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  La comunione monogama: una difesa della comunione "chiusa"

di padre Michael Shanbour

pravoslavie.ru

4 agosto 2015

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Imagine there’s no countries

It isn't hard to do

Nothing to kill or die for

And no religion too

John Lennon

I testi delle canzoni di John Lennon fanno risuonare qualcosa dentro di noi. Ricordiamo tutti un tempo in cui desideravano ardentemente un'unità con gli altri, dove la minima separazione si fondeva al fronte al puro amore e alla pace duratura. Infatti il ​​desiderio di vera comunione è la fame fondamentale che Dio ha impiantato in ogni anima umana.

Tuttavia nel corso dei secoli tanti hanno abusato o applicato erroneamente questo anelito naturale di comunione abbattendo artificialmente i veri confini della persona. Gli esempi includono le ideologie politiche come il comunismo e gli esperimenti sociali che la pensano in modo simile come la vita delle comuni degli hippy. Il platonismo e altre forme filosofiche di dualismo cercavano la liberazione dello spirito "invisibile e indefinibile" dai confini dell'esistenza materiale "malvagia". Esempi di forme religiose e deistiche di un'unione senza confini sono il panteismo dell'induismo e l'eresia cristiana del docetismo, che sosteneva che Gesù fu siolo in apparenza circoscritto da un corpo fisico.

Tutti questi esempi hanno una cosa in comune: cercano di creare una comunione percepita, abbattendo le distinzioni e le definizioni esistenti. Come l'ex Beatle sembra sostenere, la divisione e la disunione sono in realtà causate da confini e credenze. Eppure una "comunione" senza confini è di breve durata ed è inutile perché non è coerente con la realtà stessa. Per esempio, un paese non è minacciato dalla presenza dei suoi confini; i suoi confini sono ciò che rende possibile una vera e propria identità e una cultura unificante. Immaginate un paese senza confini, e io vi mostrerò un paese immaginario.

Certo, ci sono sempre pericoli di etnocentrismo malsano, di patriottismo cieco o di chiusura mentale insulare. Ma un paese senza confini, senza una storia peculiare, senza principi culturali e simboli che lo unificano, senza bandiera o l'inno, non è affatto un paese. Se per l'assenza di confini ognuno ne è automaticamente un membro, allora nessuno ne è veramente un membro, perché l'appartenenza a una tale non-entità è del tutto priva di senso.

Una casa senza fondamenta e pareti non è una casa, ma semplicemente un continuum di spazio indistinguibile da un altro spazio. Lo stesso vale per le relazioni personali. Io sono in grado di avere un'unione con mia moglie perché so dove lei comincia e dove finisce, sia nel corpo sia nell'anima. Sono anche in grado di cadere nell'infedeltà, perché i confini del rapporto coniugale sono chiari. Una violazione di questi confini biologici e necessari potrà almeno danneggiare fortemente questa comunione.

Tutto ciò vale anche per il Cristo incarnato e la sua Chiesa, vale a dire il suo corpo incarnato. Per il vero Cristo incarnato viene a noi, non come calda e sicura "idea" priva di confini, ma circoscritto da un vero corpo umano storico, localizzabile, tangibile, e verificabile nel tempo e nello spazio, crocifisso "sotto Ponzio Pilato".

Questo stesso Cristo incarnato ha fondato una Chiesa che si identifica esattamente con il suo corpo circoscritto: la carne che ha ricevuto esclusivamente dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, la carne con cui camminava per le strade del Medio Oriente, la carne sepolta e risorta, la stessa carne con cui è asceso a Dio Padre e che porta ancora e che porterà in eterno.

È questo Cristo, la cui preghiera al Padre esprime il desiderio divino che siano una cosa sola, non parzialmente, né soltanto nelle "cose di base", né come astrazione, né nell'immaginazione – ma proprio come noi siamo uno (Gv 17:22).

È in questo contesto (e i cristiani ortodossi credono solo in questo contesto) che possiamo iniziare una discussione per quanto riguarda la cosiddetta comunione chiusa. Il caso della comunione chiusa non si basa su una premessa negativa per promuovere l'esclusiva, ma su una premessa positiva che spinge e conserva, tra le altre cose, la cattolicità della Chiesa (la parola greca katholikos significa in primo luogo la pienezza, non solo l'universalità geografica). È stata praticato in modo uniforme e senza polemiche dal periodo apostolico fino a tempi molto recenti e rispecchia la precedente opera di Dio in mezzo al suo popolo nell'Antico Testamento. Si fonda sulla tradizione ricevuta che ha sempre formato e informato la comprensione cristiana della "Chiesa".

