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  Il Canone 28 e il papismo orientale: causa o effetto?

di George C. Michalopulos

Orthochristian.com, 16 maggio 2019

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Questo articolo è stato scritto nel 2009, prima della convocazione del Concilio di Creta, ma continua ad essere rilevante, e offre anche una prognosi delle recenti azioni del Patriarcato di Costantinopoli in Ucraina e del modo successivo in cui esso ha visto il proprio ruolo nel mondo ortodosso.

* * *

L'Ortodossia oggi è a un crocevia in America e in tutto il mondo. Una delle grandi sfide che dobbiamo affrontare ha a che fare con la cooperazione inter-ortodossa. In particolare, come vengono identificati i nuovi campi di missione? Quale delle Chiese consolidate li evangelizza? E come si concede l'autocefalia? Qual è lo scopo del Patriarcato ecumenico e per quale autorità si rivendica l'onore primaziale? Cosa ancora più importante, c'è una differenza tra primato e supremazia? Lo scopo di questo saggio è quello di valutare le rivendicazioni primaziali della Chiesa di Costantinopoli e in particolare, il Canone 28 del Concilio di Calcedonia, che è diventato per così dire il testo di prova delle recenti affermazioni costantinopolitane che hanno spaventato molti nel mondo ortodosso.

Gli avvenimenti recenti hanno riportato alla ribalta la questione della supremazia di Costantinopoli. In precedenza, questo argomento è stato affrontato (se mai lo è stato) in saggi pubblicati su riviste teologiche e discorsi tenuti nei simposi, ma a causa della debolezza del Patriarcato di Costantinopoli (e dell'Ortodossia in generale) la polemica che circonda l'argomento si dissipa rapidamente.

Sfortunatamente, le questioni sono venute a galla in America a causa di controversie covate a lungo in seno all'Ortodossia americana, in parte a causa dell'esistenza di giurisdizioni moltiple. La scintilla che ha acceso la miccia è un discorso tenuto alla Holy Cross School of Theology il 16 marzo 2009 dal segretario generale del Santo Sinodo di Costantinopoli, il rev. Elpidophoros Lambriniades. [1] questo discorso potrebbe essere stato in parte una risposta a un articolo scritto dal metropolita Philip Saliba, il primate dell'arcidiocesi antiochena in Nord America. Il saggio di Saliba metteva in questione la validità del Canone 28 del Concilio di Calcedonia. [2] Anche se Saliba era il principale oggetto delle critiche di Lambriniades, il suo discorso ha immediatamente galvanizzato l'opposizione a lui (e al Fanar) da quasi tutte le parti. La tempesta di fuoco si basava in parte sulle sue numerose critiche all'Ortodossia americana, tra cui i dati inquietanti sulla percezione da parte dell'oratore della vita parrocchiale, delle comunità monastiche e dei primati di altre giurisdizioni. Allo stesso modo, i suoi commenti vituperativi contro l'OCA, e anche contro la facoltà e laureati della stessa Holy Cross, erano risibili all'estremo.

Naturalmente, non tutti i suoi argomenti erano privi di valore. Vi erano punti salienti (come sottolineato nella risposta di chi scrive). [3] Sfortunatamente, erano accompagnati da asserzioni incendiarie. Molti lettori americani hanno visto il discorso non solo come una bordata all'ecclesiologia ortodossa americana, ma anche come uno schema che il Patriarcato ecumenico avrebbe utilizzato per le sue rivendicazioni di supremazia globale nel mondo ortodosso. Se è vero, è da vedere come un elemento di prova in previsione del successivo Sinodo pan-ortodosso, provvisoriamente previsto in giugno nell'isola di Cipro.

Come siamo arrivati ​​a questo punto? La Chiesa di Costantinopoli e il suo patriarca hanno goduto a lungo del primato dell'onore all'interno della Chiesa ortodossa. Questo primato è conosciuto dalla formula latina primus inter pares, letteralmente "primo fra uguali". Questa onorificenza fu prima assegnata per consuetudine al vescovo di Roma e successivamente ratificata dai canoni. [4] Con la rottura tra Oriente e Occidente nel 1054, passò di default all'arcivescovo di Costantinopoli che, grazie a vari canoni scaturiti dal secondo Concilio ecumenico, era stato collocato al secondo posto nella sequenza primitiva (a detrimento del patriarca di Alessandria). Prima del ventesimo secolo, questa insistenza sul primato era vista nella sua giusta luce, cioè il primato, non la supremazia. Certo, alcuni patriarchi avevano una visione piuttosto esaltata del loro ufficio, ma i papi a Roma o gli imperatori cristiani di Bisanzio di solito li mettevano al loro posto.

Fin dai tempi del patriarca Meletios IV Metaxakis (morto nel 1935), tuttavia, il Patriarcato ecumenico ha formulato una visione più robusta del suo ruolo nell'Ortodossia. Queste nuove idee, insieme alle altisonanti buffonate e alle sorprendenti riforme di Meletiuos, hanno messo in allarme l'Ortodossia. Così straordinarie e nuove erano le affermazioni di Meletius sulla giurisdizione universale, che san Giovanni Maksimovich, allora arcivescovo di Shanghai, si sentì in dovere di criticarle immediatamente e senza mezzi termini. [5] Né era il solo a essere inorridito da queste affermazioni scandalose. In effetti, le critiche a Metaxakis non si sono dissipate nel tempo; continuano fino a oggi. [6]

Sebbene la tumultuosa carriera e le controverse riforme di Metaxakis siano state abilmente ignorate dai suoi successori, le sue nuove teorie sulla supremazia costantinopolitana sono state consacrate come la dottrina ufficiale del Patriarcato ecumenico (come si esaminerà più a fondo nella sezione 5). La base delle affermazioni di Metaxakis si basa su un canone a lungo dimenticato (28) che è stato formulato nel Quarto Concilio Ecumenico di Chalcedon, nel 451 d.C. Dobbiamo quindi considerare questo canone nella sua interezza, vale a dire le sue origini, contesto e validità. Per brevità, d'ora in citeremo il canone come "Canone 28", e il quarto Concilio ecumenico come "il quarto concilio", o semplicemente "Calcedonia".

Da allora, le cose sono peggiorate. Il suddetto Lambrianides (ora metropolita di Bursa) ha propagandato una dottrina ecclesiologica ancora più sorprendente, del primus sine paribus (primo senza eguali).

II. Il quarto Concilio ecumenico

foto: Wikipedia

Prima di poter effettivamente esaminare la storicità e il contesto del Canone 28, dobbiamo dire qualche parola circa il Concilio da cui è sorto. Questo concilio fu convocato dall'imperatore Marciano per risolvere una lunga disputa cristologica sulla natura di Cristo che era stata precipitata dalle pretese di un archimandrita di nome Eutiche, che insegnava che Gesù l'uomo aveva una sola natura (physis). Secondo questa visione, la natura divina di Gesù era così potente che aveva totalmente sopraffatto la sua natura umana, quindi questa dottrina era stata etichettata come monofisita. La sua popolarità divenne un fattore destabilizzante all'interno della città di Costantinopoli, così come nelle aree non greche dell'Impero.

