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  Principi di base dell'attitudine della Chiesa Ortodossa Russa verso le altre confessioni cristiane

Concilio giubilare dei vescovi della Chiesa Ortodossa Russa (13-16 Agosto 2000)

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Questo testo, pubblicato su Il Regno - Documenti n.5 (876) del 1 Marzo 2001, è stato rivisto in alcune espressioni a partire dalla traduzione inglese presente sul sito del Patriarcato di Mosca.

 

1. L 'unità della Chiesa e il peccato delle divisioni tra gli uomini

1.1. La Chiesa Ortodossa è la vera Chiesa di Cristo, fondata dal nostro Signore e Salvatore stesso, la Chiesa confermata e sostenuta dallo Spirito Santo, la Chiesa di cui lo stesso Salvatore ha detto «Edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Questa è la Chiesa una, santa, cattolica (sobornaja) e apostolica, depositaria e dispensatrice dei Santi Sacramenti in tutto il mondo, «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15) Essa ha la pienezza della responsabilità di diffondere la verità del Vangelo di Cristo, e anche la pienezza dell'autorità di testimoniare «la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte» (Gd 3)

1.2. La Chiesa di Cristo è una e unica (San Cipriano di Cartagine, De Ecclesiae unitate). Il fondamento dell'unità della Chiesa - corpo di Cristo - sta nel fatto che essa ha un solo Capo - il Signore Gesù Cristo (Ef 5,23) e che in essa agisce un solo Spirito Santo che vivifica il corpo della Chiesa e unisce tutti i suoi membri con Cristo come suo capo.

1.3. La Chiesa è l'unità «dell'uomo nuovo in Cristo». In virtù dell'incarnazione e dell'essersi fatto uomo, il Figlio di Dio «ricominciò da capo la lunga successione degli esseri umani» (Sant'Ireneo di Lione), avendo creato un nuovo popolo eletto, stirpe spirituale del secondo Adamo. L'unità della Chiesa è superiore a ogni unità umana e terrena, poiché è data da Dio come dono perfetto e divino. Le membra della Chiesa sono unite in Cristo da lui stesso, sono come i tralci della vite, radicate in lui e convocate nell'unità della vita eterna e spirituale.

1.4. L'unità della Chiesa supera le barriere e le frontiere, specialmente quelle razziali, linguistiche e sociali. È necessario che l'annuncio della salvezza sia proclamato a tutti i popoli, affinché siano ricondotti in un solo grembo e siano riuniti dalla forza della fede e dalla grazia dello Spirito Santo (Mt 28,19-20; Mc 16,15; At 1,8).

1.5. Nella Chiesa si superano l'ostilità e l'indifferenza, e l'umanità, divisa dal peccato, è unita nell'amore secondo l'immagine della coessenziale Trinità.

1.6. La Chiesa è l'unità dello Spirito nel vincolo della pace (Ef 4,3), è la pienezza e la continuità della vita di grazia e dell'esperienza spirituale. «Dov'è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio; e dov'è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, III, 24), Nell'unità della vita di grazia è contenuto il fondamento dell'unità e dell'immutabilità della fede della Chiesa. Sempre e immutabilmente «lo Spirito Santo insegna attraverso i santi padri e dottori. La Chiesa universale non può peccare o errare e pronunciare menzogna invece della verità: poiché lo Spirito Santo, che è sempre operante attraverso i padri e i dottori servi fedeli della Chiesa, la preserva da ogni errore» (Lettera dei patriarchi orientali).

1.7. La Chiesa ha un carattere universale: se esiste nel mondo nella forma di diverse Chiese locali, questo tuttavia non sminuisce affatto l'unità della Chiesa. «La Chiesa, illuminata dalla luce del Signore, diffonde per tutto il mondo i suoi raggi. Tuttavia quella luce, che ovunque si diffonde, resta una sola e l'unità del corpo non si può dividere. La Chiesa estende i suoi rami su tutta la terra con esuberante fecondità ed espande su vaste regioni i ruscelli che sgorgano ricchi di acqua. Uno solo però è il principio, una sola la sorgente e una sola la madre feconda e ricca di figli: nasciamo dal suo grembo» (San Cipriano di Cartagine, De Ecclesiae unitate).

1.8. L 'unità della Chiesa risiede nel legame indissolubile con il sacramento dell'eucaristia, nel quale i credenti, partecipando dell'unico corpo di Cristo, veramente e realmente si uniscono nel corpo unico e universale, nel sacramento dell'amore di Cristo, nella forza trasformante dello Spirito. «Se infatti "tutti partecipiamo dell'unico pane", allora tutti formiamo l'unico corpo (1 Cor 10,17), poiché Cristo non può essere diviso. Per questo chiamiamo la Chiesa corpo di Cristo, mentre noi siamo le singole membra, secondo l'interpretazione dell'apostolo Paolo (1 Cor 12,27)» (San Cirillo di Alessandria). 

1.9. La Chiesa una, santa e universale è Chiesa apostolica. Attraverso il clero, stabilito da Dio, i doni dello Spirito Santo si trasmettono ai credenti. La successione apostolica della gerarchia dai santi apostoli è il fondamento della comunione e dell'unità della vita ricca di grazia. La disobbedienza alla legittima autorità della Chiesa è disobbedienza allo Spirito Santo, a Cristo stesso. «Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre; seguite il collegio dei presbiteri come gli apostoli; abbiate per i diaconi il rispetto che avete per il comandamento di Dio. Nessuno compia qualche opera che riguarda la Chiesa senza il vescovo. (...) Dove appare il vescovo, là si trovi pure la comunità, come dove è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa cattolica» (Sant'Ignazio di Antiochia, Ai cristiani di Smirne, 8). 