Lasciatemi dire fin dall'inizio che riconosco la delicatezza di questo argomento e i forti sentimenti che può evocare. In nessun modo ho voluto offendere o strofinare sale su ferite aperte. Le discussioni su questioni centrali come la comunione eucaristica non dovrebbero mai essere decise dalle emozioni, ma per un desiderio forte e coraggioso di verità e per la volontà di inchinarsi davanti a ciò che san Vincenzo di Lerins chiamava, "ciò che è stato creduto ovunque, in ogni tempo, e da parte di tutti".

Definizione dei termini

Prima di passare a questioni più sostanziali, forse dovremmo dire una parola sulla terminologia, perché le parole non sono cose da poco. La dichiarazione paleocristiana, lex orandi lex credendi (la regola della preghiera è la regola della fede), ci ricorda come il nostro uso delle parole influenza le nostre convinzioni e viceversa.

La differenza tra la verità e l'eresia può letteralmente risiedere in una parola, o una parte di una parola, come era il caso della controversia ariana e la parola homoousios ("della stessa essenza"). Come nostro unico mezzo per trasmettere la realtà, le parole (soprattutto le parole teologiche) sono cose per cui vale la pena lottare. Come Gilbert Keith Chesterton ha detto così giustamente:

Qual è il bene delle parole, se non sono abbastanza importanti per farci litigare? Perché scegliamo una parola piuttosto che un'altra, se non vi è alcuna differenza tra loro? Se chiami una donna scimmia invece che angelo, non viene fuori una lite da una parola? Se non volete discutere sulle parole, su che cosa volete discutere? Volete trasmettermi i vostri significati muovendo le orecchie? La Chiesa e le eresie hanno sempre combattuto sulle parole, perché sono l'unica cosa su cui vale la pena di combattere.

Ora, io non so chi ha coniato per primo il termine "comunione chiusa", ma sono certo che non è stato uno dei Padri della Chiesa. È probabilmente un termine abbastanza moderno. Questo di per sé potrebbe essere sufficiente a farmi prendere una pausa nel suo utilizzo. Ma sembra anche contenere un pregiudizio intrinseco e uno scopo implicito, proprio come altre recenti creazioni secolari inventate per dare una connotazione positiva a un vecchio peccato, per esempio, "pro-scelta", "uguaglianza del matrimonio" (quale persona sana di mente potrebbe essere contraria alla scelta o all'uguaglianza?!).

Soprattutto in America oggi, la parola "chiuso" porta con sé connotazioni negative. Una delle peggiori accuse possibili è quella di una "mente chiusa". Una cultura politicamente corretta non tollera che qualcuno o qualcosa sia chiuso, perché significa di fatto "bigotto" e "intollerante".

Pertanto la comunione chiusa, che si riferisce alla lunga tradizione di dare la comunione solo a coloro che sono membri di un unico corpo, sta diventando un "peccato" ecclesiale. Ironia della sorte, la maggior parte di noi invece ammette che una società sana si basa sul matrimonio "chiuso".

Il punto qui è che l'espressione "comunione chiusa" non è una descrizione adeguata e fedele dell'ecclesiologia che sta alla base della tradizionale pratica della comunione. Perché, in realtà, non esiste una cosa come una comunione "aperta" o "chiusa": la comunione o c'è o non c'è. In altre parole, o esiste una comunione di fede espressa nella comprensione comune della dottrina e del culto, e nella pratica sacramentale e spirituale, o tale comunione non esiste.

I criteri per una comunione di fede qui non sono diversi dai confini che esistevano nella primitiva congregazione cristiana: Essi erano perseveranti nel seguire l'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle preghiere. [1]

Una descrizione più precisa di ciò che è stato praticato per la maggior parte della storia cristiana potrebbe essere "comunione monogama". Questa frase indica la fedeltà e l'impegno per una tangibile tradizione storica e un corpo di appartenenza che allo stesso modo si impegna per la stessa tradizione. È più fedele alla terminologia biblica organica che identifica la Chiesa come il corpo stesso di Cristo (Ap 21:9), la sua sposa (1 Cor 12:27), l'Israele di Dio (Gal 6:16), il campo e la costruzione di Dio (1 Cor. 3:9), e la vite su cui i singoli membri sono innestati (Rm 11:17).

