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  Il Concilio in Giordania: speranze e prospettive

dell'arciprete Vadim Leonov e di Dionysius Reddington

Orthochristian.com, 3 febbraio 2020

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Sua Beatitudine il patriarca Theophilos III di Gerusalemme ha preso l'iniziativa di invitare i capi delle Chiese ortodosse locali a riunirsi in Giordania, con la speranza che si possano compiere alcuni progressi per porre fine alla grave crisi nell'Ortodossia mondiale. Diversi primati hanno accettato ufficialmente l'invito, molti lo hanno rifiutato ufficialmente, mentre il resto non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali di accettazione o di rifiuto. L'arciprete Vadim Leonov, dottorando in Teologia e docente al Seminario teologico Sretenskij, che ha studiato a fondo la storia dell'autocefalia nella Chiesa ortodossa, offre un'analisi e un piano per il concilio. Ma, cosa molto importante, l'autore mostra il degrado nel tempo dei tomoi di Costantinopoli, che hanno recentemente escluso il ruolo direzionale del nostro Signore Gesù Cristo. Dove sta cercando di condurci Costantinopoli?

icona della Chiesa di Cristo

È trascorso un anno da quando il Fanar ha creato la "Chiesa ortodossa dell'Ucraina". I miti greci su come questa struttura avrebbe portato qualcosa di buono alla vita del popolo ucraino, su come avrebbe unito gli ortodossi ucraini, sono stati completamente sfatati. La "Chiesa ortodossa dell'Ucraina" non ha nemmeno potuto unire i propri scismatici e auto-consacrati. Il leader della lotta per l'autocefalia ucraina, Mikhail [Filaret] Denisenko, visto che la "Chiesa ortodossa dell'Ucraina" è in realtà un sotto-dipartimento vassallo del Patriarcato di Costantinopoli, l'ha lasciata per tornare alla sua stessa creazione, il "patriarcato di Kiev". Com'era ovvio sin dall'inizio, così è risultato: con le sue azioni il patriarca Bartolomeo ha avviato una crisi mondiale nella Chiesa ortodossa. Sfortunatamente, non si è fermato a questo e continua a muoversi nella stessa direzione, cercando di stabilire la propria signoria totale sull'Ortodossia mondiale. Ora sta destabilizzando la vita della Chiesa ortodossa serba, interferendo con gli eventi nella Macedonia settentrionale. Gli scismatici montenegrini, incoraggiati dalle sue azioni in Ucraina, stanno anch'essi diventando attivi, conducendo il loro paese sull'orlo di una crisi non solo ecclesiastica, ma anche politica. Le ammonizioni fraterne al patriarca Bartolomeo da parte di primati di Chiese locali, vescovi, sacerdoti e laici non hanno avuto alcun effetto.

È logico e inevitabile che il prossimo passo sia un Concilio ecclesiastico, di cui hanno parlato molti vescovi e che è stato di fatto avviato dal patriarca Theophilos III di Gerusalemme, che ha offerto a tutti i capi delle Chiese locali di "radunarsi prima della fine di febbraio e prima dell'inizio della santa Quaresima" in Giordania. Il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli ha risposto con un netto rifiuto a questo invito del patriarca Theophilos, vedendo in esso un attentato al suo primato:

"Non è necessario ricordarle la posizione che il suo Patriarcato ricopre nell'ordine dei Dittici della santissima Chiesa ortodossa, nonché il fatto che, secondo l'ordine canonico, che è stato sempre e fino a poco tempo fa rispettato da tutte le Chiese ortodosse, le sinassi pan-ortodosse dei primati sono sempre convocate dal patriarca ecumenico, che le presiede.

Quale tipo di unità ricerca la sua iniziativa se il primo nell'ordine tra i primati ortodossi è assente dalla sinassi da lei proposta?" [1]

Queste parole contengono la menzogna secondo cui, secondo un certo ordine canonico, i Concili pan-ortodossi possono essere convocati solo dal patriarca di Costantinopoli. Tali norme ecclesiastiche generali non esistono. Se al patriarca Bartolomeo sembra che un tale diritto provenga da una sorta di primato, allora va ricordato che nel primo millennio il primato era detenuto dai papi romani, ma non erano loro a convocare i Concili ecumenici; piuttosto era l'imperatore a convocarli, e non perché gli fossero delegati tali diritti, ma semplicemente per necessità quotidiana. Dopo la scomparsa degli imperatori, non ci sono norme canoniche in materia. Qui abbiamo davanti a noi ancora un altro esempio della creazione del mito canonico del Fanar.

Lo stesso vale per le sue pretese di precedenza [ai concili]. Procedendo dal loro rispetto per il primato d'onore, i patriarchi ortodossi hanno riservato il primo posto ai concili ai patriarchi di Costantinopoli. Tuttavia, se i patriarchi di Costantinopoli erano accusati di questioni ecclesiastiche – e ci sono stati molti casi simili nella storia – la precedenza sarebbe stata conferita ad altri primati o vescovi autorevoli.

