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  Imitare e non innovare: come salvaguardare l'integrità della fede ortodossa

dell'arcivescovo Chrysostomos

Orthodox Christian Information Center

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Alcuni anni fa, il professor Constantine Kalokyris, famoso esperto di storia e teoria dell'iconografia ortodossa, ha osservato che, "In America hanno iniziato a produrre icone, mosaici e affreschi bizantini, ma qui ai pittori mancano ancora i presupposti teologici dell'iconografia ortodossa ". [1] Si potrebbe obiettare in qualche caso a questa affermazione oggi, alcuni decenni più tardi, quando l'iconografia e gli iconografi tradizionali si possono trovare in molti luoghi in America; e, anzi, si può persuasivamente sostenere che vi non vi erano erano molte eccezioni chiare e nette alla sua affermazione, soprattutto in certi ambienti ortodossi russi in questo paese, nel momento in cui Kalokyris aveva fatto questa sua osservazione. Tuttavia, vi era, in parte, una certa precisione in quello che aveva detto, e ancora oggi persiste tra gli ortodossi in America una "tradizione" iconografica che riflette sicuramente un deficit di quella corretta comprensione dei presupposti teologici e dogmatici che definiscono la testimonianza iconografica della Chiesa.

Ciò che sta alla base delle molte deviazioni dall'iconografia tradizionale che possiamo vedere è un fallimento di cogliere uno degli assiomi spirituali essenziali che sottendono la conservazione della stessa santa Tradizione: seguire il percorso previsto con attenzione e meticolosamente definito da coloro che ci hanno preceduti. Come ho sempre detto ai miei figli spirituali: "Imitate, non innovate." Il fallimento nell'onorare questo semplice principio ha gravi conseguenze negative, non solo nel campo dell'arte sacra, ma pure in ogni altro settore della teologia ortodossa. La malattia del modernismo, che colpisce così profondamente tante giurisdizioni ortodosse di oggi, può essere fatta risalire proprio a un rifiuto volontario dell'umiltà dell'imitazione a favore dell'arroganza dell'innovazione. Questo fatto è perfettamente illustrato da due icone stampate di recente dalla Conciliar Press, una casa editrice dell'ormai defunta "missione evangelica ortodossa antiochena", una "chiesa all'interno di una Chiesa" che ha avuto breve durata, e si era formata quando un gruppo di ex protestanti evangelici (che si definivano "Chiesa evangelica ortodossa") è stato accolto nell'ultra-modernista Arcidiocesi ortodossa antiochena. Queste due offerte iconografiche, pubblicizzate nel catalogo della casa editrice nella primavera 1998, forniscono prove sostanziali che la perplessità un po 'datata del professor Kalokyris sull'arte ecclesiastica tradizionale in America non sono del tutto prive di fondamento, e trovano tuttora applicazione tra noi, almeno in alcuni ambienti ortodossi contemporanei.

La prima di queste icone, "di [o, più propriamente, 'per mano di', ndc] padre Luke Dingman" e intitolata "San Giuseppe in versione occidentale", raffigura san Giuseppe il Promesso Sposo che tiene Gesù Bambino in una mano e un giglio nell'altra. Mentre a prima vista questa rappresentazione può sembrare abbastanza innocente, tale icona mostra una mancanza di attenzione alle questioni essenziali della dottrina ortodossa. Non è un tradizionale ritratto ortodosso di san Giuseppe, come ammette il pittore stesso, ma piuttosto una "versione occidentale [leggi: 'romano-cattolica']" del Promesso Sposo della Madre di Dio. Evoca l'immagine latina della "Sacra Famiglia", una delle tante innovazioni teologiche e liturgiche del papato, che hanno influenzato negativamente l'Ortodossia, e anche in questo è un'innovazione particolarmente recente. Come ha osservato uno studioso cattolico, paragonando la festa papista centrata sulla Sacra Famiglia alle feste cristiane dell'antichità, "[La festa della Sacra Famiglia] ... è un prodotto della nostra epoca moderna, dei tempi a cui appartenaimo" [2]. Questo aspetto familiare dell'icona è evidenziato da una didascalia che proclama, "Giusto in tempo per la festa del papà!" Mentre non vi è, naturalmente, nulla che sia di per sé censurabile in una festa che onori i papà, collegare questo evento secolare con un'icona di questo tipo significa implicare cose totalmente inappropriate sul rapporto tra san Giuseppe e Cristo. Nella tradizionale iconografia ortodossa - quella imitativa -, il bambino Gesù è correttamente rappresentato, non da solo con san Giuseppe, ma da solo con la madre, sottolineando in tal modo il dogma che egli è "un figlio senza un padre, generato dal Padre senza una madre prima dei secoli" [3]. In ultima analisi, se dovessimo associare san Giuseppe alla paternità, potremmo farlo tecnicamente solo per i padri vedovi che vivono da celibi!

