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  Divorzio e nuovo matrimonio nell'Occidente latino: una storia dimenticata

di Alura

dal blog Shameless Orthodoxy

Parte I (Una storia dimenticata): 17 settembre 2016

Parte II (Un'aggiunta): 9 maggio 2017

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Il matrimonio di Artù e Ginevra – XV secolo

Parte I (Una storia dimenticata)

17 settembre 2016

Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi articoli su Internet che parlano delle differenze tra l'Occidente latino e l'Oriente greco sulla questione dell'indissolubilità del matrimonio, del divorzio e delle seconde nozze. I cattolici hanno spesso visto l'Oriente greco deviare dal corretto insegnamento in materia. E sia gli ortodossi che i cattolici hanno spesso visto l'Occidente latino come un monolite riguardo alla sua posizione sul divorzio e sulle seconde nozze. La verità della questione, tuttavia, è molto più complessa. L'Occidente latino ha avuto per molto tempo una ricca tradizione di consenso al divorzio e al nuovo matrimonio in una varietà di circostanze e in una serie di condizioni. Il mio scopo qui è di illustrare tali punti e di dimostrare che questa tradizione non era affatto minore, ma molto popolare per molti secoli nell'Occidente latino. Per molti versi, questa tradizione era analoga alla tradizione greca in Oriente.

Prima di iniziare questo elenco, lasciatemi fare la seguente dichiarazione. C'è molto da dire sulla parola greca o clausola della porneia in Matteo 19:9. Per una breve introduzione alla grande discussione al riguardo, si veda il seguente post sul blog Shameless Popery. Io non conosco il greco, quindi non cercherò di offrire la mia interpretazione del testo greco originale né citerò fonti secondarie a mio favore poiché non posso valutare criticamente la loro comprensione del greco. Tuttavia, sono piuttosto contento di lavorare con la Vulgata e la vasta letteratura latina sull'argomento. Inoltre, credo sia importante sottolineare che per molti secoli la clausola porneia o in latino la clausola fornicationem (cfr Vulgata, Mt 19:9) era intesa come una clausola di eccezione. Spesso questa tradizione è spazzata via come qualcosa di minore. Se si guarda solo ai Padri della Chiesa, allora forse hanno ragione. Tuttavia va tenuto presente che anche il gruppo di Padri della Chiesa che sosteneva l'opinione maggioritaria del divieto di un secondo matrimonio è ulteriormente suddiviso in varie opinioni di gruppo più piccole. Per esempio, Basilio e Tertulliano disapprovavano fortemente i secondi matrimoni, anche dopo la morte del coniuge. Una volta vista in questa luce, si comincia a comprendere che la questione delle seconde nozze nel suo insieme, così come delle seconde nozze dopo il divorzio, è un tema straordinariamente complesso nel primo millennio della Chiesa sia nell'Occidente latino che nell'Oriente greco.

A proposito dell'Oriente greco e delle sue tradizioni, c'è un blog cattolico che già se ne serve per argomentare l'indissolubilità del matrimonio. In effetti, ecco un post e poi un altro del famoso apologeta Dave Armstrong. Non entrerò nei dettagli su come si sbagliano con la loro affermazione che la Chiesa ortodossa ha ignorato il consenso dei Padri orientali della Chiesa sul fatto che il matrimonio è indissolubile. Farò solo il breve commento che molti di questi Padri della Chiesa stanno parlando nel contesto del genere parenetico. Inoltre, citerò brevemente un eccellente articolo sull'argomento:

L'idea per cui il vincolo matrimoniale sussisteva nonostante il divorzio giustificato, fondato cioè sulla clausola di eccezione di Matteo, è formalmente contraddittoria con la posizione generale dei Padri orientali. Sarebbe noioso citare tutte le testimonianze esplicite in tal senso. Basti citare san Giovanni Crisostomo, il quale conferma che con l'adulterio il matrimonio si scioglie e che dopo la fornicazione il marito cessa di essere marito. Quanto a san Cirillo di Alessandria, afferma espressamente: "Non è un atto di divorzio che scioglie il matrimonio davanti a Dio, ma le azioni cattive".

Vescovo Peter L'Huillier, "L'indissolubilità del matrimonio nella legge e nella pratica ortodossa", St. Vladimir's Theological Quarterly 32 (1988): 206.

Se si desidera leggere di più sulla questione specifica dei Padri orientali della Chiesa, allora vi incoraggio a leggere il seguente articolo sopra citato, che tocca anche i Padri latini della Chiesa:

Vescovo Peter L'Huillier, "L'indissolubilità del matrimonio nella legge e nella pratica ortodossa", St. Vladimir's Theological Quarterly 32 (1988): 199-221.

Allo stesso tempo, vorrei anche suggerire di leggere il meraviglioso articolo sul trattamento del matrimonio da parte dell'Occidente latino, che ho anche utilizzato in larga misura per attingervi le mie fonti primarie:

Jo-Ann McNamara e Suzanne F. Wemple, "Marriage and Divorce in the Frankish Kingdom," in Women in Medieval Society, a cura di Susan Mosher Stuard (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1976), 95-124.

Ora, senza ulteriori indugi, diamo un'occhiata alla lista! Lo scopo di questo elenco non è necessariamente quello di provare qualcosa contro l'attuale posizione latina, in particolare quella sostenuta dalla Chiesa cattolica (sebbene sia sostenuta anche da alcuni protestanti), sull'indissolubilità del matrimonio. Piuttosto il mio scopo qui è quello di evidenziare una tradizione di concili, di due Padri della Chiesa latina e dei penitenziali altomedievali usati dai sacerdoti che chiaramente consentono il divorzio e il nuovo matrimonio in una varietà di circostanze. Questa tradizione nell'Occidente latino risale almeno all'inizio del IV secolo.

Concili latini della Chiesa

Concilio di Arles, 314 d.C.:

De his qui coniuges suas in adulterio depraehendunt, et idem sunt adulescentes fideles et prohibentur nubere, placuit ut, quantum possit, consilium eis detur ne alias uxores, viventibus etiam uxoribus suis licet adulteris, accipiant.

Riguardo a questi [uomini] che trovano le loro mogli in adulterio – e [che] sono giovani cristiani, e [a cui] è proibito sposarsi – è stato deciso che, per quanto possibile, anche se la loro moglie adultera è viva, si dia loro il consiglio di non sposare un'altra donna.

Concilium Arelatense, canone 10, Mansi 2: 472

Concilium Arelatense, canone 10, in Conciliae Galliae A. 314-A.506, a cura di C. Munier, CCSL tomo 148 (Turnholt, 1963), pag. 11

Ora, per il Concilio di Arles, il mio lettore potrebbe essere confuso se avesse letto questo blog cattolico in cui l'autore fraintende il canone come sostegno all'indissolubilità del matrimonio. Il problema con la traduzione è che traduce male la frase chiave, "quantum possit" con "per quanto può essere". Ho evidenziato in grassetto la mia traduzione della frase. "Possit" è la forma presente del congiuntivo del verbo "possum", che significa "essere in grado", non "essere". Il latino corretto per la traduzione inglese dell'autore cattolico sarebbe il seguente: "quantum sit", che in realtà non avrebbe nemmeno senso in questo contesto. L'implicazione di questa frase è che l'uomo può sposare un'altra donna mentre la sua prima moglie è ancora viva, se si trova incapace di astenersi dal sesso. Idealmente, si astiene. Tuttavia, se non può, dovrebbe risposarsi per evitare la fornicazione. Questo canone è ben lontano dal sostenere il principio dell'indissolubilità del matrimonio, poiché sancisce il nuovo matrimonio dopo il divorzio.

Concilio di Vannes, 465 d.C.:

Eos quoque, qui relictis uxoribus suis, sicut in evangelio dicitur excepta causa fornicationis, sine adulterii probatione alias duxerint, statuimus a communion similiter arcendos, ne per indulgentiam nostrum praetermissa peccata alios ad licentiam erroris invitent.

Inoltre, a coloro che hanno abbandonato le loro mogli, proprio come è detto nel Vangelo, eccetto che per causa di fornicazione, che hanno sposato un'altra senza prova di adulterio, vietiamo parimenti la comunione, affinché non per nostra indulgenza invitino più i peccati permessi alla licenza dell'errore.

Concilium Veneticum, canone 2, Mansi 7: 953

Concilium Veneticum, canone 2, CCSL, 148: Pag. 152

Concilio di Soissons, 744 d.C.

Similiter constituimus, ut nullus laicus homo Deo sacratam feminam ad mulierem non habeat nec sua parentem; nec maritus vivente sua muliere aliam non accipiat, nec mulier vivente suo viro alium accipiat, quia maritus mulierem suam non debet dimittere, excepta causa fornicationis deprehensa.

Allo stesso modo stabiliamo che nessun laico può avere come moglie una propria parente o una donna con sacrata a Dio. Né il marito può sposare un altro mentre sua moglie vive, né la moglie può sposare un altro mentre suo marito vive, perché il marito non deve licenziare sua moglie, a meno che non sia stato scoperto un caso di adulterio.