Nella sua risposta, il patriarca Bartolomeo esprime anche il suo risentimento per il fatto che l'epistola del patriarca Theophilos non fosse scritta in greco ma in inglese, anche se è ovvio che il primate della chiesa di Gerusalemme usa la lingua inglese non solo nella sua corrispondenza personale, ma anche nell'esecuzione di atti ecclesiastici generali, rivolgendosi ad altri primati nella stessa lingua. In ogni caso, le persone che comunicano tra di loro in modo appropriato, se si preoccupano del beneficio comune, non fanno della lingua un serio motivo di indignazione; ma questo non si applica al patriarca Bartolomeo, che scrive:

"Innanzi tutto, siamo spiacevolmente sorpresi dal fatto che per la prima volta nella lunga storia dei nostri due patriarcati, il giustamente chiamato "Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme" corrisponda con il patriarca ecumenico in una lingua estranea alla nostra madre[lingua], come se avesse improvvisamente smesso di sentire lo stesso sangue e condividere con noi la stessa Razza [Γένος] storica e martirica, a cui naturalmente la Divina Provvidenza ha affidato da secoli la protezione dei luoghi sacri di pellegrinaggio in Terra Santa attraverso la Confraternita del Santo Sepolcro". [2]

La lettera del patriarca Bartolomeo, che porta il titolo di "ecumenico", abbonda di argomentazioni nazionalistiche greche. È molto preoccupato e si oppone a

"Quei tentativi, ben noti dalla storia, di infiltrarsi nei luoghi santi da parte di poteri esterni alla nostra Razza" [3] (ξένων πρός τό ἡμέτερον Γένος δυνάμεων).

Il patriarca Bartolomeo è preoccupato per

"Le conseguenze che questa attività avrebbe per la Chiesa e la Razza" [4] [διά τάς συνεπείας, τάς ὁποίας θά εἶχεν ἡ ἐνέργεια αὕτη διά τήν Ἐκκλησίαν καί τό Γένος ].

Qui è molto importante notare che il patriarca Bartolomeo sostiene il suo rifiuto di partecipare al Concilio come 1) umiliazione del proprio primato e 2) denigrazione degli interessi nazionali greci. Entrambi questi punti sono eresie: la prima è l'eresia del papismo e la seconda è l'eresia dell'etnofletismo.

Subito dopo la sua consultazione con l'ambasciatore americano in Grecia, Geoffrey Pyatt, che si è svolta il 22 novembre 2019, l'arcivescovo Hieronyomos della Grecia ha rifiutato di partecipare al Concilio. L'arcivescovo Chrysostomos di Cipro, che in precedenza aveva combattuto per una soluzione conciliare alla crisi contemporanea, ha rapidamente cambiato opinione e non parteciperà al Concilio. Per quanto riguarda gli altri undici primati delle Chiese, alcuni di loro hanno già sostenuto l'idea di convocare un Concilio, mentre altri non hanno ancora reso pubbliche le loro opinioni. Ovviamente, se il Concilio avrà luogo, non sarà completo; e la domanda sorge spontanea: dovrebbe essere condotto anche in un formato così troncato?

È la nostra più profonda convinzione che dovrebbe avere assolutamente luogo. Questo perché può decidere diversi compiti preparatori molto importanti, senza i quali non è possibile un'uscita costruttiva da questa crisi a livello ecclesiale.

Linee di discussione strategiche in seno al Concilio

In prima approssimazione, possono essere esaminati due approcci tematici per la discussione conciliare.

Il primo approccio: esaminare la canonicità delle azioni del patriarca Bartolomeo in Ucraina. Sebbene questo tema sembri essere la priorità, è in effetti un vicolo cieco in molti modi. Possiamo parlare all'infinito di antiche gramote, canoni, scismatici e auto-consacrati, presentando esempi storici, citando i santi Padri, raccontando le conseguenze e possiamo convincere tutti i partecipanti al Concilio con questi argomenti, ma il patriarca Bartolomeo non è d'accordo con loro. Interpreta queste gramote, canoni e risoluzioni a modo suo. Uno scambio di tali opinioni ha già avuto luogo, per esempio tra lui e il primate della Chiesa albanese, l'arcivescovo Anastasios; e indipendentemente dall'argomento convincente di quest'ultimo, questo scambio non ha portato a nulla.

Possiamo continuare in questo stile di dialogo indefinitamente, perché le interpretazioni dei canoni differiscono e sono applicate in modi diversi in particolari condizioni storiche; esiste una massa di precedenti di allontanamento dai canoni, e quindi tutte queste informazioni possono essere manipolate fino allo sfinimento, ma ognuno rimarrà con la propria opinione. Tuttavia, la particolarità della situazione attuale sta nel fatto che il patriarca Bartolomeo ha già completato la sua azione distruttiva; sta mettendo radici nella terra ucraina e le parole dei suoi avversari rimangono solo parole.

