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  Alexander Pavuk: una rassegna della crisi ecclesiale in Ucraina e della sua soluzione secondo i sacri canoni

Orthodoxsynaxis.org, 18 agosto 2021

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Recensione di: Nikiphoros, metropolita di Kykkos e Tyllyria. La crisi ecclesiale in Ucraina e la sua soluzione secondo i sacri Canoni. Traduzione a cura del monastero della santa Trinità. Jordanville, NY: Holy Trinity Seminary Press, 2021.

L'imperatore è nudo. Leggendo questo volume, si potrebbe ben immaginare il suo autore, il metropolita Nikiphoros della Chiesa ortodossa autocefala di Cipro, che utilizza questo vecchio aforisma per caratterizzare le recenti affermazioni del patriarca Bartolomeo (Archontonis) e di alcuni altri vescovi della Chiesa di Costantinopoli sull'autocefalia e il primato. Agendo nel 2018 e nel 2019 in base a quelle che l'autore dimostra come interpretazioni storicamente insostenibili di tali concetti, tali figure hanno modellato in Ucraina un'entità ecclesiale composta da un mosaico di figure deposte e gruppi reciprocamente antagonisti, radicati in uno scisma dalla Chiesa ortodossa ucraina.

Ciò che rende questo libro particolarmente interessante e che fa concludere che vale la pena di leggerlo è che, a differenza di altre opere che appaiono sull'argomento, la sua storia non è quella di una battaglia all'ultimo sangue tra i patriarcati di Mosca e Costantinopoli sull'Ucraina. Piuttosto, il libro è un abile esame delle fonti originali che rivelano che gli attuali vescovi di Costantinopoli sono essenzialmente incoerenti con il patrimonio del Patriarcato ecumenico stesso: le sue posizioni storiche e le testimonianze d'archivio. Una buona parte delle prove dell'autore contro le loro recenti posizioni proviene da figure e testi associati direttamente al Patriarcato di Costantinopoli. Il libro presenta anche prove efficaci e definitive provenienti dalla più ampia storia e testimonianza della Chiesa globale.

Sull'attuale complicazione, il metropolita afferma che "Nessuno può negare che la Chiesa ortodossa universale si trovi in ​​uno stato di crisi divisiva … creato dalla concessione unilaterale e anticanonica dell'autocefalia da parte del patriarca ecumenico di Costantinopoli a elementi scismatici della Chiesa ucraina" (xi). Nessuno, allo stesso modo, può negare che l'erudito metropolita (laureato sia alla facoltà di giurisprudenza dell'Università Aristotele di Salonicco sia alla facoltà di teologia dell'Università di Atene) dia apertamente la colpa a una raccolta di idee nuove formulate in quel patriarcato – e delle azioni che ne derivano da parte del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, che impiegano "il principio del potere unilaterale e autoritario del Primus" (75) – come frutto malato che ha fatto germogliare un "disastroso scisma che ora minaccia l'Ortodossia mondiale" (73). Le idee e le azioni recenti, egli dice, "non hanno alcuna giustificazione storica, dogmatica o ecclesiastica". (74)

Attribuendo delle motivazioni a queste azioni mentre professa "il più profondo rispetto per il patriarcato ecumenico" stesso, la "coscienza gerarchica" (xi) del metropolita Nikiphoros lo costringe a parlare contro le azioni in Ucraina "guidate dall'egoismo e dalla brama di gloria e potere" ( xxii). "C'è da restare", dice, "veramente sbalorditi di fronte a tutti questi recenti eventi ecclesiologicamente inaccettabili e anticanonici...". (28). Come Nikiphoros, vescovo di lunga data e della più alta reputazione intellettuale e spirituale, il metropolita Amfilohije (Radovic) del Montenegro (+2020), aveva assegnato le stesse motivazioni allo sfortunato intervento: "L'amore per il potere... si vede oggi nel comportamento del patriarca di Costantinopoli in relazione all'Ucraina. Il suo amore per il potere ha portato a grandi problemi in Ucraina". [1]

Il resto di questa recensione affronterà il modo in cui il libro gestisce queste affermazioni pesanti e inquietanti alla luce delle prove raccolte per determinare se le varie contese hanno fondamento. Prima di procedere, devo notare che non c'è alcun tentativo di corroborare l'originale greco di quest'opera con la traduzione inglese del monastero della santa Trinità poiché mi è stato chiesto solo di rivedere la traduzione inglese.