1.10. Solo mediante il legame con una comunità concreta si realizza per ogni membro della Chiesa la comunione con tutta la Chiesa. Interrompendo i legittimi legami con la propria Chiesa locale, il cristiano pregiudica la propria unità salvifica con tutto il corpo della Chiesa, si stacca da esso. Qualsiasi peccato in qualche misura allontana dalla Chiesa, anche se non separa da essa completamente. Nella concezione della Chiesa antica la separazione consisteva nell'esclusione dall'assemblea eucaristica. Ma la riammissione alla comunità ecclesiale di colui (o colei) che era stato scomunicato non avveniva mai attraverso la ripetizione del battesimo. La fede nel carattere permanente del battesimo si professa nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano: «Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati». Il 47° canone apostolico recita: «Il vescovo o il presbitero, che battezzi di nuovo uno che in verità ha già ricevuto il battesimo (...) sarà destituito».

1.11. Con questo la Chiesa ha reso testimonianza che colui che viene escluso conserva il «sigillo» dell'appartenenza al popolo di Dio. Riammettendolo la Chiesa restituisce alla vita colui che era già stato battezzato con lo Spirito e aggregato in un solo corpo. Anche quando scomunica uno dei propri membri, sul quale aveva impresso il proprio sigillo nel giorno del suo battesimo, la Chiesa spera nel suo ritorno. Essa considera la scomunica stessa come un mezzo di rinascita spirituale di colui che è stato escluso.

1.12. Nel corso dei secoli il comandamento di Cristo sull'unità è stato più volte violato. Nonostante la comunione di idee e la concordia universali volute da Dio, nel cristianesimo sono sorte eterodossie e divisioni. La Chiesa ha sempre trattato in maniera severa e intransigente coloro che esprimevano idee contrarie alla purezza della fede salvifica, come pure coloro che portavano nella Chiesa divisioni e discordie: «A che scopo vi sono tra voi contese, collera, dispute, scissioni e guerra? Non abbiamo noi un solo Dio, un solo Cristo, un solo Spirito di grazia effuso su di noi e una sola vocazione in Cristo? A che scopo strappare e lacerare le membra di Cristo e insorgere contro il proprio corpo e giungere a tal grado di demenza da dimenticare che siamo membra gli uni degli altri?» (San Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, 46,1).

1.13. Nel corso della storia cristiana, dalla comunione con la Chiesa Ortodossa si separarono non solo singoli cristiani, ma anche intere comunità cristiane. Alcune di esse scomparvero nel corso della storia, altre invece si sono conservate lungo i secoli. Le divisioni più rilevanti che si verificarono nel primo millennio, e che si sono mantenute fino ai nostri giorni, ebbero luogo dopo il rifiuto, da parte di alcune comunità, di accettare le deliberazioni dei concili ecumenici III e IV. Tali contrasti ebbero come risultato la costituzione in forma autonoma di Chiese esistenti fino a oggi: la Chiesa Assira dell'Est e le Chiese non calcedonesi, le Chiese copta, armena, siro-giacobita, etiopica e malabarese. Nel II millennio, dopo la separazione della Chiesa di Roma avvennero divisioni interne nel cristianesimo occidentale, connesse con la Riforma, e che portarono all'incessante processo di costituzione di una moltitudine di confessioni cristiane che non erano in comunione con la sede di Roma. Sorsero pure divisioni dalla comunione con le Chiese ortodosse locali, inclusa la Chiesa russa.

1.14. Errori ed eresie sono la conseguenza dell'autoaffermazione egoistica e dell'isolamento. Ogni divisione o scisma provoca in qualche misura la corruzione dell'integrità ecclesiale. La separazione, anche se avviene per ragioni di natura non religiosa, rappresenta una violazione della dottrina ortodossa sulla Chiesa e in ultima analisi porta a un deterioramento nella fede.

1.15. La Chiesa Ortodossa per bocca dei santi padri afferma che la salvezza si può trovare solo nella Chiesa di Cristo. Ma, nello stesso tempo, le comunità che si sono separate dalla comunione con l'Ortodossia non sono mai state considerate come del tutto private della grazia di Dio. La rottura della comunione ecclesiale porterà inevitabilmente a una lacerazione della vita di grazia, ma non sempre alla sua completa scomparsa nelle comunità che si sono separate. Proprio a questo è connessa la prassi di non ammettere nella Chiesa Ortodossa coloro che provengono da altre comunità religiose solo attraverso il sacramento del battesimo. Nonostante la rottura dell'unità, rimane una certa comunione incompleta, che serve da segno della possibilità di un ritorno all'unità nella Chiesa, all'integrità universale e alla comunione.

1.16. La posizione nella Chiesa di coloro che si sono separati da essa non si lascia circoscrivere in una definizione univoca e semplice Nel mondo cristiano diviso vi sono alcuni caratteri che lo unificano: la parola di Dio, la fede in Cristo come Dio e Salvatore che si è fatto uomo (1 Gv 1,1c 4,2,9), e la devozione sincera.

1.17. L'esistenza di diversi riti di ammissione (attraverso il battesimo, attraverso la cresima e attraverso la confessione) dimostra che la Chiesa Ortodossa si rapporta alle altre confessioni cristiane in maniera differenziata. Un criterio è quale grado di integrità della fede e della struttura della Chiesa e delle norme della vita religiosa cristiana sia preservato in una particolare confessione. Ma fissando diversi riti, la Chiesa Ortodossa non emette un giudizio sulla misura dell'integrità o sulla corruzione della vita religiosa nelle confessioni non ortodosse, ritenendo che questo faccia parte del mistero della provvidenza e del giudizio di Dio.

1.18. La Chiesa Ortodossa è la vera Chiesa, nella quale si conservano integralmente e senza corruzioni la Santa Tradizione e la pienezza della grazia salvifica di Dio. Essa ha custodito nell'integrità e nella purezza la santa eredità degli apostoli e dei santi padri. Essa è consapevole della conformità della propria dottrina, della struttura liturgica e della pratica religiosa all'annuncio degli apostoli e alla tradizione della Chiesa antica.