Se qualcuno rivolge la sua attenzione all'età e alla malattia di Bartolomeo, allora è necessario prendere in considerazione che i suoi successori fanarioti continueranno con la sua politica, che hanno chiarito più di una volta, e quindi ogni speranza che questi argomenti convincano se non il primate del Patriarcato di Costantinopoli, almeno i suoi successori, è assolutamente utopica. Inoltre, se dovessimo supporre la situazione assolutamente fantastica che il patriarca Bartolomeo, sotto l'influenza degli argomenti canonici approvati dal Concilio in Giordania o da qualsiasi altro Concilio ecclesiastico, ammettesse di aver permesso che accadesse un errore e ritirasse il suo tomos, ciò non risolverebbe ancora il problema principale e allo stesso tempo la causa principale dell'attuale crisi: il patriarca di Costantinopoli si impegna a sottomettere tutta l'Ortodossia mondiale a se stesso. Ciò non cambierebbe la strategia papista dei fanarioti, che li spinge a interferire nella vita delle Chiese locali, attribuendo a se stessi diritti mega-galattici. Senza superare il problema del papismo di Costantinopoli, è impossibile risolvere tutti gli altri problemi.

Il secondo approccio, con chiare prospettive di superare l'attuale crisi, consiste nel concentrare le discussioni in seno al Concilio sul piano dogmatico e registrare chiaramente che un'eresia ecclesiologica è sorta nella vita della Chiesa ortodossa contemporanea: il papismo. Quest'eresia, ben nota dalla storia del trono romano, portò alla caduta del latinismo dall'Ortodossia; e ora, 1000 anni dopo, rinasce per mano del patriarca della Nuova Roma, Bartolomeo. È facile dimostrare la presenza di questa eresia dai suoi testi e azioni.

Secondo l'insegnamento ortodosso, chiaramente espresso nella Sacra Scrittura, Cristo è il capo della Chiesa: ed è il Salvatore del corpo (Ef 5:23). È costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (Ef 1:22-23). Tutti i cristiani, compresi i primati delle Chiese locali, sono membri del corpo spirituale di Cristo. Il primato in tutta la Chiesa non appartiene a nessuna persona ma solo a Cristo, poiché Cristo è il capo del corpo, la Chiesa: è il suo principio, il primogenito dai morti; perché possa avere la preminenza in tutte le cose (Col 1:18). Durante il tempo della sua vita terrena il Signore giudicò i suoi discepoli che cercavano il primato e diede loro una risposta valida per tutti i tempi: se qualcuno desidera essere il primo, che sia l'ultimo di tutti, e il servo di tutti (Mc 9:35), e quindi qualsiasi sete di primato è un grave segno di degrado spirituale e di teomachia (lotta contro Dio).

I partecipanti al Concilio e l'Ortodossia mondiale devono fare i conti con la domanda principale: chi è il capo della Chiesa ortodossa: il Signore Gesù Cristo o il Patriarca di Costantinopoli? E a seconda della risposta, sarà chiaro chi siamo: la Chiesa di Cristo, o una setta totalitaria sotto il dominio di un leader deificato al Fanar.

In questa ottica di discussione, i principali atti del Concilio potrebbero essere i seguenti:

  1. Confermare il noto insegnamento ortodosso sul primato e la direzione di Cristo nella Chiesa.
  2. Spiegare il principio della conciliarità e dell'accettazione delle decisioni pan-ortodosse.
  3. Condannare l'eresia del papismo nella storia latina e nelle sue manifestazioni moderne.
  4. Registrare le accuse di eresia di papismo contro il patriarca Bartolomeo, confermate non solo da una moltitudine di suoi discorsi e documenti, ma anche dalle sue azioni in Ucraina e in altre regioni del mondo.

Dopo aver specificato queste posizioni, il Concilio in Giordania potrebbe quindi rivolgersi a tutte le Chiese locali con la richiesta di convocare un Concilio ecumenico pan-ortodosso per superare la crisi causata dalle parole e dalle azioni del patriarca Bartolomeo. Poiché saranno mosse accuse contro il patriarca Bartolomeo, questi non avrà il diritto di convocare un simile Concilio, ma dovrebbe essere invitato a farlo e ad apparire come imputato.

Se qualcuno è preoccupato che se la focalizzazione del Concilio viene spostato dall'Ucraina al Patriarca Bartolomeo, la crisi ucraina rimarrà irrisolta, tali preoccupazioni sono vane. È proprio questo approccio che può essenzialmente spostare la crisi ucraina dal suo vicolo cieco. Perché, se il patriarca Bartolomeo fosse riconosciuto come eretico, allora non solo sarà deposto, ma tutte le sue decisioni e azioni condizionate dal papismo saranno annullate.

In parte, diventerà invalido il famigerato tomos ucraino, in cui si afferma direttamente: "L'autocefalia della Chiesa d'Ucraina accetta come capo (κεφαλὴν) il Trono ecumenico patriarcale e tutto santo, così come fanno altri patriarchi e primati". Cioè, è presente un'affermazione che il patriarca di Costantinopoli è il capo non solo della "Chiesa ortodossa dell'Ucraina", ma di tutte le Chiese locali, e che presumibilmente "altri patriarchi e primati" accettano tale affermazione.

Indubbiamente, l'accusa di eresia è un passo serio, e forse sorge una certa paura nel formularla. Tuttavia, ignorare questo fatto porterà a conseguenze catastrofiche per l'Ortodossia mondiale ed è impossibile correggere la situazione che si è verificata senza rimuovere la causa principale.