Come vedremo, la "comunione monogama" – la pratica di mantenere la fedeltà a un corpo di fede confessato, vissuto e incarnato tangibilmente in continuità con una comunità identificabile di credenti e al suo interno – è la pratica storica della Chiesa. Così è stato, non solo come un'opzione tra le tante, ma come l'espressione stessa della più antica comprensione dell'ecclesiologia.

Un po' di prospettiva storica

Non fu che agli inizi del XX secolo che la comunione aperta è diventata qualcosa di più di un gesto molto insolito. Anglicani e episcopaliani, luterani, battisti, presbiteriani riformati e metodisti praticavano tutti la comunione chiusa almeno fino a quel momento. [2] Ciò significa che per quasi 1900 anni la condivisione della comunione tra cristiani di fede diversa è stata del tutto eccezionale. [3]

Naturalmente sia gli ortodossi sia i cattolici limitavano la comunione ai membri sacramentali delle rispettive chiese. Anche le denominazioni seguirono la lunga tradizione della Chiesa antica. I metodisti, per esempio, erano tenuti a rinnovare una "nota di ammissione" alla comunione trimestrale. Tra i presbiteriani, erano rilasciati dei certificati di buona reputazione a coloro che, dopo essere stati esaminati, erano stati approvati.

Quest'approccio normativo all'unità della comunione fu sostenuto dai fondatori della Riforma protestante, in particolare da Lutero e Calvino. Quest'ultimo ha scritto difendendo appassionatamente la pratica di un rigoroso esame della credenze prima dell'ammissione alla comunione.

Ammettere tutti alla Cena del Signore, senza distinzione o selezione, è un segno di disprezzo che il Signore non può sopportare. Il Signore stesso ha distribuito la cena solo ai suoi discepoli... Nessuno dovrebbe essere in difficoltà quando il suo cristianesimo è esaminato anche fino ai minimi dettagli quando deve essere ammesso alla Cena del Signore. Si dovrebbe stabilire come parte dello stato totale e del sistema di disciplina che dovrebbe svilupparsi in chiesa, di non ammettere coloro che sono giudicati indegni. [4]

Oltre alle preoccupazioni per una corretta istruzione e preparazione, Lutero non poteva tollerare e non avrebbe tollerato punti di vista divergenti sulla stessa eucaristia tra i comunicandi.

Mi terrorizza sentire che in una stessa chiesa o allo stesso altare due persone vanno a ricevere lo stesso sacramento e una delle due crede di non ricevere altro che pane e vino, mentre l'altra crede di ricevere il vero corpo e sangue di Cristo. E spesso mi chiedo se sia credibile che un predicatore o pastore di anime possa essere così indurito e malizioso da non dire niente proposito e lasciare che le due parti continuino in questo modo, ricevendo lo stesso sacramento, ognuno secondo la propria fede, ecc. Se una tale persona esiste, deve avere un cuore più duro di qualsiasi pietra, acciaio o diamante. Di fatto, deve essere un apostolo della collera divina. Chi, dunque, ha tali predicatori o sospetta di averne, sia messo in guardia contro di loro come contro il diavolo incarnato. [5]

Dovrebbe essere chiaro da quanto sopra che, secondo gli stessi criteri di Martin Lutero per la comunione condivisa, agli evangelici di oggi dovrebbe essere proibito di ricevere la comunione nelle chiese cattoliche e ortodosse.

Anche nel primo millennio della storia cristiana, quando vediamo una singola e tangibile cristianità in tutto il mondo, l'idea di una "comunione aperta" con i cristiani di opinioni divergenti era inconcepibile. Nel caso delle eresie, siano quelle degli iconoclasti, dei monoteliti, dei nestoriani, degli arianesimo, dei montanisti, degli gnostici – i quali confessavano tutti sinceramente Gesù Cristo come Signore e si facevano chiamare "cristiani" – né gli ortodossi né gli eretici condividevano il calice gli uni con gli altri.

Sorprendentemente, questo era anche vero nel caso di uno scisma "purista", come con i donatisti nel Nord Africa (IV-V sec.) e i novaziani a Roma (anno 251). In ogni caso questi cristiani si erano separati dalla Chiesa più grande in segno di protesta per quello che vedevano come lassismo disciplinare. Mentre entrambi i gruppi confessavano e praticavano un'identica fede e un'identica pratica liturgica e sacramentale con quella di tutta la Chiesa, la comunione condivisa non era mai ammissibile in quanto la comunità era stata divisa.