1.19. L'Ortodossia non è un attributo nazionale o culturale della Chiesa d'Oriente. L 'Ortodossia è una qualità interna della Chiesa; è la preservazione della verità dottrinale, dell'ordinamento liturgico e gerarchico e dei principi della vita religiosa che si trova costantemente e ininterrottamente nella Chiesa dai tempi apostolici. Non si può cedere alla tentazione di idealizzare il passato o di ignorare i tragici errori o i fallimenti che hanno avuto luogo nella storia della Chiesa. Un esempio di autocritica spirituale lo offrono prima di tutti i grandi padri della Chiesa. La storia della Chiesa nei secoli IV-VII conosce parecchi casi di caduta nell'eresia di una parte considerevole del popolo cristiano. Ma la storia rivela anche che la Chiesa ha combattuto con fermezza l'eresia, e ha talvolta conosciuto l'esperienza del risanamento di chi era caduto, l'esperienza del pentimento e del ritorno in seno alla Chiesa. Proprio la tragica esperienza dell'emergere di idee errate in seno alla Chiesa stessa e le lotte che ne sono seguite durante il periodo dei concili ecumenici hanno abituato i figli della Chiesa Ortodossa alla vigilanza. La Chiesa Ortodossa, rendendo umilmente testimonianza al fatto di custodire la verità, nello stesso tempo ricorda tutte le tentazioni che sono sorte nella storia.

1.20. In seguito alla violazione del comandamento dell'unità, che ha provocato la tragedia storica dello scisma, i cristiani separati, invece di essere un esempio di unità nell'amore secondo il modello della santissima Trinità, sono diventati una fonte di scandalo. La divisione dei cristiani è una ferita aperta e sanguinante nel corpo di Cristo. La tragedia delle divisioni è diventata una distorsione grave e macroscopica dell'universalismo cristiano, un ostacolo che ha impedito e impedisce di testimoniare pienamente Cristo al mondo. Infatti l'efficacia di questa testimonianza della Chiesa di Cristo dipende in gran parte dalla manifestazione, nella vita e nella prassi delle comunità cristiane, delle verità che annuncia.

 

2. Aspirazione alla ricostituzione dell'unità 

2.1. Scopo essenziale delle relazioni della Chiesa Ortodossa con le altre confessioni cristiane è la ricostituzione dell'unità dei cristiani, unità voluta da Dio (Gv 17,21) e che rientra nel suo disegno; essa appartiene all'essenza stessa del cristianesimo. Questo obiettivo è di primaria importanza per la Chiesa Ortodossa a tutti i livelli della sua vita.

2.2. L'indifferenza per questo obiettivo o la sua negazione sono un peccato contro il comandamento di Dio che vuole l'unità. Secondo le parole di san Basilio Magno: «L'unica preoccupazione conveniente a coloro che servono genuinamente e veramente il Signore sia questa: ridurre, cioè, all'unità le Chiese che sono disgregate le une dalle altre in molte parti e in molti modi» (Lettere, 114).

2.3. Tuttavia, riconoscendo la necessità di ricostituire la nostra unità cristiana infranta, la Chiesa Ortodossa afferma che una comunione autentica è possibile solo in seno alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Tutti gli altri «modelli» di comunione sono inaccettabili.

2.4. La Chiesa Ortodossa non può assumere la tesi che, nonostante le divisioni storiche, la comunione fondamentale e profonda dei cristiani non sarebbe stata violata, e che la Chiesa dovrebbe comprendersi come coincidente con tutto «il mondo cristiano», che la comunione dei cristiani esisterebbe al di sopra delle barriere confessionali e che la separazione delle Chiese appartiene esclusivamente alla condizione di imperfezione dei rapporti umani. Secondo questa concezione, la Chiesa rimane una sola, ma questa unità non è sufficientemente manifestata in forme visibili. In tale modello di unità il compito dei cristiani si comprende non come la ricostituzione dell'unità perduta, ma come il manifestarsi dell'unità esistente in maniera irrinunciabile. In questo modello si ripete la dottrina, nata nella Riforma, della «Chiesa invisibile».

2.5. Assolutamente inaccettabile e legata alla concezione summenzionata è la cosiddetta «teoria dei rami», che afferma la bontà e addirittura la provvidenzialità dell'esistenza del cristianesimo nella condizione di «rami separati».

2.6. Per l'Ortodossia è inaccettabile l'affermazione che le divisioni tra i cristiani sono un'inevitabile imperfezione della storia cristiana, che esse sussistono solamente nella situazione storica contingente e possono essere risanate o superate con l'aiuto di accordi di compromesso interconfessionali.

2.7. La Chiesa Ortodossa non può accettare «l'uguaglianza delle confessioni religiose». Coloro che si sono staccati dalla Chiesa non possono essere riuniti a essa in quella condizione in cui si trovano attualmente; i principi dogmatici divergenti devono essere superati, e non semplicemente aggirati. Questo significa che il cammino verso l'unità è il cammino del pentimento, della trasformazione e del rinnovamento.

2.8. È inaccettabile l'idea che tutte le divisioni siano fondamentalmente dei tragici malintesi, che le divergenze sembrino inconciliabili solo per una carenza dell'amore reciproco, per la riluttanza a capire che al di là di tutta la diversità e la difformità c'è una sufficiente unità e concordia «nella sostanza». Le divisioni non possono essere attribuite alle passioni degli uomini, all'egoismo o ancor più a circostanze culturali, sociali o politiche. Altrettanto inaccettabile è l'affermazione che la Chiesa Ortodossa si distingue dalle altre comunità cristiane, con le quali essa non è in comunione, per questioni di carattere marginale. Non si possono attribuire tutte le divisioni e le divergenze a diversi fattori non teologici.