Dobbiamo riconoscere che si sono viste per lungo tempo affermazioni papiste nelle azioni del patriarca di Costantinopoli; sono fissate in documenti, ma in precedenza non hanno arrecato un danno così sostanziale alla Chiesa. La differenza qualitativa nel papismo moderno consiste nel fatto che le parole corrispondenti hanno iniziato a prendere corpo in atti concreti da parte del patriarca di Costantinopoli. Non notare questo significa sottoporre la Chiesa ad ulteriori atti distruttivi da parte del papa di Costantinopoli. Diamo una breve occhiata ad alcuni documenti di riferimento in questa storia.

La genesi del papismo di Costantinopoli nei documenti sull'autocefalia delle chiese

Tentare di sottoporre le Chiese locali a se stesso e offrire loro sotto le spoglie dell'autocefalia uno status di vassalli è qualcosa che il Patriarcato di Costantinopoli sta facendo da molto tempo ormai, ma fino a tempi recenti questi tentativi sono stati neutralizzati con successo. Per esempio, nell'originale Gramota di conferma del Patriarcato di Mosca del 1590, il patriarca di Costantinopoli in persona afferma che il primate di Mosca dovrebbe "commemorare il nostro nome e gli altri, e mantenerli come capi e sovrani e onorare il trono apostolico di Costantinopoli, come anche gli altri patriarchi". [5] Subito dopo aver ricevuto questa Gramota a Mosca, furono scoperte parole inaccettabili e una massa di altre inadeguatezze. Ben presto, nel 1593, per correggerle furono chiamati a Costantinopoli alcuni vescovi orientali, che rappresentavano la pienezza della Chiesa ortodossa in quel momento. A questo Concilio parteciparono i patriarchi di Costantinopoli, di Alessandria (che al momento governava la cattedra di Antiochia) e di Gerusalemme. Il Concilio confermò la concessione del patriarcato alla Chiesa russa e nel suo documento finale rimosse completamente la formulazione autoritaria di Costantinopoli della Gramota originale e decise che il patriarca di Mosca "doveva essere, ed essere chiamato, fratello dei patriarchi ortodossi, per forza del suo titolo, di uguale rango e di uguale trono e pari per rango e dignità". [6] Qui non vi è alcuna soggezione; piuttosto la relazione è costruita secondo un principio fraterno, con uguali diritti. Il patriarca di Mosca è "uguale per rango e dignità" a tutti i patriarchi orientali, il che significa anche quello di Costantinopoli. La Chiesa russa è stata guidata da questa ultima risoluzione conciliare fino ai giorni nostri. Quindi, quel tentativo del Patriarcato di Costantinopoli di imporre una relazione papista su Mosca fu eliminato. [7]

In realtà, ci sono non pochi documenti ecclesiastici in cui i patriarchi di Costantinopoli rinunciarono al più alto livello all'idea del dominio papista sulle altre Chiese locali. Per esempio, nell'epistola circolare della chiesa di Costantinopoli del 1895, si dice:

"I padri divini, onorando il vescovo di Roma solo come vescovo della città imperiale dominante, gli concessero l'onore del privilegio di precedenza, considerandolo semplicemente il primo tra gli altri vescovi, cioè il primo tra uguali, e in seguito lo stesso privilegio fu dato al vescovo della città di Costantinopoli, quando quella città divenne la città dominante nell'Impero Romano, come testimonia il Canone 28 del quarto Concilio ecumenico di Calcedonia... Da questo canone è evidente che il vescovo romano è uguale in onore al vescovo della Chiesa di Costantinopoli e ai vescovi di tutte le altre Chiese, e in nessun canone, né per nessuno dei padri c'è nemmeno un indizio che il vescovo di Roma sia l'unico capo della Chiesa cattolica e infallibile giudice dei vescovi delle altre Chiese indipendenti e autocefale". [8]

È ovvio che qui non è riconosciuto alcun primato di potere o di giudizio, né per Roma né per Costantinopoli, e il principio del "primo fra pari" è qui chiaramente confermato. Sfortunatamente, siamo costretti ad ammettere che l'attuale patriarca di Costantinopoli e il suo circolo interno hanno rinunciato nelle loro parole e azioni alla chiara, vera posizione ortodossa dei loro antenati.

È interessante osservare lo sviluppo delle tendenze papiste nell'esempio dei tomoi che il Patriarcato di Costantinopoli ha concesso negli ultimi 170 anni. Nei documenti sull'autocefalia delle Chiese locali, che erano stati concessi prima del 1990, veniva sempre dichiarato un rapporto di parità. Inoltre, nel tomos della Chiesa greca (1850), il patriarca di Costantinopoli non solo non rivendicava il comando della Chiesa, ma riconosceva come capo solo il Signore Gesù Cristo:

"La Chiesa ortodossa nel Regno di Grecia, avendo come guida e capo, proprio come l'intera Chiesa cattolica ortodossa, il nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, da ora in poi legalmente indipendente..."

Il patriarca di Costantinopoli considera la Chiesa greca uguale a se stessa e fraterna:

"Istituito da questo atto conciliare, con la presente riconosciamo e pronunciamo il Santo Sinodo in Grecia come un fratello nello spirito... la Chiesa ellenica indipendente, e il suo Sinodo, in Spirito fratello nostro e di tutte le altre Chiese ortodosse locali".