L'insegnamento monofisita era una risposta a un insegnamento precedente chiamato nestorianesimo (che prende il nome dall'arcivescovo Nestorio di Costantinopoli, morto nel 431), che sosteneva che Gesù aveva due nature distinte. Nestorio insegnava che queste nature erano così diverse che la Vergine Maria poteva solo giustamente essere chiamata Christotokos – colei che ha generato Cristo, piuttosto che Theotokos, vale a dire colei che ha generato Dio. L'eresia nestoriana era stata confutata al terzo concilio ecumenico che si tenne a Efeso nel 431. Fu ridiscussa poco dopo nel famigerato "concilio dei briganti" del 449. Quest'ultimo Concilio fu convocato dal patriarca Dioscoro di Alessandria e si tenne a Efeso. Dioscoro si premurò di non invitare i vescovi dell'Occidente; papa Leone I, tuttavia, fu in grado di formulare un trattato che descrive le opinioni ortodosse su tutte le questioni cristologiche. Purtroppo i vescovi che parteciparono a quel concilio soppressero il suo "Tomo".

Questo secondo concilio a Efeso però non risolse nulla. Eutiche promosse la sua contro eresia, e in breve fu degradato e condannato come eretico da Anatolio, arcivescovo di Costantinopoli. Sicuro di avere ragione, si appellò a papa Leone I Magno, all'imperatore e a sua moglie Pulcheria. Fu convocato un altro Concilio, questa volta nella città di Calcedonia. Leone non ebbe scelta questa volta e inviò tre legati pontifici a presiedere. Il Concilio iniziò con la lettura del tomo di Leone che era stato soppresso a Efeso. La stragrande maggioranza dei vescovi lo accettò e sostenne la condanna di Eutiche. Per buona misura, fu anche ripudiato il nestorianesimo e fu redatta una nuova dichiarazione di fede, che confermò che l'uomo conosciuto come Gesù aveva una sola persona con due nature: era sia Dio perfetto che uomo perfetto, e quest'ultimo non era annullato dal primo.

Sfortunatamente, questo non pose termine alla controversia. I vescovi in Egitto e in Siria rimasero in stato di sfida e si verificò il primo scisma nel cristianesimo, con conseguente installazione di due papi rivali ad Alessandria, uno sostenitore della dottrina monofisita, l'altro del punto di vista calcedoniano. (Lo scisma, insieme al duplice papato di Alessandria, sopravvive fino a oggi). Inoltre, uno dei canoni del Concilio (il numero 28) ha avuto un effetto persistente, di cui abbiamo a che fare attualmente. Secondo gli Atti ufficiali del Concilio, solo ventisette canoni furono ufficialmente riconosciuti. Qualche tempo dopo, tre ulteriori canoni furono inseriti furtivamente, ma uno di questi, il Canone 28, fu rimosso in fretta su ordine di papa Leone su raccomandazione dei suoi legati, che casualmente non erano presenti quando questo particolare canone fu redatto. Per diversi secoli, non è più stata fatta menzione del Canone 28 e i seguenti, rispettivamente il 29 e 30, sono stati visti come commenti ad altri canoni e non come canoni in se stessi.

Quanto al canone 28, la sua formulazione era certamente preoccupante in quanto elevava l'arcivescovo Anatolio di Costantinopoli allo status patriarcale e confusamente, lo rendeva padrone di tre sedi metropolitane autocefale (Asia, Tracia e Ponto). Entrambe le azioni erano a dir poco inquietanti. Prima di questo periodo, il mondo cristiano aveva solo tre patriarcati comunemente riconosciuti: Roma, Alessandria e Antiochia. Questi erano stati identificati come tali a causa della loro solida fondazione apostolica e della loro antichità. Ora sembrava che la dignità patriarcale potesse essere elargita come per mero decreto. La legalità di tale azione era a dir poco preoccupante; Se non altro, la sola consuetudine militava contro un tale precedente per quanto riguardava gli altri patriarchi. [7] Un'attenta lettura di questo canone nella sua interezza indica che i suoi autori erano ben consapevoli delle implicazioni di ciò che stavano facendo e che fecero salti mortali per inserire una formulazione che fornisse una razionalizzazione per le loro azioni:

Seguendo in tutte le cose le decisioni dei santi Padri, e riconoscendo il canone che è stato appena letto, dei 150 vescovi amati da Dio (che si sono riuniti nella città imperiale di Costantinopoli, che è la Nuova Roma, al tempo dell'imperatore Teodosio di felice memoria [A.D. 380]), anche noi emaniamo e decretiamo le stesse cose riguardanti i privilegi della santissima Chiesa di Costantinopoli, che è la nuova Roma. I padri giustamente concessero privilegi al trono della vecchia Roma, perché essa era la città imperiale. E i 150 piissimi vescovi, mossi dalla stessa considerazione, diedero pari privilegi al santissimo trono della Nuova Roma, giudicando giustamente che quella città che è onorata dalla sovranità e dal Senato, e gode di uguali privilegi della vecchia Roma imperiale, dovrebbe anche in materia ecclesiastica essere come lei magnificata, ed essere in rango accanto a lei; affinché nelle diocesi del Ponto, dell'Asia e della Tracia, i metropoliti e anche i vescovi delle diocesi di cui sopra che sono tra i barbari, debbano essere ordinati dal suddetto santissimo trono della santissima Chiesa di Costantinopoli; ogni metropolita delle suddette diocesi, insieme ai vescovi della sua provincia, ordina i suoi vescovi provinciali, come è stato dichiarato dai canoni divini; ma come è stato detto, i metropoliti delle suddette diocesi dovrebbero essere ordinati dall'arcivescovo di Costantinopoli, dopo che le elezioni appropriate sono state tenute secondo consuetudine e sono state a lui segnalate (corsivo dell'autore).

Per compiere l'esaltazione dell'arcivescovo di Costantinopoli, gli autori di questo canone attesero un giorno in cui i legati papali non erano presenti (come accennato). Anche così, dovettero presentare il loro caso con una supplica speciale e con eccessiva ridondanza. Una volta che i legati che avevano effettivamente presieduto il concilio lo vennero a sapere, respinsero il canone, come fece Leone. Non è difficile capire perché; dopo tutto, le tre diocesi nominate erano chiese indipendenti in sé e per sé. Non avevano finora considerato gli altri tre patriarchi come loro sovrani. In realtà, il canone 2 del secondo Concilio ecumenico – lo stesso Concilio che elevò Costantinopoli allo status secondario dopo Roma – affermava in particolare che solo i vescovi di Alessandria, Antiochia, Asia, Tracia e Ponto potevano "amministrare i propri affari". Il Canone 28 ha quindi da solo (e piuttosto sospettosamente) abrogato questo canone precedente a proprio vantaggio. Naturalmente è curioso chiedersi perché, per esempio, non abbia degradato Alessandria o Antiochia? (È possibile che Costantinopoli non abbia osato degradare Antiochia o Alessandria a causa della loro apostolicità?)