Il primo, il secondo e il terzo capitolo (si sarebbero apprezzati dei capitoli numerati in questa traduzione) contengono il cuore delle argomentazioni storico-ecclesiologiche sostanziali. Il quarto capitolo indaga le condizioni canoniche in base alle quali una Chiesa locale può e deve interrompere la comunione eucaristica con un'altra Chiesa locale. Il quinto capitolo si concentra sulla "teoria nuova e insipida" (53) che ci possa essere un primate al di sopra di tutti all'interno della Chiesa, e analizza le porzioni del testo, o tomos, impiegato in Ucraina in relazione alle espressioni al suo interno su tale primato. Il sesto, di sole due pagine, difficilmente può essere definito un capitolo di un libro. Più che una riflessione sul concetto dei grandi Sinodi endemici, quasi certamente avrebbe dovuto essere separato come una breve appendice. Il settimo e ultimo capitolo, che precede le conclusioni e i suggerimenti per il futuro, riguarda la natura conciliare e gerarchica della Chiesa ortodossa. Dato che sono uno storico, mi concentrerò principalmente sui capitoli che presentano argomenti di natura storica.

Il primo capitolo affronta quella che dovrebbe essere una domanda piuttosto semplice: a quale territorio ecclesiastico appartiene l'Ucraina? Alla fine, la risposta risulta semplice, ma a causa degli eventi recenti, richiede un'attenta analisi delle prove per dimostrarla come tale. Le prove raccolte includono documenti originali autenticati; documenti avvalorati dalla testimonianza di fonti primarie reciprocamente coerenti, sia dell'arco temporale considerato sia dei secoli successivi; e fonti che dimostrano un'interpretazione di lunga data e coerente da punti di osservazione geograficamente dispersi.

Il documento chiave di partenza è un decreto finora incontrovertibile del 1686 emesso dal patriarca ecumenico Dionisios IV (Mouselimes) [+1696]. Quel documento trasferì formalmente alla Chiesa di Russia la metropolia di Kiev (come allora esisteva geograficamente, configurazione non coincidente con il contemporaneo stato-nazione dell'Ucraina), con le relative conseguenze pratiche che attestano lo spostamento. Quali sono state queste conseguenze? Il metropolita Nikiphoros rileva che esse riguardavano i "due diritti fondamentali della subordinazione ecclesiastica", (1) che consistono sempre nel diritto di ordinare e, parimenti, di deporre i propri vescovi in ​​modo indipendente. Tali criteri sono stati rispettati dalla Chiesa ortodossa di Russia nei confronti di quel territorio per oltre trecento anni.

Vale a dire, la Chiesa di Costantinopoli, insieme a ogni altra Chiesa locale, pubblica annualmente fonti primarie note come Syntagmatia. Questi documenti elencano i territori ufficialmente riconosciuti di tutte le Chiese locali. In tutti questi documenti dal 1686, Kiev, e in seguito l'Ucraina, sono mostrati come parte della Chiesa ortodossa russa. Sembra un serio insulto alla memoria e all'intelligenza del patriarca Dionisios e dei suoi successori della Chiesa di Costantinopoli affermare che essi non abbiano preso la decisione ecclesiastica che pensavano di aver preso, una decisione che ha portato a prove trovate in tre secoli di Syntagmatia di Costantinopoli. Lo stesso fanno i Sinodi delle altre Chiese locali che hanno elencato tale territorio nei registri del loro syntagma allo stesso modo.