2.9. La Chiesa Ortodossa respinge anche la tesi secondo la quale l'unità del mondo cristiano si può ricostituire solo attraverso la via del comune servizio cristiano al mondo. L 'unità dei cristiani non può essere ricostituita attraverso il consenso sulle questioni mondane, nel qual caso i cristiani si ritroverebbero uniti su questioni marginali, conservando tutte le loro divergenze sulle questioni fondamentali.

2.10. È inaccettabile introdurre il relativismo nell'ambito della fede, limitare l'unità nella fede a un ristretto ambito di verità necessarie, per ammettere al di là di questi limiti la «libertà del dubbio». È inaccettabile la propensione stessa alla tolleranza della divergenza di idee in materia di fede. Ma con questo non si può confondere l'unità della fede con le forme della sua espressione.

2.11. La divisione del mondo cristiano è una divisione nell'esperienza stessa della fede e non solo nelle formule dottrinali. Deve essere raggiunto un pieno e autentico accordo nell'esperienza stessa della fede, e non solo nella sua espressione formale. L'unità dottrinale formale non esaurisce l'unità della Chiesa, anche se questa è una delle sue condizioni necessarie.

2.12. L'unità della Chiesa è prima di tutto unità e comunione nei sacramenti. Ma una comunione autentica nei sacramenti non ha niente a che fare con la pratica della cosiddetta «intercomunione». L'unità può essere attuata solo in un'identica esperienza e vita di grazia, nella fede della Chiesa, nella pienezza della vita sacramentale nello Spirito Santo.

2.13. La ricostituzione dell'unità dei cristiani nella fede e nell'amore può venire solo da Dio, come un dono del Signore onnipotente. La sorgente dell'unità è in Dio, e per questo i soli sforzi umani per la sua ricostituzione saranno vani, poiché «se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 127 ,1). Solo il Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha comandato l'unità, è colui che può darci le forze per la sua attuazione, poiché Egli è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Compito dei cristiani ortodossi, dunque, è quello di cooperare con Dio all'opera della salvezza in Cristo.

 

3. La testimonianza ortodossa di fronte al mondo non ortodosso

3.1. La Chiesa Ortodossa è la depositaria della tradizione e dei doni di grazia della Chiesa antica, e per questo ritiene che il suo compito principale nei confronti delle confessioni non ortodosse sia la costante e infaticabile testimonianza, che conduce alla rivelazione e all'accoglimento della verità, espressa in questa tradizione. Come si dice nella deliberazione della III Conferenza panortodossa preconciliare (1986): «La Chiesa Ortodossa, nella profonda convinzione e nell'autocoscienza ecclesiale di essere portatrice e testimone della fede e della tradizione della Chiesa una santa cattolica e apostolica, crede fermamente di occupare un posto centrale nel cammino verso l'unità dei cristiani nel mondo contemporaneo (...) Missione e dovere della Chiesa Ortodossa è insegnare in tutta la sua pienezza la verità contenuta nella sacra Scrittura e nella sacra tradizione, che conferisce alla Chiesa il suo carattere universale. Questa responsabilità della Chiesa Ortodossa, come pure la sua missione ecumenica riguardo all'unità della Chiesa, sono state espresse dai concili ecumenici, i quali hanno sottolineato in particolare il legame indissolubile esistente fra la giusta fede e la comunione nei sacramenti. La Chiesa Ortodossa ha sempre cercato di richiamare le diverse Chiese e confessioni cristiane a una ricerca comune della perduta unità dei cristiani, affinché tutti possano giungere alla comunione della fede...».

L'impegno della testimonianza ortodossa è affidato a ciascun membro della Chiesa. I cristiani ortodossi devono prendere coscienza con chiarezza che la fede da loro custodita e professata ha un carattere universale, ecumenico. La Chiesa non solo è chiamata a istruire i suoi figli, ma anche a rendere testimonianza della verità di fronte a coloro che l'hanno abbandonata. «Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?» (Rm 10,14). Il dovere dei cristiani ortodossi è quello di testimoniare quella verità che è stata una volta per sempre affidata alla Chiesa, poiché, secondo l'espressione dell'apostolo Paolo, «siamo infatti collaboratori di Dio» (l Cor 3,9).

 

4. Dialogo con i cristiani non ortodossi

4.1. La Chiesa Ortodossa Russa ha un dialogo teologico aperto con i cristiani non ortodossi da più di due secoli. Per questo dialogo è peculiare la combinazione del rigore dogmatico con l'amore fraterno. Questo principio venne formulato nella Risposta alla lettera del Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico (1903) relativamente al metodo del dialogo teologico con gli anglicani e con i vecchiocattolici. Riguardo alle confessioni non ortodosse «ci devono essere la disponibilità fraterna ad aiutarle con chiarimenti, la consueta attenzione alle loro migliori aspirazioni, tutta la possibile indulgenza per il naturale imbarazzo a causa della secolare divisione, ma nello stesso tempo una risoluta professione della verità della nostra Chiesa universale come unica depositaria dell'eredità di Cristo e custode dell'unica arca salvifica della grazia di Dio (...) Il nostro compito rispetto a esse deve essere, senza porre loro inutili ostacoli all'unione con un 'intolleranza e una diffidenza inopportune, (...) quello di rivelare loro la nostra fede e la convinzione incrollabile che soltanto la nostra Chiesa Ortodossa d'Oriente, che ha custodito senza corruzione il pegno integro di Cristo, è al tempo presente la Chiesa universale, e, proprio per questo, di mostrare loro che cosa esse devono considerare e che cosa decidere, se veramente credono nel carattere salvifico della permanenza nella Chiesa e se sinceramente desiderano essere unite a essa».

4.2. Una peculiarità tipica dei dialoghi condotti dalla Chiesa ortodossa russa con altre confessioni cristiane è il loro carattere teologico. Il compito di un dialogo teologico è spiegare ai credenti delle altre confessioni l'autocoscienza ecclesiologica della Chiesa Ortodossa, i fondamenti della sua dottrina, del suo ordinamento canonico e della sua tradizione spirituale, fugare le perplessità e gli stereotipi esistenti.