Questo giustifica ulteriori indagini. Nel primo millennio fu raramente "concessa" l'autocefalia perché la maggior parte delle chiese regionali presiedute da metropoliti era già considerata autocefala. Teodoro Balsamon († 1195), Patriarca di Antiochia e uno dei più grandi canonisti bizantini, scrisse che "...in precedenza tutti i capi delle province erano autocefali ed erano eletti dai loro rispettivi Sinodi". [8] l'arcivescovo di Costantinopoli stesso era un vescovo ausiliare della Chiesa di Eraclea, e riceveva i suoi onori dal metropolita di quella città. Così l'elevazione dell'arcivescovo di Constantinopoli alla supremazia reale sopra i tre metropoliti in questione era molto irregolare nel suo contesto, come si può comprendere dalla tempesta che ne scaturì. L'arcivescovo di Costantinopoli era stato ora elevato da uno statuto furtivo a "metropolita dei metropoliti", un ossimoro ecclesiologico.

Inoltre, Leone obiettava al fatto che questo canone era contrario a entrambi i concili di Nicea e Costantinopoli (A.D. 381), così come alle prerogative già consolidate delle varie chiese. Leone ammise a malincuore che a causa del Canone 10 del secondo Concilio, Costantinopoli aveva il diritto di rivendicare il secondo posto nella sequenza primaziale. D'altra parte, questo nuovo canone, con i suoi poteri ampliati sulle altre diocesi, fu una palese violazione del Canone 8 del terzo Concilio ecumenico:

Nessuno dei vescovi amati da Dio dovrebbe estendere la propria autorità su un'altra diocesi, che non sia stata precedentemente e fin dall'inizio sotto di loro o sotto i loro predecessori.

La difesa di papa Leone dei precedenti canonici dei primi tre Concili lo poneva su un terreno solido. Certamente non poteva essere accusato di incoerenza, né di essere autonomo: egli stesso rispettava le prerogative di indipendenza, come si evince dalla lettera che scrisse (il "Tomo di Leone") e presentò per l'approvazione del Concilio.

L'invalidità del canone 28 era quindi ovvia. In una lettera a Marciano, Leone dichiarò in termini non incerti che Costantinopoli non era una sede apostolica. [9] Scrivendo in una lettera separata all'imperatrice Pulcheria, usò un linguaggio ancora più forte: "Quanto alla risoluzione dei vescovi contraria al decreto di Nicea, in unione alla vostra fedele pietà, la dichiaro invalida e l'annullo per l'autorità del santo Apostolo Pietro". [10] di fronte a questa opposizione Anatolio ritirò tranquillamente la risoluzione, e non la presentò più apertamente.

Il tempo però, era dalla parte di Anatolio. Leone aveva problemi più seri da affrontare, in particolare mentre cercava di dissuadere Attila dall'attaccare Roma. Per quanto riguarda Leone e i suoi successori, l'illegittimità del canone rimase in vigore (almeno in teoria), ma date le terribili difficoltà della sede di Roma, c'era poco che potevano fare mentre Costantinopoli rafforzava tranquillamente la sua presa sulle tre arcidiocesi in questione.

Ulteriori indagini sul paesaggio geopolitico della cristianità del V secolo getterebbero indubbiamente più luce su questo argomento. Per i nostri scopi tuttavia, è fondamentale notare l'irregolarità del Canone 28 e quanto inquietante fosse nel suo tempo. Benché le sue ambizioni territoriali fossero rigorosamente limitate, è ovvio che sia stato stabilito un precedente sfortunato. Inoltre, l'acquisizione della dignità patriarcale da parte dei bizantini non fece altro che confondere ulteriormente le acque. Non solo un tale onore era ora conferito per legge, diminuendo così il lustro delle tre sedi apostoliche, ma i portatori di questo nuovo titolo lo consideravano un primo passo per avventurarsi su strade di gloria ancora più ampie.

III. L'evoluzione del Patriarcato di Costantinopoli allo status ecumenico

Un ulteriore tratto negativo di Bisanzio (oltre alla sua mancanza di fondazione apostolica) era che non poteva affermare di aver sempre mantenuto la dottrina ortodossa. Dopo che il primo Concilio condannò l'arianesimo, i successori Flavi di Costantino rimasero risolutamente ariani, come fecero i vescovi di quella città. Infatti l'arianesimo rimase in vigore in quella città e nella sua Chiesa per diversi decenni. Così il fatto che Costantinopoli sopravanzasse Alessandria non era ben visto da parte ortodossa anche per motivi dottrinali. Questa non era una questione minore. Nessuno degli altri patriarchi aveva finora promosso l'eresia, mentre Bisanzio aveva fornito un flusso infinito di nuovi insegnamenti: il nestorianesimo, per esempio, era stato insegnato dallo stesso trono patriarcale di Costantinopoli. Toccò a un altro patriarca, Giovanni IV Neustetes ("il Digiunatore", m. 595), di sconvolgere ulteriormente l'equilibrio con la sua assunzione del titolo di "patriarca ecumenico", un termine che era offensivo per i suoi ascoltatori non greci e che fu abilmente confutato da Papa Pelagio II e dal suo successore più illustre, Gregorio I (il Grande).

Certamente, prerogative e procedure sono sempre state ritenute necessarie per il buon ordine della Chiesa. I canoni dei primi tre concili riflettono chiaramente un profondo rispetto per i confini diocesani. Allo stesso modo, rafforzavano l'umiltà cristiana in quanto non permettevano ai vescovi di usurpare l'autorità che non apparteneva a loro. Per semplice logica, ciò precludeva qualsiasi concetto di supremazia universale.

Detto questo, lo status patriarcale di Costantinopoli rimase al suo posto. Tuttavia, l'appropriazione del titolo "ecumenico" da parte di Giovanni IV ("il Digiunatore") è una questione interamente differente. Agli occhi di Gregorio, qualsiasi discorso di un patriarcha universalis era più reminiscente dell'Anticristo che di un pastore cristiano. Inoltre, esso implicava la supremazia universale, un ruolo che neppure lui, da successore di Pietro, possedeva. Giovanni da parte sua rispose con scusa che "ecumenico" significava qualcosa di diverso dal suo significato palese; in altre parole, la comprensione idiomatica della parola era cambiata da quella di "universale" a quella di "imperiale", almeno nella lingua greca vivente dell'Oriente. L'aggettivo greco (oikoumenekos) aveva sfumature che non erano traducibili in latino (cosa che anche alcuni critici cattolici oggi ammettono). [11]

Tutte queste suppliche speciali non fecero cambiare idea a Gregorio, che chiese a Giovanni in termini non equivoci di non definirsi "universale", dicendo che il riferimento a tale titolo era "malaccorto". La semplice logica dettava a Gregorio che, se un patriarca fosse stato universale, ciò avrebbe negato "l'ufficio di vescovo a tutti i loro fratelli". [12] Per buona misura, scrisse le sue preoccupazioni anche ai patriarchi di Alessandria e di Antiochia, informandoli che "non uno dei miei predecessori ha mai acconsentito all'uso di questo titolo profano, poiché sicuramente, se un patriarca è detto ' universale ', il titolo di patriarca è negato agli altri. [13] Né si fermò lì: in una lettera all'imperatore, dichiarò categoricamente che un tale titolo ammontava a una "bestemmia". [14] In ogni caso, Giovanni, come Anatolio prima di lui, decise che il potere discrezionale era la virtù di maggior valore, e si astenne dall'usare di nuovo quel titolo, almeno nella corrispondenza con l'Occidente. Questo fu vero anche per la maggior parte dei suoi successori. [15]

La polemica che circonda il titolo stesso merita qualche menzione a questo punto. Ci sono prove contemporanee sufficienti che il titolo non venne quasi mai usato anche a Costantinopoli. Per quanto questo sembri scioccante, non mancano le prove di questa affermazione. Come notato sopra, lo stesso Giovanni IV non lo usava più in pubblico, né lo usò la maggior parte dei suoi successori. Anche Fozio il grande (m. 867), la cui elevazione irregolare al trono patriarcale di Costantinopoli precipitò uno scisma con Roma e che godeva del pieno appoggio dell'imperatore nella sua rivalità con il papa non osava usarlo nella sua corrispondenza con il papa.

