfidia non può avere accesso. (18)

Ep. 63 a Cecilio

Lettera al vescovo Cecilio sulla consacrazione del calice.

I 1 Sebbene sappia, fratello carissimo, che molti vescovi, preposti per divina designazione alle chiese del Signore che sono in tutto il mondo, conservano il principio della verità evangelica e dell’insegnamento del Signore, né si allontanano da ciò che Cristo nostro maestro comandò e fece, per seguire qualche novità umana, tuttavia, poiché alcuni, o per ignoranza o per semplicità d’animo, non fanno nella consacrazione del calice o nella sua distribuzione al popolo ciò che Gesù Cristo, Signore e Dio nostro, autore e creatore di questo sacrificio insegnò e fece, ritenni parimenti pio e necessario scrivere a voi alcune lettere su questo, cosicché se qualcuno ancora fosse nell’errore, avendo osservato la verità ritorni alla radice e all’origine dell’insegnamento del Signore. (19)

Ep. 66 a Florenzio

Lettera al futuro martire Florenzio, in merito alle accuse da questi mosse nei confronti di Cipriano e ai pesanti giudizi espressi su di lui.

VIII 2 [...] «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. E noi crediamo e sappiamo che tu sei il Figlio del Dio vivo». 3 Colui che parla è Pietro, sul quale era stata edificata la Chiesa, insegnando a nome della Chiesa e mostrando che, se anche si allontanasse una moltitudine riottosa e superba di gente che non vuole obbedire, tuttavia la Chiesa non si allontana da Cristo e che la Chiesa sono il popolo unito al suo vescovo e il gregge che segue il suo pastore. Dalla qual cosa devi sapere che il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo e se qualcuno non è con il vescovo, non è nella Chiesa; e inutilmente si avvicinano di soppiatto e si blandiscono coloro che, non essendo in comunione con i vescovi di Dio, credono anche di poter comunicare nascostamente con qualcuno, quando la chiesa una e cattolica non è separata, né divisa, ma è ovunque collegata e agglomerata con la colla della reciproca unione dei vescovi. (20)

Ep. 67 del concilio d’autunno del 254

Lettera conciliare ai vescovi spagnoli, che chiedevano consiglio sul comportamento da tenere nei confronti dei vescovi Basilide e Marziale, che avevano acquisito falsi biglietti che attestavano l’avvenuto sacrificio agli idoli; secondo il concilio africano dovevano essere privati della loro funzione, in quanto indegni.

V 2 Questo vediamo che è stato fatto anche presso di voi, per l’ordinazione di Sabino, nostro collega, cioè che grazie al voto di tutti i fratelli e al giudizio dei vescovi che furono presenti e che vi scrissero per lettera su di lui, a lui fu conferito l’episcopato e gli furono imposte le mani al posto di Basilide. 3 E non può invalidare un’ordinazione regolare il fatto che Basilide, dopo che i suoi crimini furono scoperti e evidenziati anche dalla confessione della sua coscienza, dirigendosi a Roma, ingannò Stefano, nostro collega, lontano ed ignaro dei fatti e della verità, perché sollecitasse ingiustamente che fosse rimesso al suo posto nell’episcopato, dal quale era stato di diritto deposto. (21)

Ep. 68 a Stefano, vescovo di Roma

Cipriano scrive in merito ad una lettera che ha ricevuto dal vescovo di Lione, Faustino, che lo informava dell’adesione del vescovo Marciano di Arles allo scisma di Novaziano; invita Stefano a scrivere ai vescovi della Gallia, per indurli a non sostenere il vescovo scismatico. (22)

I 1 [...] Marciano d’Arles si è congiunto a Novaziano e si è separato dalla verità della Chiesa cattolica, dal nostro corpo e dal consenso vescovile (23) [...]

III 2 Infatti, fratello carissimo, un corpo copioso è quello dei vescovi, legato con la colla della concordia vicendevole e con il laccio dell’unità, in modo che se qualcuno, proveniente dal nostro collegio, tentasse di creare un’eresia e di lacerare e devastare il gregge di Cristo, vengano in aiuto gli altri, e come pastori utili e misericordiosi radunino le pecore del Signore nel gregge. 3 Se in mare si rompono improvvisamente le difese di un porto e diventa minacciato e pericoloso per le navi, forse i naviganti non dirigeranno le navi negli altri porti vicini, dove vi sia un ingresso difeso, un facile accesso ed una sosta sicura? (24)

Ep. 70 del concilio dell’autunno 255

Lettera conciliare inviata ad alcuni vescovi che avevano domandato come comportarsi nel caso in cui alcuni eretici fossero voluti entrare in comunione con la Chiesa: era necessario ribattezzarli?

III 1 In secondo luogo consentire che eretici e scismatici battezzino è approvare il loro battesimo. Infatti non può essere invalida una parte e valida un’altra. Se uno può battezzare, può dare anche lo Spirito Santo, se invece non può dare lo Spirito Santo, perché si è posto al di fuori (sott. della Chiesa), non è con lo Spirito Santo, né può battezzare colui che si rivolge a lui, perché uno è il battesimo, uno lo Spirito Santo e una la Chiesa fondata dal nostro Signore Cristo su Pietro come origine e ragione di unità. (25)

Ep. 71 a Quinto

Lettera in cui Cipriano spiega al vescovo Quinto la posizione sul battesimo eretico adottata dal concilio del 255.

III 1 Non si deve prescrivere per consuetudine, ma convincere con la ragione. Infatti quando si trovò in disaccordo con Paolo a motivo della circoncisione, nemmeno Pietro, che il Signore scelse per primo e sul quale edificò la sua Chiesa, volle aver ragione con insolenza o assunse una posizione arrogante, come se avesse detto di possedere il primato e che sarebbe stato piuttosto meglio che i nuovi venuti e i più giovani gli obbedissero, né disprezzò Paolo perché in passato era stato un persecutore della Chiesa, ma ammise le ragioni della verità e con facilità acconsentì alla ragionevolezza che Paolo rivendicava, lasciandoci così una testimonianza di concordia e pazienza, in modo che non amiamo pervicacemente le nostre posizioni, ma facciamo nostre piuttosto le cose utili e salutari che vengano ogni tanto suggerite dai fratelli e colleghi nostri, purché siano vere e legittime. 2 Mirando al medesimo scopo e invitando fedelmente alla concordia e alla pace, anche Paolo propose le stesse cose nella lettera, dicendo «Circa i profeti, che parlino due o tre e gli altri esaminino. Se un altro di coloro che sono seduti abbia una rivelazione, che il primo taccia». In questo passo insegna e mostra che molte cose sono rivelate meglio alla singola persona e che ciascuno non deve scontrarsi con gli altri per ciò che gli fosse una volta capitato di comprendere e che conservava tenacemente, ma, se si sia reso manifesto qualcosa di migliore o più utile, deve accoglierlo con liberalità. Non siamo infatti sconfitti, quando ci viene offerto qualcosa di meglio, ma rafforzati, soprattutto nelle cose che attengono all’unità della Chiesa e alla verità della nostra speranza e della nostra fede: come vescovi di Dio e preposti alla sua Chiesa per la sua considerazione, sappiamo che il perdono dei peccati non può essere dato se non nella Chiesa, né possono gli avversari di Cristo rivendicare alcunché della sua grazia per se stessi. (26)

IV 1 È ciò che Agrippino, di venerata memoria, stabilì con altri suoi colleghi vescovi che a quel tempo governavano la chiesa del Signore in Africa e Numidia e che decise dopo un esame in comune concilio. La sentenza dei quali anche noi abbiamo seguito, come religiosa, legittima, salvifica e coerente con la fede e la Chiesa cattolica. (27)

Ep. 72 al papa Stefano

L’oggetto è il medesimo della precedente.