Trentacinque anni dopo, nel tomos della Chiesa romena (1885), si sottolinea anche l'immutabile verità dogmatica secondo cui solo il Signore Gesù Cristo è il capo della Chiesa, e non ci sono ancora tentativi a quel livello da parte di alcun patriarca di Costantinopoli:

"...in modo che la Chiesa ortodossa in Romania si mantenga... indipendente e autocefala... non riconoscendo nella propria regola interiore qualsiasi altra autorità ecclesiastica, oltre al vero capo dell'unica Chiesa cattolica e apostolica, il divino redentore, che solo è la principale pietra angolare e l'eterno ierarca e arcipastore".

Il Sinodo di Costantinopoli accetta il Sinodo romeno come uguale a se stesso e come soggetto:

"Dichiariamo il suo Santo Sinodo come amato fratello in Cristo, che gode di tutti i vantaggi e i diritti sovrani di una Chiesa autocefala ... Pertanto, sulla base di tutto ciò, la nostra santa e Grande Chiesa di Cristo benedice dalla profondità della sua anima la sua sorella autocefala e amata in Cristo, la Chiesa romena".

È stato l'ultimo documento d'autocefalia del Patriarcato di Costantinopoli in cui le risoluzioni ecclesiastiche sono costruite su basi dogmatiche chiare e formulate correttamente. Nei tomoi concessi in seguito questa verità non è pronunciata.

Nel tomos unificato della Chiesa serba nel 1922, non è ancora espresso un impegno per la direzione universale di Costantinopoli, che accetta

"La Santa Chiesa ortodossa serba autocefala unita che è sorta, come una sorella in Cristo, che possiede e gode di tutti i diritti dell'autocefalia, in accordo con i diritti e la costruzione della santa Chiesa ortodossa".

Tuttavia, il dominio di Cristo sulla Chiesa non è più menzionato.

Nel 1924, un rapporto analogo, senza pretese di dominio, viene formulato nel tomos della Chiesa polacca:

"Diamo la nostra benedizione che da questo momento in poi sia governata come una sorella spirituale e che decida le proprie questioni in modo indipendente e autocefalo, secondo il rango e i diritti illimitati delle altre sante Chiese autocefale ortodosse, riconoscendo come suprema autorità ecclesiastica il Santo Sinodo, che consiste dei vescovi canonici ortodossi in Polonia, avendo ogni volta come primate sua eminenza il metropolita di Varsavia e di tutta la Polonia".

Non c'è nulla di dichiarato qui su alcun giudizio supremo, appello al patriarca di Costantinopoli o alla sua autorità.

Nel 1937, una delle più piccole Chiese locali, la Chiesa albanese, quando ricevette l'autocefalia acquisì anch'essa un rapporto di uguali diritti con Costantinopoli e le altre Chiese:

"Questa Chiesa, che è la nostra sorella spirituale, d'ora in poi condurrà il suo autogoverno in modo indipendente e autocefalo".

Nel 1945 anche la Chiesa bulgara fu chiamata "sorella spirituale" , e il suo capo non è il patriarca di Costantinopoli, ma il Sinodo bulgaro con il suo primate:

"D'ora in poi è riconosciuta come nostra sorella spirituale; che si governi e istituisca i suoi affari in modo indipendente e autocefalo in conformità con l'ordine e i diritti sovrani di tutte le altre Chiese autocefale ortodosse, riconoscendo come suprema autorità ecclesiastica il Santo Sinodo, che consiste di vescovi, e il cui primate è sua Beatitudine il metropolita di Sofia ed esarca di tutta la Bulgaria".

Nel 1990, viene dichiarata la completa indipendenza e una relazione paritaria nei confronti della Chiesa georgiana:

"La riconosciamo [la Chiesa georgiana] come nostra sorella spirituale, che possiede il pieno potere di governare e condurre gli affari interni in modo indipendente e autocefalo".

Tuttavia, con l'ascensione al trono di Costantinopoli del patriarca Bartolomeo (1991), la formulazione nei tomoi cambia sostanzialmente. Nel 1998, nel tomos della Chiesa delle Terre ceche e della Slovacchia, non si parla di uguali diritti. Qui per la prima volta in documenti di così alto rango, il patriarca di Costantinopoli dichiara le sue pretese sulla diaspora di tutto il mondo:

"Tutti coloro che si trovano nelle terre barbare, cioè tutti i cristiani situati al di fuori dei confini della santa Chiesa patriarcale e delle Chiese autonome, sono esclusivamente sotto la cura spirituale del grande trono della Nuova Roma".

Il patriarca di Costantinopoli pone il giudizio ecclesiastico di questa Chiesa sotto il proprio controllo, conferendo a se stesso il diritto di supremo giudizio sul clero della Chiesa delle Terre ceche e della Slovacchia:

"I diaconi e i sacerdoti sono soggetti ai giudici di secondo livello, i vescovi ai giudici di primo livello, e per tutte le questioni relative ai loro doveri sono soggetti al giudizio, secondo i canoni santi canonicamente istituiti, ai giudici sinodali, per la cui opera saranno invitati, secondo l'accordo con il patriarca ecumenico, esclusivamente vescovi dalla giurisdizione della Chiesa madre, cioè dal Trono ecumenico. Il giudizio dei vescovi a cui ci si appella per le decisioni finali può essere indirizzato al patriarca ecumenico".