Sorprendentemente, sembra essere stato così anche dopo il grande scisma. Dopo la quarta crociata (1204), per esempio, l'Impero bizantino si divise in tre stati successori: Nicea, Epiro, e Trebisonda, ognuno con la propria corte imperiale e la propria gerarchia. Il Patriarcato ortodosso di Costantinopoli si trasferì a Nicea e uno dei suoi patriarchi, Germano II, inviò una lettera al Giovanni Apocauco, il metropolita dell'Epiro, che egli firmò come "Patriarca ecumenico". Questo spinse il destinatario a notare che non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere, anche se aveva servito per anni negli uffici stessi del Patriarcato di Costantinopoli. [16] Per essere corretti, esisteva una vera tensione tra gli imperi rivali dell'Epiro e di Nicea, un fatto che ha certamente esacerbato le tensioni tra queste due chiese. Eppure il rimprovero di Apocauco è inequivocabile e la sua conoscenza del funzionamento interiore del patriarcato deve essere accettata come valida. Certamente è anche probatorio il fatto che non sia stato rimproverato per questa risposta al patriarca di Nicea.

In ogni caso, alla fine del XIII secolo, non esisteva più alcuna reticenza. I patriarchi usarono questo termine in abbondanza e con il crollo dell'Impero bizantino, nessuno li rimproverò per questo. Che cosa rappresentava questo cambiamento di atteggiamento? La risposta risiede nella dinamica mutevole tra Chiesa e stato bizantino. È un paradosso, ma la sede di Costantinopoli mantenne le sue diocesi mentre l'Impero stava perdendo terreno sotto i turchi selgiuchidi. Inoltre, le chiese di nuova fondazione della Serbia e della Russia cercavano il sostegno del Patriarcato ecumenico. La loro storia e interazione con Costantinopoli ha implicazioni per noi oggi, in particolare in materia di evangelizzazione e autocefalia.

IV. Evangelizzazione e autocefalia

Una delle glorie dell'Impero romano era la sua capacità di promuovere la fede cristiana tra i suoi numerosi popoli. Anche le tribù barbariche che avevano portato paura nel cuore dei romani si stavano convertendo avidamente al cristianesimo, di solito all'arianesimo. Con la soppressione dell'arianesimo, molte di queste nazioni accettarono con pari entusiasmo l'Ortodossia. Una di tali nazioni fu il khanato di Bulgaria, e nel IX secolo, la sua Chiesa ricevette l'autocefalia e uno status patriarcale concomitante. I ruoli si erano ora scambiati, e il patriarca di Costantinopoli si trovò a opporsi alla concessione di onori patriarcali a una sede che non era né antica né apostolica. Anche se ci sarebbero state delle tensioni tra questi due patriarcati per il resto del tempo del primo impero bulgaro e la soppressione della sua dignità patriarcale per un certo tempo, l'autocefalia di quella Chiesa non fu mai revocata.

La missione evangelistica più fortunata di Bisanzio iniziò un po' più tardi, durante il patriarcato di san Fozio il grande. Fu a causa di questo uomo brillante (che iniziò la sua carriera come burocrate nel servizio civile) che i due fratelli di Tessalonica Cirillo e Metodio furono in grado di stabilire la prima missione in Moravia. Benché modesta nell'ambito, la missione piantò i semi del cristianesimo tra gli slavi e nel giro di due secoli avrebbe portato molti frutti.

A differenza dell'esperienza con la Bulgaria, le relazioni con la Serbia non erano così controverse. San Sava, il fondatore di quella Chiesa, era in ottime condizioni con Bisanzio e con gli altri patriarcati, avendo viaggiato ampiamente a Gerusalemme e al Monte Athos per molti anni. Ricevette la sua consacrazione come arcivescovo della Chiesa autocefala serba nel 1219 dal citato Patriarca Germano II a Nicea (dove i patriarchi di Costantinopoli erano ancora in esilio). Quando l'Impero latino di Bisanzio fu rovesciato e l'Ortodossia fu restaurata nella città, il titolo di patriarca ecumenico venne usato apertamente e i suoi portatori iniziarono a guardare al loro ruolo in modo più robusto. Un tale patriarca, Philotheos Kokkinos († 1376) scrisse una lettera ai principi e ai duchi di Russia, descrivendo così il suo ufficio:

Poiché Dio ha nominato la nostra umiltà come leader di tutti i cristiani che si trovano ovunque nell'oikoumene, come protettore e custode delle loro anime, tutti dipendono da me, padre e insegnante di tutti. Se fosse possibile, quindi, sarebbe stato mio dovere percorrere le città e i paesi di tutto il mondo e insegnare la parola di Dio, facendolo incessantemente, poiché tale è il nostro dovere. Ma poiché è al di là della capacità di un uomo debole e indifeso camminare per tutto l'oikoumene, la nostra umiltà sceglie i migliori tra gli uomini, i più eminenti in virtù, e li manda ai confini dell'universo. Uno di loro va al vostro paese, alle moltitudini che lo abitano, un altro raggiunge altre aree della terra, e ancora un altro va altrove, in modo che ciascuno, nel paese e nel luogo a lui nominati, goda dei diritti territoriali e della sede episcopale, e di tutti i diritti della nostra umiltà. [17]

Contrariamente alla reazione spaventata del metropolita dell'Epiro nel secolo precedente, una tale visione altisonante non apparse arrogante alle varie Chiese figlie. Infatti, fu accolta favorevolmente: nella sua biografia di San Sava scritta un secolo dopo, lo scrittore serbo Domentijan utilizza il titolo di "Patriarca ecumenico" liberalmente e chiama questo ecclesiarca "il padre dei padri di tutta l'oikoumene". [18] I principi russi accettarono parimenti la sovranità ecclesiastica del patriarca bizantino – anche se attraverso la mediazione del metropolita di Kiev – senza darsi pensiero. Ci sono stati motivi pratici per questo: nel caso dei serbi, la gerarchia bizantina rispettò l'etnia della nazione serba e dopo alcuni alterchi sulla rimozione forzata dei vescovi greci dalla Serbia, accettarono come fatto compiuto la creazione di diocesi sovrane serbe. Quanto ai russi, il metropolita di Kiev era visto come il punto focale dell'unità russa e un mediatore onesto, non legato ad alcuno dei principi in particolare. Anche se un metropolita fosse statto russo, solo il fatto di essere stato scelto da Costantinopoli lo faceva sembrare imparziale.