III 1 Questo abbiamo riferito alla tua coscienza, fratello carissimo, sia per il comune rispetto che ci lega, sia per semplice affetto, credendo che tu sia d’accordo, sia per la verità della tua religione, che della tua fede, con queste cose che sono parimenti religiose e vere. Inoltre sappiamo che alcuni, una volta convinti di qualcosa, non vogliono cambiare, né facilmente mutano il proprio proposito e conservano alcune usanze proprie, che erano un tempo utilizzate presso di loro, facendo però salvo il vincolo della pace e della concordia con i colleghi. 2 In merito a questo noi non costringiamo nessuno, né vogliamo dare una norma, dal momento che ciascun vescovo ha nell’amministrazione della sua chiesa una libera decisione, dovendo dare ragione dei propri atti al Signore. (28)

Ep. 73 a Giubaiano

Risposta a Giubaiano, che aveva scritto per conoscere l’opinione di Cipriano in merito al battesimo degli eretici.

VII 1 Inoltre è evidente dove e da chi possono essere rimessi i peccati, ciò che viene fatto nel battesimo. Infatti a Pietro per primo, sul quale ha edificato la sua Chiesa e da cui l’unità ebbe origine e si manifestò, il Signore diede questo potere, che fosse sciolto in terra ciò che egli avesse sciolto. 2 E dopo la resurrezione parlò anche agli apostoli dicendo: «Così come il Padre manda me, anch’io mando voi». E dopo aver detto questo, soffiò e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete i peccati di qualcuno, gli saranno rimessi; se non li rimetterete, resteranno non rimessi». Da cui comprendiamo che a nessun altro salvo a coloro che presiedono nelle chiese e la cui autorità è fondata sulla legge evangelica e sull’ordinazione del Signore, è lecito battezzare e dare la remissione dei peccati; al di fuori di essi non si può essere legati, né sciolti, ove non ci sia chi possa o legare o sciogliere. (29)

Ep. 75 di Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia, a Cipriano

Firmiliano, vescovo orientale di Cesarea, scrive a Cipriano a proposito della decisione di Stefano di rompere la comunione con il vescovo di Cartagine e con tutti quelli che come lui sostengono l’invalidità del battesimo eretico.

II 3 Non possiamo dire grazie a Stefano in nulla se non in questo, che a causa della sua disumanità abbiamo avuto occasione di conoscere la vostra fede e la vostra saggezza. Ma se noi a causa di Stefano abbiamo ricevuto questo beneficio, tuttavia Stefano non ha commesso cose degne di ringraziamento [...] (30)

VI 1 Che coloro che sono in Roma non osservino in tutto ciò che è stato trasmesso dall’origine e invano pretendano di invocare l’autorità degli Apostoli, è ciò che si può osservare. Sembra che siano presso di loro alcune differenze quanto al giorno di celebrazione della Pasqua e circa molti altri punti della religione, e presso di loro non si osserva tutto come viene osservato a Gerusalemme, secondo ciò che accade anche in molte altre province, che variano per luoghi e diversità di cultura, e che non per questo si sono allontanate dalla pace e dall’unità della Chiesa cattolica. 2 Questo ora Stefano ha osato fare, rompendo con voi la pace, che sempre i suoi predecessori avevano custodito con reciproco amore ed affetto, e inoltre infamando i beati apostoli Pietro e Paolo, come se essi stessi avessero trasmesso questi insegnamenti, loro nelle cui lettere gli eretici sono esecrati al punto che ci hanno raccomandato di evitarli. Dalla qual cosa appare che questa tradizione, che appoggia gli eretici e loro attribuisce un battesimo che non appartiene se non alla Chiesa, è di origine umana. (31)

XVI 1 Quanto grande sia l’errore e quanta cecità vi sia in colui che dice che la remissione dei peccati può essere data nelle sinagoghe degli eretici e non rimane nel fondamento dell’unica Chiesa, che un tempo è stata da Cristo fondata sulla pietra, si può comprendere dal fatto che al solo Pietro Cristo disse: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli. E tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli». E di nuovo nel Vangelo, quando Cristo soffiò sui soli Apostoli, dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete i peccati di qualcuno, gli saranno rimessi; se non li rimetterete, resteranno non rimessi». Il potere di rimettere i peccati è stato dato agli Apostoli e alle chiese che essi, mandati da Cristo, costituirono e ai vescovi che ad essi succedettero tramite l’ordinazione [...] (32).

XVII 1 E io in questa parte giustamente m’indigno nei confronti della evidente e manifesta stoltezza di Stefano, per il fatto che colui che si vanta di succedere a Pietro, sul quale sono collocate le fondamenta della Chiesa, e di occupare il suo posto, introduce molte altre pietre e costruisce nuovi edifici di molte chiese, difendendo con la sua autorità il battesimo di costoro (degli eretici, n.d.T.). 2 Infatti quelli che ricevono il battesimo costituiscono il corpo della Chiesa: chi dunque approva il battesimo degli eretici, riguardo ai battezzati afferma che anche presso di loro di trova la Chiesa. Né comprende che viene oscurata e in un certo modo annientata l’autenticità della pietra cristiana da lui che così abbandona e tradisce l’unità. (33)

XIX 3 Voi Africani potete dire questo contro Stefano, che una volta conosciuta la verità, avete abbandonato l’errore della consuetudine; noi uniamo la verità alla consuetudine e alla consuetudine dei Romani opponiamo una consuetudine, ma veritiera, conservando dall’inizio ciò che è stato trasmesso da Cristo e dagli Apostoli. Né ci ricordiamo quando essa sia iniziata presso di noi (perché sempre qui è stato osservato così), al punto che non conosciamo se non una sola Chiesa di Dio e che non consideriamo il santo battesimo al di fuori della santa Chiesa [...] (34)

XXIV 3 Nemmeno poterono conformarti (35) alla regola della verità e della pace i precetti dell’apostolo che ammonisce dicendo: «Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con senso di umiltà e mansuetudine, sopportandovi a vicenda con pazienza nell’amore, cercando di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutte le cose ed è presente in tutti noi». (36)

XXV 1 Queste raccomandazioni dell’apostolo sono state seguite davvero con molto zelo da Stefano, conservando prima di tutto proprio l’umiltà e la dolcezza! Cosa ci può essere infatti di più umile e dolce che aver creato disaccordo con tutti i vescovi del mondo, rompendo la comunione per discordie di vario genere con alcuni di essi, sia con gli Orientali, cosa che voi sapete benissimo, sia con voi che siete al sud e ricevendo con tale pazienza ed amore i vescovi inviatigli, che non li ammise mai ad un colloquio comune, ma anzi, memore dell’affetto e della carità, ha vietato a chiunque dei fratelli di riceverli nella propria casa, e ha negato a coloro che giungevano non solo la pace e la comunione, ma anche un tetto e un ricovero. 2 Questo è «conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace», separarsi dall’unità dell’amore, rendersi estraneo in tutto rispetto ai fratelli e ribellarsi con il furore della discordia contro il sacramento e il vincolo della pace. Può esserci presso uno così un solo corpo e un solo spirito, in lui in cui forse non vi è nemmeno una sola anima, così instabile, mobile e incerta? (37)

 

DE ECCLESIAE CATHOLICAE UNITATE – SULL’UNITÀ DELLA CHIESA CATTOLICA (38)

Questo trattato venne scritto da Cipriano, nel corso del 251, in seguito agli scismi di Novato a Cartagine e di Novaziano a Roma, e riprende in gran parte argomentazioni presenti già nelle lettere.