Agli inizi del secondo secolo, le parole di Ignazio di Antiochia fanno eco a quelle dell'apostolo Paolo (Tt 3:10) per quanto riguarda coloro che sostengono idee eretiche. Il suo insegnamento è particolarmente pertinente in quanto riguarda direttamente la natura della stessa eucaristia. Parlando perché questi cristiani eretici avevano sminuito l'importanza e la frequenza delle loro stesse riunioni ecclesiali, spiega:

"Si astengono dall'eucaristia e dalla preghiera [liturgica normativa] perché non riconoscono che l'eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha sofferto per i nostri peccati. È opportuno tenerci lontano da questi uomini".

Troviamo questa comprensione in Ignazio e in tutti i primi Padri della Chiesa, non al fine di promuovere la divisione, ma proprio per promuovere e preservare una vera, sostanziale, e completa unità. Poiché l'Eucaristia riflette l'unità che Dio condivide con il suo Figlio e lo Spirito, è incomprensibile avere comunione con credenti di mente e di dottrina discorde. Così Ignazio insiste sul fatto che i suoi ascoltatori rimangano "in una sola fede e in Gesù Cristo" con "il vescovo e il presbiterio... spezzando un singolo pane, che è farmaco d'immortalità, antidoto che non porta alla morte, ma a vivere per sempre in Gesù Cristo". [6]

Questo ci porta al significato della comunione stessa.

Che cosa si intende per comunione?

la santa Trinità: il modello della comunione

Il modello per il senso di comunione e di unità cristiana è sempre stato Dio stesso, la santa Trinità. Mentre il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono persone distinte e uniche, sono uno; non matematicamente, ma in una comunione di persone. Le tre Persone divine della Trinità coesistono in perfetta comunione di amore e di verità espressa dalla loro comune volontà, energia e attività.

Attraverso l'opera di Cristo, Dio ristabilisce il potenziale per la vita di comunione per la quale ha creato l'uomo, portando la nostra umanità nel seno della santissima Trinità all'ascensione di Cristo. Prendendo su di sé un corpo, Gesù Cristo, uno della Santa Trinità, rende possibile il ritorno a questa vita di comunione attraverso la comunione con il suo corpo, la Chiesa.

La Chiesa: la vita in comune

Attraverso questa prospettiva biblica e patristica vediamo che la comunione non è un aspetto della vita della Chiesa: è la vita della Chiesa. La Chiesa è comunione. Lo vediamo vividamente nel racconto scritturale della prima comunità ecclesiale, dove tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune (At 2:44).

La comunione è un fatto interconnesso. Non avviene senza riferimento alla vita concreta della comunità. Non è un momento isolato dove io "prendo" la comunione alle mie condizioni, senza alcun riferimento alla comunità alla sua fede e alla vita comunitaria, alla sua tradizione. Tale comunione non è mai esistita nella Chiesa storica.

Ed è qui che la conoscenza e la pratica della "comunione aperta" è in diretto contrasto con la concezione cristiana normativa: la santa comunione non è solo un atto di unione di se stessi a Gesù Cristo, se con questo intendiamo una persona isolata. Come Agostino ci ricorda, dall'incarnazione e dalla risurrezione, Cristo non è mai solo. Il "Cristo totale", come dice lui, è Cristo con il suo corpo.

Quindi comunione non è solo una questione tra il Signore e me, è un atto di comunione con Cristo nella comunità. Quando ricevo la Santa Comunione anche io mi unisco con un corpo di credenti e con il loro insegnamento dottrinale, culto, vita di disciplina e leadership. [7] Partecipando alla santa comunione anche noi sposiamo a un corpo particolare, una specifica comunità di fede con una reale storia e tradizione, che incarna un reale insieme di credenze e pratiche che esprimono tali convinzioni. Ci uniamo anche a tutti i veri membri di quella particolare comunione, nel passato, nel presente e nel futuro. In parole povere, diventiamo "membri" di quella Chiesa.