Concilium Suessionense, canone 9, MGH, Concilium 2.1: 35

Ho incluso solo questo canone del Concilio di Soissons (744) perché originariamente lo includevo come prova certa della mia argomentazione. Tuttavia, come ha sostenuto il mio commentatore PatriciusPulcher, la mia interpretazione era fin troppo certa. Tuttavia, poiché questa è una modifica che esce quasi due anni e mezzo dopo la mia pubblicazione originale, mi sento obbligato citare qui sotto la mia argomentazione originale per il bene dei posteri.

Ora alcuni potrebbero obiettare al suddetto canone in quanto sostiene il nuovo matrimonio sulla base del fatto che esclude il nuovo matrimonio sulla base del fatto che il coniuge è ancora in vita. Potrebbero quindi sostenere inoltre che il divorzio è in realtà solo una separazione in caso di adulterio. Questa interpretazione è semplicemente impossibile. Il termine "quia" o "perché" indica che un marito non deve divorziare dalla moglie e sposarne un'altra mentre sua moglie vive, tranne in caso di adulterio. Il "perché" deve necessariamente valere per tutto il senso della frase. Inoltre, "perché" o "quia" implica un motivo determinante. Le circostanze del canone qui parlano di divorzi già avvenuti. Pertanto, non avrebbe senso dare la clausola di eccezione per il fatto della separazione, che non li riguarda.

Nota: questa è l'argomentazione originale e alquanto imbarazzante che avevo originariamente fatto. È vergognoso che ci abbia messo così tanto a correggerla dopo aver ammesso il mio errore. Le mie più sentite scuse.

Quanto a quale sia la mia attuale argomentazione a favore del Concilio di Soissons (744), credo che le possibilità che esso sostenga la mia argomentazione – che il divorzio e il nuovo matrimonio erano consentiti abbastanza ampiamente nell'Occidente latino durante la tarda antichità e l'alto medioevo – siano circa il 50%. Il canone stesso non dice esplicitamente che il nuovo matrimonio è consentito dopo il divorzio. Spiega solo che può avvenire un divorzio. Se la formulazione implica che un nuovo matrimonio è possibile nei casi di adulterio, beh, il canone può essere letto in entrambi i modi. Si può leggere che il nuovo matrimonio in tali casi può avvenire solo dopo la morte della prima moglie o che può avvenire a prescindere. Questo canone ricorre in prossimità del Concilio di Compiègne (757) e del Concilio di Verberie (?758-768?), i cui due canoni sono molto più chiari sull'ammissibilità del divorzio e del nuovo matrimonio. Come ho suggerito nella mia risposta a PatriciusPulcher, Compiègne e Verberie potrebbero essere letti come chiarimenti di Soissons. Ma questa linea di argomentazione non è infallibile, poiché presuppone la coerenza tra tutti e tre i concili, quando l'incoerenza avrebbe potuto benissimo essere la realtà storica. Quindi lascio Soissons qui come il mio esempio più ambiguo su cui non posso giungere a conclusioni definitive.

Concilio di Compiègne, 757 d.C.:

Si quis homo habet mulierem legittimam, et frater eius adulteravit cum ea, ille frater vel illa femina qui adulterium perpetraverunt, interim quo vivunt, numquam habeant coniugium. Ille cuius uxor fuit, si vult, potestatem habet accipere aliam.

Se un uomo ha una moglie legittima e suo fratello ha commesso adulterio con lei, quel fratello e quella donna che ha commesso adulterio non possono mai sposarsi tra loro durante la vita. Quell'uomo che era suo sposo, se lo desidera, ha il potere di sposare un'altra.

Capitularia regum francorum, can. 11, MGH 1: 38

Concilio di Verberie, AD ?758-768?:

Si qua mulier mortem viri sui cum aliis hominibus consiliavit, et ipse vir ipsius hominem se defendo occiderit et hoc probare potest, ille vir potest ipsam uxorem dimittere et, si voluerit, aliam accipiat.

Se una moglie ha cospirato per l'omicidio del marito con un altro uomo, e l'uomo stesso [N.B.: il marito] uccide l'altro uomo per legittima difesa ed è in grado di provarlo, quell'uomo è in grado di divorziare dalla moglie, e se desidera, sposare un'altra.

Capitularia regum francorum, can. 5, MGH 1: 40

Sinodo di Roma, 826 d.C., presieduto da papa Eugenio II:

De his, qui adhibitam sibi uxorem reliquerunt et aliam sociaverunt. Nulli liceat, excepta causa fornicationis, adhibitam uxorem relinquere et deinde aliam copulare; alioquin transgressorem priori convenit sociari coniugio. Sin autem vir et uxor divertere pro sola religiosa inter se consenserint vita, nullatenus sine conscientia episcopi fiat, ut ab eo singulariter proviso constituantur loco. Nam uxore nolente aut altero eorum etiam pro tali re matrimonium non solvatur.

Forma minor: Nullus excepta causa fornicationis uxorem suam dimittat. Si vero vir et uxor pro religion dividi voluerint, cum consensus episcopi hic faciant. Nam si unus voluerit et alius noluerit, etiam pro tali re matrimonium non solvatur.

Riguardo a quegli uomini che hanno divorziato dalle [loro] mogli sposate e ne sposano un'altra. Nessuno, tranne che per causa di fornicazione, divorzi dalla moglie sposata e poi ne sposi un'altra. Per il resto è conveniente che il trasgressore sia sposato con il primo coniuge. Se però un marito e una moglie acconsentono al divorzio tra loro per amore della vita monastica, ciò non avverrà in alcun modo senza la comune conoscenza del vescovo, in modo che possano essere posti da lui in un luogo adatto a ciascuno. Infatti, a causa di una moglie o di un marito riluttante, non si sciolga il matrimonio.

Forma breve: Nessuno divorzi dalla moglie se non per causa di fornicazione. Se invero un marito e una moglie desiderano separarsi per [perseguire] la vita monastica, lo facciano con il consenso del vescovo. Infatti, se uno lo vuole e l'altro no, il matrimonio non si sciolga.

Concilia Romanum, can. 36, MGH, Concilia aevi Karolini, 2.1: 582

Come si può facilmente vedere, la tradizione canonica per le seconde nozze dopo il divorzio nell'Occidente latino era forte nel primo millennio.

Padri della Chiesa: Girolamo e Ambrosiaster

Esaminiamo ora due dei Padri della Chiesa latina.

San Girolamo su Matteo 19:9, AD 398:

La fornicazione sconfigge l'affetto per la propria moglie. Infatti, "l'unica carne" che ha con sua moglie, la condivide con un'altra donna. Con la fornicazione ella si separa dal marito. Non dovrebbe essere trattenuta, per non causare la maledizione anche di suo marito, poiché la Scrittura dice: "Chi tiene un'adultera è stolto ed empio (Proverbi 18:22)". Pertanto, ogni volta che c'è fornicazione e sospetto di fornicazione, una moglie è liberamente divorziata. E poiché può accadere che qualcuno denunci falsamente un innocente e, a causa della seconda unione matrimoniale, accusi la prima moglie, è comandato di ripudiare la prima moglie in modo che non abbia seconda moglie mentre la prima è in vita. Infatti dice quanto segue: Se divorzi da tua moglie non per lussuria, ma per un'ingiuria, perché dopo l'esperienza del primo matrimonio infelice ti offri al pericolo di un nuovo matrimonio? E inoltre, poteva accadere che, secondo la stessa legge, anche la moglie avrebbe dato al marito un atto di ripudio. E così, con la stessa precauzione, è comandato che non riceva un secondo marito. E poiché una prostituta e colei che un tempo era stata un'adultera non temevano il rimprovero, al secondo marito viene comandato che se sposa una tale donna, sarà accusato di adulterio.

Girolamo, Commentario su Matteo, Patrologia Latina 26: 0135A – 0135B

Girolamo, Commentario su Matteo 19:9, Trad. di Thomas P. Scheck, Commentario su Matteo (Washington DC: Catholic University of America Press, 2008): 216-217

Questo passo del commento di Girolamo è spesso frainteso nel senso che qui sostiene l'indissolubilità del matrimonio. Semplicemente non è così. Girolamo è particolarmente preoccupato per la prospettiva che un marito o una moglie divorzino dal proprio coniuge per motivi ingiustificati o per motivi pretestuosi. Se ciò accade e poi si sposano, allora sia la parte ignara che quella più colpevole sono colpevoli di adulterio. Pertanto, Girolamo mette in dubbio le motivazioni di chi divorzia e poi sposa qualcun altro. Insinua che la parte offesa di un primo matrimonio dovrebbe essere così ferita emotivamente da non volersi risposare. In caso contrario, potrebbe benissimo essere che le accuse contro il coniuge di motivare il divorzio siano state inventate. Girolamo proibisce o almeno mette in guardia dal risposarsi per questi motivi. Mentre mi rendo conto che la posizione di Girolamo nella sua lettera 77 è diversa, penso che sia importante notare qualsiasi fluidità o cambiamento nella sua posizione.