IV Se esaminiamo attentamente queste cose, non c’è bisogno di un lungo trattato. Per la fede la prova è facile e contenuta in un compendio di verità: il Signore parla a Pietro: «E io ti dico» dice «che tu sei Pietro e su questa pietra costruirò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa; e a te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli». (39) (40)

P.T.

E dopo la resurrezione gli dice: «Pasci le mie pecorelle». Su di lui edifica la chiesa e a lui dà l’incarico di pascere le pecore e, sebbene attribuisca lo stesso potere a tutti gli apostoli, tuttavia costituì una sola cattedra e con la sua autorità fissò l’origine e il significato dell’unità. Certamente anche gli altri erano ciò che fu Pietro, ma il primato venne dato a Pietro e una sola chiesa ed una sola cattedra venne mostrata; e tutti sono pastori, ma unico è il gregge, che viene mostrato come accudito da tutti gli apostoli in unanime accordo. Chi non conserva questa unità presente in Pietro, crede di mantenersi nella fede? Chi abbandona la cattedra di Pietro, sul quale è fondata la Chiesa, confida di poter essere nella Chiesa? (41)

 T.R.

Su uno edifica la Chiesa e, sebbene attribuisca uguale potere a tutti gli apostoli dopo la sua resurrezione e dica: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. Se rimetterete i peccati di qualcuno, gli saranno rimessi; se non li rimetterete, resteranno non rimessi» tuttavia, al fine di rendere manifesta l’unità, con la sua autorità ne fissò l’origine come a partire da uno. Certamente anche gli altri apostoli erano ciò che fu Pietro, dotati di un comune e pari possesso di onore e potestà, ma l’inizio si ha dall’unità, affinché la Chiesa di Cristo fosse mostrata una. Questa stessa Chiesa che anche nel Cantico dei Cantici lo Spirito Santo Signore indica e dice: «Una è la mia perfetta colomba, una è per sua madre, la preferita della sua genitrice». Chi non conserva quest’unità della Chiesa crede di mantenersi nella fede? Colui che si oppone alla Chiesa e che le resiste, confida di poter essere nella Chiesa, quando anche il beato apostolo Paolo insegna la stessa dottrina e mostra il sacramento dell’unità dicendo: «Un solo corpo e un solo Spirito, una sola speranza nella vostra chiamata, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio». Questa unità dobbiamo fermamente conservare e difendere, soprattutto noi vescovi, che presiediamo nella Chiesa, affinché dimostriamo che anche l’episcopato è uno e indiviso. Nessuno infranga la fraternità con la menzogna, nessuno corrompa la verità della fede con un perfido tradimento. (42)

L’episcopato è uno e ciascun vescovo ne tiene una parte in solido con gli altri. La Chiesa è una e si estende in moltitudine con la crescita dovuta alla sua fecondità: allo stesso modo del sole che ha molti raggi, ma una sola luce, e i rami dell’albero sono molti, ma uno è il tronco ben solido su una forte radice e come da una sola fonte defluiscono più ruscelli, benché la molteplicità sembri diffusa con larghezza in abbondante quantità, tuttavia all’origine si conserva l’unità. Se si separa dal corpo del sole uno dei suoi raggi, tuttavia l’unità della luce non subisce divisione; se si rompe un ramo dell’albero, il ramo rotto non potrà germogliare; se si chiude alla fonte un ruscello, il ruscello chiuso inaridisce. Così anche la Chiesa, inondata dalla luce del Signore, estende i suoi raggi su tutto il mondo, ma una sola luce viene diffusa ovunque, né viene separata l’unità del corpo; essa spiega i suoi rami su tutta la terra con grande fertilità; fa fluire largamente ruscelli abbondanti, tuttavia una è la fonte e una l’origine e unica la madre ricca dei frutti rinnovati della propria fecondità: dal suo grembo nasciamo, del suo latte siamo nutriti, dal suo spirito siamo animati. (43)

17, 19 Nemico dell’altare, in rivolta contro il sacrificio di Cristo, traditore nella fede, sacrilego nella religione, servo disobbediente, figlio empio, fratello nemico, nel disprezzo per i vescovi e nell’abbandono dei sacerdoti da Dio costituiti, osa costruire un altro altare, elevare un’altra preghiera pronunciando parole senza averne il diritto, profanare la verità dell’ostia del Signore con falsi sacrifici e non sapere che chi si erge contro l’ordinazione conferita da Dio, viene punito per l’audacia del comportamento temerario con l’avversione divina. (44)

 

DE DOMINICA ORATIONE – SULLA PREGHIERA DEL SIGNORE (45)

30 [...] Dopo prega il Padre per tutti, dicendo: «Non prego per questi unicamente, ma anche per quelli che crederanno in me per mezzo della loro predicazione: tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me ed io in te, anche quelli siano una sola cosa in noi». Immensa parimenti la bontà e la giustizia di Dio per la nostra salvezza, perché, non contento di redimerci con il suo sangue, in più pregò anche per noi. Vedete, questo fu il desiderio di colui che pregava: che così come il Padre ed il Figlio sono uno, allo stesso modo anche noi rimaniamo nella medesima unità. Qui si può anche comprendere quanto delinqua colui che rompe l’unità e la pace, poiché anche per questo aveva pregato il Signore, volendo che il suo popolo fosse salvo e vivesse in pace, perché sapeva che nel regno di Dio la discordia non entra. (46)

 

Considerazioni conclusive

Al termine di questa esposizione dei testi più significativi di San Cipriano di Cartagine sulla Chiesa, può essere utile esporre in sintesi quanto da questi passi è possibile dedurre in merito al suo pensiero.

Il primo aspetto importante da sottolineare è il ruolo di Pietro.

Presso i Padri esistono sostanzialmente due interpretazioni della figura dell’apostolo e del suo rilievo (47), che non sono necessariamente in contrapposizione fra loro, ma anzi, in qualche modo si completano, giungendo alla medesima conclusione di individuare in lui una figura della Chiesa: la prima, presentata in molti modi (48), ma riassunta in breve da Ambrogio di Milano (De incarnationis dominicae sacramento, IV, 32 – V, 34), è la seguente: Gesù fonda la Chiesa non sulla persona di Pietro, ma sulla sua fede che egli ha proclamato dicendo «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo». La pietra infatti è Cristo (49) e la fede in lui e Pietro è fondato su questa pietra e così tutta la Chiesa, che segue la fede espressa da Pietro, è, a sua volta, saldamente ancorata alla pietra. Anche i Padri (e ve ne sono alcuni) che interpretano la Chiesa come fondata su Pietro, sottolineano sempre come questo avvenga per via della fede dell’apostolo e non per meriti particolari della sua persona. (50) Tant’è vero che Agostino d’Ippona, nel citato sermone 76, nota come lo stesso Pietro in un primo momento riceva il nome da Cristo per via della sua fede, ma poco dopo sia chiamato Satana (51), perché aveva smesso di pensare secondo Dio e parlava con la sola ragione umana: dunque “Pietro” quando confessava Cristo come Figlio del Dio vivente, “Satana” quando gli suggeriva di sottrarsi alla volontà del Padre.

La seconda interpretazione (che è quella di cui San Cipriano è l’iniziatore) è, potremmo dire, di tipo istituzionale ed è la radice da cui si originerà, con però grosse modificazioni e ingiustificati passaggi logici, anche l’attuale visione cattolico-romana:

Gesù fonda la Chiesa su Pietro per primo, come simbolo dell’unità della gerarchia episcopale. In breve, secondo Cipriano, Pietro è stato istituito da Cristo come vescovo, così come gli altri apostoli, ma egli è stato il primo a divenirlo, e questo con uno scopo ben preciso: significare che l’episcopato dev’essere unito, concorde e in armonia.