4.3. Rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa conducono dialoghi con i credenti delle altre confessioni sulla base della fedeltà alla Tradizione apostolica, ai santi padri della Chiesa Ortodossa e alla dottrina dei Concili ecumenici e locali. Con questo si escludono tutti i compromessi dogmatici e gli accomodamenti nella fede. Nessun documento o materiale dei dialoghi e dei colloqui teologici ha vigore vincolante per le Chiese ortodosse fino a che non avranno ricevuto una definitiva ratifica da parte di tutta la Chiesa Ortodossa.

4.4. Dal punto di vista degli ortodossi, per le altre confessioni il cammino della riunificazione passa attraverso il risanamento e là trasformazione della consapevolezza dogmatica. Su questa via devono essere nuovamente ripensati i temi che sono stati discussi all'epoca dei concili ecumenici. Importante nel dialogo con confessioni non ortodosse è lo studio dell'eredità spirituale e teologica dei santi padri -interpreti della fede della Chiesa.

4.5. La testimonianza non può essere un monologo: essa presuppone degli interlocutori, presuppone una comunicazione. Il dialogo sottintende due parti, un'apertura reciproca alla comunicazione, la disponibilità a comprendere, sottintende non solo una «bocca aperta», ma anche «un cuore tutto aperto» (2 Cor 6,11). Proprio per questo una delle attenzioni più importanti nel dialogo della teologia ortodossa con le altre confessioni deve essere il problema del linguaggio teologico, della comprensione e dell'interpretazione.

4.6. Assai consolante e stimolante è il fatto che la riflessione teologica non ortodossa, così com'è espressa dai suoi rappresentanti migliori, abbia dimostrato un sincero e profondo interesse per lo studio dell'eredità patristica e della dottrina e dell'ordinamento della Chiesa antica. Nello stesso tempo bisogna riconoscere che nei rapporti tra la teologia ortodossa e quella non ortodossa rimangono molti problemi irrisolti e molte divergenze. Anzi, persino l'affinità formale in molti aspetti della fede non significa un'effettiva comunione, poiché gli stessi elementi dottrinali vengono interpretati in maniera diversa nelle diverse tradizioni teologiche.

4.7. Il dialogo con le confessioni non ortodosse ha fatto rinascere la convinzione che l'unica verità universale e l'unica norma universale possono essere espresse e incarnate in forme diverse nei diversi contesti culturali e linguistici. Nello svolgersi del dialogo è necessario saper distinguere l'originalità del contesto specifico dall'effettiva deviazione dall'integrità universale. Deve essere studiata la questione dei limiti della molteplicità nell'unica tradizione universale.

4.8. Conviene raccomandare la creazione, nell'ambito dei dialoghi teologici, di centri di ricerca, di gruppi e di programmi comuni. È importante che si tengano con regolarità conferenze teologiche, seminari e convegni scientifici comuni, che vi siano scambi di visite e di pubblicazioni e informazione reciproca, così come lo sviluppo di programmi editoriali comuni. Grande importanza ha anche lo scambio di specialisti, di docenti e di teologi.

4.9. È particolarmente utile l'invio di teologi della Chiesa Ortodossa Russa nei maggiori centri di studi teologici delle altre confessioni. È pure indispensabile invitare teologi non ortodossi in centri di studi religiosi e in istituti scolastici ecclesiastici della Chiesa Ortodossa Russa per studiare la teologia ortodossa. Nei programmi delle scuole ecclesiastiche della Chiesa Ortodossa Russa una maggior attenzione dovrà essere riservata all'esame del cammino e dei risultati dei dialoghi teologici, ma anche allo studio delle confessioni non ortodosse.

4.10. Oltre a temi propriamente teologici il dialogo deve svolgersi anche secondo un vasto spettro di problemi relativi al rapporto tra Chiesa e mondo. Un importante aspetto dello sviluppo dei rapporti con le altre Chiese è il lavoro congiunto nel campo del servizio sociale. Laddove questo non si pone in contraddizione con la dottrina e con la pratica religiosa, conviene sviluppare programmi comuni di educazione religiosa e di catechesi.

4.11. Una particolarità dei dialoghi teologici bilaterali, a differenza dei rapporti multilaterali e della partecipazione a organizzazioni intercristiane, è il fatto che questi dialoghi sono attuati dalla Chiesa Ortodossa Russa secondo quel grado e quella forma che la Chiesa ritiene in quel dato momento più convenienti. La misura e il criterio in questo caso sono i successi del dialogo stesso, la volontà dei partners nel dialogo di tener conto della posizione della Chiesa Ortodossa Russa nel più ampio spettro (non solo in ambito teologico) dei problemi ecclesiali e sociali.

 

5. Dialoghi multilaterali e partecipazione all'attività delle organizzazioni intercristiane

5.1. La Chiesa Ortodossa Russa mantiene dialoghi con i credenti delle confessioni non ortodosse non solo su una base bilaterale, ma anche su una base multilaterale, partecipando alle delegazioni panortodosse e al lavoro delle organizzazioni intercristiane.

5.2. Circa l'appartenenza a diverse organizzazioni cristiane essa si attiene ai seguenti criteri: la Chiesa Ortodossa Russa non può partecipare a organizzazioni cristiane internazionali, regionali o nazionali nelle quali: a) lo statuto, il regolamento o la procedura prevedano il rifiuto della dottrina o delle tradizioni della Chiesa Ortodossa; b) la Chiesa Ortodossa non abbia la possibilità di rendere testimonianza a se stessa in quanto Chiesa una, santa, cattolica e apostolica; c) il processo decisionale non tenga conto dell'autocoscienza ecclesiologica della Chiesa Ortodossa; d) il regolamento e la procedura prevedano l'obbligatorietà «del giudizio maggioritario».

