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  San Gregorio Palamas, Agostino e i "centocinquanta capitoli"

di sua Eminenza il Metropolita Hierotheos di Nafpaktos e Agiou Vlasiou

21 Marzo 2014

 

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L'opera di san Gregorio Palamas dal titolo "I centocinquanta capitoli" è un testo conciso, che nel modo in cui è scritto richiama le opere di altri Padri della Chiesa, come san Massimo il Confessore, san Simeone il Nuovo Teologo e altri, ed è considerato come una sintesi degli insegnamenti del santo, sviluppati in precedenza nei suoi dialoghi con Barlaam e Akindynos. Ci sono molti casi simili in cui gli scrittori, dopo alcuni anni, tentano di fare un breve riepilogo degli insegnamenti da loro dati precedenza. Tuttavia, quest'opera ha recentemente causato preoccupazioni.

È stato suggerito che san Gregorio, per scrivere il testo, ha utilizzato il lavoro di sant'Agostino intitolato "De Trinitate", traendo da esso certe espressioni, come le categorie aristoteliche di Dio, senza citarne la fonte, e ha anche accettato la triade psico-teologica agostiniana "mensnotitia (o cognitio o scientia o verbum) – amor", cioè, "mente – ragione – amore/eros". Di fatto la definizione è data in un passo particolare.

Certo, san Gregorio Palamas non conosceva la lingua latina, perché era monolingue. Questo, tuttavia, non è considerato un problema particolare, perché l'opera "De Trinitate" di sant'Agostino era stata tradotta in greco prima del 1281 da Massimo Planoudes. Una copia, forse la più antica di questo testo, era conservata nel monastero di Vatopedi, dove Palamas passò il periodo tra il settembre 1347 e i primi mesi del 1348, quando si recò al Monte Athos, dopo il rifiuto dei tessalonicesi ad accettarlo come metropolita dopo la sua elezione.

Quando ho letto di questo punto di vista sul rapporto tra le teologie di san Gregorio Palamas e sant'Agostino, mi sono sentito profondamente sorpreso, perché sapevo da molti anni, oltre quaranta, di studi degli insegnamenti di san Gregorio che egli stesso si confrontò con Barlaam, che esprimeva le tradizioni occidentali della teologia scolastica ed era stato influenzato dal punto di vista di sant'Agostino. Come è possibile, mi chiedevo, per San Gregorio Palamas contraddire Barlaam e, al tempo stesso, accettare i pareri di sant'Agostino, le cui opinioni, in fondo, sostenevano Barlaam come neoplatonico e come voce della scolastica occidentale?

Ma non credo che sia possibile che qualcosa di simile sia accaduto, per i seguenti motivi:

In primo luogo, perché le opere di Agostino erano in gran parte sconosciute ai Padri ortodossi della Chiesa fino al XIII secolo, "quando furono tradotti alcuni esempi del suo pensiero teologico".

In secondo luogo, perché Barlaam, che fu confutato da san Gregorio, esprimeva la tradizione occidentale come formulata dalle idee di Agostino su molte questioni, come per esempio l'idea che la rivelazione del Dio Triuno avviene attraverso simboli creati della divinità fatti o non fatti dall'uomo, in modo che quando Dio dà una rivelazione superiore immediata attraverso l'intelletto, la dà per mezzo di sensazioni umane; che non vi è alcuna differenza tra l'essenza divina e le energie increate; che la Grazia divina è una cosa creata che si unisce all'anima e dirige la volontà dell'uomo dal mutevole al Dio immutabile, in cui l'uomo trova la felicità con la soddisfazione dei suoi desideri; che il Regno di Dio è creato; e in generale le opinioni di Barlaam in materia di rivelazione, dell'inferno e del Regno si sono formate sotto l'influenza della teologia agostiniana.

In terzo luogo, Barlaam stesso non capiva la genuina tradizione patristica, come espressa dai Padri esicasti, perché i franco-latini avevano soggiogato tutta la tradizione patristica ai predicati di Agostino – è per questo che Barlaam quando venne a Salonicco sentì per la prima volta interpretazioni diverse da quella che egli riconosceva in Agostino e ne fu sorpreso - ma nemmeno "Palamas e la sua cerchia riconobbero le origini agostiniane delle cacodossie di Barlaam". Inoltre, i Padri romani di lingua greca non presero mai in considerazione le opere e il pensiero di Agostino "che, peraltro, non sono mai state la base per i sinodi ecumenici e gli insegnamenti dei Padri".