Come risulta evidente, le due interpretazioni non sono in contrasto fra loro, ma evidenziano due aspetti complementari della vita della Chiesa: essa si fonda sulla fede in Cristo e sull’organizzazione gerarchica che Cristo ha voluto realizzare negli apostoli e nei vescovi, loro successori: Cipriano infatti sottolinea come allontanarsi dalla Chiesa voglia dire porre in essere altri altari e fondarsi su altre pietre.

L’ecclesiologia cattolico-romana si è inserita solo su questa seconda linea interpretativa, creando un’equazione indebita, quella Pietro = papa di Roma.

In realtà sostenere l’esistenza di una simile visione in Cipriano crea evidenti problemi, perché attraverso questa chiave di lettura egli diventerebbe uno schizofrenico: da un lato infatti esalterebbe il primato di Roma, dall’altro l’autonomia del singolo vescovo e l’autorità dei concili in materia di fede e di disciplina; da un lato apparirebbero perfettamente coerenti i cordiali rapporti che mantenne con papa Cornelio, ma dall’altro sembrerebbe contraddittorio ed inspiegabile il conflitto assai duro che lo oppose a papa Stefano sulla questione del battesimo degli eretici. E dunque? Si trattava solo di un arrogante che predicava in un modo e agiva diversamente, secondo i suoi interessi? Ben difficile che un uomo simile potesse andare incontro al martirio per la propria fede.

Bisogna dunque sforzarsi di capire cosa Cipriano volesse dire, prescindendo dall’equazione Pietro = papa e cercando di verificare poi se il risultato della ricerca ci permetta in questo modo di dare al pensiero e alle azioni del vescovo di Cartagine un aspetto più coerente.

Cipriano dà a Pietro un gran rilievo e attribuisce un profondo significato al suo “primato”, che secondo lui consiste nel fatto che a Pietro per primo Cristo ha conferito il potere di legare e sciogliere e le chiavi del Regno dei Cieli (cfr. epp. 73; 55, 16, 1; De unitate 4). Ma questo primato non ha un valore giuridico: Pietro non ha più potere degli altri apostoli o un potere sugli altri apostoli (52); anche agli altri, infatti, saranno dati in seguito gli stessi poteri conferiti a Pietro. Il primato, per Cipriano, sta nel fatto che in Pietro è simboleggiata l’unità della Chiesa, che egli vedeva principalmente come unità dell’episcopato (53) (cfr. epp. 33; 55, 24, 2; 70; 75, 16, 1; De unitate 4). Nel suo pensiero Pietro è stato il primo a ricevere i caratteri vescovili, e sebbene dopo anche gli altri li abbiano ricevuti, tuttavia tali caratteri non sono stati concessi a tutti nello stesso momento: Cristo ha voluto concederli prima ad uno, perché simboleggiasse il fatto che i vescovi sono molti, ma l’episcopato dev’essere uno solo, cioè tutti devono agire in armonia e in comunione fra loro (sull’armonia vi è molta insistenza: cfr. ep. 34; De orat. domin. 30).

L’immagine dell’unica cattedra fondata su Pietro indica quindi la Chiesa, intesa come comunione dei vescovi e delle chiese locali da loro presiedute (cfr. ep. 43). In quest’ottica va interpretata anche l’ep. 59, 14, 1, che ha un valore enfatico. (54) Roma infatti era stata la sede di Pietro in Occidente, in essa Pietro aveva esercitato (secondo ciò che all’epoca si pensava) la sua funzione di vescovo e perciò in quel luogo concretamente Pietro si era manifestato come simbolo di unità. Cipriano si domanda dunque: sono così folli questi eretici che, non avendo voluto ascoltare noi a Cartagine, sperano di avere appoggio a Roma, che essendo stata la cattedra di Pietro, di colui cioè che simboleggia l’unità della Chiesa, farebbe violenza alla propria natura rompendo questa unità?

Evidentemente non sapeva che papa Stefano avrebbe più tardi agito proprio in questo modo.

Prendendo Pietro a simbolo di unità, Cipriano non pensa certo ai suoi successori romani a lui contemporanei. Dal momento che l’unità non dipende da particolari poteri di Pietro, non c’è nulla che possa o debba essere trasmesso ai vescovi di Roma, che sono uguali agli altri55. È Pietro nella sua persona il simbolo dell’unità, non il suo successore romano: questo risulta evidentissimo in Cipriano, soprattutto nella sua insistenza sull’assoluta libertà del vescovo nell’amministrazione della propria chiesa. (56)

Questo spiega perché ci siano stati momenti in cui l’accordo di Cipriano con Roma fu perfetto (cfr. epp. 35; 59) e altri di duro contrasto, come mostra benissimo anche la lettera inviata a Cipriano da Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia. Proprio da essa appare evidente come la piena condivisione dell’ecclesiologia di Cipriano che questi manifesta non comportasse nemmeno in Oriente alcuna idea di una supposta necessità di seguire la chiesa di Roma in materia di dottrina e tanto meno alcuna soggezione giuridica ad essa (e su questo Cipriano non sembra proprio essere in disaccordo; cfr. ep. 67, in cui si afferma che una decisione canonica e collegiale dei vescovi non poteva essere infirmata da una richiesta di revisione del vescovo di Roma su una questione sulla quale, peraltro, egli era stato ingannato), ma come anzi l’unico criterio fosse l’origine apostolica della consuetudine e la sua approvazione da parte degli altri vescovi, cioè della Chiesa nel suo complesso (cfr. epp. 71, 4, 1; 75, 19, 3). Abbandonare la cattedra di Pietro, costruire un altro altare e altre chiese fondate su pietre diverse significava rompere la comunione dei vescovi e uscire dalla Chiesa (cfr. ep. 55, 24, 4; De unitate 17, 17): che si fosse Cipriano, vescovo di Cartagine, o Stefano, vescovo di Roma (cfr. ep. 75, 17, 1; 75, 25, 1).

È significativo però come Cipriano insista sul fatto che l’esistenza di consuetudini che diversificano le chiese fra loro, non infici necessariamente l’unione fra esse (57): nell’ambito di ciascuna chiesa locale, infatti, il vescovo deve rendere conto solo a Dio del proprio operato di pastore; quello che importa è che non venga rotto il legame di amore e condivisione che unisce fra loro i vescovi e le comunità da loro presiedute: è questo ciò che egli definisce “unità della Chiesa”. Non uniformità di culto e di pratiche, dunque, ma armonia e amore reciproco.

In conclusione si può affermare questo: la chiesa di Roma, che godeva di notevole prestigio in Occidente, come in Oriente (anche per il suo rango di capitale dell’Impero), e che per questo era spesso considerata un punto di riferimento, a partire da papa Damaso (ca. 380) e quindi dal momento in cui la creazione di una nuova capitale (Costantinopoli) cominciava a mettere in crisi la sua importanza, ha cominciato ad abbandonare l’ecclesiologia antica, identificando i suoi vescovi con Pietro e immaginando una trasmissione di qualche fantomatico “potere” petrino ad essi. In questo modo essi si sono attribuiti il titolo di “vicario di Pietro”.

Il secondo passaggio logico è stato inevitabile: visto che, nella loro visione giuridica, Pietro era il vicario di Cristo, allora anche il papa doveva esserlo. E dunque ora il papa di Roma porta il titolo di vicario di Cristo in terra e di vescovo dei vescovi, una specie di metropolita universale. Da questo inevitabilmente deriva il dogma dell’infallibilità e tutti i suoi collegati.

Nulla di più lontano dalla visione di San Cipriano: in essa ogni chiesa locale è governata dal suo vescovo, unito agli altri nell’armonia dell’unico episcopato spirituale che coincide con la Chiesa universale, simboleggiata dal fatto che Pietro ha ottenuto per primo i poteri vescovili.