Cioè, i tribunali ecclesiastici di questa Chiesa locale sono autorizzati "esclusivamente dalla giurisdizione della Chiesa madre, cioè dal Trono ecumenico". Non si può parlare dell'indipendenza di questa Chiesa.

Proprio la situazione discriminatoria in questo tomos è diventata la causa di una profonda crisi interna nella Chiesa delle Terre ceche e della Slovacchia nel 2012, quando i vescovi di questa Chiesa hanno rifiutato di adempiere alla sezione sopra citata e hanno introdotto cambiamenti nella loro costituzione. Il patriarca Bartolomeo ha minacciato l'arcivescovo Kryštof di annullare il tomos e rendere la Chiesa delle Terre ceche e della Slovacchia non più che una parte del Patriarcato ecumenico. Una pressione senza precedenti è stata posta sul metropolita Kryštof, che è stato costretto a ritirarsi. Il patriarca Bartolomeo non ha riconosciuto il nuovo primate fino a quando quest'ultimo non ha firmato un accordo scritto per portare la costituzione in accordo con il testo del tomos difettoso, nell'ambito del quale le relazioni con tutto il resto del mondo ortodosso e la risoluzione delle questioni interortodosse dovrebbero essere condotte dalla Chiesa delle Terre ceche e della Slovacchia solo previo accordo con Costantinopoli. Non c'è alcuna espressione nel testo che mostri relazioni di uguali diritti, ma al contrario, si sottolinea la subordinazione. Ora il Patriarcato di Costantinopoli non è più la "Chiesa fraterna", o la "Chiesa sorella", ma la "Chiesa madre", che controlla strettamente la sua "figlia". In sostanza, viene creata una struttura ecclesiale subordinata, ma in questo tomos non si parla ancora della direzione del patriarca di Costantinopoli sulle Chiese locali e sull'Ortodossia mondiale.

L'apoteosi dell'autoesaltazione del patriarca di Costantinopoli e allo stesso tempo del degrado del suo destinatario è il famigerato Tomos ucraino, concesso nel gennaio del 2019. Qui abbiamo riunito non solo tutto il passato, che gli consente di enfatizzare lo status di secondo grado della "autocefalia" ucraina, ma anche molti punti esclusivi, ideati proprio per questo evento. Nel testo del tomos ucraino si dichiara senza alcuna logica convincente:

• il diritto del patriarca di Costantinopoli avere un giudizio supremo e perentorio non solo su tutto il clero della Chiesa ortodossa dell'Ucraina, ma anche su tutte le Chiese locali;

• la subordinazione al patriarca di Costantinopoli di tutta la diaspora ortodossa in tutto il mondo e le limitazioni alle attività delle Chiese locali nell'ambito dei confini degli stati nazionali originali;

• il riconoscimento che il patriarca di Costantinopoli ha la massima autorità nella risoluzione di questioni dogmatiche, canoniche e di altra natura ecclesiastica;

• riconoscimento del diritto del patriarca di Costantinopoli di interferire negli affari interni della Chiesa ortodossa dell'Ucraina e di tutte le Chiese locali;

• il diritto del patriarca di Costantinopoli di avere un esarcato in Ucraina e un gran numero di stravropegie;

• e il punto più oltraggioso: una sostituzione della direzione di Cristo nella Chiesa con la direzione del patriarca di Costantinopoli: "La Chiesa autocefala dell'Ucraina riconosce come suo capo (κεφαλὴν) il Trono ecumenico apostolico e patriarcale, così come fanno altri patriarchi e primati".

Come è già stato discusso in precedenza, i rappresentanti del patriarca di Costantinopoli hanno tentato di legalizzare questa formulazione per quanto riguarda la Chiesa ortodossa russa nel 1590, ma quel tentativo è stato neutralizzato nel Concilio di Costantinopoli del 1593. Successivamente, questa idea papista non si incontra in un solo tomos, ma è di nuovo scritta nel tomos della "Chiesa ortodossa dell'Ucraina". Questa frase distrugge l'autocefalia non solo della struttura data, ma anche di tutte le Chiese locali, perché proclama che "anche altri patriarchi e primati" riconoscono il patriarca di Costantinopoli come il loro capo. Cioè, l'effetto di questo principio, secondo il tomos, si estende a tutte le Chiese locali e a tutti i primati che lo riconoscerebbero.

È impensabile che il capo di una Chiesa autocefala sia il primate di un'altra Chiesa locale. Inoltre, nel proclamarsi il capo di tutte le autocefalie, il patriarca di Costantinopoli si fa capo di tutte le Chiese ortodosse; e chi è allora Cristo nella Chiesa? Questo estratto è una delle conferme documentate dell'eresia del papismo del patriarca di Costantinopoli.