Così l'idea che Palamas utilizzò il testo del " De Trinitate "di sant'Agostino, attraverso la traduzione di Maximos Planoudes, è difficile da accettare, perché ritengo che il brillante contemplatore di Dio, Gregorio Palamas, che aveva doti intellettuali straordinarie e anche esperienza personale del Dio Triuno, come si vede nella sua biografia scritta dal suo compagno monaco il patriarca Philotheos Kokkinos, se avesse letto questo testo specifico di Agostino, avrebbe percepito la sua infrastruttura riflessiva come una deviazione dalla Tradizione ortodossa. In altre parole, colui che ha fatto una critica molto dettagliata dei gravi problemi dottrinali di Barlaam, se avesse letto il testo di sant'Agostino non avrebbe potuto non riconoscere il rapporto che esisteva tra sant'Agostino e Barlaam.

Certo, nella sua opera "i centocinquanta capitoli", egli cita e interpreta le dieci categorie aristoteliche, vale a dire - sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, posizione, stato, azione, affetto. È anche noto che san Gregorio Palamas conosceva la filosofia aristotelica dai suoi studi a Costantinopoli, e nessuno si aspetta che dovesse imparare le categorie aristoteliche di Aristotele dalle opere correlate di Agostino. Da san Philotheos Kokkinos sappiamo che san Gregorio era uno studioso di Aristotele. Infatti egli scrive riguardo a questo problema che Gregorio eccelleva nel suo studio della grammatica, retorica, fisica, logica "e tutta la scienza di Aristotele" rispetto a tutti gli altri, e che era ammirato dai suoi insegnanti per questo. Inoltre, il celebree studioso Teodoro il Metochita, che interagiva con Gregorio davanti all'imperatore per quanto riguarda gli scritti di logica di Aristotele, fu sorpreso dall'analisi di Gregorio e disse all'imperatore: "Se Aristotele stesso fosse stato presente per ascoltare questo giovane, lo avrebbe, credo, elogiato oltre misura. Per un momento, ho visto che sono quelli con un'anima e una natura come la sua che dovrebbero perseguire la conoscenza, in particolare dei vari scritti filosofici di Aristotele".

Tuttavia ci sono due punti particolari che meritano studio speciale:

Un punto è che in questa opera di san Gregorio Palamas vi è un estratto dal "De Trinitate" di sant'Agostino, ossia "disposizioni e stati e luoghi e tempi e cose simili non sono adeguatamente, ma solo metaforicamente attribuiti a Dio...". Penso con un po' di indagine questo passo potrebbe essere visto come un'interpolazione, perché ha poca dipendenza dal testo. L'argomento più importante che dimostra che San Gregorio Palamas non era a conoscenza di quest'opera di sant'Agostino, nella traduzione di Massimo Planoudes, è che lui stesso non sarebbe stato d'accordo a recepire alcune frasi insignificanti dall'opera quando scopriamo che poco oltre questo testo ci sono passi di sant'Agostino che supportano il Filioque.

Questo passo si trova specificamente nel quinto libro del "De Trinitate" di sant'Agostino. Ma ritengo improbabile, se non impossibile, che san Gregorio Palamas abbia letto questo testo e non si sia reso conto che il pensiero di sant'Agostino è problematico dal punto di vista ortodosso. E questo perché nel paragrafo successivo sant'Agostino sembra non essere in grado di fare una distinzione tra essenza e ipostasi, quando scrive: "Io dico essenza, che in greco si chiama οὐσία, e che noi chiamiamo più comunemente sostanza. Essi infatti usano anche la parola ipostasi, ma intendono fare una differenza, non so quale, tra οὐσία e ipostasi: in modo che per la maggior parte noi stessi che trattiamo queste cose in lingua greca, siamo abituati a dire, μίαν οὐσίαν, τρεῖς ὑποστάσεις o in latino, una essenza, tre sostanze". Inoltre, è improbabile che San Gregorio Palamas non si sia reso conto che subito dopo questo il pensiero di Agostino si conclude con il Filioque, quando scrive che lo Spirito Santo è un dono del Padre e del Figlio che viene dato alle persone, e che "Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre e del Figlio". E naturalmente qui non si intende che lo Spirito Santo procede solo dal Padre o che è inviato dal Padre attraverso il Figlio nel tempo, come insegna san Gregorio Palamas. In questo passaggio di sant'Agostino le cose sono invertite, poiché si dice " il Padre e il Figlio sono un inizio dello Spirito Santo, non due inizi", in altre parole, per quanto riguarda lo Spirito Santo vi è un inizio (il Padre e il Figlio), e rispetto alla creazione Padre e Figlio e Spirito Santo sono uno all'inizio. Ciò significa che mentre san Gregorio Palamas distingue la processione pre-eterna dello Spirito Santo dal solo Padre e la missione nel tempo anchwe attraverso il Figlio, sant'Agostino parla al contrario della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio, come così come dell'energia del Dio Triuno nella creazione. L'eresia del Filioque si può vedere anche in altre opere di sant'Agostino.