Alessandro Goria

Torino, 2012

 

NOTE

(1) Dell’esperienza vitale del battesimo e della decadenza del mondo a lui contemporaneo scriverà poi in una delle sue opere, il trattato Ad Donatum (A Donato).

(2) Per questo motivo viene solitamente chiamato Tascio Cecilio Cipriano.

(3) Va detto che, in seguito, la posizione espressa da Stefano di considerare valido il battesimo amministrato nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito diverrà prevalente.

(4) Il testo latino è quello dell’edizione critica curata dal Diercks e pubblicata in CChLS IIID.

(5) 1 Dominus noster, cuius praecepta metuere et observare debemus, episcopi honorem et ecclesiae suae rationem disponens in evangelio loquitur et dicit Petro: «ego tibi dico quia tu es Petrus et super istam petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferorum non vincent eam, et tibi dabo claves regni caelorum, et quae ligaveris super terram erunt ligata et in caelis, et quaecumque solveris super terram erunt soluta et in caelis». Inde per temporum et successionum vices episcoporum ordinatio et ecclesiae ratio decurrit, ut ecclesia super episcopos constituatur et omnis actus ecclesiae per eosdem praepositos gubernetur. 2 Cum hoc itaque divina lege fundatum sit, miror quosdam audaci temeritate sic mihi scribere voluisse ut ecclesiae nomine litteras facerent, quando ecclesia in episcopo et clero et in omnibus stantibus sit constituta.

(6) III 1 Vos itaque secundum litteras meas fideliter et salubriter consulentes a consiliis melioribus ne recedatis. Legite vero has easdem litteras et collegis meis, si qui aut praesentes fuerint aut supervenerint, ut unanimes et concordes ad fovenda et sananda lapsorum vulnera consilium salubrem teneamus, tractaturi plenissime de omnibus cum convenire in unum per Domini misericordiam coeperimus.

(7) 1 Et dilectio communi et ratio exposcit, fratres carissimi, nihil conscientiae vestrae subtrahere de his quae apud nos geruntur, ut sit nobis circa utilitatem ecclesiasticae administrationis commune consilium.

(8) 1 Clamat et dicit Deus: « nolite audire sermones pseudoprophetarum, quoniam visiones cordis eorum frustrantur eos. Locuntur, sed non ab ore Domini. Dicunt eis qui abiciunt verbum Domini: pax erit vobis». Pacem nunc offerunt qui ipsi non habent pacem, in ecclesiam lapsos reducere et revocare promittunt qui de ecclesia recesserunt. 2 Deus unus est et Christus unus et una ecclesia et cathedra una super Petrum Domini voce fundata. Aliud altare constitui aut sacerdotium novum fieri praeter unum altare et unum sacerdotium non potest. Quisque alibi collegerit, spargit. Adulterum est, impium est, sacrilegum est quodcumque humano furore instituitur ut dispositio divina violetur.

(9) Novaziano apparteneva ad un partito che negava qualsiasi possibilità di riammettere, anche in punto di morte, i lapsi.

(10) 3 Ipse est qui Felicissimum satellitem suum diaconum nec permittente me nec sciente sua fatione et ambitione constituit et cum sua tempestate Romae quoque ad evertendam ecclesiam navigans similia illic et paria molitus est, a clero portionem plebis avellens, fraternitatis bene sibi cohaerentis et se invicem diligentis concordiam scindens. Plane quoniam pro magnitudine sua debebat Carthaginem Roma praecedere, illic maiora et graviora commisit. Qui istic adversus ecclesiam diaconum fecerat, illic episcopum fecit.

(11) 1 Et quidem apud antecessores nostros quidam de episcopis istic in provincia nostra dandam pacem moechis non putaverunt et in totum paenitentiae locum contra adulteria cluserunt. Non tamen a coepiscoporum suorum collegio recesserunt aut catholicae ecclesiae unitatem vel duritiae vel censurae suae obstinatione ruperunt, ut quia apud alios adulteris pax dabatur, qui non dabat de ecclesia separaretur. 2 Manente concordiae vinculo et perseverante catholicae ecclesiae individuo sacramento, actuum suum disponit et dirigit unusquisque episcopus rationem propositi sui Domino redditurus.

(12) Il passo si riferisce a Novaziano, il quale aveva contestato la legittimità dell’elezione del vescovo di Roma, Cornelio, ed era in seguito stato fatto vescovo di Roma illegittimamente. Fu in effetti il secondo «antipapa», dopo Sant’Ippolito martire.

(13) Et cum sit a Christo una ecclesia per totum mundum in multa membra divisa, item episcopatus unus episcopo rum multorum concordi numerositate diffusus, ille post Dei traditionem, post conexam et ubique coniunctam catholicae ecclesiae unitatem humanam conetur ecclesiam facere et per plurimas civitates novos apostolos suos mittat, ut quaedam recentia institutionis suae fundamenta constituat [...].

(14) 4 Episcopatum autem tenere non posset, etiam si episcopus prius factus a coepiscoporum suorum corpore et ab ecclesiae unitate descisceret, quando apostolus admoneat ut invicem nosmet ipsos sustineamus, ne ab unitate quam Deus constituit recedamus, et dicat: «sustinentes invicem in dilectione, satis agentes servare unitatem spiritus in coniunctionem pacis». Qui ergo nec unitatem spiritus nec coniunctionem pacis observat et se ab ecclesiae vinculo atque a sacerdotum collegio separat, episcopi nec potestatem potest habere nec honorem qui episcopatus nec unitatem voluit tenere nec pacem.

(15) 3 Petrus tamen super quem aedificata ab eodem Domino fuerat ecclesia unus pro omnibus loquens et ecclesiae voce respondens ait: «Domine, ad quem imus? Verbum vitae eternae habes, et nos credimus et cognovimus quoniam tu es filius Dei vivi».

(16) Nello stesso senso in cui il vocabolo principalis è utilizzato da Ireneo di Lione in Adv. haer. 3, 2, ad indicare una delle chiese “primaziali” in una certa area, nel caso specifico l’Occidente dell’Impero.

(17) Perché Pietro è emblema dell’unità vescovile, un solo episcopato pur gestito da molti vescovi: in ultima analisi simbolo della Chiesa intesa come comunione dei vescovi delle chiese locali; come ha detto nell’epistola XLIII: “Dio è uno e Cristo uno e una la Chiesa e una la cattedra di Pietro fondata dalla voce del Signore. Non può essere stabilito un altro altare o un nuovo episcopato al di fuori dell’unico altare e dell’unico episcopato”. E lo stesso dirà nel De unitate: “Tutti sono pastori, ma ci è mostrato che non vi è che un gregge che devono pascere tutti gli apostoli in accordo unanime”.

(18) […] post ista adhuc insuper pseudoepiscopo sibi ab haereticis constituto navigare audent et ad Petri cathedram atque ad ecclesiam principalem unde unitas sacerdotalis exorta est a schismaticis et profanis litteras ferre nec cogitare eos esse Romanos quorum fides apostolo praedicante laudata est, ad quos perfidia habere non possit accessum.

(19) 1 Quamquam sciam, frater carissime, episcopos plurimos ecclesiis dominicis in toto mundo divina dignatione praepositos evangelicae veritatis ac dominicae traditionis tenere rationem nec ab eo quod Christus magister et praecepit et gessit humana et novella institutione decedere, tamen quoniam quidam vel ignorantem vel simpliciter in calice dominico sanctificando et plebi ministrando non hoc faciunt quod Iesus Christus dominus et Deus noster sacrificii huius auctor et doctor fecit et docuit, religiosum pariter ac necessarium duxi de hoc ad vos litteras facere, ut si qui in isto errore adhuc tenebatur, veritatis luce perspecta ad radicem atque originem traditionis dominicae revertatur.