Di fatto, per proteggere i fedeli da una comprensione impropria del suo ruolo paterno e della sua relazione con la Theotokos, la tradizionale iconografia ortodossa minimizza la figura di san Giuseppe (senza, ovviamente, denigrare la sua persona). Per esempio, nell'icona della Natività di Cristo, come il professor Constantine Cavarnos commenta: "Egli non è raffigurato nella parte centrale della composizione, come la Theotokos e il bambino, ma lontano, in un angolo, al fine di sottolineare il racconto delle Scritture e l'insegnamento della Chiesa, che Cristo è nato da una vergine" [4]. Leonid Ouspensky e Vladimir Lossky, nel loro lavoro fondamentale sulla teoria iconografica, fanno un'osservazione simile: "Un altro particolare enfatizza che nella Natività di Cristo 'è vinto l'ordine della natura' – questo è Giuseppe. Lui non fa parte del gruppo centrale del bambino e sua madre; non è il padre ed è decisamente separato da questo gruppo". [5] Allo stesso modo, in icone con temi simili, come l'Incontro del Signore o la fuga in Egitto, l'iconologia ortodossa non vede san Giuseppe come il capo di una sorta di "Sacra Famiglia"; piuttosto, lo vede come il custode – ordinato dalla Provvidenza – della Theotokos e del Bambino divino. La sua umile accettazione e realizzazione virtuosa di questo ruolo sono proprio i punti che focalizzano la sua venerazione da parte della Chiesa ortodossa.

Questa semplice caratterizzazione ortodossa di san Giuseppe riflette lo spirito dei Padri orientali, che sono laconici nei loro riferimenti a lui. E mentre i Padri occidentali, per contrasto, evidenziano una maggiore preoccupazione per la sua persona, la loro preoccupazione principale è comunque la stessa di quella dei loro colleghi orientali: cioè, la difesa della perpetua verginità della Madre di Dio. Così, Sant'Agostino di Ippona, per esempio, pur rilevando che, "Giuseppe ... potrebbe essere chiamato il padre di Cristo, a causa del suo essere in un certo senso il marito della madre di Cristo..." [6 ] qualifica quest'ammissione insistendo sul fatto che, nel loro rapporto sponsale, "non c'era connessione corporea" [7]. Altrove elabora su questo punto: "E a causa di questa fedeltà coniugale [cioè, il loro celibato reciproco] essi sono entrambi giustamente chiamati 'genitori' di Cristo (non solo lei come sua madre, ma anche lui come suo padre, in quanto marito di lei), entrambi essendo nella mente e nel proposito, anche se non nella carne. Ma mentre egli era suo padre solo nel proposito, e l'altra sua madre nella anche carne, con tutto questo entrambi erano solo i genitori della sua umiltà, non della sua sublimità; della sua debolezza [vedi II Corinzi 13: 4-Editor], non della sua divinità" [8]. È in questo senso, dunque, che dobbiamo capire l'affermazione della Scrittura: "Ed [egli] stava loro sottomesso" [9], concernente il rapporto di Cristo con san Giuseppe e sua Madre.

Sant'Ambrogio di Milano, di nuovo salvaguardando l'insegnamento cristiano tradizionale su san Giuseppe e il suo ruolo di marito della Vergine Maria, ci avverte per mezzo di questo particolare versetto biblico: "il serpente della miscredenza, liberato da nascondigli perversi, solleva la testa e vomita fuori malizia dai cuori serpentini" [10]. Anche qui sta il pericolo di una "versione occidentale" di san Giuseppe, una versione che, per ex evangelici solo da poco "convertiti" all'Ortodossia, pone un grave tentazione verso un errore dottrinale. Tali convertiti spesso entrano nella Chiesa con una mentalità ostile alla corretta pietà ortodossa. Quindi, lo ieromonaco Gregory (egli stesso un convertito all'Ortodossia dal protestantesimo evangelico), in un libro molto perspicace sulle eresie di ciò che egli chiama "evangelicalismo," scrive: "È ironico che gli evangelici considerino la nascita verginale come dottrina cristiana fondamentale, perché essi stessi non abbracciano pienamente questa dottrina. Il dogma della natività dalla Vergine insegna che la Madre di Dio era vergine prima del parto, durante il parto, e dopo il parto: la Natività di Cristo l'ha rivelata come sempre vergine... Gli evangelici non credono all'interezza di questo dogma e invece lo mitigano accettando soltanto la concezione verginale". [11]

