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  La terza unione di Costantinopoli con Roma: si chiarificano i contorni

di Kirill Aleksandrov

Unione dei giornalisti ortodossi, 10 dicembre 2020

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il patriarca Bartolomeo e il papa intendono giungere all'eucaristia comune. Foto: Unione dei giornalisti ortodossi

Il papa e il patriarca Bartolomeo hanno nuovamente affermato in futuro l'eucaristia comune. Questo significa che una nuova unione è solo questione di tempo?

V.O. Kljuchevskij ha detto: "La storia è una luce sul futuro che risplende per noi dal passato". Oggi, il patriarca Bartolomeo sta conducendo così attivamente i suoi seguaci all'unione con Roma che questo non può più essere ignorato, né può essere negato.

Di recente, il 30 novembre, il Fanar ha celebrato la sua festa patronale: la memoria dell'apostolo Andrea il Primo chiamato. Non c'erano rappresentanti delle Chiese locali alla liturgia della festa, ma era presente una delegazione vaticana. Alla predica, il patriarca Bartolomeo ha affermato che per lui ogni incontro personale con papa Francesco è "una speciale esperienza di fraternità", che rafforza il desiderio di entrambe le parti "di procedere mano nella mano, combattendo sulla via del calice eucaristico comune".

Nel messaggio al patriarca Bartolomeo in occasione della festa del santo apostolo Andrea il Primo chiamato il 30 novembre 2020, papa Francesco ha affermato: "Possiamo ringraziare Dio per il fatto che i rapporti tra la Chiesa cattolica e il Patriarcato ecumenico siano cresciuti molto nel corso del secolo scorso, anche se continuiamo a invocare l'obiettivo del ripristino della piena comunione espresso attraverso la partecipazione allo stesso altare eucaristico. Anche se permangono ostacoli, sono fiducioso che camminando insieme nell'amore reciproco e perseguendo il dialogo teologico, raggiungeremo questo obiettivo".

È facile vedere che nelle parole di papa Francesco e del patriarca Bartolomeo è risuonata la stessa tesi: la fiducia nella "partecipazione allo stesso altare eucaristico". Questo è possibile solo in una Chiesa unica. Pertanto, abbiamo il diritto di prevedere che ci sarà un'unione, l'unica domanda è: quando? E sorge un'altra domanda: chi vi parteciperà? La storia può darci le risposte.

Il Patriarcato di Costantinopoli ha cercato di organizzare due volte un'unione con il Vaticano.

Le unioni di Lione e di Firenze

La prima volta fu nel 1274 a Lione. Dal 1204 al 1261 ci fu l'Impero Latino, formatosi a seguito della distruzione dell'Impero Bizantino da parte dei crociati durante la quarta crociata. A proposito, subito dopo questa crociata, che fu diretta contro i cristiani ortodossi piuttosto che contro gli infedeli, divenne chiaro che i latini non erano più correligionari ma nemici spietati. E questa non era l'opinione dell'episcopato e dei teologi, era sentita dalla gente comune con cui i crociati si erano comportati in modo estremamente crudele. Dopo l'espulsione dei latini da Costantinopoli da parte dell'imperatore Michele VIII Paleologo, l'ex capo dell'Impero Latino, Baldovino II, si recò in Occidente e chiese al papa e ai sovrani europei di aiutarlo a tornare a Costantinopoli.

l'Impero Bizantino nel 1265

Papa Urbano IV, che era completamente dalla sua parte, iniziò a diffondere proclami che chiedevano una nuova crociata contro Costantinopoli. E lo suocero di Baldovino, Carlo I d'Angiò, che allora era un sovrano molto potente, iniziò i preparativi militari per una futura guerra con i greci. Allo stesso tempo, i bulgari e gli abitanti del Peloponneso erano in contrasto con il restaurato Impero Bizantino. Inoltre, all'interno dell'impero stesso, c'era una minaccia di insurrezione, in connessione con l'accesso illegale al trono dello stesso Michele Paleologo.

Ed è in queste condizioni che l'imperatore mise l'Ortodossia ai piedi di Roma in cambio di un sostegno politico. I negoziati su questo con papa Urbano IV, Clemente IV e Gregorio X, che si sostituirono rapidamente a vicenda, portarono alla firma dell'Unione di Lione, secondo la quale la Chiesa ortodossa di Bisanzio accettò tutti gli insegnamenti cattolici e si sottomise al papa.