Il sotterfugio bizantino nel tomos ucraino consiste anche nel fatto che è scomodo per altre Chiese locali confutare il testo, perché non è stato indirizzato direttamente a loro; tuttavia, riconoscendo la "Chiesa ortodossa dell'Ucraina", accettano implicitamente il suo contenuto come se fosse in vigore, rientrano nelle sue determinazioni e diventano partecipanti alla diffusione dell'eresia del papismo di Costantinopoli.

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Pertanto, il Concilio in Giordania è il primo vero tentativo di superare la crisi nell'Ortodossia mondiale, ma l'ulteriore progressione degli eventi ecclesiastici dipende sostanzialmente dalla strategia scelta in seno al Concilio. Se c'è successo nel determinare chiaramente il problema principale e nel chiamare tutti gli ortodossi a partecipare alla sua risoluzione, allora il Concilio avrà successo, indipendentemente dai primati che vi partecipano. Inoltre, i partecipanti al Concilio che difendono la purezza della fede ortodossa e l'insegnamento della Chiesa diventeranno il centro naturale di consolidamento per gli ortodossi di varie nazionalità e paesi, per i quali la Chiesa non è un organo rudimentale del defunto Impero Bizantino, ma il corpo vivente di Cristo.

Inoltre, il Concilio in Giordania può:

• Diventare un esempio della rinascita dell'attività conciliare vivente nella Chiesa, dove non vengono approvate in anticipo risoluzioni preconfezionate, ma dove le idee nascono nel corso di un dialogo e di una discussione chiari;

• Delineare le aree problematiche della moderna vita ortodossa in tutta la Chiesa;

• Registrare le dinamiche e i risultati di quei cambiamenti in Ucraina verificatisi dopo che è stato concesso il tomos agli scismatici ucraini;

• Sottolineare le cause della crisi della Chiesa contemporanea, distinguendo quali di esse dovrebbero essere superate come prima priorità;

• Elaborare una "tabella di marcia" per risolvere la crisi che può essere sottoposta a discussione per tutte le Chiese locali.

L'adempimento anche di uno solo di questi punti giustificherebbe un Concilio in Giordania e l'assenza del patriarca Bartolomeo e dei primati che dipendono da lui consentirebbe l'opportunità di spostare il processo critico dal suo vicolo cieco.

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Contributi dei fedeli ortodossi

Vorremmo qui offrire alcuni input che abbiamo ricevuto alla fine di novembre 2019, delineando ciò che un lettore vorrebbe veder accadere al Concilio. Troviamo interessante che questo lettore (che ha anche contribuito con articoli a OrthoChristian.com), che non ha avuto contatti con l'autore dell'analisi di cui sopra, condivida un punto di vista quasi identico. Vediamo questo come un'indicazione che i cristiani ortodossi sono uniti nella mente di Cristo e che coloro che hanno studiato la fede possono vedere il grave errore dell'emergente papismo orientale.

Proposta di Dionysius Reddington:

Che alla fine si tenga un Concilio, sotto l'egida di un patriarca o di un altro, sembra inevitabile. In preparazione, propongo di discutere la seguente formula. Ovviamente, non sto suggerendo che la formulazione così com'è sia corretta e spero che teologi più qualificati la miglioreranno (ed eliminando qualsiasi errore o eresia che potrei inavvertitamente aver introdotto). Tuttavia, propongo al Concilio di rilasciare una dichiarazione secondo le seguenti linee. (Notate che ho copiato la settima proposta da un eccellente recente saggio del vescovo Irenei di Londra.)

Formula

Noi affermiamo:

  1. Che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica è veramente il corpo di Cristo.
  2. Che nostro Signore Gesù Cristo è il capo della sua Chiesa.
  3. Che egli è vivo e presente in mezzo a noi, e quindi non richiede alcun Vicario.
  4. Che anche lo Spirito Santo è vivo e presente tra noi, avendo ispirato le Sacre Scritture e i sette Concili ecumenici generalmente riconosciuti.
  5. Che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre, non dal Figlio, e che qualsiasi affermazione contraria nei santi Padri, se non è un riflesso della fallibilità umana, deve riferirsi a qualcosa di diverso da questa processione eterna.
  6. Che l'insegnamento di san Gregorio Palamas e dei padri esicasti riguardo alla Luce increata è vero.
  7. Che il Figlio è sempre il Figlio perché è sempre generato dal Padre; lo Spirito è sempre lo Spirito perché procede sempre dal Padre; e il Padre è sempre il Padre perché conferma sempre la filiazione del Figlio e la processione dello Spirito come unica fonte.
  8. Che il Padre, come il Figlio, non ha bisogno di vicario.
  9. Che il primato assegnato a qualsiasi leader ecclesiastico all'interno della Chiesa non deriva dalla monarchia del Padre all'interno della Trinità, ma piuttosto dall'ordine stabilito da Cristo per il proprio corpo; e che mentre un primate ecclesiastico può essere il primo tra uguali, non è in alcun modo primo senza eguali, un titolo applicabile solo a Dio.
  10. I titoli ecclesiastici tradizionali come sommo pontefice, patriarca ecumenico e giudice dell'ecumene si riferiscono al ruolo dei patriarchi come icone viventi del Figlio, che è il ponte dalla terra al cielo, l'immagine visibile del Padre e il giudice dei vivi e dei morti.
  11. Che tali titoli, quando applicati agli uomini che li detengono piuttosto che al Figlio, sono titoli onorifici iperbolici e non implicano alcun rango speciale straordinario oltre l'episcopato.
  12. Che, dall'era della risurrezione, nessun popolo o nazione, tranne la razza cristiana nel suo insieme, ha avuto una preminenza speciale o straordinaria agli occhi di Dio, sebbene ogni popolo e nazione sia da lui amato.
  13. Che l'autocefalia, una volta concessa, non conferisce alla Chiesa madre un perpetuo diritto di interferenza negli affari della Chiesa figlia, a meno che non sia in gioco la stessa ortodossia della Chiesa figlia; e che è vero anche il contrario: una Chiesa figlia può interferire negli affari della Chiesa madre solo quando è in gioco la continuazione nell'ortodossia della madre.