L'evangelicalismo, sicuramente, propone la domesticità coniugale come il più alto ideale della vita cristiana, in netto contrasto con la Scrittura e i Padri ortodossi, che considerano la verginità come lo stato più alto nella vita cristiana. Di conseguenza, molti protestanti sostengono il concetto perverso e blasfemo che san Giuseppe e la Madre di Dio si siano uniti in un rapporto fisico. Questa idea irriverente non è, naturalmente, nulla di nuovo; noti eretici come gli ebioniti, Elvidio e Gioviniano avevano sostenuto la stessa cosa fin dai primi tempi. San Giovanni Damasco, nel commentare questa perniciosa eresia nel suo vasto catalogo, Sulle Eresie, classifica tali individui come "nemici di Maria": "Gli antidicomarianiti dicono che, dopo aver dato alla luce il Salvatore, la beata Maria, la sempre vergine, ha avuto rapporti coniugali con Giuseppe" [12]. Un'icona occidentale di san Giuseppe come "padre modello" ("Giusto in tempo per la festa del papà"), poi, quando è dipinta e distribuita da ex protestanti evangelici, sa non solo di innovazione che costituisce una deviazione dai migliori standard dell'iconografia, ma favorisce un dogma sbagliato e ci porta all'inimicizia contro la stessa Madre di Dio. Dovrebbe essere evidente che dei convertiti disposti verso una visione carnale della Theotokos e di san Giuseppe il Promesso Sposo, una visione a volte motivata non solo da una teologia settaria, ma da un'insistenza carnale compensatoria che segnala spesso disadattamento e disfunzioni psico-sessuali – non dovrebbero in nessun caso essere esposti all'istruzione dogmatica visiva di icone che travisano, distorcono e contaminano i puri insegnamenti della Chiesa.

Queste stesse osservazioni critiche valgono anche per la seconda icona in questione, "I santi Gioacchino e Anna, per mano di Sarah Dingman", una franca e imbarazzante espressione di carnalità. Un recente libro di un altro protestante convertito all'Ortodossia, Clark (Innocent) Carlton, The Faith, che pretende di essere un catechismo ortodosso, caratterizza il matrimonio – ancora una volta, piuttosto sconsideratamente e in opposizione alla rigorosa tradizione patristica – come "fine a se stesso" [13] (una pretesa che io e altri, per inciso, abbiamo criticato dal punto di vista ortodosso tradizionale [14]). Questa nozione curiosa e poco ortodossa si esprime perfettamente in questa icona, dove gli antenati di Cristo sono raffigurati in un abbraccio lascivo. Una rappresentazione iconografica di un letto fa da sfondo a questa scena. Il fatto che l'icona sia pubblicizzata sulla stessa pagina come "una guida per le coppie ortodosse nello sviluppo dell'unità coniugale" assieme a un'altra icona, "le nozze di Cana", lascia poco all'immaginazione – ci troviamo di fronte all'elevazione innaturale e poco ortodossa del mistero del matrimonio a un inadeguato livello pseudo-spirituale.

Mentre la pittrice di questa icona potrebbe sostenere che la sua raffigurazione non è una novità, e che ha semplicemente imitato un'antica icona, lo avrebbe fatto in un modo del tutto sbagliato. In primo luogo, tali abbracci appassionati, con i santi personaggi raffigurati che cercano l'uno lo sguardo dell'altro, sono chiare innovazioni. Icone, come sosterremo in seguito, non esprimono carnalità e passioni umane. In secondo luogo, i prototipi per questa icona sono di provenienza non ortodossa. Hanno la loro fonte in creazioni artistiche occidentali quali l'affresco del pittore fiorentino Giotto di Bondone (ca.1267-1337) nella Cappella degli Scrovegni a Padova, dove gli Antenati di Dio si abbracciano in modo appassionato. Opere che si basano su questa tradizione occidentale emersero nell'iconografia ortodossa solo dopo l'Unia, apparendo in gran parte in Russia, soprattutto durante i regni dei sovrani occidentalizzanti Pietro il Grande e Caterina la Grande (per esempio, si veda Simon Ushakov, "il padre della pittura russa secolare" [15]). Il bacio appassionato, ispirato all'ideale dell'amor cortese, e il letto come simbolo di fedeltà coniugale sono, inoltre, motivi popolari della pittura tardo-rinascimentale. Quando si trovano nell'iconografia ortodossa, sono gravi ostacoli alla funzione teologica e alla tradizione spirituale delle immagini sacre, che, come sottolinea Photios Kontoglou, "sono il risultato di secoli di vita spirituale, esperienza, genio e lavoro cristiano. Gli iconografi che sviluppavano tali icone consideravano il loro lavoro come qualcosa di impressionante, come i dogmi della vera fede, e lavoravano con umiltà e pietà sui modelli che erano stati tramandati loro dagli iconografi precedenti, evitando tutte le modifiche inopportune e inappropriate. " [16]. Non si può dire questo del lavoro di Giotto.