Cosa più rilevante, la suddetta auto-descrizione del patriarca bizantino non era vista nel suo tempo come supremazia. Come sottolinea Aristeides Papadakis nel suo monumentale studio della Chiesa orientale nel periodo post-scismatico, "... anche se queste forti affermazioni ricordano il papismo occidentale [sic], la somiglianza non è intenzionale. I patriarchi non stavano affatto tentando di ridefinire o cambiare la loro posizione ecclesiologica... Per la Chiesa ortodossa la natura del potere episcopale era molto diversa, come indica la reiterata condanna delle pretese estreme del papato al dominio universale". [19] Inoltre, vi erano considerazioni pratiche che mitigavano l'ascesa di un papismo orientale oltre a quelle teologiche, chiare e universalmente accettate. Se non altro, gli eventi catastrofici della quarta crociata devono aver aperto gli occhi sui pericoli di attribuire ad un uomo l'autorità ecclesiale suprema.

L'evangelizzazione è una cosa, tuttavia il mantenimento e la crescita di una Chiesa nativa è necessario perché questa possa prosperare. L'autocefalia è quindi da auspicare, non da sopprimere. Anche se Fozio e i suoi successori hanno reagito senza tatto all'indipendenza della Bulgaria, nel grande corso della storia dell'Ortodossia questo è stato anomalo, almeno prima del XX secolo. Bisanzio non avrebbe potuto essere conosciuta per la sua più grande eredità se non fosse stata disposta a concedere l'indipendenza ai suoi sforzi missionari che essa nutriva di volta in volta con cura. Uno dei tratti distintivi del cristianesimo ortodosso è la tenacia con cui è mantenuto dalle varie culture autoctone che l'hanno abbracciata. Spesso questo può scoppiare in xenofobia e tribalismo, ma questo è il lato oscuro di una moneta altrimenti scintillante.

Data la resilienza ortodossa, è impossibile credere che l'autocefalia non sia solo desiderata, ma duratura. Non è infatti un fenomeno nuovo, ma come già accennato in precedenza, il normale stato di cose in quasi ogni Chiesa locale del primo millennio cristiano. Certamente questo era vero per le arcidiocesi metropolitane regionali, le cui prerogative erano rispettate dalle sedi patriarcali. Dato che durante questo stesso periodo di tempo la cristianità era definita dai confini dell'Impero Romano, questo era prevedibile. Anche il posto speciale del papa era accolto in questo schema: quello di primo tra uguali, primaziale all'interno della Chiesa, ma non supremo al di sopra di essa. Con la creazione delle Chiese bulgara e serba tuttavia, un nuovo elemento è sorto nella definizione di autocefalia, quella della Chiesa come caratteristica distintiva dello stato nazionale stesso. Con la creazione dei patriarcati bulgaro, serbo e poi russo, l'indipendenza ecclesiastica è venuta a significare l'indipendenza politica, ma soprattutto ha definito altresì l'identità politica degli abitanti di queste terre. [20] Nazione e stato, trono e altare, sono giunti a essere visti come le due facce della stessa medaglia. Un paradigma completamente nuovo, sconosciuto agli inizi di Bisanzio ma prevalente oggi.

L'esperienza slava di una chiesa nazionale non è stata trascurata dallo stato successore greco dell'Epiro, il cui imperatore chiese allo stesso modo che al suo metropolita autocefalo fosse data anche la dignità patriarcale. Se i bulgari e i serbi potevano (a causa di questa nuova teoria) godere dei privilegi di una Chiesa che definiva la loro nazione, così potevano farlo a suo parere i greci dell'Occidente. [21] la loro richiesta fu respinta dal patriarca in esilio a Nicea, con una motivazione diversa: proprio come queste altre nazioni avrebbero dovuto avere un patriarcato che definiva la loro politica basata sull'etnia (ratificando così la nazionalità), non aveva senso che i greci fossero rappresentati da due patriarcati diversi, dato che erano una sola nazione (anche se purtroppo divisa in due stati diversi). Notate per i nostri scopi che l'idea di autocefalia basata sulla cultura era stata accolta qui dal Patriarcato ecumenico che sembra attualmente negare la legittimità delle chiese fondate sulla cultura. L'ironia abbonda: entrambe le Chiese bulgara e serba continuarono nella loro autocefalia fino al 1767, quando furono soppresse dall'Impero ottomano, con grande dolore di queste due nazioni.

V. Pretese odierne relative al Canone 28

Il nocciolo del problema oggi, tuttavia, è che le affermazioni di primato sono virtualmente indistinguibili da quelle di supremazia; quindi c'è un'autentica paura del papismo. Chiaramente, gli arcivescovi di Costantinopoli avevano sempre avuto una visione piuttosto esaltata della loro arcidiocesi, cosa perfettamente comprensibile data la gloria di quella città nella tarda antichità. A cominciare da Anatolio fu promossa per la prima volta la rivendicazione patriarcale e nel secolo successivo vi fu aggiunto lo sfortunato aggettivo "universale". D'altra parte, era altrettanto chiaro che nessuna di queste affermazioni era accettata con tutto il cuore. Anche dopo lo scisma del 1054, fu solo il lento declino dell'ufficio dell'imperatore che rese il titolo di "patriarca ecumenico" normativo nell'Oriente ortodosso. E anche allora, il significato esatto del termine "ecumenico" era molto aperto al dibattito, come anche i bizantini stessi hanno ammesso nelle loro affrettate spiegazioni a Gregorio I.

A suo merito, il sito web del Patriarcato ecumenico inizia un'esposizione del ruolo del vescovo in modo non controverso, affermando giustamente che i vescovi sono supremi nelle loro diocesi. Cita giustamente anche i passaggi rilevanti del Canone 28 (anche se non menziona mai una volta la sua concezione meno scintillante). Né per questo spiega come un arcivescovo possa ora avere la sovranità su arcivescovi indipendenti (le suddette province di Asia, Ponto e Tracia). Più al punto, non spiega come il semplice testo del Canone 28 che menziona queste stesse province e i loro rispettivi vescovi che sono "situati tra i barbari" possa significare tutti i barbari, vale a dire in tutto il mondo. Il testo è specifico a questo proposito: afferma chiaramente che solo i vescovi che risiedono all'interno di queste province – anche se tra i "barbari" – devono parimenti la loro sovranità suprema a Costantinopoli.

È interessante notare che questo punto non è trascurato dai partigiani del Fanar. Essi aggiungono frettolosamente che "... l'aggettivo 'barbaro' è una modifica del sostantivo 'nazioni', che viene omesso dal testo del canone, ma che viene dedotto. Ma questa interpretazione è corretta? Lo scrittore di questo saggio tenta di dimostrare questo punto menzionando il fatto che in un altro tempo, il rispettato canonista bizantino Zonaras parifica "barbari" a "nazioni". [22] Non ci viene detto tuttavia a cosa si riferiva specificamente Zonaras: questa era la sua comprensione del termine barbaro o era la comprensione accettata di questo termine tra la popolazione di lingua greca? Questo solleva altre domande dal momento che le lingue cambiano nel corso del tempo: barbaro si riferisce al tempo di Calcedonia o al tempo di Zonaras? Il sito non risponde a questa domanda.