La comunione non è solo un atto di unione in verticale, cioè con Cristo; è anche orizzontale, ci unisce con quelli che sono radunati insieme come Chiesa. La santa comunione non è un sacramento "generico", staccato dal suo contesto ecclesiale. È il sacramento di una comunità specifica e concreta, unita da una specifica prassi comunitaria, teologia, morale, culto e spiritualità.

Secondo l'insegnamento cristiano storico riflesso nei primi Padri della Chiesa, essere ammessi alla santa comunione significa abbracciare l'intera tradizione di fede del corpo. Prima che si possa ricevere la santa comunione, la comunione deve già essere raggiunta.

Nella comprensione patristica, quindi, ricevere la comunione in una chiesa luterana implica diventare un membro della comunione luterana. Riceverla in una chiesa presbiteriana implica professare l'unione con la tradizione riformata. Ricevere la comunione in una chiesa mormone significa unire se stessi alla dottrina e alla tradizione dei mormoni e porsi in comunione con tutti i mormoni in tutto il mondo. Il fatto che intendiamo farlo oppure no, non importa.

Nonostante le buone intenzioni di John Lennon, non esiste un mondo immaginario o una chiesa senza confini o credenze. Questi confini e credenze contano, soprattutto per le persone umane che hanno anch'esse dei confini e la libertà di scegliere le proprie convinzioni. Questi confini e credenze hanno delle conseguenze. Ci possono portare all'unione con Dio oppure no. Alla fine ciò è una benedizione perché ci costringe a prendere importanti decisioni, con chi e con che cosa siamo veramente in comunione.

L'antica alleanza non era diversa in questo senso. Quando entravi a far parte di Israele entravi a far parte di tutto Israele – il credo, il culto, i rituali, la comunità, la cultura religiosa, il modo di vivere. Non potevi avere il lusso di adottare la tradizione di celebrare la Pasqua, ma di trascurare la festa delle Capanne, o fare sacrifici di ringraziamento, ma non farne nessuno per l'espiazione dei peccati.

E così l'apostolo Paolo usa un linguaggio organico quando parla dei gentili che entrano in comunione con la Chiesa, l'Israele di Dio (Gal. 6:16). Dice che sono stati innestati sull’albero d'olivo (Rm 11:17), la Chiesa. Proprio come lo erano i convertiti ebrei descritti in Atti 2, quei Gentili che confessavano Gesù come il Messia erano innestati nella tradizione specifica degli apostoli, nella loro comunione, nel loro modello di sane parole, (2 Tim 1:13), nella loro vita di culto comunitario, nel loro ordine ecclesiale e nel loro stile di vita.

La tradizione della Chiesa: il confine della comunione

Essere in comunione con un particolare corpo della chiesa significa adottare la sua tradizione ecclesiale. [8] Anche se è difficile da accettare per alcuni, secondo le Scritture la tradizione della Chiesa è il legame unificante della comunità cristiana. È il nome che diamo a quel corpo di dottrina, morale, culto e prassi ecclesiale ereditato da un gruppo di credenti. In una delle sue prime lettere l'apostolo Paolo attesta proprio questo: Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese, sia con la parola o la nostra epistola (2 Ts 2:15). E loda i corinzi che mantengono le tradizioni così come egli le ha consegnate loro (1 Cor 11:2).

La tradizione è molto più di un insieme di credenze intellettuali. Comprende un modo di vita, fissa un limite per ciò che è necessario e vero, e o unisce o disimpegna da una comunione con gli altri: Ma noi vi comandiamo, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di ritirarvi da ogni fratello che cammina disordinatamente e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi (2 Ts 3:6).

Come la Chiesa stessa, la tradizione della Chiesa non è invisibile o segreta. È qualcosa che si vive e che è stata vissuta da coloro che sono venuti prima. Come Paolo scrive agli ebrei: Ricordatevi dei vostri capi, quelli che vi hanno trasmesso la parola di Dio; considerate l'esito della loro vita, imitate la loro fede (Eb 13:7). La fede e la tradizione di qualsiasi gruppo religioso può essere vista e vissuta, osservando la sua vita comunitaria. Come testimonia sant'Ireneo, vescovo di Lione:

"È nel potere di tutti, quindi, in ogni chiesa, che può desiderare di vedere la verità, di contemplare chiaramente la tradizione degli apostoli manifesta in tutto il mondo". [9]

Ciò che è stato tramandato e conservato all'interno di un corpo ecclesiale, cioè la sua tradizione di fede, è ciò che rende possibile o impossibile a noi di unirci a quel corpo. Se non siamo in comunione con quella tradizione, non possiamo avervi in buona coscienza una comunione eucaristica. Se noi accettiamo con tutto il cuore quella tradizione, dovremmo essere portati in comunione con quella Chiesa e ricevervi la santa comunione in modo monogamo.