(20) [...] «Domine, ad quem ibimus? Verbum vitae aeternae habes, et nos credimus et cognovimus quoniam tu es filius Dei vivi». 3 Loquitur illic Petrus, super quem aedificata fuerat ecclesia, ecclesiae nomine docens et ostendens quia, etsi contumax ac superba obaudire nolentium multitudo discedat, ecclesia tamen a Christo non recedit et illi sunt ecclesia, plebs sacerdoti adunata et pastori suo grex adhaerens. Unde scire debes episcopum in ecclesia esse et ecclesiam in episcopo et si qui cum episcopo non sit in ecclesia non esse, et frustra sibi blandiri eos qui pacem cum sacerdotibus Dei non habentes obrepunt et latenter apud quosdam communicare se credunt, quando ecclesiae quae catholica una est scissa non sit neque divisa, sed sit utique conexa et cohaerentium sibi invicem sacerdotum glutino copulata.

(21) 2 Quod et apud vos factum videmus in Sabini collegae nostri ordinatione, ut de universae fraternitatis suffragio et de episcoporum qui in praesentia convenerant quique de eo ad vos litteras fecerant iudicio episcopatus ei deferretur et manus ei in locum Basilidis imponeretur. 3 Nec rescindere ordinationem iure perfectam potest quod Basilides post crimina sua detecta et conscientiae etiam propriae confessione nudatam Romam pergens Stephanum collegam nostrum longe positum et gestae rei ac veritatis ignarum fefellit, ut exambiret reponi se iniuste in episcopatum de quo fuerat iure depositus.

(22) Alcuni studiosi ritengono che questo invito di Cipriano sia una dimostrazione del suo riconoscimento di un’autorità giurisdizionale del vescovo di Roma. In realtà, a parte il fatto che Cipriano non ne precisa il motivo, non è strano che Stefano, in quanto vescovo legittimo di Roma (titolo che Novaziano aveva usurpato) dovesse scrivere personalmente agli altri vescovi per presentare la correttezza delle proprie ragioni e gli errori dell’avversario.

(23) [...] Marcianus Arelate consistens Novatiano se coniunxerit et a catholicae ecclesiae unitate atque a corporis nostri et sacerdotii consensione discesserit [...].

(24) 2 Idcirco enim, frater carissime, copiosum corpus est sacerdotum concordiae mutuae glutino atque unitatis vinculo copulatum, ut si quis ex collegio nostro haeresim facere et gregem Christi lacerare et vastare temptaverit, subveniant ceteri, et qua pastores utiles et misericordes oves dominicas in gregem colligant. 3 Quid enim si in mari portus aliquis munitionibus suis ruptis infesto et periculosus esse navibus coeperit, nonne navigantes ad alios proximos portus naves suas dirigunt, ubi sit tutus accessus et salutaris introitus et statio sicura?

(25) 1 Ceterum probare est haereticorum et schismaticorum baptisma consentire in id quod illi baptizaverint. Neque enim potest pars illic inanis esse et pars praevalere. Si baptizare potuit, potuit et sanctum Spiritum dare. Si autem sanctum Spiritum dare non potest, quia foris constitutus cum sancto Spiritu non est, nec baptizare venientem potest, quando et baptisma unum sit et Spiritus sanctus unus et una ecclesia a Christo domino nostro super Petrum origine unitatis et ratione fundata.

(26) 1 Non est autem de consuetudine praescribendum, sed ratione vincendum. Nam nec Petrus quem primum Dominus elegit et super quem aedificavit ecclesiam suam, cum secus Paulus de circumcisione postmodum disceptare, vindicavit sibi aliquid insolenter aut adroganter adsumpsit, ut diceret se primatum tenere et obtemperari a novellis et posteris sibi potius oportere, nec despexit Paulum quod ecclesiae prius persecutor fuisset, sed consilium veritatis admisit et rationi legitimae quam Paulus vindicabat facile consensit, documentum scilicet nobis et concordiae et patientiae tribuens, ut non pertinaciter nostra amemus, sed quae aliquando a fratribus et collegis nostris utiliter et salubriter suggeruntur, si sint vera et legitima, ipsa potius nostra ducamus. 2 Cui rei Paulus quoque prospiciens et concordiae et paci fideliter consulens in epistula sua posuit dicens: «prophetae autem duo aut tres loquantur et ceteri examinent. Si autem alii revelatum sedenti fuerit, ille prior taceat». Qua in parte docuit et ostendit multa singulis in melius revelari et debere unumquemque non pro eo quod semel inbiberat et tenebat pertinaciter congredi, sed si quid melius et utilius extiterit libenter amplecti. Non enim vincimur quando offeruntur nobis meliora, sed instruimur, maxime in his quae ad ecclesiae unitatem pertinent et spei ac fidei nostrae veritatem, ut sacerdotes Dei et ecclesiae eius de ipsius dignatione praepositi sciamus remissam peccatorum non nisi in ecclesia dari posse nec posse adversarios Christi quicquam sibi circa eius gratiam vindicare.

(27) 1 Quod quidem et Agrippinus bonae memoriae vir cum ceteris coepiscopis suis qui illo in tempore in provincia Africa et Numidia ecclesiam Domini gubernabant statuit et librata consilii communis examinatione firmavit. Quorum sententiam religiosam et legitimam et salutarem fidei et ecclesiae catholicae congruentem, nos etiam secuti sumus.

(28) 1 Haec ad conscientiam tuam, frater carissime, et pro honore communi et pro simplici dilectione pertulimus, credentes etiam tibi pro religionis tuae et fidei veritate placere quae et religiosa pariter et vera sunt. Ceterum scimus quosdam quod semel inbiberint nolle deponere nec propositum suum facile mutare, sed salvo inter collegas pacis et concordiae vinculo quaedam propria quae apud se semel sint usurpata retinere. 2 Qua in re nec nos vim cuiquam facimus aut legem damus, quando habeat in ecclesiae administratione voluntatis suae arbitrium liberum unusquisque praepositus, rationem actus sui Domino redditurus.

(29) 1 Manifestum est autem ubi et per quos remissa peccatorum dari possit, quae in baptismo scilicet datur. Nam Petro primus Dominus, super quem aedificavit ecclesiam et unde unitatis originem instituit et ostendit, potestatem istam dedit ut id solveretur in terris quod ille soluisset. 2 Et post resurrectionem quoque ad apostolos loquitur dicens: «sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hoc cum dixisset, inspiravit et ait illis: accipite Spiritum sanctum. Si cuius remiserit peccata, remittentur illi; si cuius tenueritis, tenebuntur». Unde intellegimus non nisi in ecclesia praepositis et evangelica lege ac dominica ordinatione fundatis licere baptizare et remissam peccatorum dare, foris autem nec ligari aliquid posse nec solvi, ubi non sit qui aut ligare possit aut solvere.

(30) 3 Nisi quod nos gratiam referre Stephano in isto possumus, quod per illius inhumanitatem nunc effectum sit ut fidei et sapientiae vestrae experimentum caperemus. Sed non enim si nos propter Stephanum hanc beneficii gratiam coepimus, statim Stephanus beneficio et gratia digna commisit.

(31) 1 Eos autem qui Romae sunt non ea in omnibus observare quae sint ab origine tradita et frustra apostolo rum auctoritatem praetendere scire quis etiam inde potest, quod circa celebrandos dies Paschae et circa multa alia divinae rei sacramenta videat esse apud illos aliquas diversitates nec observari illic omnia equaliter Hierosolimis observantur, secundum quod in ceteris quoque plurimis provinciis multa pro locorum et nominorum diversitate variantur, nec tamen propter hoc ab ecclesiae catholicae pace atque unitate aliquando discessum est. 2 Quod nunc Stephanus ausus est facere rumpens adversus vos pacem, quam semper antecessores eius vobiscum amore et honore mutuo custodierunt, adhuc etiam infamans Petrum et Paulum beatos apostolos, quasi hoc ipsi tradiderint, qui in epistulis suis haereticos execrati sunt et ut eos evitemus monuerunt. Unde apparet traditionem hanc humanam esse quae haereticos asserit et baptisma quod non nisi solius ecclesiae est eos habere defendit.