5.3. Il grado e le forme della partecipazione della Chiesa Ortodossa Russa a organizzazioni cristiane internazionali devono tener conto della loro dinamica interna, dell'ordine del giorno, delle priorità e del carattere di queste organizzazioni nel loro insieme.

5.4. L 'entità e la misura della partecipazione della Chiesa Ortodossa Russa a organizzazioni cristiane internazionali sono determinate dalle autorità della Chiesa in base al criterio dell'utilità per la Chiesa stessa.

5.5. Sottolineando la priorità del dialogo teologico e dell'esame dei principi della fede, dell'organizzazione ecclesiastica e della vita spirituale, la Chiesa Ortodossa Russa, come le altre Chiese ortodosse locali, ritiene possibile e utile prendere parte al lavoro di diverse organizzazioni internazionali nel campo del servizio al mondo - della diaconia, del servizio sociale, della costruzione della pace. La Chiesa Ortodossa Russa collabora con diverse confessioni e organizzazioni cristiane internazionali nell'opera della comune testimonianza di fronte alla società laica.

5.6. La Chiesa Ortodossa Russa sostiene i rapporti di collaborazione come l'adesione o la cooperazione con diverse organizzazioni cristiane internazionali così come con consigli nazionali e regionali di Chiese e con organizzazioni cristiane specializzate nel campo della diaconia, dell'attività rivolta ai giovani o della costruzione della pace.

 

6. Rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con i cristiani non ortodossi presenti nel suo territorio

6.1. I rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con le comunità cristiane non ortodosse nei paesi della CSI e del Baltico devono essere attuati nello spirito della collaborazione fraterna della Chiesa Ortodossa con le altre confessIoni tradizionali al fine di coordinare l'attività sociale, di difendere i valori morali cristiani, di promuovere la concordia sociale e di porre fine al proselitismo nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa.

6.2. La Chiesa Ortodossa Russa afferma che la missione delle confessioni tradizionali è possibile solo alla condizione che essa si attui senza proselitismo e che non comporti la «sottrazione» di credenti, in particolare ricorrendo all'uso di benefici materiali. Le comunità cristiane dei paesi della CSI e del Baltico sono chiamate ad unire i propri sforzi nell'ambito della riconciliazione e della rinascita morale della società, a levare la propria voce in difesa della vita e della dignità umana.

6.3. La Chiesa Ortodossa opera una netta distinzione tra le professioni di fede delle altre confessioni, che riconoscono la fede nella Santa Trinità e nella divinoumanità di Gesù Cristo, e le sette che negano i dogmi cristiani fondamentali. Mentre riconosce ai cristiani delle altre confessioni il diritto di testimoniare e di curare l'educazione religiosa di quelle parti della popolazione che per tradizione appartengono a esse, la Chiesa Ortodossa si dichiara contraria a qualsiasi attività missionaria distruttiva da parte delle sette.

 

7. Compiti interni connessi con il dialogo con il mondo non ortodosso

7.1. Nel momento stesso in cui respingono le idee errate dal punto di vista della dottrina ortodossa, gli ortodossi sono chiamati ad accogliere con amore cristiano coloro che le professano. Nei loro rapporti con i cristiani non ortodossi, gli ortodossi dovrebbero testimoniare la santità dell'Ortodossia e l'unità della Chiesa. Nel testimoniare la verità, gli ortodossi devono essere degni della propria testimonianza. Sono inammissibili le offese all'indirizzo dei non ortodossi.

7.2. È necessaria un'informazione corretta e qualificata dell'opinione pubblica della Chiesa circa il cammino, i compiti e le prospettive dei contatti e del dialogo della Chiesa Ortodossa Russa con le confessioni non ortodosse.

7.3. La Chiesa disapprova coloro che, ricorrendo a un'informazione scorretta, deliberatamente travisano gli obiettivi della testimonianza della Chiesa Ortodossa al mondo non ortodosso e coscientemente diffamano le supreme autorità della Chiesa, accusandole di «tradire l'Ortodossia». Per costoro che spargono i semi dell'istigazione tra i semplici credenti è opportuno applicare le sanzioni previste dal diritto canonico. A questo riguardo è opportuno attenersi alle deliberazioni dell'Assemblea panortodossa di Salonicco (1998): «I delegati hanno condannato all'unanimità i gruppi scismatici, come pure determinati gruppi estremisti all'interno delle Chiese ortodosse locali, che sfruttano il tema dell'ecumenismo per criticare l'autorità ecclesiastica e minarne l'autorità, cercando in questo modo di fomentare dissidi e scismi nella Chiesa. A sostegno della loro ingiusta critica sfruttano falsi materiali e la disinformazione.

I delegati hanno altresì sottolineato che la partecipazione ortodossa al movimento ecumenico è sempre stata fondata e si fonda tuttora sulla tradizione ortodossa, sulle decisioni dei santi sinodi delle Chiese ortodosse locali e sugli incontri panortodossi (... ).

I delegati sono concordi nel considerare necessaria la partecipazione alle varie forme di attività intercristiane. Noi non abbiamo il diritto di rinunciare alla missione che nostro Signore Gesù Cristo ci ha affidato, la missione di testimoniare la verità di fronte al mondo non ortodosso. Non dobbiamo interrompere i rapporti con le altre confessioni cristiane che sono disposte a collaborare con noi (...) Dopo 100 anni che gli ortodossi partecipano al movimento ecumenico e 50 al Consiglio Ecumenico delle Chiese, non si è visto un progresso significativo nelle discussioni teologiche multilaterali fra cristiani. Al contrario il distacco fra ortodossi e protestanti si fa sempre più ampio, nella misura in cui in determinate denominazioni protestanti quelle tendenze si rafforzano.