Considerazioni comunitarie

Tutto questo è per spiegare che la pratica della comunione "chiusa" non è personale o vendicativa. I cristiani di altre confessioni non sono esclusi dalla santa comunione sulla base di un giudizio sulla loro fede, sincerità o santità personale. Piuttosto sono titolari di una diversa tradizione cristiana e sono uniti a un corpo cristiano diverso.

Secondo il cristianesimo storico, il vescovo è il custode e l'incarnazione della tradizione. In tal senso, la semplice cartina di tornasole per stabilire se si può ricevere l'eucaristia in ogni comunità particolare, è questa: "Il mio vescovo è in comunione con il vescovo di questa Chiesa locale?" Se lo è, anche tu sei in comunione con questa chiesa.

È anche degno di nota che le chiese che mantengono la pratica storica della comunione monogama, soprattutto la Chiesa ortodossa, richiedono ai membri della chiesa un bel po' di preparazione prima di ricevere la santa comunione. Questo include una recente confessione dei peccati, il digiuno da ogni cibo e bevanda, le preghiere di preparazione, la riconciliazione con quelli che abbiamo offeso, etc.

Questi requisiti non sono un giogo legalista con cui appesantire le persone, ma una salvaguardia contro la ricezione informale e negligente, o peggio, la ricezione in uno stato di peccato senza pentimento. L'apostolo Paolo avverte che chi fa così mangia e beve la propria condanna, senza riconoscere il corpo del Signore. Per questo motivo molti sono deboli e malati in mezzo a voi, e molti sono morti (1 Cor 11:29-30). Se prendiamo sul serio le Scritture possiamo vedere che la "comunione chiusa" non è solo prudente, si tratta di una pratica misericordiosa e potenzialmente un mezzo per salvarsi la vita!

Conclusione

La Chiesa cristiana, come il suo Signore, non è un'astrazione immaginaria e invisibile. La tradizione di qualsiasi chiesa è concreta e visibile, espressa nel corso della storia da persone reali in un continuum tangibile di fede e di pratica (che sia per 2000 anni o per due anni). Come la santa Trinità, la Chiesa è una comunità, una vera comunione espressa e incarnata da una fede e da uno stile di vita condivisi. Il mantenimento di una vera comunione richiede frontiere e confini, sia dottrinali sia disciplinari. Se una chiesa vuole essere fedele alla propria tradizione, la porta sarà aperta ad alcune cose e chiusa ad altre.

Coloro che caratterizzano la pratica tradizionale come "comunione chiusa" possono dimenticare che la comunione di fede di una Chiesa, e per estensione i suoi sacramenti, è in realtà aperta a tutti coloro che formalmente la abbracciano e si uniscono ad essa. Questo è certamente vero per la Chiesa ortodossa. È "chiuso" solo nel modo in cui un matrimonio o una famiglia sono chiusi. Anche se si estendono amore e ospitalità, ci sono dei limiti ragionevoli a tale ospitalità, senza i quali non c'è vero matrimonio o famiglia.

Una porta sempre aperta non è più una porta. Un matrimonio aperto non è più un matrimonio. È

per buone ragioni che le porte si aprono e si chiudono. I principi di integrità e di monogamia dipendono da questo.

Pochi di noi entrerebbero in casa di un estraneo per aprire il frigorifero e farsi uno spuntino. Tanto meno richiederemmo che lo spuntino ci sia servito dal capofamiglia. La pratica e l'aspettativa della "comunione aperta" è un fenomeno molto moderno senza precedenti nel la maggior parte della storia della Chiesa. Si fonda su una nuova ecclesiologia sconosciuta ai grandi Padri e ai santi della Chiesa. Riflette una perdita della mentalità fedelmente conservata dalla tradizione cristiana che a molti di noi sta a cuore. E ci mette in pericolo; pericolo di una chiesa immaginaria, di una fede immaginaria e di un Cristo immaginario che un giorno scomparirà del tutto dalla nostra immaginazione.