Abbiamo anche una fonte corroborante da parte dell'autore del decreto stesso, il patriarca Dionisios, che interpreta il suo stesso testo originale. La lettera formale del patriarca del 1686 allo tsar russo afferma: "Con la presente si concede che la santa eparchia di Kiev sia soggetta al santissimo trono patriarcale della città della Moscovia salvata da Dio" e che essi debbano, aggiunge, "riconoscere il patriarca di Mosca come loro anziano e capo, poiché sono consacrati da lui". (4)

Alla luce di tutto ciò, è difficile persino accettare affermazioni recenti sul fatto che si tratti di una sorta di trasferimento temporaneo, soprattutto perché nessun testo d'origine dice una cosa del genere. L'affermazione stessa ricorda le scappatelle linguistiche postmoderne in base alle quali i testi che non affermano una cosa particolare sono tuttavia fantasiosamente intepretati come se avessero significato definitivamente tale cosa. Lo stesso metropolita Nikiphoros ricorda le "prevaricazioni che osserva" in questo senso (18) nei giochi di parole relativistici degli avvocati. Egli respinge in modo sensato tali affermazioni.

Tuttavia, giustamente prende molto sul serio i materiali degli archivi storici del Patriarcato ecumenico pubblicati dalla stamperia patriarcale di Costantinopoli. Una delle raccolte più note è quella dei Documenti Ecclesiastici in tre volumi Conservati nei Codici dell'Archivio Patriarcale, emessi tra il 1902 e il 1905 e ristampati nel 1999. Questa definitiva pubblicazione d'archivio rende chiara la tradizione interna d'interpretazione da parte del Patriarcato ecumenico del documento del 1686, che descrive come "un Tomo sinodale" e commenta "La metropolia di Kiev continuò a essere governata da rappresentanti fino alla sua cessione al trono patriarcale di Mosca nel 1686" (citato al punto 9).

In effetti, anche lo stesso patriarca Bartolomeo prima del 2018, scrivendo ufficialmente a nome della Chiesa di Costantinopoli, ha fornito una recente conferma della tradizione di comprensione dell'Ucraina da parte del patriarcato ecumenico. Rispondendo alla notifica da parte deatriarca Alessio II (Ridiger) di Mosca (+2008) della deposizione formale da parte del patriarcato russo di Filaret Denisenko nel 1992 per gravi violazioni canoniche, ha scritto: "La nostra Santa Grande Chiesa di Cristo riconosce la giurisdizione integrale ed esclusiva della Santa Chiesa di Russia sotto la sua guida su questo tema e accetta ciò che è stato deciso sinodicamente sulla persona in questione" (citato al punto 7).

Tutto ciò costituisce una montagna di prove – citate da lettere di due stessi patriarchi di Costantinopoli – che dimostrano che alla Chiesa di Russia è stato universalmente riconosciuto il diritto esclusivo di ordinare e deporre i vescovi dell'Ucraina. Essendo questo il segno inconfondibile della subordinazione ecclesiastica, l'Ucraina è, ed è stata fin dal XVII secolo, una parte organica della Chiesa ortodossa russa. A rigor di termini, non sono necessarie ulteriori prove per sostenere il caso del libro poiché tutti gli eventi successivi dipendono dalla Chiesa a cui è stato aggiudicato il territorio dell'Ucraina.

Sebbene tale caso sia presto risolto, il metropolita Nikiphoros sottolinea che ecclesiasticamente c'è altro in discussione nell'affare dell'Ucraina. Un'altra questione chiave è la natura dell'autocefalia stessa e come può essere concessa. Questa è la sostanza di un altro capitolo storico del libro e, come prima, alcune delle migliori prove contro il patriarca Bartolomeo dopo il 2017 e quelle associate all'attuale Patriarcato ecumenico provengono dallo stesso Patriarcato ecumenico. La testimonianza efficace e convincente del patriarca ecumenico Atenagora (Spyrou) [+1972], del metropolita Ioannis (Zizioulas) e del patriarca Bartolomeo nel 2001, mostra anche la recente comprensione dell'autocefalia da parte del Patriarcato ecumenico e le condizioni necessarie per essa. Vi rimando al volume per le loro dichiarazioni particolari, ma basti dire che tutti confutano le affermazioni e le azioni del Patriarca Bartolomeo dopo il 2017 e di quelli con lui.