Tale gioco di prestigio fa capire il piano: per mezzo di un intelligente ma falso sillogismo, si propaga il caso della supremazia fanariota. In primo luogo il canone è accettato come non controverso (e invece lo è stato). Poi, con un attento gioco di destrezza di mano, quando menziona i "vescovi di queste suddette province" che sono "situate in terre barbariche", dovremmo intendere che questi vescovi sono in qualche modo adiacenti a terre barbariche. E infine, con un colpo altrettanto intelligente, i barbari in generale sono resi come sinonimo delle nazioni, poiché un canonista vissuto molto più tardi ha dichiarato che era così (anche se non siamo sicuri che si riferisse a questo canone). Poiché non c'è dubbio che ci fossero altri barbari oltre ai suddetti barbari di Tracia, Ponto e Asia, dobbiamo quindi credere che tutti i barbari significhino tutte le nazioni, quindi, quelle aree che non sono state già evangelizzate da Chiese già stabilite appartenenti al Patriarcato ecumenico.

Ciò che sorprende è che anche con le affermazioni (apparentemente) grandiose di Philotheos Kokkinos che si vedeva come un pastore universale, l'idea che il Patriarcato ecumenico potesse evangelizzare in aree in cui vi erano già Chiese istituite manca di credibilità. Un'attenta lettura dell'auto-comprensione che Philotheos aveva del suo ufficio dimostra che il suo ruolo di insegnante universale era quello di mandare i vescovi ai "confini della terra" e che a loro dovevano essere riconosciuti gli stessi onori e la stessa dignità di cui egli stesso godeva. Vale la pena ripeterlo: non dovevano essere i suoi ausiliari, ma vescovi ordinari nel loro diritto, che godevano dei "diritti territoriali e della sede episcopale e di tutti i diritti della nostra umiltà". Se questa insistenza sulle piene prerogative episcopali è chiara (e lo è), allora l'autocefalia può essere molto lontana? I commenti di Kokkinos portano inesorabilmente a questa conclusione. Dopo tutto, se avesse voluto farlo, avrebbe potuto revocare l'autocefalia di Serbia e Bulgaria se fosse veramente stato un patriarcha universalis piuttosto che un patriarca solo primaziale.

Per quanto possibile, nessuno dei patriarchi prima del XX secolo si è avventurato nelle zone di altre chiese. Kokkinos stesso stava scrivendo ai principi russi che appartenevano a una provincia ecclesiastica della sede di Costantinopoli. D'altra parte, le circostanze sotto l'occupazione turca precludevano qualsiasi attività evangelistica. Eppure, anche all'interno della mentalità primaziale di Costantinopoli durante questo tempo, furono accettate le prerogative delle altre Chiese. Anche se i patriarcati autocefali della Serbia e della Bulgaria sono stati purtroppo soppressi, quelli di Antiochia, Gerusalemme e Alessandria sono stati risolutamente – e con grande difficoltà – mantenuti (anche se come dipendenze di Costantinopoli).

Anche al di fuori dei confini dei quattro antichi patriarcati si è prestata scrupolosa attenzione ai protocolli ecclesiastici. Per esempio, per quanto riguarda Costantinopoli, la vasta distesa siberiana era la responsabilità evangelistica di Mosca, anche se doveva ancora essere annessa politicamente allo stato russo. Secondo l'interpretazione moderna del Canone 28, il Patriarcato ecumenico avrebbe dovuto essere in grado di evangelizzare quell'area poiché era essenzialmente una terra di nessuno. Allo stesso modo avrebbe potuto stabilire missioni in Giappone e nell'estremo Oriente, dove la Russia aveva influenza, ma nessun controllo politico. Non l'ha fatto. Più tardi, le prerogative russe in Nord America sono state accettate anche quando vi sono arrivati dei cristiani greci, come attesta la lettera del patriarca Joachim III di Costantinopoli al Santo Sinodo di Mosca. [23]

Che cosa spiega quindi la mancanza di serietà delle presenti affermazioni? La risposta risiede nella notevole carriera del patriarca Meletios IV Metaxakis, un brillante riformatore la cui fedeltà all'ordine canonico e alle norme conciliari della Chiesa ortodossa era per lo meno traballante. Fu durante il suo regno che al termine 'ecumenico' fu dato il suo attuale significato iperbolico. Parte della risposta risiede nei tempi tumultuosi in cui visse Meletios visse. A causa del suo legame familiare con Eleutherios Venizelos, l'altrettanto brillante primo ministro riformista della Grecia, Metaxakis fu arcivescovo di Atene (usurpandone il trono, va notato). Come il suo parente, era innamorato dell'Occidente e cercò di portare avanti audaci riforme. [24] Come Venizelos, era membro di una loggia massonica, una rivelazione a dir poco sorprendente e imbarazzante. [25] (Venizelos era stato scomunicato a causa della sua appartenenza a questa fraternità). Dopo la restaurazione del precedente arcivescovo che lui aveva precedentemente spostato, Metaxakis andò in esilio in America, dove ebbe un seguito entusiasta tra quella porzione della comunità greco-americana che disprezzava la monarchia e considerava Venizelos come proprio campione. Mentre era in America, stabilì una giurisdizione separata chiamata "Arcidiocesi greco-ortodossa di Nord e Sud America", con dispiacere estremo della Metropolia, il successore dell'Arcidiocesi ortodossa russa del Nord America. La nuova arcidiocesi doveva essere un'eparchia della Chiesa di Grecia, a cui anticipava di tornare un giorno. Tuttavia per qualche scherzo del destino, Metaxakis fu invece proclamato patriarca di Costantinopoli (anche se era negli Stati Uniti). In una mossa che può essere visto solo come estremamente conveniente, scisse la pretesa della Chiesa di Grecia sulla nuova arcidiocesi e la rese un'eparchia del Patriarcato di Costantinopoli, di cui era ora a capo.

Meletios, che cercava attivamente alleati nei circoli religiosi occidentali, si vedeva come il punto focale dell'unità nel mondo cristiano non cattolico in forza del suo nuovo titolo. Mentre "ecumenico" in età precedenti aveva significato "imperiale", e poi più tardi un pastore universale dell'oikoumene ortodosso, agli occhi di Metaxakis ora significava veramente "universale". Non poteva essere universale, tuttavia, poiché il Patriarcato di Mosca fu rifondato nel 1918 da Tikhon Bellavin (che era stato precedentemente arcivescovo in America). Metaxakis iniziò quindi i negoziati con la cosiddetta Chiesa rinovazionista, una marionetta dei sovietici che fu istituita come contro-chiesa al Patriarcato di Mosca. Come Metaxakis, i rinnovazionisti credevano in molte delle stesse riforme. Le loro attività, naturalmente, erano a scapito del patriarca Tikhon che cercava coraggiosamente di mantenere la Chiesa russa di fronte a schiaccianti difficoltà e a un terrore indescrivibile. Se il patriarcato russo avesse potuto essere distrutto, allora la sovranità di Metaxakis sul mondo ortodosso sarebbe stata completa. (I rinnovazionisti da parte loro erano anche in disaccordo con la Metropolia, intentando cause contro di essa nel sistema giudiziario americano con l'esplicito scopo di sottrarre le sue proprietà).