L'anonimo Ambrosiaster (?366-384?):

Il consiglio dell'apostolo è il seguente: Se una donna ha lasciato il marito a causa del cattivo comportamento di questi, dovrebbe rimanere nubile o riconciliarsi con lui. Se non riesce a controllarsi, perché non vuole lottare contro la carne, allora lascia che si riconcili con suo marito. Una donna non può sposarsi se ha lasciato il marito a causa della sua fornicazione o apostasia, o perché, spinto dalla lussuria, desidera avere rapporti sessuali con lei in modo illecito. Questo perché la parte inferiore non ha gli stessi diritti previsti dalla legge di quella più forte. Ma se il marito si allontana dalla fede o desidera avere rapporti sessuali perversi, la moglie non può né sposare un altro né tornare da lui. Il marito non dovrebbe divorziare dalla moglie, anche se si dovrebbe aggiungere la clausola "tranne che per fornicazione". Il motivo per cui Paolo non aggiunge, come fa nel caso della donna, "ma se lei se ne va, dovrebbe rimanere com'è" è perché un uomo può risposarsi se ha divorziato da una moglie peccatrice. Il marito non è limitato dalla legge come lo è una donna, perché il capo della donna è suo marito.

Ambrosiaster, Commentario a 1 Corinzi 7:11, Patrologia Latina 17: 0230A – 0230B

Ambrosiaster, Commentario a 1 Corinzi 7:11: 11 Trad. di Gerald L. Bray, Commentari su Romani e 1-2 Corinzi (InterVarsity Press, 2009): 150-151

Mentre lo sfacciato sessismo dell'Ambrosiaster è indubbiamente (e giustamente) inquietante per noi oggi, è chiaro che comprendeva alcuni motivi legittimi per il divorzio e il nuovo matrimonio. Qualsiasi affermazione secondo cui pensa che i matrimoni siano indissolubili contraddice la sua sanzione di risposarsi per gli uomini divorziati.

Libri penitenziali latini

Occupiamoci infine dei libri penitenziali usati dai confessori. I primi due esempi provengono dalla sezione nota come Gli estratti (Excerptiones), vale a dire che le seguenti linee guida per la penitenza sono tratte da vari canoni di vari concili e Padri della Chiesa. Secondo Mansi, questi furono composti intorno all'anno 748, ma tale data è da prendere con una certa cautela poiché il sistema di datazione di Mansi è vecchio di secoli:

Si mulier discesserit a viro suo, despiciens eum, nolens revertere et reconciliari viro post quinque vel septem annos, cum consensus episcopi, ipse aliam accipiat uxorem, si continens esse non poterit, et poeniteat tres annos, vel etiam quamdiu vixerit, quia juxta sententiam Domini moechus comprobatur.

Se una donna si separa dal marito, disprezzandolo, non volendo tornare e riconciliarsi con l'uomo, [allora] dopo cinque o sette anni, con il consenso del vescovo, egli stesso può prendere un'altra moglie se non può essere continente. E che si penta per tre anni, o anche per quanto tempo vive, a causa della dichiarazione del Signore che stabilisce [i criteri] per un adultero.

Pseudo-Egoberto, Penitentiale Egberti, 122, Mansi 12: 424

Altro:

Si cujus uxor in captivitatem ducta fuerit, et ea redimi non poterit, post annum septimum alteram accipiat: et si postea propria, id est prior mulier, de captivitate reversa fuerit, accipiat eam, posterioremque dimittat. Similiter autem et illa, sicut superius diximus, si viro talia contigerint, faciat.

Se una moglie viene condotta in cattività e lui non è in grado di riscattarla, dopo sette anni può sposarne un'altra. E soprattutto se la prima donna ri torna dalla prigionia, egli la accolga e congedi la seconda moglie. E allo stesso modo, proprio come abbiamo detto sopra, può fare la donna se tali [eventi] sono accaduti al suo uomo.

Pseudo-Egoberto, Penitentiale Egberti, 123, Mansi 12: 424

Altro:

Si uxor viri cujusdam adulteretur, maritus eam potest deserere, et aliam ducere, si ea prima fuerit uxor; si autem secunda vel tertia fuerit, non potest aliam ducere: si uxor flagitia sua comittere velit intra quinque annos, alii viro nubere debet. Si mortuus maritus sit, uxor intra annum alium sumere potest. Quicumque maritus uxorem suam deseruerit, et ie injusto matrimonio (alii) adjungat, jejunet septem hyemes severum jejunium, vel quindecim leviora. Quicumque multa mala perpetraverit in homicidium, et occisionem hominis, et injustum concubitum cum bestiis, et cum mulieribus, eat ad monasterium, et semper jejunet usque ad finem vitae, si valde multa miserit.

Se la moglie dello stesso uomo ha commesso adulterio, il marito può divorziare da lei e sposarne un'altra [solo] se lei [l'adultera] è stata la prima moglie. Ma se era la seconda o la terza, non può sposarsi [di nuovo]. Se la moglie desidera compiere il suo atto vergognoso durante lo spazio di cinque anni, [allora] dovrebbe sposare un altro uomo. Se il marito è morto, la moglie può sposarsi nel giro di un anno. Ogni marito che divorzia dalla moglie e ne sposa un'altra in un matrimonio ingiusto, digiuni per sette inverni di duro digiuno o quindici inverni di digiuno leggero. Chi commette molti mali come l'uccisione di un uomo, i rapporti sessuali ingiusti con bestie e con donne, vada in monastero e digiuni in continuazione fino alla fine della sua vita, se veramente rinuncia ai molti [mali].

Pseudo-Egoberto, Penitentiale Egberti, 19, Mansi 12: 436

Questa prescrizione di cui sopra è particolarmente degna di nota perché la sua posizione sul nuovo matrimonio è molto vicina all'attuale pratica ortodossa.

E il penitenziale finale:

Si maritus cum propria sua uxore coeat, lavet se antequam ad ecclesiam abeat; si mulier maritum suum a se rejiciat, et dein nolit resipiscere, et cum eo in quinque annis pacem inire, maritus cum consensus episcopi, aliam uxorem ducere potest. Si maritus uxoris in captivitatem ducatur, expectet cum sex annos, et ita vir uxori faciat, si ei captivitas accidat; si maritus aliam uxorem ducat, et captiva post quinque annos redeat, deserat posteriorem, et captivam sumat, quam antea eodem modo duxerat. Cum vir in adulterio conjunctus sit uxori suae familiae, post uxoris suae mortem, legitimo jure uxori illi conjungatur.

Se un marito si accoppia con sua moglie, che si lavi prima di andare in chiesa. Se la donna respinge da sé il marito, e poi non vuole ravvedersi, ed egli passa con lei cinque anni tranquilli, il marito con il consenso del vescovo può sposare un'altra. Se il marito è condotto in cattività, che la moglie aspetti sei anni, e così faccia faccia con la moglie, se è condotta in cattività. Se il marito sposa un'altra moglie e la moglie catturata ritorna entro cinque anni, abbandoni quest'ultima moglie e riprenda la moglie [precedentemente] catturata, poiché era stato sposato con lei prima. Quando si scopre che un uomo ha commesso adulterio con una donna della famiglia di sua moglie, dopo la morte di sua moglie, può legittimamente sposaesi con quell'[altra] donna.

Pseudo-Egoberto, Penitentiale Egberti, 26, Mansi 12: 438

Queste esegesi di due Padri della Chiesa latina, i canoni di sei concili della Chiesa latina (uno dei quali ebbe luogo a Roma e fu presieduto da un papa), e varie dichiarazioni e prescrizioni date nei libri penitenziali servono tutti a chiarire che l'Occidente latino per la maggior parte del primo millennio era lungi dall'aver raggiunto un consenso sulla questione del divorzio e delle seconde nozze, così come sulla questione dell'indissolubilità. Se qualcuno vuole sapere cosa alla fine iniziò ad accadere a questa tradizione a partire dal IX secolo, suggerisco con tutto il cuore di leggere l'articolo di McNamara e Wemple che ho elencato sopra. Tutto quello che dirò sull'argomento è che Carlo Magno ebbe un grande impatto sul processo storico.

Parte II (un'aggiunta)

9 maggio 2017

matrimonio medievale

Molti mesi fa, ho pubblicato un post sulla storia del divorzio e del nuovo matrimonio nell'Occidente latino durante il primo millennio. In questo post ho presentato due Padri della Chiesa, sei concili ecclesiastici e quattro prescrizioni penitenziali che consentono il divorzio e il nuovo matrimonio in una varietà di circostanze. Ho ricevuto alcuni feedback da varie persone e volevo dedicare del tempo sia per chiarire alcuni punti, sia per aggiungere ulteriori prove dei permessi latini per il divorzio e il nuovo matrimonio. In particolare, vorrei chiarire l'attuale valutazione accademica del Canone 36 del Sinodo di Roma (826), aggiungere sia il Concilio di Elvira (c. 300) che il Concilio di Agde (506) come favorevoli al divorzio e alle nuove nozze, aggiungere altri canoni del Concilio di Compiègne (757), i canoni del Libro penitenziale dello pseudo-Teodoro, oltre alle sentenze di due papi: papa Innocenzo I e papa Leone I. Insomma, sto semplicemente aggiungendo MOLTE altre prove all'affermazione che il divorzio e il nuovo matrimonio nell'Occidente latino erano comuni nella Chiesa del primo millennio. Ci sono un'infinità di articoli cattolici là fuori che affermano sia il contrario, sia che la Chiesa ortodossa ha deviato dalla sacra tradizione su questo tema. Qui spero di far sparire completamente entrambe queste nozioni.