E la domanda è: perché San Gregorio Palamas ha accettato da quest'opera di Agostino un passao che in realtà non è importante per il suo testo e non si è accorto dell'eresia del Filioque che esiste nei passi successivi?

L'altro punto è che ci sono alcune somiglianze concettuali comuni tra l'opera di San Gregorio Palamas e questo lavoro specifico di sant'Agostino, legate principalmente alla teoria psicologica agostiniana riguardante la Santissima Trinità, e in particolare che lo Spirito Santo è l'amore/eros tra il Padre e il Figlio, il punto da cui deriva l'eresia del Filioque. E consideriamo questo perché questa è l'immagine usata da san Gregorio Palamas, ma il risultato e la conclusione sono opposti a quelli di Agostino, e, naturalmente, nessuno può essere sicuro se San Gregorio Palamas abbia preso l'immagine in prestito da Agostino.

Di conseguenza, ci sono tre posizioni per quanto riguarda la paternità dell'opera "I centocinquanta capitoli ". La prima è che si tratta di un'opera di san Gregorio Palamas in cui egli ha usato passi di Agostino. Non posso accettare questa ipotesi. La seconda posizione possibile è che si tratta di un'opera di san Gregorio Palamas, per la maggior parte, ma un teologo posteriore vi ha poi fatto interventi rilevanti. La terza posizione, che a mio parere è la più probabile, è che il lavoro intitolato "I centocinquanta capitoli" non è un'opera di san Gregorio Palamas, ma di uno scrittore più tardivo.

Si può individuare una tale ipotesi in ciò che dice il professor Panagiotis Chrestou, in quanto "I centocinquanta capitoli non sono caratterizzati da una registrazione accurata degli insegnamenti generali teologici e spirituali di Gregorio Palamas, come avveniva di solito", e tenendo conto che la tradizione manoscritta non è ricca. Inoltre, se si legge il testo, si troverà una fraseologia diversa e non il pensiero osservato in altri scritti di san Gregorio Palamas, in particolare su temi di cosmologia.

Se questo ha una base, ci resta l'idea che "I centocinquanta capitoli" siano stati scritti da un teologo posteriore che conosceva gli insegnamenti di san Gregorio Palamas e la teologia di sant'Agostino e ha fatto una sintesi tra i due, e che conosceva anche la lingua latina. Tale ipotesi può purificare tutto ciò che è stato attribuito a san Gregorio Palamas, dal momento che in altri scritti condanna con argomenti ortodossi gli insegnamenti eretici sulla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. La questione, tuttavia, se tale ipotesi regge, diventa allora chi potrebbe essere l' autore di un'opera come "I centocinquanta capitoli", e che conoscesse sia gli insegnamenti di san Gregorio Palamas sia le vedute di sant'Agostino, nonché la lingua latina.

Dopo aver studiato questo problema e discusso con altri, ho individuato due persone possibili per questo ruolo:

Il primo può essere il metropolita Teofane di Nicea, un contemporaneo di san Gregorio Palamas, e probabilmente nato tra il 1315 e il 1320, che divenne metropolita di Nicea intorno al 1366 e morì nel 1380 o 1381. Aveva un rapporto personale con l'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno, era amico di san Gregorio Palamas, e prese parte al conflitto in favore degli esicasti. Gennadios Scholarios lo considera il miglior apologeta a Bisanzio. La maggior parte delle sue opere rimane inedita. Possiamo notare qui le sue opere dal titolo "Contro i barlaamiti e gli akindyniti, sulla luce del Tabor " e "Contro i latini, in particolare sullo Spirito Santo ".