Il secondo tentativo di unione avvenne nel 1439 a Firenze. L'allora imperatore Giovanni VIII Paleologo necessitava anch'egli dell'assistenza militare e del sostegno politico del papa. E allo stesso modo aveva pianificato di ripagarlo con l'Ortodossia.

l'Impero Bizantino nel 1453

I turchi ottomani circondavano Costantinopoli da ogni parte, e i greci facevano tentativi disperati per cercare in qualche modo di preservare l'Impero. Nel 1437, Giovanni Paleologo portò una delegazione di vescovi in ​​Italia per svendere l'Ortodossia e proibì loro di lasciare il Concilio di Ferrara-Firenze senza firmare un documento che subordinava la Chiesa ortodossa al papa. Solo pochi vescovi, guidati da san Marco di Efeso, si rifiutarono di firmare. Un dettaglio interessante: uno di questi vescovi, per evitare di firmare, fece finta di essere pazzo, mentre l'altro si limitò semplicemente a fuggire. L'Unione non aiutò: nel 1453 Costantinopoli fu catturata dai turchi ottomani, guidati dal sultano Mehmed II.

Entrambe queste unioni non sono state attuate nella pratica, poiché il clero ortodosso e il popolo non le hanno accettate. I sostenitori dell'unione sono stati trattati come traditori. Il disprezzo per loro era così forte che, secondo fonti storiche, anche toccarli era considerato una profanazione.

Ciò che accomuna queste due unioni non è solo il fatto che sono rimaste solo sulla carta, ma anche il motivo per cui sono state concluse. Questo motivo è politico. Costantinopoli, di fronte a una reale minaccia della fine alla sua esistenza come stato, e gli imperatori, di fronte alla reale minaccia di perdere il loro potere personale, hanno cercato di scambiare il loro bene più prezioso – l'Ortodossia – per il sostegno dell'Occidente. I vescovi, guidati dai patriarchi di Costantinopoli, li hanno assecondati e chi esprimeva disaccordo era mandato in prigione e in esilio. Cristo non ha creato la sua Chiesa come una risorsa da consegnare agli imperatori bizantini con la possibilità di disporne a propria discrezione, ma le circostanze della conclusione di entrambe le Unioni indicano che il loro atteggiamento verso la Chiesa era proprio questo.

Sogni di far rivivere la grandezza del passato

Ora, attraverso il prisma delle vicende storiche sopra citate, diamo uno sguardo all'attuale azione del Patriarcato di Costantinopoli.

Nelle parole del papa e del patriarca Bartolomeo riportate all'inizio dell'articolo, non si può non notare la fiducia nell'unificazione del Vaticano e del Fanar, sebbene le parole "raggiungeremo questo obiettivo" possono essere intese in due modi. Se per "noi" si intende il papa e il patriarca, allora l'unificazione è vista nel prossimo futuro a causa dell'età avanzata di entrambi. Se per "noi" si intende il Fanar e il Vaticano, allora la prospettiva può essere rimandata a una data successiva. Ma bisogna fare attenzione al fatto che papa Francesco parla dell'intensificazione del dialogo nell'ultimo secolo. La storia testimonia che è proprio così. È anche vero che durante questo secolo il Patriarcato di Costantinopoli ha subito dalla storia pesanti colpi, che alla fine lo hanno portato sull'orlo della completa scomparsa.

Se nel 1914, secondo varie stime, da 1,7 a 2,3 milioni di greci vivevano sul territorio dell'Impero Ottomano, e il patriarca di Costantinopoli non era solo il capo religioso dei cristiani ortodossi dell'impero ma anche il capo secolare di questo "Rūm Millet". Poi, dieci anni dopo, dopo la prima guerra mondiale, la catastrofe dell'Asia Minore, il genocidio dei greci del Ponto e lo scambio della popolazione greco-turca, che pose fine a tutti questi eventi, poco più di 200mila greci etnici rimasero in Turchia, e nei successivi cento anni, il loro numero non ha fatto che diminuire. Oggi, circa 2-3 mila greci vivono in Turchia. Si tratta principalmente dei dipendenti del Patriarcato di Costantinopoli e dei membri delle loro famiglie. Va notato che i greci etnici in Turchia sono molti di più, secondo varie stime da 400.000 a 4 milioni, ma il fatto è che si tratta di greci islamizzati che non hanno nulla a che fare con il Patriarcato di Costantinopoli.