Inoltre, come sottolinea Constantine Cavarnos, "Il principio di adeguatezza è appropriato in tutte le icone bizantine. Esse utilizzano ciò che è appropriato per la rappresentazione di un certo evento o una persona, ed evitano tutto ciò che è inadeguato." [17] Se le icone sono "finestre sul cielo", e se in Cielo "non si prende moglie né marito, ma si è come gli angeli di Dio" [18] diventa retorico chiedere, "un letto matrimoniale è appropriato in un'icona? " Ci si aspetterebbe di vedere il paradiso edonistico dei musulmani e dei mormoni arredato in questo modo, ma non le "molte dimore" [19] del Padre dei cristiani, dimore spirituali che i fedeli anticipano, non come luoghi di piaceri terreni, ma come laboratori divini di sforzi di elevazione spirituale, che rendono inadatti simili orpelli.

Come ha giustamente commentato Ouspensky, "Non troviamo mai nell'iconografia ortodossa questa tendenza ad 'assaporare' la carne che troviamo nell'arte profana con temi religiosi..." [20]; piuttosto, fedele alle norme ascetiche della nostra fede, un'icona "... ci insegna 'a digiunare con i nostri occhi', secondo le parole di san Doroteo" [21], e, ci auguriamo, per i coniugi ortodossi, a "fast dalla carne" in quei tempi stabiliti dalla Chiesa. Tale istruzione ascetica è il risultato di ciò che Cavarnos chiama "l'elemento liturgico" in un'icona: "Dovunque è presente l'elemento liturgico, quello drammatico e quello sensuale sono assenti" [22]. "Le icone sollevare la nostra anima dal regno materiale a quello spirituale, da un livello più basso di essere, pensiero, sentimento a un livello superiore" [23]. Questo, però, è possibile solo quando gli approcci innovativi sono accantonati in favore degli stili iconografici tradizionali. I santi Canoni, infatti, proibiscono esplicitamente le rappresentazioni carnali di temi iconografici: "Quei dipinti, dunque, siano essi su pannelli o qualsiasi altro luogo, che affascinano la visione e corrompono la mente e incitano i fuochi di piaceri vergognosi, comandiamo che da ora in poi non siano raffigurati in alcun modo" (Canone 100 del sesto Concilio ecumenico). [24]

Un iconografo ben addestrato in questa tradizione sacra, dunque, avrebbe esercitato una maggiore attenzione di quanto vediamo qui, nella scelta di un adeguato prototipo per raffigurare i santi Gioacchino e Anna, soprattutto tenendo conto di quello che abbiamo detto sui circoli evangelici dai quali arriva la pittrice di questa seconda icona. Per esempio, lo ieromonaco Dionisio di Furnà (c. 1670 – c 1745) prescrive il seguente trattamento dei santi:. "La concezione della Madre di Dio. Case, e un giardino con vari alberi. Sant'Anna si inginocchia in mezzo ad esso, mentre un angelo davanti a lei la benedice. All'esterno il giardino, una montagna su cui Gioacchino sta pregando, e anch'egli allo stesso modo è benedetto da un angelo ". [25] Tale icona, in cui le figure principali sono impegnate nella preghiera, rafforzate dagli angeli, è occasione di un maggiore incentivo alla riflessione spirituale e ci eleva dal sensuale al sublime. È anche evidente che la separazione spaziale dei Santi Gioacchino e Anna indica efficacemente il primato della loro unione spirituale sopra e contro la loro unione fisica. Ogni prototipo tradizionale per le icone raffiguranti questi antenati di Dio, [26] come un dato di fatto, sottolinea la qualità spirituale del rapporto tra i santi Gioacchino e Anna (si vedano, per esempio, i prototipi fatti da Kontoglou delle seguenti icone: "la preghiera di sant'Anna", "la nastività della Theotokos", "l'adulazione della Theotokos", ecc [27]). E anche le icone con la scritta: "La concezione della Theotokos" presentano non qualcosa di carnale, ma il gioiosa abbraccio spirituale di questi due santi dopo la rivelazione avuta da entrambi fatto che la "sterile" sant'Anna avrebbe concepito e dato alla luce una figlia.