(32) 1 Qualis vero error sit et quanta sit caecitas eius, qui remissionem peccatorum dicit apud synagogas hereticorum dari posse nec permanet in fundamento unius ecclesiae, quae semel a Christo super petram solidata est, hinc intellegi potest quod soli Petro Christus dixerit: «quaecunque ligaveris super terram, erunt ligata et in caelis, et quaecunque solveris super terram, erunt soluta et in caelis». Et iterum in evangelio in solos apostolos insufflavit Christus dicens: «accipite Spiritum sanctum. Si cuius remiseritis peccata, remittentur illi; si cuius tenueritis, tenebuntur». Potestas ergo peccatorum remittendorum apostolis data est et ecclesiis quas illi a Christo missi constituerunt et episcopis qui eis ordinatione vicaria successerunt.

(33) 1 Atque ego in hac parte iuste indignor ad hanc tam apertam et manifestam Stephani stultitiam, quod qui sic de episcopatus sui loco gloriatur et se successionem Petri tenere contendit, super quem fundamenta ecclesiae collocata sunt, multas alias petras inducat et ecclesiarum multarum nova aedificia constituat, dum esse illic baptisma sua auctoritate defendit. 2 Nam qui baptizantur complent sine dubio ecclesiae numerum; qui autem baptisma eorum probat, de baptizatis et ecclesiam illic esse confirmat. Nec intellegit offuscari a se et quodammodo aboleri christianae petrae veritatem qui sic prodit et deserit unitatem.

(34) Quod quidem adversus Stephanum vos dicere Afri potestis cognita veritate errorem vos consuetudinis reliquisse. Ceterum nos veritati et consuetudinem iungimus et consuetudini Romanorum consuetudinem sed veritatis opponimus, ab initio hoc tenentes quod a Christo et ab apostolis traditum est. Nec meminimus hoc apud nos aliquando coepisse, cum semper istic observatum sit ut non nisi unam Dei ecclesiam nossemus et sanctum baptisma non nisi santae ecclesiae computaremus.

(35) Il soggetto della frase è Stefano.

(36) 3 Nec te informare ad regulam veritatis et pacis vel apostoli praecepta potuerunt monentis et dicentis: «Obsecro ergo vos ego vinctus in Domino digne ambulare vocatione qua vocati estis, cum omni humilitate sensus et lenitate, cum patientia sustinentes invicem in dilectione, satis agentes servare unitatem spiritus in coniunctione pacis, unum corpus et unus spiritus, sicut vocati estis in una spe vocationis vestrae. Unus Dominus, una fides, unum baptisma, unus Deus et pater omnium, qui super omnes et per omnia et in omnibus nobis».

(37) 1 Haec apostoli mandata et monita salutaria quam diligenter Stephanus implevit, humilitatem sensus et lenitatem primo in loco servans! Quid enim humilius aut lenius quam cum tot episcopis per totum mundum dissensisse, pacem cum singulis vario discordiae genere rumpentem, modo cum Orientalibus, quod nec vos latere confidimus, modo vobiscum qui in meridie estis, a quibus legatos episcopos patienter satis et leniter suscepit ut eos nec ad sermonem saltem colloquii communis admitteret, adhuc insuper dilectionis et caritatis memor praeciperet fraternitati universae ne quis eos in domum suam reciperet, ut venientibus non solum pax et communio, sed et tectum et hospitium negaretur! 2 Hoc est «servare unitatem spiritus in coniunctione pacis», abscindere a caritatis unitate et alienum per omnia fratribus facere et contra sacramentum et vinculum pacis furore discordiae rebellare. Apud talem potest esse unum corpus et unus spiritus, apud quem fortasse ipsa anima una non est sic lubrica et mobilis et incerta?

(38) Il testo latino seguito è quello di CCL 3, utilizzato anche dall’edizione di Sources Chrétiennes n° 500, da me consultata. Il termine “cattolica” non indica, come si potrebbe pensare, la chiesa di Roma, ma l’universalità della Chiesa. Cattolico (dal greco καθολικός, composto dalla particella κατά e dal sostantivo ὅλος, “secondo il tutto”) significa che la Chiesa universale è formata da ciascuna chiesa locale in comunione con le altre. Anche le chiese ortodosse professano, in questo senso, la chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”, secondo il simbolo di fede niceno-costantinopolitano.

(39) Della successiva parte del testo su due colonne esistono due versioni, note come P.T. (Primacy Text - testo del primato) e T.R. (Textum Receptum – testo accolto). Vi è chi ha pensato che il P.T. potesse essere interpolato e alcune ragioni in tal senso non sono finora state smentite. Oggi sembra che la maggior parte degli studiosi propenda per considerare autentiche entrambe le versioni, derivate da un successivo intervento dello stesso Cipriano. Alcuni sostengono che il testo originario sia il P.T., poi modificato da Cipriano dopo la controversia battesimale con papa Stefano per stemperare l’eccessivo favore che questo testo indicherebbe per il primato di Roma. In realtà, come al solito, si fa confusione indebita: il testo non parla affatto di Roma, ma di Pietro; inoltre dal punto di vista concettuale i due testi non sono poi molto differenti. Si rinvia comunque alle considerazioni conclusive per un chiarimento sulla visione di Cipriano in merito.

(40) Quae si quis consideret et examinet, tractatu longo atque argumentis opus non est. Probatio est ad fidem facilis compendio veritatis; loquitur Dominus ad Petrum: «Ego tibi dico – inquit – quia tu es Petrus et super istam petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferorum non vincent eam. Tibi dabo claves regno caelorum, et quae ligaveris super terram erunt ligata et in caelis, et quaecumque solveris super terram erunt soluta et in caelis».

(41) Et idem post resurrectionem suam dicit illi: «Pasce oves meas». Super illum aedificat ecclesiam et illi pascenda oves mandat et, quamvis apostolis omnibus parem tribuat potestatem, unam tamen cathedram constituit et unitatis originem atque rationem sua auctoritate disposuit. Hoc erat utique et ceteri quod fuit Petrus, sed primatus Petro datur et una ecclesia et cathedra una monstratur; et pastores sunt omnes, sed grex unus ostenditur qui ab apostolis omnibus unianimi consensione pascatur. Hanc Petri unitatem qui non tenet, tenere se fidem credit? Qui cathedram Petri, super quem fundata ecclesia est, deserit, in ecclesia se esse confidit?

(42) Super unum aedificat ecclesiam et, quamvis apostolis omnibus post resurrectionem suam parem potestatem tribuat et dicat: «Sicut misit me Pater et ego mitto vos. Accipite Spiritum sanctum. Si cuius remiseritis peccata remittentur illi; si cuius tenueritis tenebuntur», tamen, ut unitatem manifestaret, unitatis eiusdem originem ab uno incipientem sua auctoritate disposuit. Hoc erant utique et ceteri apostoli quod fuit Petrus, pari consortio praediti et honoris et potestatis, sed exordium ab unitate proficiscitur ut ecclesia Christi una monstretur. Quam unam ecclesiam etiam in Cantico Canticorum Spiritus santus ex persona Domini designat et dicit: «Una est columba mea, perfecta mea, una est matri suae, electa genitrici suae». Hanc ecclesiae unitatem qui non tenet, tenere se fidem credit? Qui ecclesiae renititur et resistit, in ecclesia se esse confidit, quando et beatus apostolus Paulus hoc idem doceat et sacramentum unitatis ostendat dicens: «Unum corpus et unus Spiritus, una spes vocationis vestrae, unus Dominus, una fides, unum baptisma, unus Deus»? Quam unitatem tenere firmiter et vindicare debemus, maxime episcopi qui in ecclesia praesidemus, ut episcopatum quoque ipsum unum atque indivisum probemus. Nemo fraternitatem mendacio fallat, nemo fidei veritatem perfida praevaricatione corrumpat.