Prima di iniziare, vorrei solo riconoscere che le seguenti fonti secondarie si sono dimostrate preziose per me per scrivere questo post. Consiglio vivamente ai miei lettori di osservarle:

Jo-Ann McNamara e Suzanne F. Wemple, "Marriage and Divorce in the Frankish Kingdom," in Women in Medieval Society, a cura di Susan Mosher Stuard (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1976), 95-124.

Rachel Stone, Morality and Masculinity in the Carolingian Empire (New York: Cambridge University Press, 2012), 268-274.

Philip Lyndon Reynolds, Marriage in the Western Church: The Christianization of Marriage During the Patristic and Early Medieval Periods (New York: EJ Brill, 1994), 173-226.

Nota: ho usato altre pagine dal libro sopra citato di Reynolds, ma le pagine elencate sono le più pertinenti.

Il Sinodo di Roma (826 d.C.) riconsiderato

Per prima cosa, consideriamo il Sinodo di Roma, dell'anno 826 d.C., che dice quanto segue:

De his, qui adhibitam sibi uxorem reliquerunt et aliam sociaverunt. Nulli liceat, excepta causa fornicationis, adhibitam uxorem relinquere et deinde aliam copulare; alioquin transgressorem priori convenit sociari coniugio. Sin autem vir et uxor divertere pro sola religiosa inter se consenserint vita, nullatenus sine conscientia episcopi fiat, ut ab eo singulariter proviso constituantur loco. Nam uxore nolente aut altero eorum etiam pro tali re matrimonium non solvatur.

Forma minor: Nullus excepta causa fornicationis uxorem suam dimittat. Si vero vir et uxor pro religion dividi voluerint, cum consensus episcopi hic faciant. Nam si unus voluerit et alius noluerit, etiam pro tali re matrimonium non solvatur.

Riguardo a quegli uomini che hanno divorziato dalle [loro] mogli sposate e ne sposano un'altra. Nessuno, tranne che per causa di fornicazione, divorzi dalla moglie sposata e poi ne sposi un'altra. Per il resto è conveniente che il trasgressore sia sposato con il primo coniuge. Se però un marito e una moglie acconsentono al divorzio tra loro per amore della vita monastica, ciò non avverrà in alcun modo senza la comune conoscenza del vescovo, in modo che possano essere posti da lui in un luogo adatto a ciascuno. Infatti, a causa di una moglie o di un marito riluttante, non si sciolga il matrimonio.

Forma breve: Nessuno divorzi dalla moglie se non per causa di fornicazione. Se invero un marito e una moglie desiderano separarsi per [perseguire] la vita monastica, lo facciano con il consenso del vescovo. Infatti, se uno lo vuole e l'altro no, il matrimonio non si sciolga.

Concilia Romanum, can. 36, MGH, Concilia aevi Karolini, 2.1: 582

In primo luogo, diverse persone hanno affermato che questo canone consente il divorzio solo a causa della fornicazione. Una simile interpretazione non è semplicemente plausibile. Ogni opera accademica che ho consultato su questo argomento sostiene che questo canone consente esplicitamente il risposarsi dopo il divorzio in caso di adulterio. Le seguenti citazioni per questo sono:

Jo-Ann McNamara e Suzanne F. Wemple, "Marriage and Divorce in the Frankish Kingdom," in Women in Medieval Society, a cura di Susan Mosher Stuard (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1976), 103.

Rachel Stone, Morality and Masculinity in the Carolingian Empire (New York: Cambridge University Press, 2012), 272.

Philip Lyndon Reynolds, Marriage in the Western Church: The Christianization of Marriage During the Patristic and Early Medieval Periods (New York: EJ Brill, 1994), 187.

In breve, non c'è motivo di intendere questo canone nel senso che consente solo il divorzio e non sia il divorzio che il nuovo matrimonio. Il verbo principale "licet" si applica ugualmente ai verbi all'infinito "divorziare" (relinquere) e "sposarsi" (copulare). Per dimostrare ulteriormente il mio punto, diamo un'occhiata a un canone della Chiesa che vieta chiaramente il divorzio e il nuovo matrimonio (Concilio di Parigi nell'829 d.C.):

…ut Dominus ait, non sit uxor dimittenda, sed potius sustinenda, et quod hi, qui causa fornicationis dimissis uxoribus suis alias ducunt, Domini sententia adulteri esse notentur,…

Come dice il Signore, non si dovrebbe divorziare dalla moglie, ma piuttosto sostenerla. E inoltre, coloro che, avendo licenziato la moglie per causa di fornicazione [e] ne sposano un'altra, sono indicati dalla sentenza del Signore come adulteri.

Concilium Parisiense, can. 69, MGH, Concilium 2.2: 671.

Come si può vedere, in questo canone, è chiarito attraverso una precisa prosa latina che il nuovo matrimonio dopo il divorzio era srettamente proibito. Quindi sostenere che il Sinodo di Roma (826) proibisca effettivamente il nuovo matrimonio dopo il divorzio è solo una pura assurdità. E ancora, nessuno storico accademico ha mai inteso che questo canone significhi proprio questo.

Concilio di Elvira (300 d.C. circa)

Affermare che il Concilio di Elvira ha consentito il divorzio e il nuovo matrimonio potrebbe sembrare molto strano ad alcuni. Del resto, è comunemente usato nell'apologetica cattolica per affermare l'indissolubilità del matrimonio. Ho incontrato per la prima volta l'argomento secondo cui Elvira era modesta nell'articolo di McNamara & Wemple (McNamara & Wemple, 97-98). Non pensavo fosse modesto, quindi inizialmente non l'ho inserito tra le mie prove. Tuttavia, in seguito ho incontrato un'argomentazione più interessante avanzata da Reynolds, il quale afferma che Elvira accettava il divorzio e il nuovo matrimonio, ma solo per gli uomini che potevano provare l'infedeltà della moglie. In breve, proibisce solo il divorzio e il nuovo matrimonio per le donne (Reynolds, 181). Per noi persone moderne, questo doppio standard suona assolutamente ridicolo (e giustamente). Chiedo ai miei lettori di ricordare il mio post precedente, dove l'Ambrosiaster promuove esplicitamente questo doppio standard. Inoltre, la maggior parte dei canoni che ho presentato nel mio post precedente presupponeva che solo gli uomini potessero iniziare il divorzio. Tuttavia, una prova a sostegno del divorzio e del nuovo matrimonio è comunque una prova, indipendentemente dalle sue imperfezioni sessiste. Ora diamo un'occhiata alla serie di canoni:

VIII: Item feminae, quae nulla praecedente causa, relinquerint viros suos, & se copulaverint alteris, nec in fine accipiant comunionem.

IX: Item femina fidelis, quae adulterum maritum reliquerit fidelem & alterum ducit, prohibeatur ne ducat; si duxerit, non prius accipiat comunionem, nisi quem reliquerit, prius de saeculo exierit; nisi forte necessitas infirmitatis osare compulerit.

X: Si ea, quam catechumenus reliquit, duxerit maritum, potest ad fontem lavacri ammetteti. Hoc & circa feminas catechumenas erit observandum. Quod si fuerit fidelis, quae ducitur, ab eo qui uxorem inculpatam reliquit, & cum scierit illum habere uxorem, quam sine causa reliquit; placuit, huic nec in finem dandam esse comunionem.

8: Ancora, le donne che, senza causa precedente, lasciano il marito e ne sposano un altro, non riceveranno la comunione fino alla morte.

9: Ancora una volta, una donna cristiana, che ripudia il [suo] marito cristiano adultero e ne sposa un altro, è proibito [dal farlo] per timore che si sposi. Se si sposa, non può ricevere la comunione come prima, a meno che colui da cui divorzia non sia partito da [questo] mondo; o a meno che forse una forza di debolezza non costringa [uno] a dare [la sua comunione].

10. Se una donna, ripudiata da un catecumeno maschio, prende marito, può essere ammessa alla fonte del battesimo. E questa [regola] deve essere osservata riguardo alle donne catecumeni. Ma se c'è una donna cristiana, che è sposata da un uomo che ha divorziato da una donna innocente e sa che aveva una tale moglie da cui ha divorziato senza motivo, allora è conveniente che non riceva la comunione fino alla morte.

Concilium Eliberitanum, canoni 8-10, Mansi 2: 7.