Alla fine, le conseguenze della prima guerra mondiale conclusero la carriera di Metaxakis sul trono patriarcale. La "catastrofe" (come viene chiamata dai greci) fu il risultato della rotta delle armate greche da parte di Mustafa Kemal, e portò a un massiccio scambio di popolazioni tra la Grecia e la Turchia. I turchi costrinsero all'esilio Metaxakis, che era stato un entusiasta sostenitore del primo ministro Venizelos. Dopo il suo tumultuoso regno, i turchi degradarono considerevolmente il Patriarcato. Fino a oggi non accettano il titolo di ecumenico per il patriarca di Costantinopoli. Sfortunatamente, nonostante il suo disastroso regno (e le realtà degradate imposte a quella sede dal regime kemalista), molti dei suoi successori accettarono le sue grandiose pretese e le portarono avanti, alienando così ulteriormente le altre Chiese ortodosse, principalmente quellr della Serbia e della Russia (e ora anche Georgia, Bulgaria e Antiochia).

VI. Qualcosa di più sull'autocefalia

Il problema dell'autocefalia è stato affrontato in una precedente "risposta" da parte di questo autore, tuttavia gli eventi imminenti danno a questo problema una nuova urgenza. Secondo il Fanar, senza un Concilio ecumenico, solo il Patriarcato ecumenico ha il diritto di conferire l'indipendenza ecclesiastica. Questo è vero anche secondo il parere di Mosca e della Chiesa sua figlia in America. Mosca sostiene tuttavia che oltre a questi metodi anche una chiesa madre può conferire l'autocefalia.

Contrariamente alle affermazioni di alcuni apologeti di Phanariote, questa non è una rivendicazione egoista da parte di Mosca. Nel primo millennio alla Chiesa di Georgia è stata concessa l'autocefalia da Antiochia, la sua Chiesa madre. Anche se la storia reale dell'inizio di questa chiesa è vaga, il fatto che fosse una provincia di Antiochia è indiscusso. Balsamon di Antiochia dichiarò chiaramente che uno dei suoi predecessori aveva precedentemente concesso l'autocefalia alla Georgia semplicemente attraverso un Concilio "locale". [26] Per quanto lo riguardava, non c'era nulla di controverso in proposito. A suo parere, l'autocefalia era prescritta dalla legge, vale a dire che poteva essere concessa da concili, decreti imperiali o concessioni delle Chiese madri. [27] (Incidentalmente, è questa la posizione del Patriarcato di Mosca e dei suoi partigiani. [28]) il suo commentario in questo senso dimostra che il conferimento dell'autocefalia era di per sé un evento insignificante. Spetta quindi a Costantinopoli dimostrare le sue pretese a riguardo; vale a dire che esistono solo due metodi per concedere l'indipendenza ecclesiastica (invece di tre). Se questo è vero, allora la Chiesa della Georgia è per definizione non canonica.

È interessante notare che, anche i pareri del Patriarcato di Costantinopoli non sono stati così rigidi come sembrano dire al momento, vale a dire che solo loro o un Concilio ecumenico possono conferire l'autocefalia a una Chiesa locale. Nel 1879 la casa reale serba e il metropolita di Belgrado si rivolsero al patriarca Joachim III di Costantinopoli, chiedendo la reintegrazione dello status autocefalo di Belgrado. Belgrado si comportò così perché Costantinopoli era la sua Chiesa madre. Joachim da parte sua assentì, utilizzando i vari canoni a sua disposizione, tra cui il Canone 28. Per quanto possibile, le affermazioni di Joachim riguardo al riconoscimento dell'autocefalia serba indicavano che vi erano molti modelli che governavano la nascita e la maturità di una Chiesa locale, non solo i concili ecumenici. In particolare, si potrebbe prendere in considerazione la vita e il benessere della nazione, cioè considerazioni socio-politiche. Da parte sua, Joachim:

... riconosceva che le Chiese locali possono essere stabilite "non solo in conformità con l'importanza storica delle città e dei paesi del cristianesimo, ma anche secondo le condizioni politiche della vita del popolo e delle nazioni". Riferendosi poi al canone 28 di Calcedonia e ad altri canoni, così come all'opinione del patriarca Fozio... ribadì: "i diritti ecclesiastici, in particolare quelli delle parrocchie, si conformano generalmente alla struttura dell'autorità statale e delle sue province". [29]

Queste parole hanno chiaramente riconosciuto che la storia della tarda antichità era una storia di formazione ecclesiale dinamica. I canoni dei primi Concili (sia locali che ecumenici) hanno chiaramente preso in considerazione il trambusto che era evidente in quei tempi. Come era ben noto, molti di questi canoni antedatano l'elevazione della sede di Costantinopoli allo status patriarcale. Forse il canone più importante per il riconoscimento dell'indipendenza di una Chiesa locale è stato il Canone apostolico 1, che impone che almeno due vescovi siano presenti per la consacrazione di un nuovo vescovo, e il Canone 4 del primo Concilio ecumenico che afferma che la nomina di un nuovo vescovo può essere fatta solo con l'elezione di almeno tre vescovi seduti in un Concilio locale.

Questi canoni riflettevano il fatto dello status indipendente delle molte regioni ecclesiastiche locali esistenti nell'antichità. L'esistenza di questi canoni implica quindi una domanda importante: con quale sanzione ai vescovi era concesso il diritto di amministrare i propri affari (come indicato per esempio nel Canone 8 di Efeso) e di consacrare altri vescovi (Canone apostolico 1)? Come affermato in precedenza, queste chiese erano "già autocefale". E va bene, ma come hanno ricevuto la loro indipendenza? Senza dubbio alcune erano di origine apostolica – Alessandria, Efeso, Antiochia, Roma, Corinto – sorgono istantaneamente alla mente. Ma non tutte lo erano. La proliferazione di nuove regioni ecclesiastiche (come Ippona, Ancira, Lione) per tutti i primi cinque secoli esclude questa possibilità. È ovvio quindi che le Chiese autocefale stesse hanno fondato molti di questi Sinodi regionali. [30] Alcuni potrebbero essere iniziati come missioni; altri sono stati formati a causa di esigenze politiche (cioè il ridisegnamento dei confini diocesani imperiali, la perdita di una regione per una guerra, ecc.). Eppure tutti possedevano le prerogative canoniche appartenenti a tutte le chiese, nonostante la loro relativa giovinezza.

Pertanto, le affermazioni generali di Joachim sulle "considerazioni politiche" devono essere viste in questa luce. Sì, Costantinopoli può concedere l'indipendenza, ma molti dei canoni che governavano la vita della Chiesa erano anteriori alla fondazione stessa di Costantinopoli. Per non esagerare su questo punto, le considerazioni storiche e politiche svolgono molto spesso un ruolo significativo nella creazione di una Chiesa indipendente. Come tale, le Chiese potevano conferire l'autocefalia alle regioni a loro adiacenti. L'unica considerazione era che le nuove regioni ecclesiastiche avessero almeno tre diocesi contigue.