Questo stesso capitolo include anche analisi storiche del primo Novecento legate alla presunta “restaurazione” da parte del Patriarcato ecumenico del sacerdote ucraino deposto Makarij Maletich a un episcopato che non ha mai posseduto. Maletich aveva guidato la rinascita di uno scisma del 1921 creato dal sacerdote deposto, Vasyl Lypkivskij (+1938). L'idiosincratico Lypkivskij e il suo gruppo alla fine ripudiarono l'idea dei vescovi come fonte della successione apostolica. Senza alcun vescovo presente, un gruppo di ex sacerdoti e laici partecipò a una cerimonia durante la quale cercarono, in massa, di rendere essi stessi Lypkivskij un vescovo. Il metropolita Nikiphoros sostiene che attraverso Maletich e i molteplici cripto-"vescovi" e sacerdoti del suo scisma, il patriarca ecumenico ha introdotto nel corpo organico della Chiesa ortodossa "una 'contaminazione' ontologica del corpo episcopale a livello pan-ortodosso". (46)

In effetti, è solo rispetto a Maletich e alla sua banda che Epifanij Dumenko, noto per la sua affermazione "siamo orgogliosi di essere chiamati banderisti", può vantare credenziali episcopali superiori. [2] La sua presunta fonte episcopale era il già deposto e anatemizzato Filaret Denisenko. Il metropolita Nikiphoros è sbalordito dal fatto che il patriarca Bartolomeo abbia persino provato a trarre qualcosa da tutto ciò, tentando misteriosamente di "cancellare" [?] l'attuale metropolita Onufrij dell'Ucraina nel processo. 

Dopo aver affrontato il tema di Denisenko, il successivo, ben argomentato capitolo è l'ultimo che desidero affrontare in dettaglio. Esso offre un'attenta valutazione storica della nuova affermazione secondo cui i patriarchi ecumenici hanno il diritto di ricevere e di giudicare gli appelli dei chierici di altre Chiese locali. Questa volta, gli attuali pretendenti nel Patriarcato ecumenico si stanno opponendo ai Padri di un Concilio di Cartagine, al tomo legale (basilika) dell'imperatore Leone il Saggio e alle interpretazioni canoniche di san Nicodemo l'Agiorita e di altri, oltre, ancora, alla testimonianza storica del Patriarcato ecumenico.

Il titolo del capitolo chiede: "Il Patriarcato ecumenico ha il diritto canonico di ricevere appelli dai ricorrenti al di fuori dei suoi confini giurisdizionali?" (31). Le prove mostrano che la risposta breve è "No". Una risposta estesa proviene da ampie prove di fonti primarie. Come parte dell'affermazione di avere tale diritto, gli attuali rappresentanti del Patriarcato ecumenico hanno citato tre canoni del Concilio di Sardica del IV secolo che anche allora i papi di Roma rivendicarono per giustificare il diritto supergiurisdizionale a ascoltare gli appelli. L'autore fa notare che se il papa aveva questo diritto, allora il decreto del Concilio di Calcedonia ha dato all'arcivescovo di Nuova Roma gli stessi diritti del papa della vecchia Roma, e questo significherebbe che i patriarchi ecumenici hanno tale diritto di ricorso. Ma se il papa non aveva tale diritto, neanche i patriarchi hanno tale diritto.

Le chiavi storiche per interpretare i canoni di Sardica in questione, nota il metropolita, sono i Canoni 36 e 134 del Concilio di Cartagine del V secolo. Questi decretarono che il papa non aveva tale diritto e che un episodio in cui il papato ascoltò erroneamente un simile appello — ri-giudicando e restaurando un presbitero andato a Roma dopo essere stato formalmente deposto a Cartagine — era degno di censura sinodale. Nelle parole dei Padri di Cartagine, "Questo non lo permettiamo assolutamente". [3]  Se si legge la lettera originale del sinodo africano che castiga il papa, lo scenario non è dissimile dal recente episodio di Costantinopoli con Denisenko. Questo sia in termini di udienza di appello che di travisamento del precedente nel rivendicare il diritto di farlo (nel caso dell'episodio originario, fu il papa a travisare il Concilio di Nicea). Fondamentalmente, la lettera conciliare di Cartagine specifica che l'attuale decreto niceno "ordinava... che tutte le dispute fossero terminate nei luoghi in cui sorgono". [4]