In ultima analisi, sia l'icona di san Giuseppe "in versione occidentale" sia la rappresentazione indecorosa degli antenati di Dio riflettono la sensibilità ancora non formate di coloro che hanno fatto un miscuglio di Ortodossia ed evangelicalismo. In questo modo, come abbiamo fatto notare, hanno introdotto nell'Ortodossia un'innovazione che si allontana dalla sobrietà dei Padri e dei loro insegnamenti sulla famiglia terrena di Cristo e, di fatto, sulla natura delle relazioni umane. Questi innovatori farebbero bene a riflettere attentamente sulla dottrina patristica su tali questioni, e in particolare su ciò che la Chiesa e le icone ci raccontano sulle relazioni coniugali e sul senso della famiglia, entrambi temi direttamente collegati, ancora una volta, alle icone in questione: "...ai credenti in Cristo viene insegnato di non pensare che la cosa principale nel matrimonio sia l'unione carnale, come se senza di questa non potessero esistere marito e moglie, ma di imitare nel matrimonio cristiano il più fedelmente possibile i progenitori di Cristo [per esempio, nella castità], per poter così avere una più intima unione con le membra del corpo di Cristo" [28]. Questo non vuol dire, naturalmente, che nel mistero del matrimonio ci sia qualcosa di improprio nei rapporti sessuali, o che tali relazioni siano malvagie o inappropriate. Niente affatto. Vi è da dire, però, che, nonostante il carattere nobile dell'amore coniugale, questo impallidisce davanti – e deve in ultima analisi attingervi, se vuole sopravvivere e prosperare – a quell'eros divino che ci conduce a Dio e che è radicato nella purezza e nella verginità (ed è per questo motivo, se non altro, che le coppie ortodossi "digiunano dai rapporti carnali" per un numero significativo di giorni dell'anno, inclusi quasi tutti i mercoledì e i venerdì, che costituiscono giorni di digiuno). Ci deve essere qui un equilibrio che pone il letto matrimoniale in una luce positiva, ma senza violare il primato assoluto della purezza del corpo che troviamo in Cristo, nei suoi antenati terrestri, e nelle tradizioni eucaristiche ed esicaste della Chiesa ortodossa. La purezza contenuta nel Vangelo non deve mai soccombere nei confronti di una sorta di Kamasutra cristiano, sia che questo sia "battezzato" da settari palesi, sia da coloro che provengono da un ambiente settario.

Il nostro è un tempo strano: un tempo in cui il sacro obbligo dell'imitazione è stato spazzato via dalla prerogativa diabolica dell'innovazione. Prima che siano stati ortodossi per pochi anni, troviamo convertiti dal Protestantesimo che scrivono catechismi, dipingono icone (molti di questi pittori, abbastanza innegabilmente, sono artisti molto capaci), e "aggiustano" l'Ortodossia secondo le loro nozioni di tradizionalismo. Dove e sotto quale compiuto maestro spirituale, ci si chiede, hanno imparato l'arte della preghiera, le discipline del digiuno, e gli insegnamenti segreti dell'Ortodossia – quelle cose tradizionali della fede che richiedono molti anni di obbedienza e che sono i presupposti per la predicazione della fede nella parola e nelle icone? Con poca familiarità con qualsiasi cosa tranne l'artificiosa Ortodossia della "canonicità" e della "burocrazia" (idee innovative prese in prestito dall'Occidente e da ecumenismo), questi innovatori convertiti a metà adottano prontamente il pensiero e la pietà dei latini (idee di una "sacra famiglia", rozze "scene da camera da letto" nelle icone, e così via) e rafforzano la loro posizione con rivendicazioni neo-papali di "patriarchismo", citando vistosamente, nel caso dei convertiti alla Chiesa antiochena, quello che è diventato per loro uno slogan: "I discepoli furono chiamati cristiani per la prima volta ad Antiochia – Atti 11:26". Ecco, quindi, i frutti del rinnovazionismo: cristiani che sono ortodossi in nome, papisti nella loro prospettiva, ed evangelici nella loro rappresentazione della santa Tradizione!