LXV: Si cujus clerici uxor fuerit moechata, & scierit eam maritus suus moechari, & non eam statim projecerit, nec in fine accipiat comunioneem: ne ab his, qui exemplum bonae conversazioniis esse debent, ab eis videantur scelerum magisteria procedere.

65: Se la moglie di un chierico ha commesso adulterio, ed egli sa che sua moglie ha commesso adulterio, e non la respinge immediatamente, non riceva la comunione fino alla morte: affinché da queste cose, quegli uomini che dovrebbero essere un esempio di buona associazione, non siano visti da alcuni come parte di un magistero malvagio.

Concilium Elberitanum, can. 65, Mansi 2: 16

LXIX: Si quis forte habens uxorem semel fuerit lapsus, placuit, eum quinquennium agere de ea re poenitentiam; & sic riconciliari; nisi necessitas infirmitatis coegerit ante tempus dare comunioneem. Hoc & circa feminas observandum.

LXX: Si cum conscientia mariti uxor fuerit moechata, placuit, nec in fine dandam esse comunionem; si vero eam reliquerit, post decem annos accipiat comunionem.

69: Se un uomo che ha una moglie è caduto una volta [in adulterio], allora è opportuno che compia una penitenza di cinque anni al riguardo e quindi si riconcili; a meno che [ovviamente] la necessità dell'infermità non costringa a dargli la comunione prima del tempo [della penitenza]. Questo dovrebbe essere osservato anche dalle donne.

70: Se con la conoscenza congiunta la moglie del marito commette adulterio, è conveniente che al marito non sia data la comunione fino alla morte. Ma se divorzia da lei, può ricevere la comunione dopo dieci anni.

Concilium Elberitanum, canoni 69-70, Mansi 2: 17

Vediamo ora tutto in dettaglio. Innanzitutto, voglio portare l'attenzione su alcuni dettagli sorprendenti presenti in molti di questi canoni riguardanti il sesso. I canoni 10 e 69 hanno entrambi l'aggiunta esplicita che le loro prescrizioni si applicano a uomini e donne. Nel frattempo, gli altri canoni non hanno questa qualificazione. Pertanto, nessuno degli altri canoni dovrebbe essere interpretato come applicabile a entrambi i sessi a meno che non lo dicano esplicitamente.

Il canone 8 penalizza solo le donne che lasciano il marito e ne sposano un altro senza motivo. Il canone 9 parla ulteriormente delle donne affermando che nessuna donna cristiana può divorziare dal marito cristiano e sposarne un altro, anche in caso di adulterio. Se si sposa, le viene impedita la comunione fino alla morte del primo marito o se si avvicina al letto di morte. Si noti il fatto che questo canone NON prescrive che la donna lasci il suo secondo marito, lasciando così una certa dose di ambiguità.

Il canone 10 dice che se un catecumeno cristiano maschio lascia la coniuge non cristiana e sposa un'altra donna, non deve essere penalizzato. Infatti, deve ancora essere accolto nel battesimo. Quindi afferma esplicitamente che questa parte del canone si applica ugualmente sia agli uomini che alle donne (Hoc & circa feminas catechumenas erit observandum). Ma il canone continua con un'ulteriore clausola che si applica SOLO alle donne. Continua dicendo che una donna cristiana, e solo una donna cristiana, dovrebbe essere punita per aver sposato un uomo che ha mandato via la sua prima moglie senza motivo. La fede dell'uomo in questo caso, non ha importanza. Qui è dove le cose si fanno interessanti. Il canone 8 ha specificato che nessuna donna può lasciare il proprio marito senza un precedente motivo. Il canone 9 poi restringe ancor di più il campo in quanto una donna non può nemmeno risposarsi, anche se il marito cristiano ha commesso adulterio. Ma ancora una volta, niente di ciò si applica agli uomini. Quindi se un uomo, indipendentemente dalla fede, manda via la sua prima moglie con giusta causa, allora la donna cristiana NON è colpevole di adulterio. In breve, gli uomini possono divorziare e risposarsi in alcune circostanze, ma le donne no. Adesso, alcuni cattolici e protestanti cercheranno di dire che questa questione si applica solo perché il matrimonio tra un individuo non battezzato e un individuo cristiano non è un matrimonio sacramentale. Sebbene questa idea potrebbe benissimo essere alla base di parte del ragionamento di questi canoni, non spiega ancora il divario che è rimasto per gli uomini. Un uomo può ancora divorziare e risposarsi, anche se lui e la sua prima moglie hanno avuto un matrimonio cristiano.

Il canone 70 rafforza l'interpretazione di cui sopra. Si afferma che se un uomo sa che sua moglie ha commesso adulterio e continua a tollerarlo, deve essere escluso dalla comunione fino alla fine della sua vita. Se però lo tollera solo per poco tempo e poi divorzia da lei, deve essere escluso dalla comunione solo per dieci anni. I requisiti sono molto più severi per i sacerdoti sposati nel Canone 65. Se la moglie di un sacerdote commette adulterio anche solo una volta, il sacerdote è tenuto a divorziare immediatamente da lei. Non può in nessun caso tentare di risolvere le cose con lei, perché dovrebbe evitare anche la semplice apparenza di scandalo. Nel frattempo per il resto della popolazione, se l'adulterio di un coniuge non si verifica regolarmente, ma solo una volta, allora secondo il canone 69, al colpevole è consentito cercare di risolvere le cose con il coniuge a cui ha fatto del male. Il colpevole è anche interdetto dalla comunione per cinque anni. Tuttavia, va notato che né il colpevole né la vittima hanno l'obbligo di cercare di risolvere le cose, poiché non è richiesto, ma piuttosto è solo gradito o conveniente (placuit) che lo facciano. La vittima può avviare un divorzio. Tuttavia, come già stipulato, se la parte lesa è il marito, allora può risposarsi poiché ha una giusta causa.

Insomma, quello che ho dimostrato finora sul Concilio di Elvira (ca. 300 dC) è che esso non sostiene in alcun modo l'indissolubilità del matrimonio, sacramentale o no. Piuttosto limita solo le circostanze in cui si verificano il divorzio e il nuovo matrimonio. Le donne possono risposarsi solo se il loro primo marito è morto o se non era cristiano quando ha divorziato da lui con l'ulteriore disposizione che il suo secondo marito non è un divorziato, che ha licenziato la sua prima moglie per motivi illegittimi. Nel frattempo, un uomo cristiano può divorziare da una donna cristiana e poi sposare un'altra donna cristiana, purché abbia un motivo precedente per divorziare dalla sua prima moglie. Certo, questo concilio è sessista, ma stabilisce anche che un matrimonio sacramentale non è indissolubile.

Concilio di Agde (506 d.C.)

Il Concilio di Agde fu un concilio visigoto che ebbe luogo nel sud della Francia il 10 settembre 506 d.C. e fu supervisionato da san Cesario di Arles, un Padre della Chiesa. Stabilì quanto segue:

XXV: Hi vero saeculares, qui coniugale consortium culpa graviore dimittunt vel etiam dimiserunt et nullas causas discidii probabiliter proponentes, propterea sua matrimonia dimittunt, ut aut illicita aut aliena praesumant, si antequam apud episcopos comprovinciales discidii causas dixerint et prius uxores quam iudicio damnenter abiecerint, a comunione ecclesiae et sancto populi coetu, pro eo quod fidem et coniugia maculant, excludantur.

25: Ma questi laici, che interrompono il loro matrimonio per colpa grave o anche se hanno già divorziato e non offrono alcuna probabile causa di discordia per porre fine al loro matrimonio in modo che si possa presumere che contrarranno un matrimonio illecito o un altro matrimonio, siano esclusi dalla comunione della Chiesa e dalla santa compagnia del popolo perché contaminano la fede e il matrimonio; [ma solo] se hanno divorziato dalle loro ex mogli prima di aver dato la loro causa di discordia in un tribunale con i vescovi provinciali.

Concilium Agathense, canone 25, Mansi 8: 329

Concilium Agathense, canone 25, CCSL 148: 204

Questo canone è relativamente semplice. Se un uomo desidera divorziare dalla moglie a causa di qualche colpa grave non specificata, allora deve portare la causa davanti a un tribunale ecclesiastico e presentare la sua causa. Se non segue questa procedura, allora deve essere scomunicato. È implicito che all'uomo sia permesso risposarsi se è in grado di dimostrare la sua tesi. Inoltre, come sottolinea Reynolds, il canone vieta il divorzio se l'iniziato lo fa per contrarre un nuovo matrimonio (Reynolds, 184-185). Vale a dire, è il fine del divorzio a essere impuro, piuttosto che la causa per una colpa veramente grave.

Concilio di Compiègne rivisitato (757 d.C.)

Nel mio post precedente, ho offerto come prova il canone 11 di questo concilio che stabiliva che se la moglie di un uomo commette adulterio con suo cognato, allora il marito è libero di divorziare da lei e sposarne un'altra. L'adultera e il cognato, invece, non possono sposarsi. Ora vorrei introdurre altri canoni di questo concilio, in particolare i canoni 16 e 19.