Durante la pluridecennale partecipazione ortodossa al movimento ecumenico, nessun rappresentante ufficiale di qualsivoglia Chiesa locale ha mai tradito l'Ortodossia. Al contrario, questi rappresentanti si sono sempre conservati totalmente fedeli e obbedienti alle proprie autorità ecclesiastiche; hanno operato in pieno accordo con le regole canoniche, con la dottrina dei Concili ecumenici e dei padri della Chiesa, e con la santa Tradizione della Chiesa Ortodossa».

Il pericolo per la Chiesa è rappresentato anche da coloro che partecipano a incontri intercristiani parlando a nome della Chiesa Ortodossa Russa senza il beneplacito dell'autorità ecclesiastica, e anche da coloro che incrinano l'integrità dell'Ortodossia, partecipando alla comunione sacramentale canonicamente inammissibile con i cristiani non ortodossi.

 

Conclusione

Il millennio che si è appena concluso è stato segnato dalla tragedia delle divisioni, dell'inimicizia e del distacco, ma nel xx secolo i cristiani separati hanno manifestato l'aspirazione a ricostituire l'unità nella Chiesa di Cristo. La Chiesa Ortodossa Russa ha risposto con la disponibilità a condurre un dialogo di verità e di amore con i cristiani non ortodossi, un dialogo ispirato dall'invito di Cristo e dalla missione, affidataci da Dio, dell'unità dei cristiani. Anche oggi, alle soglie del terzo millennio dalla Natività nella carne del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, la Chiesa Ortodossa ancora una volta con amore e insistenza esorta tutti coloro per i quali il nome benedetto di Gesù Cristo è superiore a ogni altro nome dato agli uomini sotto il cielo (At 4,12), a un'auspicata unità nella Chiesa: «La nostra bocca vi ha parlato francamente (...) e il nostro cuore si è tutto aperto per voi» (2 Cor 6,11).

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  99 differenze tra l'Ortodossia e il Cattolicesimo romano

Dizionario di risposte a domande frequentemente rivolte agli ortodossi italiani

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Introduzione

Nella nostra qualità di ortodossi italiani, ci siamo sentiti proporre più di una volta la domanda "ma in che cos'è che siete differenti dai cattolici?"

Trattandosi di una domanda piuttosto generalizzata, talvolta ce la siamo sentita porre per mera curiosità, senza un reale desiderio di comprensione. Ma spesso, dietro questa richiesta apparentemente banale, si cela un cammino di ricerca e di vero struggimento interiore, alla scoperta di un cristianesimo più autentico e profondo

Poiché è nostra convinzione che il cristianesimo più autentico si trovi proprio nella Chiesa ortodossa, abbiamo creduto opportuno fare alcuni cenni scritti sulle differenze tra questa e il Cattolicesimo romano. Abbiamo cercato, per quanto possibile, di presentare i fatti dei punti di divergenza, e quindi le loro interpretazioni (teologiche, liturgiche, pastorali).

Confidiamo che queste pagine siano utili soprattutto a tre categorie di persone:

- I sinceri ricercatori della verità, che di fronte alla tirannia del relativismo del nostro tempo, non sanno più in cosa credono, o che si chiedono se credere abbia ancora un senso.

- I nostri amici cattolici romani, spesso convinti (e in questo presumiamo sempre la buona fede) che le nostre due espressioni di fede siano "pressoché uguali". A loro chiediamo, in tutta onestà, di riflettere con attenzione su questi punti. Se certe nostre affermazioni sembreranno loro troppo dure, non chiediamo di meglio che sapere le loro ragioni. È in questo modo che nasce ogni autentico dialogo.

- I nostri fratelli ortodossi, perché (anche qualora non apprezzassero la nostra impostazione) si sentano incoraggiati a scavare alle radici della propria fede. Nella speranza che questo nostro piccolo sforzo possa aiutarli a riscoprire i tesori della loro tradizione, chiediamo loro di pregare per noi.

Alcune delle differenze che qui elenchiamo sono di natura teologica e dogmatica, e toccano i principi stessi della fede cristiana, altre sono dovute a usanze locali o a situazioni storiche contingenti; alcune possono essere espressioni di una legittima varietà all'interno dell'aderenza ai punti essenziali della fede; alcune differenze potrebbero forse essere scartate come irrilevanti, ma noi non ci permettiamo di farlo, proprio per uno dei principi basilari dell'Ortodossia: la ferma convinzione che la Fede Ortodossa altro non sia che la pienezza della fede e della tradizione apostolica, conservata con cura nel corso dei secoli, alla quale nulla è stato aggiunto, e nulla è stato tolto. E' pur sempre possibile che vi siano particolari contingenti, sfumature dovute a particolarità locali o a compromessi marginali con il mondo, il cui abbandono non pregiudica la tradizione ortodossa, ma noi non oseremmo mai determinare da noi stessi quel che è necessario e quello che non lo è. L'Ortodossia è nella sua essenza una comunione di amore, e la determinazione degli aspetti necessari o contingenti deve essere espressione di questa comunione, e non può essere demandata all'arbitrio dei singoli.

Non abbiamo ritenuto opportuno dare alle differenze tra Ortodossia e Cattolicesimo romano un ordine gerarchico (per le ragioni elencate sopra), né disporle in modo sistematico (in quanto alcune differenze di carattere, per esempio, liturgico o terminologico, nascondono dietro di loro ragioni ben diverse di carattere teologico o filosofico). Ci siamo pertanto attenuti, anche per favorire la ricerca di punti specifici, all'ordine alfabetico delle varie voci. Abbiamo posto il termine "Ortodossia" in maiuscolo quando si riferisce alla realtà della Chiesa ortodossa, in minuscolo quando è riferito alla conformità di una dottrina all'insegnamento della Chiesa. Allo stesso modo, "Cattolicesimo" è stato posto in maiuscolo laddove attiene alla realtà della Chiesa cattolica romana.

