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  Una risposta ortodossa a Giovanni Calvino sulle icone: La retorica della Riforma

di Gabe Martini

dal blog On Behalf of All

13 ottobre 2014

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Fin dalla Riforma protestante, c'è stata tra i cristiani una varietà di opposizioni tra i cristiani all'arte religiosa o di culto, ovvero a ciò che i cristiani ortodossi in genere definiscono icone sacre.

Come ho detto in precedenza, i riformatori non erano tutti d'accordo su questo argomento: alcuni permettevano le opere d'arte religiosa e una venerazione limitata sia della Croce sia dell'Eucaristia; altri permettevano la loro presenza in edifici ecclesiastici, mentre erano completamente opposti alla loro venerazione o uso religioso, e il resto si opponeva sia al loro corretto utilizzo sia alla loro l'esistenza in generale. Ed è a quest'ultima posizione di alcuni riformatori - noti ai cristiani ortodossi come iconoclasti - che vorrei rispondere con il presente articolo.

Sorprendentemente, gli argomenti iconoclasti contro le icone sacre sono cambiati molto poco, se non sono rimasti del tutto immutati, dal XVI secolo, in gran parte una combinazione di retorica roboante e di caricature fuorvianti dei iconoduli e delle loro credenze. Mentre ci sono stati molti riformatori che hanno scritto e predicato contro le icone e reliquie prima di lui, non c'è probabilmente nessuna persona più influente in materia, che non Giovanni Calvino.

Il magnum opus di Calvino, avvocato francese e poi parroco a Ginevra, fu l'Istituzione della religione cristiana. Questo lavoro fu iniziato nel 1536, fu rivisto e ampliato un certo numero di volte, e giunse al suo completamento finale prima della sua morte nel 1559. Dato che Calvino si riferisce all'edizione del 1559 come a un "nuovo lavoro" rispetto alle precedenti edizioni - lavorando perfino sul sua letto di morte per garantire il suo completamento (1) - faccio riferimento solo a questa edizione finale nella traduzione inglese di Ford Lewis Battles. (2) La sua discussione primaria sulle icone si può trovare nel Libro 1, capitolo 11, sezioni 1-16.

Non diversamente dagli avversari di Lutero su questo stesso argomento (come Münzer e Karlstadt), Calvino offre una colorita retorica quando giunge alle sue argomentazioni contro l'uso o l'esistenza di icone religiose. Una luce su argomentazioni effettive - o anche sulla logica - dei riformatori contro le immagini religiose e le reliquie, si sposterebbe da un grado di retorica a un altro nei loro trattati polemici e sermoni.

In Von der Bilder Abtuhung, Andreas Karlstadt utilizza una conversazione obliqua con il papa per convincere i contadini della sua posizione contro le immagini. Mentre Karlstadt si oppone alle immagini fisiche, usa il linguaggio per dipingere contro di loro un quadro quanto mai drastico:

È davvero ironico che in uno scritto che si rivolge così massicciamente contro l'uso improprio delle immagini materiali, ci sia una curiosa ingenuità circa il modo in cui le immagini verbali, le similitudini e le metafore sono usate per creare vivide visualizzazioni che provocano compassione, derisione, disgusto, indignazione e rabbia. La pietà tradizionale, per esempio, a causa dei suoi aspetti monetari, è descritta come un mercato delle pulci, un grempell Marckt. Verso il culmine del testo, il tema sessuale diventa prominente; il veneratore di immagini è descritto come una puttana, la Chiesa come un bordello. La tecnica di associazione è frequente: il papa è associato al diavolo, gli insegnamenti dei sacerdoti alla peste. (3)

Comune alle polemiche della Riforma è anche un forte dualismo tra il bene e il male, o si è con Dio o con il diavolo:

Il mondo è diviso tra veri adoratori e idolatri non cristiani. Dio e il diavolo si confrontano l'un l'altro. Tutto è visto in termini di bianco e nero, di estremi, del più acuto dei contrasti. Mosè proibisce l'adorazione delle immagini; Gregorio VII la elogia. Dio è fedele, mentre Israele si ribella costantemente. La lingua sospinge continuamente il messaggio che il lettore deve fare una scelta radicale tra le cose dello Spirito e le cose della carne, tra le apparenze e la realtà interiore o potenza; tra la finzione e la verità autentica; tra le semplici immagini, Bilder, che seducono, i e libri, Bücher, che istruiscono (notare l'allitterazione in tedesco!); tra l'autorità del papa e quella di Dio; tra la Scrittura e il diavolo, rivestiti di costumi e autorità umani...

