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  Il Patriarcato Ecumenico ha violato il canone 5 di Sardica nell'appello di Filaret

di Petrus Antiochenus

Orthodox Synaxis

20 novembre 2018

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Il 12 novembre 2018, la Santa Assemblea della Chiesa ortodossa serba ha formalmente respinto la presunta riabilitazione dei chierici deposti dal Patriarcato Ecumenico. L'Assemblea si è riferita a tale decisione definendola "canonicamente ingiustificata". Questo può riferirsi a molti canoni diversi, ma noi vogliamo concentrarci su uno in particolare: il Canone 5 di Sardica.

In precedenza, abbiamo pubblicato un articolo che parlava di diversi problemi nella decisione del Patriarcato Ecumenico sull'appello di Filaret Denisenko. Tale articolo affermava: "Non abbiamo trovato alcuna procedura canonica scritta che disciplini il "diritto di ricorso" al Patriarcato Ecumenico". Tuttavia, abbiamo trascurato il Canone 5 del Concilio di Sardica, che stabilisce regole procedurali per gli appelli canonici.

Il canone 5 di Sardica si concentra sugli appelli al vescovo di Roma, piuttosto che a quello di Costantinopoli. Tuttavia, è applicabile a Costantinopoli perché le prerogative di Costantinopoli sono basate sulle prerogative precedentemente accordate a Roma. (Per esempio, scrivendo dopo il Grande Scisma, il canonista Teodoro Balsamon affermava, "le questioni definite per quanto riguarda il papa non sono solo i suoi privilegi, che tutti i vescovi condannati debbano necessariamente presentarsi al trono di Roma, ma questo è inteso in un certo senso come Costantinopoli".) I canoni di Sardica furono anche esplicitamente ratificati dal Canone 2 del Concilio di Trullo (il" Concilio Quintisesto"), che ha una posizione di Concilio ecumenico nella Chiesa ortodossa.

Se, infatti, Costantinopoli ha il diritto di ascoltare gli appelli dei vescovi al di fuori della propria giurisdizione, allora è tenuto a seguire le procedure stabilite nel canone 5 di Sardica. Ecco una traduzione del testo greco di quel canone:

Decreta che se un vescovo è accusato, i vescovi della stessa regione si radunano e lo depongono dal suo ufficio, e questi si appella, o per così dire, si rifugia presso il benedetto vescovo della Chiesa romana, e questi è disposto a dargli ascolto, e ritiene opportuno rinnovare l'esame del suo caso, si compiaccia di scrivere a quegli altri vescovi che sono più vicini alla provincia affinché possano esaminare i dettagli con cura e accuratezza e dare il loro voto in merito con la parola di verità.

E se qualcuno richiede che il suo caso venga ascoltato ancora una volta, e su sua richiesta sembra opportuno chiedere al vescovo di Roma di mandare presbiteri a latere, che sia nelle competenze di quel vescovo, come questi giudica che sia buono e decide che sia giusto – che alcuni siano inviati a essere giudici assieme con i vescovi e investiti della sua autorità da cui sono stati inviati. E che anche ciò sia ordinato. Ma se pensa che i vescovi siano sufficienti per l'esame e la decisione della questione, faccia ciò che sembrerà buono secondo il suo giudizio più prudente.

Questo canone consente due tipi di appello a Roma. Il primo ricorso richiede quanto segue:

1. Il vescovo designato deve fare appello al vescovo di Roma.

2. Il vescovo di Roma deve accettare di ascoltare l'appello.

3. Il vescovo di Roma deve scrivere ai vescovi delle province più vicine a quello del vescovo deposto, invitandoli a unirsi a lui nell'udire l'appello.

4. I vescovi riuniti devono "esaminare i particolari con cura e accuratezza".

5. I vescovi riuniti devono votare sulla questione.

Se, per qualche ragione, questo primo appello a Roma non risolve la questione, il vescovo deposto ha la possibilità di ricorrere nuovamente a Roma, e il secondo ricorso procede come segue:

1. Il vescovo deposto deve nuovamente appellarsi al vescovo di Roma.

2. Il vescovo di Roma deve accettare di ascoltare il secondo appello.

3. Il vescovo di Roma può (ma non è obbligato a farlo) mandare legati nella regione contesa, per unirsi ai vescovi delle province limitrofe nel decidere il secondo appello.

4. I vescovi delle province limitrofe, convocati dal vescovo di Roma e possibilmente (ma non necessariamente) inclusi i legati di Roma, prendono la decisione finale.

Il trattamento di Filaret da parte del Patriarcato Ecumenico è conforme al canone 5 di Sardica, al quale è soggetto? Non sembra. Il patriarca ecumenico non ha invitato i vescovi delle province limitrofe – in questo caso, sembrerebbero essere i vescovi della Chiesa canonica dell'Ucraina – a partecipare all'audizione dell'appello. E i vescovi che hanno ascoltato l'appello non hanno "esaminato i particolari con cura e accuratezza" – lo sappiamo, perché non hanno nemmeno rivisto i documenti ufficiali della Chiesa ortodossa russa quando ha deposto e in seguito scomunicato Filaret, nonostante tali documenti siano prontamente disponibili online.

Se il Patriarcato ecumenico desidera essere visto come il capo dell'ortodossia, e anche come un tribunale di ultimo appello per i vescovi, allora deve rispettare i canoni della Chiesa. Altrimenti, non è altro che un dittatore arbitrario, piuttosto che un leader simile a Cristo nello spirito dei santi apostoli e dei grandi patriarchi del passato.

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