XVI: Si quis vir dimiserit uxorem suam et dederit comiatum pro religionis causa infra monasterium Deo servire aut foras monasterium dederit licentiam velare, sicut diximus propter Deum, vir illius accipiat mulierem legittimam. Similiter et mulier faciat. Georgius consensit.

16: Se un uomo ha divorziato dalla moglie e le ha dato il permesso di servire Dio in un monastero per amore della religione o le ha dato la licenza di velarsi fuori dal monastero, [allora] proprio come abbiamo detto secondo Dio, l'uomo può ricevere [un'altra] moglie legale. E allo stesso modo, sia così per una donna [nelle circostanze inverse]. Giorgio ha acconsentito [a questa clausola].

Capitularia regum francorum, can. 16, MGH 1: 38

XIX: Si quis leprosus mulierem habeat sanam, si vult ei donare comiatum ut accipiat virum, ipsa femina, si vult, accipiat. Similitro et vir.

19: Se un lebbroso ha una moglie sana, [e] se desidera darle il permesso in modo che possa sposare [un altro] molti, quella donna, se lo desidera, può sposare [un altro uomo]. E allo stesso modo, [sia così] per un uomo [nelle circostanze inverse].

Capitularia regum francorum, can. 19, MGH 1: 39

Questi canoni sono piuttosto sbalorditivi. In nessuno di questi casi nessuna delle parti nel matrimonio ha commesso un errore. In entrambi i canoni, la coppia può sciogliere il matrimonio di comune accordo. La natura egualitaria di questi canoni è rara nell'Occidente latino, a differenza dell'Oriente greco, dove era più comune (Reynolds, 176). Ma qui il divorzio e il nuovo matrimonio sono consentiti solo per il caso dell'estrema malattia della lebbra o per entrare in un monastero. Nel caso del Canone 19, si deve capire che le persone medievali pensavano che la lebbra fosse altamente contagiosa (cosa che non è vera) e che non vi fossero mezzi per un trattamento adeguato. Il canone sottolinea la buona salute del coniuge non infetto. Insomma, il principio sotteso al canone era la preoccupazione che anche il coniuge sano si ammalasse di lebbra. Come mezzo per evitarlo, hanno concesso alla coppia la possibilità di rescindere il matrimonio e al coniuge sano di sposarne un altro, se entrambe le parti erano d'accordo. Ciò che è ulteriormente implicito è che se entrambe le parti sono lebbrose, allora non possono divorziare e risposarsi. Nel caso del canone 16, si presume che il coniuge che entra in monastero voglia effettivamente entrare in monastero. In breve, un membro del matrimonio non può costringere il coniuge a entrare in monastero e poi presumere di contrarre un altro matrimonio. Il loro deve essere un chiaro desiderio religioso. È anche ragionevole presumere che i partecipanti al concilio considerassero l'attività sessuale una parte molto importante non solo per la consumazione del matrimonio, ma durante tutto il matrimonio. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che il divorzio e il nuovo matrimonio sono consentiti se il coniuge fa semplicemente voto di castità (assume il velo) ma non entra in monastero.

Penitenziale dello pseudo-Teodoro di Canterbury (820/2 - 847 d.C.)

Per prima cosa, la paternità e la datazione di questo penitenziale è stata oggetto di un dibattito significativo negli ultimi 150 anni. Il consenso degli studiosi è ora che questo penitenziale non è opera di Teodoro di Canterbury (altrimenti noto come Teodoro di Tarso), sebbene faccia uso del vero penitenziale di Teodoro. Inoltre, non è di origine anglosassone. Piuttosto, questo penitenziale è sicuramente di origine franca, datato dall'820/2 all'847 d.C. Per le argomentazioni dettagliate su questo argomento, si veda l'introduzione alla seguente edizione critica moderna del testo:

Pseudo-Teodoro, Paenitentiale pseudo-Theodori, a cura di Carine van Rhijn, CCSL 156B (Turnhout, Belgio: Brepols, 2009)

Ora, diamo un'occhiata ad alcuni dei canoni dello pseudo-Teodoro. Ho elencato prima i capitoli e i numeri di canone per l'edizione CCSL e tra parentesi ho fornito i numeri di canone per l'edizione di Wasserschleben, che è disponibile su Google Books:

XIII.7 (6): Qui dimiserit uxorem propriam alienamque in coniugio duxerit, non tamen uxorem alterius sed vacantem quempiam vel virginem, vii annos peniteat.

XIII.13 (12): Si quis legitimam uxorem habens dimiserit et aliam duxerit, vii annos peniteat. Illa vero quam duxit non est illius, ideo non manducet, neque bibat, neque omnino in sermone sit cum illa quam male accepit, neque cum parentibus illius. Ipsi tamen, si consenserint, sint scomunicati. Illa vero excommunicatio talis fiat, ut neque manducent neque bibant cum aliis christianis, neque in sacra oblatione participes existant et a mensa Domini separentur quousque fructum penitentie dignum per confessionem et lacrimas ostendant.

XIII.19 (18): Mulier si adulterata est et vir eius non vult habitare cum ea, dimittere eam potest iuxta sententiam Domini, et aliam ducere. Illa vero, si vult in monasterio intrare, quartam partem suae hereditatis obtineat. Si non vult, nihil habeat.

XIII.24 (23): Si mulier discesserit a vira suo, dispiciens eum, nolens revertere et reconciliari viro, post v annos cum consensu episcopi aliam accipiat uxorem si continens esse non poterit et iii annos peniteat quia iuxta sententiam Domini moechus comprobatur.

XIII.25 (24): Si cuius uxor in captivitatem per vim ducta fuerit et eam redimi non potuerit, post annum potest alteram accipere. Item si in captivitate ducta fuerit et sperans quod debet revertere vir eius, v annos expectet. Similiter autem et mulier si viro talia contingerint. Si igitur vir interim alteram duxit uxorem et prior iterum mulier de captivitate reversa fuerit, eam accipiat posterioremque dimittat. Similiter autem et illa, sicut superius diximus, si viro talia contingerint, faciat.

13.7 (6): Colui che manda via sua moglie e ne sposa un'altra in unione, [vale a dire] non la moglie di un altro, ma una qualsiasi fanciulla, faccia penitenza per sette anni.

13.13 (12): Se un uomo vivente che ha una moglie legittima divorzia da lei e ne sposa un'altra, faccia penitenza per sette anni. Ma quella [prima] donna che ha sposato non è più sua, quindi non mangi, non beva, né intrattenga conversazioni con quella [seconda] donna che ha sposato ingiustamente né con i suoi genitori. E quei genitori, se acconsentono [al fatto che egli stia con l'ex moglie], siano scomunicati. Ma quella scomunica sarà così grande, che non mangeranno né berranno con nessun altro cristiano, né parteciperanno alla santa oblazione e saranno separati dalla mensa del Signore fino a quando non porteranno frutti degni con la penitenza attraverso la confessione e le lacrime.

13:19 (18): Se una donna è adultera, e suo marito non desidera vivere con lei, può divorziare da lei secondo la prescrizione del Signore e sposarne un'altra. Ma se quella donna vuole entrare in un monastero, le conservi un quarto della sua dote. Se non desidera [farlo], che non ne abbia parte.

13.24 (23): Se una donna ha divorziato dal marito, disprezzandolo, non volendo tornare e riconciliarsi con il marito, dopo cinque anni con il consenso del vescovo, questi può sposare un'altra moglie se non può essere continente. E faccia penitenza per tre anni perché, secondo la prescrizione del Signore, è conosciuto come adultero.

13.25 (24): Se la moglie di un uomo è stata condotta in cattività con la forza ed egli non è stato in grado di riscattarla, dopo un anno egli può sposarne un'altra. Inoltre, se una donna viene condotta in cattività e suo marito spera che lei passa tornare, allora dovrebbe aspettare cinque anni. E similmente per una donna se le hanno sequestrato il marito. Se dunque un uomo ha sposato un'altra moglie e la prima moglie è tornata dalla prigionia, l'accolga e ripudi la seconda. E allo stesso modo, proprio come abbiamo detto sopra, nel caso in cui un marito venga preso e poi ritorni, la moglie faccia altrettanto.