Allo stesso modo, il metropolita Nikiphoros fa notare che le recenti interpretazioni innovative dei canoni calcedoniani per lo stesso scopo sono confutate da san Nicodemo l'Agiorita e dagli altri canonisti più autorevoli. Infine, la  Basilika  dell'imperatore Leone il Saggio è un'altra fonte chiave che confuta le attuali affermazioni di Costantinopoli. Leone scrisse seccamente che "il tribunale di un patriarca non è soggetto ad appello, né può essere rimesso a giudizio da un altro, poiché egli è la fonte di tutte le questioni ecclesiastiche, poiché tutti i tribunali sono da lui e si rivolgono a lui» (38). Anche la Novella dell'imperatore Giustiniano afferma: "Le decisioni dei patriarchi non sono appellabili" (39). Qui, ancora, abbiamo interpretazioni di fonti autorevoli che travolgono le recenti affermazioni contrarie.

Incluso nel resto del libro è uno sguardo al testo della presunta autocefalia del 2019 in cui i destinatari scismatici sono messi in una posizione che porta i segni della subordinazione ecclesiastica, dato che "La Chiesa autocefala in Ucraina riconosce come suo capo il santissimo Trono Ecumenico Apostolico e Patriarcale" (citato al punto 53). In effetti, tale subordinazione è teoricamente estesa a ogni altra chiesa nel testo. Come motivazione per tutte queste ovvie irregolarità, il metropolita postula una mentalità di quello che si potrebbe chiamare imperialismo ecclesiastico, o colonialismo: "le ambizioni del Patriarcato ecumenico sono ora estese all'intera Chiesa". (52). Nel dimostrare l'evidente novità delle pretese al primato universale per i patriarchi ecumenici, il metropolita rileva La chiara affermazione di san Nicodemo: "il primato a livello universale non esiste nella Chiesa". (55) Il metropolita offre anche una serie di esempi scritturali, incentrati soprattutto sul rimprovero di Cristo quando Giacomo e Giovanni gli chiesero il primato nel Vangelo di Marco, 10:42-44. (58)

Anche qui, secondo il modello stabilito, gli attuali vescovi e altri del Patriarcato ecumenico hanno mostrato di trascurare il patrimonio storico del Patriarcato ecumenico. L'autore cita un chiaro rimprovero del patriarca ecumenico Anthimos VII (Tsatsos) [+1913] nel 1895 a un papa di Roma che aveva affermato analogamente di essere il capo della Chiesa pochi decenni dopo l'istituzione da parte del Vaticano I di un quasi- culto del papato: "Come dimostra la storia ecclesiastica, l'unico capo eterno e immortale della Chiesa è nostro Signore Gesù Cristo..." (59)

Vale la pena leggere la sezione conclusiva e alcuni suggerimenti per una possibile uscita dall'impasse. Ne annoterò qui solo uno. Il metropolita Nikiphoros cita il metropolita Nicholas (Hatzinikolaou) di Mesogaia della Chiesa ortodossa di Grecia, il quale ha sottolineato l'assurda ironia dell'odierno patriarca Bartolomeo come uno di quei primati che "sostengono a gran voce il dialogo intercristiano e interreligioso e tuttavia rifiutano la comunicazione tra se stessi". (79)

Il metropolita Nikiphoros si permette di pensare oltre lo stallo di una Chiesa globale incatenata dal presunto bisogno di un istigatore spudorato di un problema nel convocare altri primati per correggere tale problema. Suggerisce invece che se il patriarca ecumenico non può essere fermamente spinto a convocare un simile incontro per risolvere il pasticcio, allora gli altri primati dovrebbero essenzialmente scavalcarlo, questa volta assicurandosi di escludere tutti gli attori e gli interessi politici che interferiscono con le loro considerazioni. L'autore teme che l'alternativa sia l'ottundimento e persino il pericolo di ciò che lui, come greco cipriota, avverte, può diventare il suprematismo etno-razziale come criterio per "sostenere il patriarca greco", uno scenario che teme possa ulteriormente diffondere il cancro dello scisma. (76)

Strutturalmente, ci sono alcune grafie idiosincratiche ed errori tipografici nella traduzione ("eumenico" invece di "ecumenico" a pagina ix; Amilcare Alivizatos reso come "Amilkas" a pagina 19; uso di "principale" invece di "principio" a pagina 61, ecc.) che possono distrarre leggermente e dovrebbero essere corretti in qualsiasi ristampa. È anche consuetudine traslitterare i caratteri di scrittura straniera nelle bibliografie delle traduzioni inglesi. Ma questi sono problemi minori.