Note

1. Constantine D. Kalokyris, The Essence of Orthodox Iconography, trad. Peter A. Chamberas (Brookline, MA: Holy Cross School of Theology, 1971), p..

2. Pius Parsch, The Church’s Year of Grace, tr. William G. Heidt, O.S.B., Vol. I (Collegeville, MN: St. John’s Abbey, 1962), p. 289.

3. Dogmatico del Tono 3°.

4. Constantine Cavarnos, Guide to Byzantine Iconography, Vol. I (Boston: Holy Transfiguration Monastery, 1993), p. 134.

5. Leonid Ouspensky – Vladimir Lossky, The Meaning of Icons, tr. G. E . H. Palmer and E. Kadloubovsky (Crestwood, NY: St. Vladimir’s Seminary Press, 1982), p. 160.

6. St. Augustin, "Reply to Faustus the Manichaean", tr. Richard Stothert, Albert H. Newman, in The Writings Against the Manichaeans and Against the Donatists,Vol. IV of A Select Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers, 1a serie, ed. Philip Schaff (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1979), p. 159.

7. Ibidem, p. 315.

8. Idem, "On Marriage and Concupiscence," tra. Peter Holmes – Robert Ernest Wallis, Benjamin B. Warfield, in Anti-Pelagian Writings, Vol. V of A Select Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers, 1a serie, ed. Philip Schaff (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1978), p. 268.

9. Luca 2:51.

10. Saint Ambrose of Milan, Exposition of the Holy Gospel According to Saint Luke, tr. Theodosia Tomkinson (Etna, CA: Center for Traditionalist Orthodox Studies, 1998), p. 62.

11. Saint John of Damascus, Writings, tr. Frederic H. Chase, Jr. (Washington, DC: The Catholic University of America Press, 1958), p. 131.

12. Hierodeacon [Hieromonk] Gregory, The Church, Tradition, Scripture, Truth, and Christian Life: Some Heresies of Evangelicalism and an Orthodox Response (Etna, CA: Center for Traditionalist Orthodox Studies, 1994), pp. 47-48.

13. Clark Carlton, The Faith: Understanding Orthodox Christianity. An Orthodox Catechism (Salisbury, MA: Regina Press, 1997), p. 228.

14. Si veda la recensione dello ieromonaco Patapio, dello ieromonaco Gregorio e dell'arcivescovo Crisostomo, Orthodox Tradition, Vol. XV, No. 1 (1998), pp. 57-60, e archimandrita Luke, "New Age Philosophy, Orthodox Thought, and Marriage," Orthodox Life, Vol. XLVII, No. 3 (May-June 1997), pp. 21-37.

15. Leonid Ouspensky, Theology of the Icon (Crestwood, NY: St. Vladimir’s Seminary Press, 1978), p. 217, n. 62.

16. Citato in Cavarnos, Guide to Iconography, p. 29.

17. Ibid., p. 40.

18. Matteo 22:30.

19. Giovanni 14:2.

20. Ouspensky, Theology of the Icon, p. 212.

21. Ibid., p. 211.

22. Constantine Cavarnos, Byzantine Sacred Art (Belmont, MA: Institute for Byzantine and Modern Greek Studies, 1985), p. 92.

23. Idem, Guide to Iconography, p. 243.

24. Pedalion (Thessaloniki: Regopoulos, 1982), p. 310.

25. The "Painter’s Manual" of Dionysius of Fourna, trans. Paul Hetherington (London: Sagittarius Press, 1981), p. 50.

26. Le prime icone dei santi Gioacchino e Anna (IX secolo circa), dovremmo notare, non apparvero da sole, ma entro un ciclo narrativo di scene, che esprime una dichiarazione dogmatica unitaria sulla concezione della Theotokos che oggi è persa nella sua presentazione indipendente. Si veda una discussione a proposito in André Grabar, Christian Iconography: A Study of Its Origins (Princeton, NJ: Princeton University Press, 1968).

27. Photios Kontoglou, …Ekphrasis tes Orthodoxou Eikonographias, (Athens: Astir, 1960), pp. 256-257.

28. St. Augustin, "Reply to Faustus," p. 315.

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