Dopo le terribili storie sulla tragedia della popolazione greca dell'Impero Ottomano all'inizio del XX secolo, la prima cosa che viene in mente è la domanda: perché il Patriarca di Costantinopoli non ha seguito il suo gregge durante lo scambio di popolazione? Dopo tutto, il Vangelo parla abbastanza chiaramente di come dovrebbe essere un buon pastore: "...Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore". (Gv 10:11-13). Il fatto che il patriarca di Costantinopoli sia rimasto in Turchia mentre il suo gregge era praticamente tutto esiliato principalmente in Grecia è comprensibile non dal punto di vista del Vangelo, ma dal punto di vista del nazionalismo greco.

Il Patriarca è rimasto a Istanbul per "tenere il posto", per essere un simbolo dell'antica grandezza greca, e per nutrire la speranza dei greci che un giorno torneranno e Costantinopoli tornerà a diventare la magnifica capitale dell'Impero risorto. Questo è il motivo per cui i patriarchi di Costantinopoli subiscono umiliazioni e oppressioni sia da parte delle autorità turche che da parte della popolazione locale ostile. Forse questo è lodevole dal punto di vista dell'identità nazionale greca, ma si deve riconoscere che un simile atteggiamento non ha una base evangelica. Il Vangelo dà piuttosto una valutazione negativa a tale identità nazionale. Dopotutto, questo è molto simile alle aspirazioni degli ebrei al tempo di Cristo che il Messia dovrà far rivivere il regno di Davide sulla terra e che gli ebrei governeranno su tutte le nazioni. E il rifiuto da parte di Cristo di realizzare queste aspirazioni fu la spinta per il popolo che esclamò all'ingresso del Signore a Gerusalemme: "Osanna al Figlio di Davide!" e pochi giorni dopo gridò: "Crocifiggilo, crocifiggilo!"

Forse un giorno ci sarà un ritorno trionfale dei greci a Costantinopoli, ma finora abbiamo osservato come le autorità turche stiano costantemente espellendo il Patriarcato di Costantinopoli dal loro territorio. Nel 1954, con la connivenza delle autorità, avvenne un pogrom nel patriarcato. Nel 1955 ci fu un simile pogrom della comunità greca a Costantinopoli. Nel 1971 la Turchia chiuse la scuola teologica dell'isola di Halki. Nel 1994, un ordigno esplosivo fu impiantato nella chiesa di san Giorgio. Allora fu neutralizzato con successo, ma nel 1996 ci fu un'esplosione nella chiesa. Nel 2020, Hagia Sophia, che aveva lo status di museo, è stata trasformata in una moschea. E questo non è un elenco completo.

Il ritorno trionfale dei greci a Costantinopoli non è ancora visibile, ma si fa sempre più concreta la prospettiva dello sfratto del Patriarcato di Costantinopoli dalla Turchia. In queste condizioni, la storia si ripete: il Patriarcato di Costantinopoli sta cercando di trovare aiuto in Vaticano e per questo è pronto all'unione con Roma. È difficile dire su cosa conti esattamente, ma una cosa è certa: se il Fanar non avesse avuto problemi come adesso, se avesse un gregge di molti milioni di fedeli come prima, se non fosse minacciato di sfratto, ecc., allora non si getterebbe tra le braccia del Vaticano. Dopo tutto, prepararsi per l'unione è un rischio enorme. Due tentativi passati indicano che quegli imperatori e patriarchi che li iniziarono finirono molto male. Il clero e il popolo si rifiutarono semplicemente di obbedire. Pertanto, prima di fare un altro tentativo, i patriarchi di Costantinopoli stanno cercando di consolidare il loro potere nell'Ortodossia. E questo si è visto anche negli ultimi cento anni.

Il primo a portare la Chiesa all'unione?

Recentemente, la dottrina del presunto primato di potere del patriarca di Costantinopoli è già stata finalmente formata e sistematizzata. È espressa nel modo più completo nel trattato dell'attuale capo dell'arcidiocesi d'America, l'arcivescovo Elpidophoros (Lambriniadis): "Il primo senza eguali." Questo trattato si conclude con le seguenti parole: "Il primato dell'arcivescovo di Costantinopoli, come abbiamo già detto, non ha nulla a che fare con i dittici, che si limitano a esprimere un ordine gerarchico (ordine che, in definizioni contraddittorie, il documento del Patriarcato di Mosca riconosce in una certa misura, ma in realtà nega). Se parliamo della fonte del primato, allora tale fonte è la personalità stessa dell'arcivescovo di Costantinopoli, che, come vescovo, è un primo "tra pari", ma come arcivescovo di Costantinopoli e, di conseguenza, come patriarca ecumenico è un primo senza pari (primus sine paribus)".