Più precisamente, Costantinopoli era stata la Chiesa madre della Serbia. Fu il patriarca Germanos II che consacrò san Sava come arcivescovo di Peć, allora capitale della Serbia. Fu con buona ragione quindi che l'élite della Serbia dovette chiedere a Joachim di avere quest'onore ristabilito. Infatti, i serbi corsero un rischio reale andando al Fanar, dal momento che questo era un soggetto dell'Impero ottomano (come era stata la Serbia). Non vi era alcuna garanzia che la Turchia avrebbe consentito al Fanar di conferire un Tomos d'autocefalia alla Serbia. Non era nell'interesse della Turchia vedere le sue province separate diventare Stati nazionali indipendenti con Chiese vigorose. Uno dei metodi che i turchi avevano usato per sottomettere i loro soggetti cristiani era la minaccia della scomunica che il patriarca di Costantinopoli poteva comminare a qualsiasi ribellione incipiente. Questa minaccia sarebbe stata rimossa se il Patriarcato serbo fosse stato riaffermato. Sarebbe stato molto più opportuno che i serbi si rivolgessero al Santo Sinodo di Mosca, che era privo di dominazione straniera e con i quali i serbi avevano relazioni eccellenti.

VII. Conclusione

Questa validità – anzi, legalità – del Canone 28 è quindi preoccupante, a dir poco. Il fatto che sia stato stralciato dai documenti ufficiali del Concilio di Calcedonia dovrebbe dirci qualcosa. È stato concepito durante un periodo di grande tumulto in Occidente, e la sua natura inquietante era evidente a molti ai suoi tempi e nel suo contesto. Non fu mai accettato da Roma, e lo fu solo surrettiziamente in Oriente. Così è impossibile prenderlo sul serio date le sue origini; si può farlo solo per mezzo di una logica tortuosa (come è stato dimostrato dal linguaggio utilizzato dall'apologeta del Fanar – si veda la sezione V sopra).

Allo stesso modo, l'evoluzione dell'arcivescovo di Costantinopoli a patriarca, e poi a patriarca ecumenico, fu fatta a strappi, e solo quando i papi o gli imperatori non potevano contenere le ambizioni di questi vescovi. Questo dovrebbe dirci qualcosa circa la sua provenienza e coloro che basano affermazioni ecclesiastiche su di esso farebbero bene a riconsiderare la loro posizione. Se questo testo aveva poca legittimità quando è stato proposto per la prima volta, allora è un insulto alla logica credere che il passaggio del tempo lo abbia reso più legittimo.

In ultima analisi, tale pretesa è in netto contrasto con il Vangelo. La legittimità di ogni vescovo si basa sulla sua fedeltà al Vangelo di Gesù e non su titoli grandiosi che qualcuno si è arrogato in un tempo che non esiste più, o su legalismi che sono solo tenuamente legati allo spirito del Vangelo. Come disse papa Gregorio Magno in reazione a Giovanni IV, l'unico titolo che voleva per sé era servus servorum Dei ("servo dei servi di Dio").

* * *

George Michalopulos è un laico nella Chiesa ortodossa in America. È sposato con Margaret Verges di Houston, Texas, ed è padre di due figli, Constantine e Michael. Insieme al diacono Ezra Ham, è l'autore di The American Orthodox Church: A History of Its Beginnings (Salisbury: Regina Orthodox Press, 2003), così come di diversi articoli e saggi pubblicati sul sito di Orthodox Christian Laity. Ha servito come presidente del consiglio parrocchiale della chiesa greco-ortodossa della santissima Trinità a Tulsa, OK, e per due volte è stato un delegato laico al Congresso del clero e dei laici del 1998 e 2002. Ha aiutato a fondare la missione cristiana ortodossa dei santi Apostoli, una parrocchia dell'OCA, nel 2003, e continua ad essere attivo negli eventi pan-ortodossi nella grande area di Tulsa.

Note:

[1] www.OCL.org

[2] Metropolita Philip Saliba, "Canon 28 of the 4th Ecumenical Council - Relevant or Irrelevant Today? " (The Word, Feb 2009).

[3] Il discorso è stato tenuto dal rev. Elpidophoros Lambriniades il 16 marzo 2009. La risposta di chi scrive è stata pubblicata il 25 marzo. Entrambi sono accessibili su www.aoiusa.org e www.OCL.org.

[4] Canone 6 del primo Concilio ecumenico (Nicea, 325).

[5] San Giovanni Maksimovich, "Il declino del Patriarcato di Costantinopoli", relazione al secondo concilio di tutta la diaspora della Chiesa Russa, Srmski Karlovcy, Jugoslavia, 1938.

[6] Cfr. per esempio arcivescovo Gregory Afonsky, Lo statuto canonico del Patriarca di Costantinopoli nella Chiesa ortodossa (24 marzo 2009); patriarca Aleksij II di Mosca e di tutta la Rus', Lettera al Patriarca ecumenico sulla situazione della diaspora (2 febbraio 2005). Per una contemporanea risposta greca all'idea della sovranità costantinopolitana, si veda la nota n. 16 qui di seguito.

[7] John J. Norwich, Una breve storia di Bisanzio (Londra: Penguin, 1997 ed.), p 48.

[8] John H. Erickson, La sfida del nostro passato: studi di diritto canonico ortodosso e di storia della Chiesa (Crestwood, SVS Press, 1991), p 92.

[9] Leone il Grande, epistolarium 104

[10] Leone il Grande, epistolarium 104.

[11] Giovanni il Digiunatore, www.newadvent.org.

[12] Gregorio I, epistola 18.

[13] Gregorio I, epistola 43.

[14] Gregorio I, epistola 20.

[15] Giovanni il Digiunatore, www.newadvent.org.

[16] Erickson, op. cit., p 108.

[17] Aristeides Papadakis, l'Oriente cristiano e l'ascesa del papato: la Chiesa 1071-1453 A.D. (Crestwood: SVS Press, 1994), p 309.

[18] Erickson, op. cit., p 108.

[19] Aristeides Papadakis, l'Oriente cristiano e l'ascesa del papato: la Chiesa 1071-1453 A.D. (Crestwood: SVS Press, 1994), p 309.

[20] Erickson, op. cit., p 107. (V. anche W. Bruce Lincoln, I Romanov: autocrati di tutti i russi [New York: Dial Press, 1981], p 7.)

[21] Ibidem.

[22] www.EC-patri.org/discdisplay.php?lang=en&ID-2878&;a=en.

[23] Mark Stokoe, Cristiani ortodossi in Nord America 1794-1994 (in collaborazione con Leonid Kishkovsky, OCPC: 1995), p 32.

[24] Credeva che i sacerdoti dovessero essere rasati e indossare abiti occidentali, che i vescovi dovessero essere autorizzati a sposarsi, e che le regole del digiuno dovessero essere rilassate. Da patriarca, istituì l'adozione del calendario gregoriano.

[25] Anche se non ci sono canoni che condannano espressamente l'appartenenza alle logge, questo è perché la massoneria è uno sviluppo relativamente recente. Nel 1933, tuttavia, l'arcivescovo Damaskinos di Atene commissionò uno studio di questa fraternità e, successivamente, la Chiesa di Grecia emanò una forte dichiarazione che ha ribadito la lungimiranza della Chiesa ortodossa riguardo a questa organizzazione. (cfr www.orthodoxinfo.com/ecumenism/masonry.aspx)

[26] Balsamon.

[27] Erickson, op cit., p 102.

[28] Alexander Bogolepov, Verso una Chiesa ortodossa americana: l'istituzione di una Chiesa autocefala (Crestwood: SVS Press, 1963, [2001 ed.]), pp XVI-XIX, 10-11.

[29] Ibid., pp 14-15.

[30] Ibid., pp 9-10.

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