In definitiva, le prove e le argomentazioni contenute in questo breve libro di stampo accademico offrono una risposta inequivocabile alla nostra domanda iniziale, ovvero se le inquietanti affermazioni fatte dal metropolita Nikiphoros sulla natura della débacle ucraina fossero valide e sostenibili. Lo sono, e nessuna quantità di false piste, spacconate o giochi di prestigio linguistici può oscurare questo fatto.

* * *

Alexander Pavuk è professore associato alla Morgan State University nel Maryland, dove si occupa di storia intellettuale e culturale americana, storia religiosa americana e scienza e religione. Il professor Pavuk ha conseguito il dottorato di ricerca e un Master in Storia presso l'Università del Delaware, un Master in Storia presso l'Università del Maryland, nella contea di Baltimora, e un BA in Storia presso la Colgate University. È autore di Respectably Catholic and Scientific: Evolution and Birth Control Between the World Wars, in uscita presso la Catholic University Press of America nel settembre 2021.

Note

[1] https://mitropolija.com/2018/12/22/mitropolit-amfilohije-vlastoljublje-carigradskog-patrijarha-je-katastrofalno-za-buducnost-pravoslavlja/ (consultato il 9 luglio 2021)

[2] https://www.pomisna.info/uk/vsi-novyny/pyshayemosya-koly-nas-nazyvayut-banderivtsyamy-mytropolyt-epifanij/ (consultato il 19 luglio 2021). "Banderisti", come notato da un importante studioso del campo, Paul Magocsi, si riferisce ai seguaci del defunto Stefan Bandera, un "nazionalista rivoluzionario sotterraneo galiziano-ucraino, dal 1929 un attivista di spicco e dal 1939 leader di una fazione (banderisti) dell'Organizzazione dei nazionalisti ucraini". (Magocsi, Ukraine: An Illustrated History [Toronto: University of Toronto Press, 2014], didascalia, 274). Dopo che le forze naziste di Hitler invasero l'URSS come parte del cosiddetto piano Lebenstraum, nel 1941, la maggior parte del territorio ucraino era gestita direttamente dal governo nazista. Con il permesso del governo generale, fu permesso di formare il Consiglio nazionale ucraino (277-78). Dopo l'espulsione delle truppe tedesche nel 1942, i banderisti si unirono all'esercito degli insorti ucraini e, nel 1944, lo guidarono (283, 285). Più tardi, quello stesso anno, i membri del gruppo che combatteva nell'esercito tedesco caddero nelle mani dell'esercito sovietico. Bandera, la cui memoria storica è dibattuta nell'Ucraina moderna, fu, quindi, un diretto collaboratore militare nazista. Come hanno sottolineato la stampa, l'attuale ambasciatore di Israele in Ucraina e gli accademici, Bandera e i suoi sostenitori in "hanno combattuto a fianco della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, hanno ucciso migliaia di ebrei e polacchi, comprese donne e bambini" in una forma di tentata pulizia etnica. Si veda, per esempio, Cnaan Liphshiz, "Hundreds march in Ukraine in annual tribute to Nazi collaborator", The Times of Israel (4 gennaio 2021) su  https://www.timesofisrael.com/hundreds-march-in-ukraine-in-annual-tribute-to-nazi-collaborator/

 (consultato il 19 luglio 2021).

[3] Cfr. l'epistola del Sinodo africano a papa Celestino nel vol. 14 di Nicene and Post-Nicene Fathers, II serie, a c. di Philip Schaff e Henry Wace, 510. (Peabody, Mass.: Hendrickson Publishers, 2004).

[4] Ibidem.

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