Si potrebbe obiettare che la Formula dice troppo poco sull'Ucraina e troppo sulle cose su cui tutti concordano. Tuttavia, è notevole che molti dei più importanti insegnamenti ortodossi non si trovino esplicitamente nei resoconti dei sette Concili, poiché sono stati articolati in risposta a crisi successive. Affermare questi insegnamenti (o i Concili locali che li hanno approvati) è un compito necessario di qualsiasi legittimo Concilio moderno, come è stato sottolineato invano durante il recente fallito Concilio di Creta. Io ho scritto la tredicesima proposta non solo pensando all'Ucraina, ma anche espressamente per giustificare ciò che credo sarà presto necessario, o lo è già: un intervento di alcune delle Chiese ortodosse più giovani nel territorio di alcuni Patriarcati antichi.

Note

[1] L'autore ha tradotto il testo da Orthodox Times, che recita: "Innanzi tutto, siamo spiacevolmente sorpresi dal fatto che per la prima volta nella lunga storia dei nostri due patriarcati, il giustamente chiamato "Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme" corrisponda con il patriarca ecumenico in una lingua estranea alla nostra madre[lingua], come se avesse improvvisamente smesso di sentire lo stesso sangue e condividere con noi la stessa Razza [Γένος] storica e martirica... Cosa, mi chiedo, ha portato vostra Beatitudine a inviare questa lettera enciclica, disonorante per noi, in inglese invece che nell'antica e consolidata modalità di corrispondenza tra le nostre Chiese?"

Abbiamo usato il testo inglese dalla traduzione di Orthodox Synaxis

[2] Orthodox Synaxis

[3] Ibid.

[4] Ibid.

[5] Citato da: A. J. Shpakov, Stato e Chiesa nelle loro reciproche relazioni nello stato moscovita, cap. 2: Il regno di Feodor Ivanovich. Istituzione del Patriarcato in Russia (Odessa, 1912), 351-353 [in russo].

[6] "Atti del Concilio di Costantinopoli del 1593, con il quale fu istituito il Patriarcato in Russia", Opere dell'Accademia teologica di Kiev, 1865, v. III, 247 [in russo].

[7] Alcuni tentano di vedere nel testo del Patriarca Dionisios del Gramota di Costantinopoli del 1686 sul trasferimento della metropolia di Kiev a Mosca una simile pretesa di dominio su tutta la Chiesa russa. Secondo tale Gramota, il metropolita di Kiev nominato dal patriarca di Mosca avrebbe dovuto commemorare ai servizi divini "dal primo, onorevolissimo nome del patriarca ecumenico, come fonte e inizio e superiore di tutti quelli che dimorano in tutte le parrocchie e diocesi". Tuttavia, in questo caso stanno parlando della metropolia di Kiev. In sostanza, questo è un riferimento alle origini storiche della metropolia di Kiev dal Patriarcato di Costantinopoli e denota il desiderio di preservare almeno nominalmente l'autorità di quest'ultimo su di essa. Qui non c'è alcuna richiesta di considerare il patriarca di Costantinopoli come il capo di tutta la Chiesa russa, per non parlare di tutto il mondo ortodosso. In principio, la parola "capo" qui è assente. Dal testo è evidente che l'espressione "come fonte e inizio e superiore di tutti quelli che dimorano in tutte le parrocchie e diocesi" (Ὡς ὄντος πηγὴ κ (αὶ) ἀρχὴ κ (αὶ) ὑπερκειμένου πάντων τῶν πανταχοῦ παροικιῶν τε κ (αὶ) ἐπαρχιῶν) si riferisce solo alle parrocchie e diocesi della metropolia di Kiev. L'origine storica dell'Ortodossia nella Rus' kievana da parte dei greci non è mai stata contestata nella Chiesa russa (quindi il patriarca di Costantinopoli è la "fonte e inizio"), ma le tendenze papiste globali del patriarca di Costantinopoli non sono espresse qui e molto probabilmente non sono neppure implicite, il che è in parte confermato dal fatto che una tale lettura è stata ignorata dalla Chiesa russa e questo non ha suscitato alcuna protesta da Costantinopoli nel corso di diversi secoli.

[8] Citato da: La verità dell'Ortodossia, a cura di S. V. Troitskij (Mosca: FIB, 2015), 231 [in russo].

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