Spyros Lambrou, che ha compilato un elenco dei manoscritti del Monte Athos, attribuisce a Teofane di Nicea la paternità delle opere attribuite a san Gregorio Palamas dal titolo "Dialogo di un ortodosso con un barlaamita, che espone la delusione barlaamita" e " Il dialogo dell'ortodosso Teofane con i barlaamiti che sono tornati a onorare Dio". Ma il professor Panagiotis Chrestou conclude con argomenti, e senza alcun dubbio, che queste due opere, anche se i manoscritti restano anonimi (tranne il manoscritto nel monastero di Dionysiou che porta il nome di Gregorio Palamas), appartengono entrambe a san Gregorio Palamas. L'uso del nome Teofane come l'autore è suggerito dalla sua dichiarazione della visione della Luce increata come una teofania.

La seconda possibilità di un presumibile compositore di questo importante lavoro è Gennadios Scholarios, nato tra gli anni 1398 e 1405 e morto nel 1472. Era un notevole teologo ed è stato anche il primo patriarca dopo la caduta di Costantinopoli, che conosceva la lingua latina e i testi tradotti di Tommaso d'Aquino in lingua greca. Tra le opere di Gennadios Scholarios vi sono: una traduzione dell'opera di Tommaso d'Aquino "Sull'essere e l'essenza ", le note al testo "Sull'essere e l'essenza", una traduzione delle note di Tommaso d'Aquino a "Sull'anima" di Aristotele.

Si possono studiare attentamente le opere di Gennadios Scholarios per identificare gli elementi interni di prova, cioè le frasi che possono coincidere con l'opera "I centocinquanta capitoli". Ho in mente di fare questo lavoro, nel tempo libero dai miei doveri gerarchici e da altre situazioni.

Da quanto è stato detto in precedenza possiamo trarre tre conclusioni:

In primo luogo, San Gregorio Palamas non era a conoscenza del testo del "De Trinitate " di Agostino né ha preso in prestito citazioni o idee da esso e, naturalmente, la teologia di san Gregorio Palamas si differenzia chiaramente dalla teologia di sant'Agostino.

In secondo luogo, i " centocinquanta Capitoli", nello scenario più probabile, sono opera di un autore successivo, che conosceva gli insegnamenti di san Gregorio Palamas e di Agostino e ha tentato questa sintesi. Ha preso interi passi da testi di san Gregorio Palamas, ha usato anche quelli di sant'Agostino, e l'intera opera è stata attribuita a san Gregorio Palamas. Tra gli scrittori che possono aver tentato questo progetto sono Teofane di Nicea e Gennadios Scholarios, e molto probabilmente è stato il secondo. Tuttavia, questo necessita di ulteriori indagini.

In terzo luogo, nessuno può negare l'importanza di quest'opera, nei suoi punti chiave, in quanto esprime gli insegnamenti di san Gregorio Palamas, che sono gli insegnamenti della Chiesa, in quanto riporta interi suoi testi. In realtà, oltre alla singola immagine utilizzata in maniera ortodossa che mostra il rapporto tra le Persone della Santissima Trinità, e la giustapposizione di un testo di sant'Agostino come abbiamo già detto, si tratta di un lavoro palamita che è sia ortodosso sia patristico. Non cessa di avere un grande valore, dal momento che offre testi e punti teologici degli insegnamenti di san Gregorio Palamas ed esprime la tradizione dogmatica e esicasta della Chiesa ortodossa, che si differenzia nettamente dagli insegnamenti di sant'Agostino.

Dobbiamo accettare che l'esicasmo differisce dalla scolastica di Barlaam, che si basa su Tommaso d'Aquino, che a sua volta si basava sul neoplatonico Agostino e su Aristotele, come chiaramente visibile nell'opera di Tommaso d'Aquino, dal titolo "Summa Theologica".

Fonte: Τα εκατόν πεντήκοντα κεφάλαια του αγίου Γρηγορίου του Παλαμά (περίληψη)

Questo è un estratto da un discorso più lungo intitolato "I centocinquanta capitoli ", tenuto da sua Eminenza dopo che gli è stato assegnato un dottorato presso l'Università di Atene.

Tradotto da John Sanidopoulos.

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