"Poenitentiale pseudo-Theodori," in Die Bussordnungen der abendländischen Kirche, a cura di FWH Wasserschleben (Halle, Germania: Graeger, 1851), 581-583 (canoni 6, 12, 18, 23-24)

Poenitentiale pseudo-Theodori, Capitolo 13 De adulterio, CCSL 156B, 26-29 (cann. 7, 13, 19, 24-25)

Il Canone 7 (sto usando i numeri CCSL qui) dice che un uomo che divorzia dalla moglie e ne sposa un'altra deve fare penitenza per sette anni. Dato che la penitenza non dura per tutta la vita fino a quando non divorzia dalla seconda moglie o viene abbreviata se divorzia dalla seconda moglie, è chiaro che il nuovo matrimonio è consentito. È sorprendente, tuttavia, che non vengano delineate circostanze che limitino le ragioni del divorzio. Nel frattempo, il Canone 13 ripete questa ingiunzione sull'uomo, ma poi si occupa del comportamento della prima moglie. Le è esplicitamente vietato stare vicino alla seconda moglie o ai suoi ex suoceri. Se i suoceri permettono alla loro amata ex nuora di rimanere con loro, quei genitori vengono scomunicati. Il canone 13 sembra voler rendere la vita del secondo matrimonio il meno imbarazzante possibile costringendo l'ex moglie a uscire completamente dal quadro. In altre parole, anche se l'uomo è disapprovato per il divorzio e il secondo matrimonio, quest'ultimo è considerato del tutto legittimo e degno della protezione della chiesa e della comunità.

Il canone 19 è abbastanza diretto nel permettere il divorzio e il nuovo matrimonio del marito, se sua moglie ha commesso adulterio. Emette anche clausole per la divisione della sua dote. Se la moglie sceglie di fare penitenza entrando in un monastero, allora può tenere un quarto della sua dote, presumibilmente da offrire al suo monastero quando vi entrerà. Ma se sceglie di non fare questa penitenza e invece non fa penitenza o la penitenza di sette anni delineata nel Canone 18 (17), che non ho tradotto qui, allora non deve tenere nulla della sua dote. La perdita di una dote per una donna medievale dopo il divorzio era una sentenza incredibilmente dura.

Il Canone 24 somiglia molto al Canone 122 del penitenziale dello pseudo-Egberto, che ho offerto nel mio post precedente, ma limita la penitenza a soli tre anni. L'ambiguità della penitenza permanente, delineata nello pseudo-Egberto, viene rimossa. Rimane però la condanna del marito per non essere rimasto idealmente celibe. Allo stesso modo il Canone 25 è simile anche al Canone 123 nello pseudo-Egberto precedentemente discusso. Tuttavia, i tempi di attesa differiscono drasticamente. Nello pseudo-Teodoro, se il marito è chiaramente incapace di riscattare la moglie, deve solo aspettare un solo anno prima di risposarsi. Se, tuttavia, aspetta, presumibilmente attraverso accordi precedenti, che lei venga restituita, allora deve aspettare almeno cinque anni. Se lei non è tornata dopo cinque anni, allora può risposarsi. Lo pseudo-Egberto non fornisce questa sfumatura. Piuttosto si dice che indipendentemente dal fatto che il marito si aspetti di riavere sua moglie dopo aver provato a farlo, deve aspettare sette anni interi prima di risposarsi. Tuttavia, entrambi i penitenziali concordano sul fatto che queste clausole si applicano allo stesso modo sia agli uomini che alle donne. Pertanto, una donna potrebbe risposarsi se non è in grado di riscattare il marito catturato. Inoltre, se il coniuge catturato in qualche modo ritorna dopo che l'altro si è già risposato, la parte risposata deve divorziare dal secondo coniuge e tornare dal primo. Non sembra che i desideri di una delle parti contino in tali circostanze. Devono tornare al primo matrimonio a prescindere.

Papa Innocenzo I: Il caso di Fortunio e Ursa (410 d.C.)

Il seguente contesto storico per questo caso è dettagliato nell'opera di Reynolds, ma Migne presenta anche alcune note nella Patrologia Latina (Reynolds, 131-134). Questo caso particolare si presentò davanti a papa Innocenzo I nel 410 d.C., portatogli da una donna di nome Ursa. Conosciamo questo caso attraverso una lettera di Innocenzo indirizzata a un funzionario civile romano di nome Probo. Le circostanze di Ursa furono che fu catturata dai Visigoti che saccheggiarono Roma nel 410. Alla fine, tuttavia, poté tornare a Roma e da suo marito. Tuttavia, suo marito, Fortunio, si era già risposato con un'altra donna di nome Restituta (Reynolds, 132). Secondo il diritto romano secolare, se qualcuno era catturato da un nemico straniero e portato in un territorio al di fuori del controllo romano, la sua cittadinanza era sospesa e il suo patrimonio poteva essere assunto da un altro. Inoltre, il suo matrimonio era automaticamente sciolto (Reynolds, 131). Vale a dire, anche se si voleva attendere il ritorno del coniuge, secondo il diritto romano, il matrimonio era già stato sciolto automaticamente. Di seguito la lettera di Innocenzo, che contiene i particolari di questo caso:

Epistola XXXVI. Si maritus cujus uxor in captivitatem fuerat abducta, alteram acceperit, revertente prima, secunda mulier debet excludi.

Innocentius Probo

[Col.0602B] Conturbatio procellae barbaricae facultati legum intulit casum. Nam bene constituto matrimonio inter Fortunium et Ursam captivitatis incursus fecerat naevum, nisi sancta religionis statuta providerent. Cum enim in captivitate praedicta Ursa mulier teneretur; aliud conjugium cum Restituta Fortunius memoratus inisse cognoscitur (34, q. 1 et 2, c. 2; Ivo p. 8, c. 245) . Sed favore Domini reversa Ursa nos adiit, et nullo diffitente, uxorem se memorati perdocuit. Quare, domine fili merito illustris, statuimus, fide catholica suffragante, illud esse conjugium, quod erat primitus gratia divina fundatum; [Col.0603A] conventumque secundae mulieris, priore superstite, nec divortio ejecta, nullo pacto posse esse legitimum.

Lettera 36. Se un marito la cui moglie è stata condotta in cattività e che ha sposato un'altra donna debba, tornata la prima moglie, divorziare dalla seconda moglie.

Innocenzo a Probo

La confusione del barbaro violento ha portato una causa legale davanti a me. Il loro attacco ha infatti rovinato il buon matrimonio tra Fortunio e la prigioniera Ursa, a meno che non abbiano fornito un sacro statuto di religione. Infatti, la donna Ursa fu presa nella suddetta prigionia, e si sa che Fortunio contrasse un altro matrimonio con Restituta. Ma con il favore del Signore, Ursa ritornò da noi e, senza negare, proclamò in modo convincente di essere la moglie dei tempi passati. In tal modo, o giovane illustre signore di merito, abbiamo stabilito, secondo la fede universale, che [il primo] matrimonio sia valido, perché fondato in precedenza con la grazia divina, e che il legame con la seconda donna, finché la prima la moglie vive o non è divorziata, non può per nessun accordo essere legittimo.

Papa Innocenzo I a Probo, Epistula 36, Patrologia Latina 20: 602A – 603A

C'è molto da dire qui. Com'è giusto, un precedente studioso di nome G.H. Joyce ha affermato che questo caso era un caso legale, non un caso ecclesiastico, il che significa che Innocenzo operava come giudice legale laico ed era vincolato dalla legge secolare. Questo argomento può essere visto in Christian Marriage: An Historical and Doctrinal Study stampato nel 1933. Reynolds, tuttavia, confuta questa posizione insistendo sul fatto che il caso è passato a un tribunale ecclesiastico. La ragione di ciò è che l'imperatore Onorio aveva stabilito nel 399 d.C. che i vescovi potevano ascoltare solo casi religiosi e che i casi civili dovevano essere tenuti davanti a tribunali civili. Inoltre, secondo il diritto civile, Ursa avrebbe sicuramente perso la causa contro Fortunio, perché il diritto romano scioglieva automaticamente il loro matrimonio se era catturata e portata in territorio straniero (Reynolds, 133). Questo argomento è ulteriormente rafforzato dal fatto che Innocenzo fa menzione di statuti religiosi (sancta religionis statuta) e del favore della fede universale (fide catholica suffragante) (Reynolds, 133). Questi statuti non avrebbero valore in questo caso se si trattasse di un caso legale secolare. In breve, questo era sicuramente un caso religioso giudicato da papa Innocenzo I.

Ora, è degno di nota che papa Innocenzo solleva il punto interessante di alcune eccezioni nei casi di divorzio e nuovo matrimonio. Se la prima moglie moriva, ovviamente Fortunio poteva risposarsi. Inoltre, se Fortunio avesse divorziato dalla moglie in un tribunale ecclesiastico, allora avrebbe potuto risposarsi. In breve, Innocenzo qui sta dicendo che permette il divorzio e il nuovo matrimonio. Sorge rapidamente la domanda su quali circostanze Innocenzo avrebbe concesso un divorzio ecclesiastico. Su questo punto tornerò in seguito.