Gli fa eco uno dei più famosi teologi greci, il metropolita Hierotheos (Vlachos) di Nafpaktos della Chiesa ortodossa di Grecia: "Il patriarca ecumenico ha una serie di compiti che sono stati riconosciuti nella pratica da tutte le Chiese ortodosse. Tra questi c'è quello di presiedere ai Concili e di concedere l'autocefalia. Chi ha questi privilegi e responsabilità esclusivi? Chiunque le neghi dovrà respingere tutte le Chiese autocefale e le autocefalie che il patriarcato ha concesso alle Chiese più giovani. <...> Il patriarca ecumenico è il primo a formare l'unità della Chiesa a immagine di Cristo, senza essere "vicario di Cristo" <...> Chi non resta in comunione con il primo, insieme al suo Sinodo, è tagliato fuori dalla comunità ecclesiale".

E l'apogeo della comprensione perversa della natura stessa della Chiesa è l'affermazione del metropolita Amphilochios di Adrianopoli della Chiesa greca: "C'è un'opinione secondo cui la Chiesa ortodossa è guidata da Gesù Cristo. Ma in realtà la Chiesa è guidata dal patriarca ecumenico".

L'archimandrita Sofroniy (Sakharov) (1896-1993), che, a proposito, faceva parte della Chiesa di Costantinopoli ed è stato canonizzato da essa un anno fa, avvertì che una tale visione del mondo del Fanar avrebbe inevitabilmente portato alla negazione del dogma sulla Chiesa nella forma in cui esso fu formulato al secondo Concilio ecumenico del 381:

"Attualmente, nel profondo della nostra santa Chiesa, c'è un grande pericolo di pervertire l'insegnamento dogmatico su di essa, e quindi il pericolo di pervertire il suo essere, perché la coscienza dogmatica è organicamente collegata con l'intero corso della vita spirituale interiore. <…> La perdita della verità dogmatica, per la sua conseguenza irreparabile, avrà la perdita della possibilità di una vera conoscenza di Dio, la cui pienezza è data alla Chiesa. <...> Se ora distorciamo l'insegnamento sulla Chiesa e, di conseguenza, l'immagine del suo essere, allora come potrà servire i suoi figli sulla via della verità? Ci si può chiedere, ma dove si vede ora questa distorsione? Rispondiamo: nel neopapismo di Costantinopoli, che sta cercando rapidamente di passare da una fase teorica a una pratica".

Si può presumere che non tutti i vescovi del Patriarcato di Costantinopoli condividano l'aspirazione del patriarca Bartolomeo alla guida della Chiesa. Se guardiamo alla situazione che si è sviluppata nelle Chiese greca e cipriota e in misura minore in quella alessandrina dopo il loro riconoscimento della "Chiesa ortodossa dell'Ucraina", questo simbolo del primato del Fanar, vedremo che ci sono molti vescovi che si sono opposti fermamente a tale riconoscimento. Inoltre, questo disaccordo è stato supportato da argomentazioni così forti che, per esempio, il primate della Chiesa di Cipro, l'arcivescovo Chrysostomos, non ha trovato altri argomenti oltre alle minacce di deposizione. Nella stessa Chiesa di Costantinopoli, l'episcopato finora ha tacitamente concordato con la politica del patriarca Bartolomeo e di altri sostenitori del neopapismo di Costantinopoli, ma presto potrebbe arrivare il momento della verità in cui è necessario fare una scelta per l'una o per l'altra strada.

Presumibilmente, un tale momento arriverà nel 2025 durante la celebrazione del 1700° anniversario del primo Concilio ecumenico. Non c'è motivo migliore per il patriarca Bartolomeo e per papa Francesco di unire a un certo livello le strutture ecclesiali da loro guidate. Nel 325, al primo Concilio ecumenico di Nicea, in primo luogo, c'era una Chiesa unica sia in Occidente che in Oriente, e in secondo luogo, non erano state sollevate affatto questioni sul Filioque e sul primato del papa.

È vero, allora la Chiesa di Costantinopoli non esisteva come tale, poiché non c'era Costantinopoli. Il santo imperatore Costantino il Grande trasferì la capitale dell'impero nella città di Bisanzio solo nel 330 e fino al secondo Concilio ecumenico (381) la città era sotto la giurisdizione del metropolita di Eraclea. Ma nessuno ricorderà questo fastidioso malinteso. E ora, molto presto, il clero e il popolo greco dovranno dimostrare di essere degni della memoria dei loro antenati che non hanno accettato le unioni di Lione e di Firenze. Mi piacerebbe credere che la stessa fine ingloriosa attenda la nuova unione.

Tuttavia, il tempo lo dimostrerà...

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