È tragico che la cristianità sia piena di divisioni reali. Eppure, negando questa realtà neghiamo a noi stessi l'opportunità e la possibilità di ricerca della verità e della convinzione. Diventiamo l'uomo che non ha mai effettivamente acquistato una mucca perché gli danno il latte gratis.

La santa comunione non è mai stata gratuita. L'eucaristia, e la comunione reale, viene al prezzo della monogamia, di rimanere fedeli e all'interno di una concreta comunità di fede e tradizione.

Nel suo libro Mere Christianity (Il cristianesimo così com'è),  che C. S. Lewis ha scritto solo per portare scettici e ricercatori alla soglia della fede cristiana, egli lascia il lettore in piedi nella vestibolo "in cui si aprono porte che danno in varie stanze." Nella sua analogia le "stanze" sono le comunioni ecclesiali esistenti. Egli mette in chiaro al lettore che deve alla fine scegliere una stanza, perché il vestibolo (una fede nei principi cristiani fondamentali) non è "un'alternativa alle dottrine delle comunioni esistenti". [10] Il punto che Lewis sottolinea è che i cristiani sono monogami. Non vi è alcun "cristianesimo" generico, non c'è mai stato. C'è solo la pratica del cristianesimo entro un corpo ecclesiale. E non c'è comunione ecclesiale chiamata "mero cristianesimo". Ci sono organismi ecclesiali con storie vere, dogmi reali (consapevolmente riconosciuti o meno), e una reale tradizione. Come dice Lewis, non possiamo "giocare alla chiesa" nel vestibolo immaginando di essere davvero in una delle stanze.

Dobbiamo cercare, chiedere, bussare, e fare devotamente una scelta di quale tradizione possiamo sposare in buona fede. E la nostra decisione deve essere presa per la convinzione della verità e dell'autenticità, non per convenienza, per emozione, o persino per gusti personali. Come dice Lewis: "Dovete chiedervi quale porta sia quella vera: non quale vi sia più grata per il suo aspetto." [11] Senza questo, la mia comunione è in ultima analisi, con "me, io e me stesso", non con il Cristo storico, gli apostoli e i santi.

Note

[1] At 2:42.

[2] Communion: A Family Affair: Why the Orthodox Church Practices Closed Communion, A. James Bernstein, Conciliar Press, 1999, p. 2-3.

[3] Il puritano, di John Bunyan (XVII sec.), è stato citato come uno dei primi promotori di una forma di comunione aperta. Anch'egli, però, limitava la pratica a coloro che egli considerava essere "santi visibili". Nelle sue parole: "Escludo solo colui che non è un santo visibile. Ora colui che è visibilmente o apertamente profano, non può essere quindi un santo visibile, perché colui che è un santo visibile deve professare la fede, il pentimento, e di conseguenza la santità di vita: e con nessun altro oso comunicarmi". Fonte

[4] Giovanni Calvino, "Lettera su vari argomenti" nel libro di Calvino Consigli Ecclesiastici. Da: http://www.puritandownloads.com/lords-supper-communion/.

[5] Che queste parole di Cristo, 'Questo è il mio corpo' stiano ancora ferme contro i fanatici, 1527, in Luther's Works, Word and Sacrament III, 1961, Fortress Press, volume 37, p. 54.

[6] Agli efesini 20:2.

[7] Lo stesso vale per quanto riguarda il sacramento del battesimo.

[8] In greco "tradizione" (paradosis) è ciò che è stato tramandato o consegnato o ciò che è stato ricevuto e conservato.

[9] Contro le eresie 3:3

[10] Il cristianesimo così com'è, Adelphi, Milano 1997, p. 20. Ecco la citazione completa:

Nessun lettore, spero, penserà che il cristianesimo "puro e semplice" sia proposto qui come alternativa alle dottrine delle comunioni esistenti: come se si potesse adottarlo a preferenza del congregazionalismo o della fede greco-ortodossa o di qualunque altra. Esso è simile piuttosto a un vestibolo in cui si aprono porte che danno in varie stanze. Se riesco a portare qualcuno in questo vestibolo, avrò ottenuto lo scopo che mi sono proposto. Ma è nelle stanze, non nel vestibolo, che uno può scaldarsi al fuoco e sedersi e nutrirsi. Il vestibolo è un posto dove stare in attesa, un luogo da cui tentare le varie porte, non un luogo in cui vivere. A questo scopo, la peggiore delle stanze (quale che sia) è, a mio avviso, preferibile.

[11] Op. cit., p. 21.

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