Ora alcuni lettori obietteranno a questa interpretazione basata sulla lettera di Innocenzo al vescovo Victricio di Rouen nel 408 d.C. In esso, proibisce a una donna adultera di risposarsi mentre suo marito è ancora in vita. Catholic Answers pubblica con orgoglio questa citazione sul proprio sito web riguardante la questione del matrimonio. Tuttavia, va notato che questa donna è chiaramente la parte colpevole del matrimonio. Inoltre, la lettera non dice nulla sul divieto a quel marito di risposarsi. Tuttavia, Innocenzo proibisce il risposarsi dopo il divorzio, anche in caso di adulterio, per entrambe le parti nella Lettera 6, Capitolo 6 (PL 20: 0500B – 0501A) risalente al 405 d.C. Quindi, o Innocenzo cambiò posizione cinque anni dopo nel caso di Ursa, oppure fu sempre straordinariamente severo nel concedere l'autorizzazione al divorzio ecclesiastico. Reynolds ipotizza che le circostanze straordinarie potrebbero essere state correlate a molti anni di prigionia (Reynolds, 134). Ancora una volta, non possiamo conoscere i dettagli. Ciò che è certo, tuttavia, è che papa Innocenzo credeva che il divorzio e il nuovo matrimonio fossero possibili, ma su quali basi rimane incerto.

Papa Leone I: Sul ritorno dei coniugi prigionieri (458 d.C.)

Quasi quattro decenni dopo, Papa Leone I, così come Innocenzo, affrontò la sfida spaventosa degli invasori barbari, questa volta gli unni sotto il comando di Attila. Intorno al 452 d.C., gli Unni avevano invaso l'Italia settentrionale e avevano fatto molti prigionieri. Le restanti donne i cui mariti erano stati presi in cattività alla fine si risposarono. Tuttavia, molti degli uomini riuscirono a tornare alcuni anni dopo. Il vescovo Niceta di Aquileia è incerto su cosa fare in questi casi difficili. Pertanto, chiede a Leone la sua opinione in merito. Di seguito è elencata una parte della risposta di Leone in un rescritto (Reynolds, 134-135). È importante notare che i rescritti non erano giudizi vincolanti: Niceta non aveva l'obbligo di ascoltare i consigli di Leone.

Epistola CLIX. Ad Nicetam episcopum Aquileiensem

Caput I. De feminis quae occasione captivitatis virorum suorum, aliis nupserunt.

Cum ergo per bellicam cladem et per gravissimos hostilitatis incursus, ita quaedam dicatis divisa esse conjugia, ut abductis in [Col.1136B] captivitatem viris feminae eorum remanserint destitutae, quae cum viros proprios aut interemptos putarent, aut numquam a dominatione credent liberandos, ad aliorum conjugium, solitudine cogente, transierint. Cumque nunc statu rerum, auxiliante Domino, in meliora converso, nonnulli eorum qui putabantur periisse, remeaverint, merito charitas tua videtur ambigere quid de mulieribus, quae aliis junctae sunt viris, a nobis debeat ordinari. Sed quia novimus scriptum, quod a Deo jungitur mulier viro (Prov. XIX, 14), et iterum praeceptum agnovimus ut quod Deus junxit homo non separet (Mt. XIX, 6), necesse est ut legitimarum foedera nuptiarum redintegranda credamus, et remotis malis quae hostilitas intulit, unicuique hoc quod legitime habuit reformetur, [Col.1136C] omnique studio procurandum est ut recipiat unusquisque quod proprium est.

Caput II. An culpabilis sit qui locum captivi mariti assumpsit.

Nec tamen culpabilis judicetur, et tamquam alieni juris pervasor habeatur, qui personam ejus mariti, qui jam non esse existimabatur, assumpsit. [Col.1137A] Sic enim multa quae ad eos qui in captivitatem ducti sunt pertinebant in jus alienum transire potuerunt, et tamen plenum justitiae est ut eisdem reversis propria reformentur. Quod si in mancipiis vel in agris, aut etiam in domibus ac possessionibus rite servatur, quanto magis in conjugiorum redintegratione faciendum est, ut quod bellica necessitate turbatum est pacis remedio reformetur?

Caput III. Restituendam esse uxorem primo marito.

Et ideo, si viri post longam captivitatem reversi ita in dilectione suarum conjugum perseverant, ut eas cupiant in suum redire consortium, omittendum est et inculpabile judicandum quod necessitas intulit, et restituendum quod fides poscit.

Lettera 159. Al Vescovo Niceta di Aquileia.

Capitolo 1. Riguardo alle donne che in occasione della cattura dei loro mariti hanno sposato un altro uomo.

Pertanto, quando per la distruzione della guerra e per l'inizio delle più gravi ostilità, come dici tu, alcuni matrimoni vengono sciolti, così che le donne, i cui mariti sono stati condotti in cattività, rimangono indigenti e pensano che i loro mariti siano stati uccisi o credono che non saranno mai liberati dalla prigionia, quindi a causa dell'essere state spinte alla solitudine contraggono un altro matrimonio. Ora, ogni volta che lo stato delle cose, con l'aiuto del Signore, cambia in meglio, e alcuni, che si credevano periti, sono tornati, la tua carità vede con meritata ambiguità le donne che si uniscono a un altro uomo. Lascia che [questo caso] sia governato da noi. Poiché abbiamo conosciuto le Scritture, che [dicono] che "una donna è unita a un uomo da Dio" (Proverbi 19:14),

Capitolo 2. Se vi sia colpevolezza per colui che presumeva che il [primo] marito fosse stato catturato.

Tuttavia, l'uomo che ha preso il posto del marito, ritenendo che quest'ultimo non esistesse più, non dovrebbe essere giudicato colpevole o invasore del diritto altrui. Infatti, in questo modo molte cose che appartenevano a coloro che erano stati presi in cattività possono essere passate nei diritti di altri. Ma è del tutto giusto che, quando tornano, i loro beni siano loro restituiti. Ora, se questo è giustamente osservato in materia di schiavi o di terra, o anche di case e possedimenti, quanto più si dovrebbe fare questo quando si tratta di ristabilire un matrimonio, in modo che ciò che le avversità della guerra hanno interrotto dovrebbe essere ripristinato dal rimedio della pace.

Capitolo 3 Se la moglie debba essere restituita al suo primo marito.

E quindi, se gli uomini che sono tornati dopo una lunga prigionia, perseverano nell'amore delle loro mogli tanto da desiderare di tornare alla loro unione, allora ciò che ha causato la sventura dovrebbe essere messo da parte e ciò che la fedeltà richiede dovrebbe essere restituito.

Nota: le traduzioni dei capitoli 2 e 3 si trovano in Reynolds, Marriage in the Western Church, 135-137.

Papa Leone I al vescovo Niceta di Aquileia, Epistula 159, Patrologia Latina 54: 1136A – 1137A

Qui papa Leone consiglia che, se il primo marito ritorna dalla prigionia E desidera che ricongiungersi con sua moglie, che da allora ha sposato un altro uomo, allora la moglie lasci il suo secondo marito e ritorni al suo primo marito. Inoltre, nessuna delle parti è ritenuta responsabile per questa situazione. Infatti, il secondo marito è esplicitamente esonerato. È anche degno di nota il fatto che se il marito ritorna E NON desidera reclamare sua moglie, allora la moglie NON ha alcun obbligo di lasciare il suo secondo marito. Un'ultima cosa che vale la pena sottolineare qui è che Leone credeva che il secondo matrimonio della donna andasse bene sulla base di due qualifiche: il caso della cattura e della riduzione in schiavitù del suo primo marito. Queste due qualifiche erano o che la moglie credeva che il suo primo marito fosse morto OPPURE che credeva che, sebbene fosse ancora vivo, non sarebbe più riuscito a tornare. Pertanto, è abbondantemente chiaro che papa Leone I non riteneva indissolubile il matrimonio, come fanno oggi molti cattolici e alcuni protestanti.

Conclusione

Quest'aggiunta si è rivelata molto più lunga del post originale che ho pubblicato a settembre. Eppure penso che sia sufficiente mostrare che la tradizione del divorzio e del nuovo matrimonio nell'Occidente latino era forte e vibrante durante il primo millennio. Il Concilio di Roma (826) consentì sicuramente sia il divorzio che il nuovo matrimonio sotto la guida di papa Eugenio II. Inoltre, il Concilio di Elvira (c. 300) consentiva il nuovo matrimonio solo per i mariti. Le donne, tuttavia, si trovavano di fronte a un doppio standard sessista, cosa non insolita per i permessi di risposarsi nell'Occidente latino. L'uguaglianza per il divorzio e il nuovo matrimonio era molto più comune nell'Oriente greco. Quest'uguaglianza è meglio dimostrata nell'Occidente latino nel penitenziale dello pseudo-Teodoro e nei canoni aggiuntivi del Concilio di Compiègne (757). Ho anche fornito prove di altri due papi, Innocenzo I e Leone I (un padre della Chiesa), che hanno permesso esplicitamente il divorzio e il nuovo matrimonio. Ho anche mostrato che san Cesario di Arles, un altro Padre della Chiesa, sovrintese a un concilio che decretò il divorzio e il nuovo matrimonio come ammissibili. Per riassumere la totalità di questi ultimi due post sulla tradizione dell'Occidente latino: quattro Padri della Chiesa, tre papi, otto concili e due penitenziali hanno tutti sanzionato il divorzio e il nuovo matrimonio in una varietà di circostanze. Il divorzio e il nuovo matrimonio nell'Occidente latino facevano sicuramente parte della tradizione sacra.

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