Il dualismo ultimo è quello della trascendenza di Dio e della materialità delle immagini, che non sono altro che legno e pietra, sono sorde, mute e cieche; non possono insegnare né imparare; sono carne, e nient'altro che carne. (4)

Nell'Istituzione, Calvino usa un linguaggio simile nella sua polemica contro le opere d'arte religiosa. L'inclinazione verso le immagini è "stupidità bruta" ed "empia menzogna", il risultato di un "rozzo e stupido ingegno" che affligge l'intero lotto della "gente comune" (1.11.1). Scrivendo direttamente a proposito delle icone bidimensionali, Calvino deplora lo "scrupolo sciocco" dei "cristiani greci" (1.11.4):

Mentre ritengono di essersi assolti splendidamente da se stessi se non fanno sculture di Dio, indulgono arbitrariamente nelle immagini più di qualsiasi altra nazione. Ma il Signore proibisce non solo che gli sia eretta una somiglianza da parte di un creatore di statue, ma anche una modellata da un qualsiasi artigiano, perché così è rappresentato falsamente e con un insulto alla sua maestà.

Ignorando qui per il momento il nucleo reale delle argomentazioni di Calvino, penso che sia dimostrabile che Calvino si basa altrettanto pesantemente su retorica e dualismi – su false dicotomie, se si vuole – come Karlstadt, Münzer, e tutti gli altri. Mentre questi trattati e sermoni sono una lettura divertente, non fanno nulla per far progredire o regredire alcun argomento particolare. Sono – come le manifestazioni spesso fisiche dei loro autori – una distruzione iconoclasta dei loro avversari, piuttosto che delle loro convinzioni.

Il vero pericolo di questa retorica, negli scritti o nelle prediche, era il modo in cui eccitava la rabbia ribelle, nata dall'umanesimo, della "gente comune". Lo stile sproporzionato alla fine ha portato alla distruzione letterale di innumerevoli chiese, reliquie, croci, statue, icone, e anche di città intere della campagna tedesca.

Matheson, per esempio, osserva parlando della conclusione del trattato di Karlstadt:

Mentre il piccolo trattato arriva verso la fine c'è un passaggio dall'argomento razionale all'appello emotivo; l'ondata di rabbia si basa sulla ripugnanza che Dio avrebbe per le proprie immagini, e con essa arriva una chiamata urgente all'azione. Perché Dio è un Dio che parla e si aspetta di essere obbedito. Gli occhi di tutto il mondo sono sui tedeschi. Una riforma, un vero e proprio ordine cristiano, è urgente... Ma ora è richiesta l'azione. Il linguaggio diventa più crudo e anche violento, rispecchiando la necessità di distruggere, abbattere, bruciare le immagini. (5)

Questa ribellione – con suo grande rammarico e lamento – ispirò Lutero a scrivere una serie di trattati diretti contro gli iconoclasti, e in particolare contro Andreas Karlstadt. (6) Mentre Lutero e Calvino si sarebbero in ultima analisi divisi sulla base delle loro diverse interpretazioni della presenza reale nella celebrazione dell'Eucaristia, erano pure in sostanziale disaccordo per quanto riguarda le opere d'arte religiosa.

Alla fine, se ci deve essere una reale comprensione tra cristiani ortodossi e protestanti su questo problema, la mera retorica non è la risposta. E come vedremo presto (nei miei prossimi articoli), le caricature inutili delle posizioni iconodule – che associano le icone cristiane, la Croce, le reliquie, e l'Eucaristia con gli idoli pagani e l'idolatria, per esempio – non solo sono inutili, ma sono anche facilmente confutabili da parte di un attento cristiano ortodosso. E anche a partire dalla sola Scrittura.

Note

(1). T. H. L. Parker, John Calvin: A Biography, pp. 161–164

(2). Louisville, KY: Westminster John Knox Press, 1960

(3). Peter Matheson, The Rhetoric of the Reformation, p. 174

(4). ibid., p. 176

(5). Peter Matheson, The Rhetoric of the Reformation, pp. 178–179

(6). e.g. Against the Heavenly Prophets in the Matter of Images and Sacraments, ca. 1525

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