(43) Episcopatus unus est cuius a singulis in solidum pars tenetur. Ecclesia una est, quae in multitudinem latius incremento fecunditatis estenditur: quomodo solis multi radii sed lumen unum, et rami arboris multi, sed robur unum tenaci radice fundatum, et cum de fonte uno rivi plurimi defluunt, numerositas licet diffusa videatur exundantis copiae largitate, unitas tamen servatur in origine. Avelle radium solis a corpore divisionem lucis, unitas non capit; ab arbore frange ramum, fractus germinare non poterit; a fonte praecide rivum, praecisus arescit. Sic et ecclesia, Domini luce perfusa, per orbem totum radios suos porrigit, unum tamen lumen est quod ubique diffunditur, nec unitas corporis separatur; ramos suos in universam terram copia ubertatis extendit; profluentes largiter rivos latius spandit, unum tamen caput est et origo una, et una mater fecunditatis successibus copiosa: illius fetu nascimur, illius lacte nutrimur, spiritu eius animamur.

(44) Hostis altaris, adversus sacrificium Christi rebellis, pro fide perfidus, pro religione sacrilegus, inobsequens servus, filius impius, frater inimicus, contemptis episcopis et Dei sacerdotibus derelictis constituere audet aliud altare, precem altera inlicitis vocibus facere, dominicae hostiae veritatem per falsa sacrificia profanare, nec scire quoniam qui contra ordinationem Dei nititur ob temeritatis audaciam divina animadversione punitur.

(45) Testo latino tratto dal Migne, PL 4, coll. 519-544a.

(46) Et postmodum pro omnibus patrem deprecatur dicens: «Non pro his autem rogo solis, sed et pro illis qui credituri sunt per verbum ipsorum in me, ut omnes unum sint, sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint». Magna Domini propter salutem nostram benignitas pariter et pietas, ut non contentus quod nos sanguine suo redimeret, adhuc pro nobis amplius et rogaret. Rogantis autem desiderium videte quod fuerit, ut, quomodo unum sunt Pater et Filius, sic et nos in ipsa unitate maneamus. Ut hinc quoque possit intelligi quantum delinquat qui unitatem scindit et pacem, cum pro hoc et rogaverit Dominus, volens scilicet sic plebem suam salvam fieri et in pace vivere, cum sciret ad regnum Dei discordiam non venire.

(47) Naturalmente all’interno di queste due linee interpretative esiste poi una ricca molteplicità di sfumature, senza contare alcuni estremi, come ad esempio l’originale visione totalmente spiritualizzante del Tertulliano montanista, presente nel De pudicitia, 21.

(48) Per una trattazione ben sviluppata di questa via interpretativa si veda ad esempio Agostino di Ippona, Sermo 76, che commenta il passo di Matteo in cui Cristo giunge agli apostoli camminando sulle acque.

(49) Cfr. At 4, 8-12 e Sal. 117.

(50) Un esempio di questo è Massimo di Torino (vissuto alla fine del IV secolo), il quale nei suoi sermoni tratteggia in modo molto significativo il ruolo dell’apostolo Pietro: cfr. serm. 1; 52, 4; 75, 3. D’altra parte, il commento del vescovo di Torino al noto passo di Mt. 16, 18 è perfettamente in linea con quanto abbiamo sottolineato: «Giustamente dunque, poiché Cristo è la pietra, Simone fu chiamato Pietro, perché chi aveva col Signore la comunione della fede, col Signore avesse anche in comune un unico nome, così che, come cristiano deriva da Cristo, così anche dalla pietra, che è Cristo, l’apostolo fosse chiamato Pietro».

(51) Mt. 16, 23; Mc. 8, 33.

(52) Cfr. l’ep. 71, dove Cipriano rammenta la controversia con Paolo a proposito della circoncisione e degli usi giudaici e sottolinea come la decisione finale venne adottata in piena armonia e nell’ascolto reciproco.

(53) La Chiesa universale infatti si ritrova, secondo il vescovo di Cartagine, in ogni chiesa locale con a capo il vescovo in comunione con gli altri vescovi delle varie chiese locali (cfr. epp. 66; 68).

(54) Fra l’altro è l’unico caso (se si esclude il P.T. del De unitate, la cui autenticità è tuttora da dimostrare) in cui Cipriano utilizza l’espressione cathedra Petri, perché di solito parla di cathedra super Petrum fundata, per cui è probabile che volesse in questo modo indicare il luogo storico dell’episcopato di Pietro, cioè Roma, distinguendolo dal significato simbolico dello stesso episcopato petrino come rappresentazione dell’unità.

(55) Questo non impedisce che in quel momento la chiesa di Roma, che fra l’altro si trovava nella capitale dell’Impero, godesse di un certo prestigio in Occidente. Ecco perché Cipriano dice che tale chiesa, per la propria grandezza, deve precedere quella di Cartagine (ep. 52) e le attribuisce l’aggettivo “principale” (ep. 59), usando un termine già di Ireneo di Lione e che indicava, probabilmente, la posizione preminente di alcune chiese, secondo ciò che sarà poi sancito circa un secolo dopo dal canone 6 del concilio di Nicea come antica consuetudine.

(56) È significativo come questa interpretazione permetta di considerare perfettamente ortodosse alcune espressioni dei Padri difficilmente collocabili nella visione romana; ad esempio Gaudenzio di Brescia, vescovo contemporaneo a Massimo di Torino e ad Ambrogio di Milano, nel suo trattato XVI, 9-12, usa delle espressioni che ad un latino appaiono strane, «non sufficientemente controllate», per usare l’espressione del curatore italiano dell’edizione di Città Nuova del 1991: «Ma ora, poiché profondo è il pozzo dei sacri testi ed io, non avendo il vaso per attingere la parola, non posso per ora offrirvi, sebbene assetati, l’acqua viva, pregherò il comune padre Ambrogio che, dopo la scarsa rugiada del mio discorso, sia lui ad irrigare i vostri cuori con i misteri delle Scritture divine. Parlerà infatti con lo Spirito Santo, di cui è pieno, e dal suo grembo scorreranno fiumi di acqua viva e, come successore dell’apostolo Pietro, egli sarà la bocca di tutti i vescovi che lo circondano. Infatti quando il Signore Gesù interrogò tutti gli apostoli Ma voi chi dite che io sia?, il solo Pietro rispose a nome dei credenti: Tu sei… vivente. […] Dunque quando parla il solo Pietro, in nessun modo viene esclusa la fede degli altri credenti. Ma si osserva un ordine conveniente, lasciando a buon diritto che il principe degli apostoli parli per primo, oppure si volle evitare che sembrasse più un tumulto che una risposta, se tutti a gara ed insieme avessero allora risposto. […] Successivamente, appunto, quando Giuda era stato già condannato per la colpa commessa, tutti gli apostoli con la Resurrezione di Cristo ricevono le chiavi di Pietro, anzi, ricevono con Pietro le chiavi del regno celeste dello stesso Signore».

(57) Cfr. epp. 55, 21, 1; 72; 75, 6, 1. Questo non implica che non debba essere cercata la verità (cfr. ep. 63).

 

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