 

Differenze

 

Adorazione eucaristica

Nel culto ortodosso, non vi sono funzioni di adorazione pubblica del Santissimo Sacramento, né esiste l'equivalente della esposizione e della benedizione eucaristica cattolica romana. Nel corso della Divina Liturgia, dopo la comunione dei fedeli, è ora invalso l'uso (mai codificato in alcuna rubrica scritta) che il prete benedica il popolo con il Santissimo Sacramento, ma questo gesto (che è di fatto l'equivalente della benedizione eucaristica romana, e la cui introduzione tardiva può far pensare a un "latinismo") non viene mai compiuto al di fuori del momento della comunione.

Non esistono divieti espliciti a usare i Santi Doni per benedire i fedeli, ma l'Ortodossia non avverte questo genere di bisogno, sia per il proprio tradizionale senso di riservatezza e di avversione per le forme di ostentazione del mistero, sia per un'adesione più intensa alla finalità del Corpo e del Sangue di Cristo come nutrimento ("prendete e mangiate").

Una ragione complementare della riluttanza degli ortodossi ad accettare queste forme rituali si potrebbe vedere nella separazione delle specie eucaristiche, poiché nella prassi cattolica romana solo il Corpo viene utilizzato per l'adorazione e la benedizione.

 

Agostino di Ippona e la sua teologia

Pur non avendo obiezioni sulla santità personale di Agostino di Ippona, sulla sincerità della sua conversione e sulla ricchezza umana e profondità del suo impegno per Cristo, l'Ortodossia ritiene le sue conclusioni teologiche per lo meno potenzialmente fuorvianti e pericolose.

Questa è la ragione per cui numerose chiese ortodosse preferiscono usare il termine "Beato Agostino", escludendolo dal novero dei santi universali, pur ponendolo tra i giusti, anche per l'umiltà di avere affidato alla Chiesa il compito di correggere gli errori riscontrati nei suoi scritti.

La posizione delle singole chiese ortodosse nei confronti di Sant'Agostino non è univoca (curiosamente, furono proprio i grandi difensori della fede ortodossa, come San Fozio e San Marco di Efeso, a tenerlo in maggiore stima e venerazione), ma certamente l'Ortodossia non lo pone tra i maggiori Padri della Chiesa, men che meno al primo posto, come la Chiesa cattolica romana ha sempre tendenzialmente fatto.

Questo non è il luogo per un'analisi delle possibili deviazioni della teologia agostiniana, ma possiamo brevemente elencare i punti che l'Ortodossia ha ritenuto più pericolosi:

1) una diminuzione dell'enfasi sull'aspetto personale della Santissima Trinità, che riduce le persone a semplici "relazioni" dell'unica essenza divina;

2) l'adozione di una concezione pessimistica sul peccato originale;

3) una tensione esagerata nella dialettica tra natura e grazia.

Il primo punto è stato tra le cause della nascita di concezioni impersonali della divinità (deismo); gli altri due sono alla base della lunga querelle tra Cattolicesimo romano e mondo protestante.

 

Apparizioni mariane

Le apparizioni mariane nel mondo ortodosso (ricordiamo la visione nella Chiesa delle Blacherne a Costantinopoli, che generò la festa della Santa Protezione, e gli innumerevoli episodi collegati alle icone mariane) sembrano indicare un'azione di custodia amorevole e silenziosa, del tutto conforme all'immagine di Maria offertaci nei Vangeli. Questo potrebbe spiegare la diffidenza con cui la coscienza ecclesiale ortodossa valuta le apparizioni mariane che la Chiesa cattolica romana ha autenticato nel corso degli ultimi due secoli.

La quantità di messaggi e "segreti", rivelati a veggenti per lo più in età tenera e impressionabile, è di per sé sospetta per la sensibilità ortodossa, così come alcuni contenuti teologici. Un esempio tra questi ultimi è il tema delle preghiere e sofferenze "riparatrici," di cui spesso si parla in tali visioni. Una simile prospettiva, nell'ottica ortodossa, denigra l'idea dell'offerta del nostro Signore per noi con il suggerimento che la nostra sofferenza supplisca in qualche modo per gli altri ciò che manca nella sua offerta di Se stesso. Qui siamo molto vicini alla delusione blasfema di pensare che noi possiamo salvare gli altri con le nostre preghiere e sofferenze, mettendoci in tal modo al posto di Cristo. San Pietro di Damasco esprime la comprensione ortodossa quando dice: "noi non osiamo chiedere l'intercessione a nome di tutti, ma solo per i nostri peccati."

 

Assunzione di Maria

Il 1 Novembre 1950, con la Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus, Papa Pio XII proclamava il dogma dell'Assunzione corporea al cielo della Madre di Dio. Anche se la Chiesa ortodossa festeggia fin dal IV secolo la festa della Dormizione della Madre di Dio (e l'assenza di reliquie corporali di Maria fa pensare che tale festa fosse giustificata anche in data precedente), con abbondanza di apocrifi neotestamentari, di letteratura patristica e di testi liturgici a riguardo, tuttavia ci sono delle ragioni per una riserva ortodossa riguardo alla formulazione del dogma.

In primo luogo, la festa della Dormizione mette in esplicito collegamento l'assunzione corporale con la morte della Madre di Dio (secondo le narrazioni apocrife, fu proprio la scomparsa del corpo di Maria dal sepolcro dopo la sua sepoltura a generare la venerazione di questo evento): il dogma cattolico romano non definisce la morte di Maria, e l'opera preparatoria del dogma, La mort et l'assomption de la Vierge Marie, di P. Martin Jugie, mette addirittura in dubbio tale morte.

Inoltre, per la teologia ortodossa, l'Assunzione di Maria al cielo fu il frutto della sua maternità divina e della risurrezione di Cristo; la formulazione del dogma del 1950, invece, fa derivare l'Assunzione direttamente dall'Immacolata concezione di Maria (q.v.), per la quale si sollevano nuovamente le obiezioni teologiche ortodosse a riguardo.

Infine, si contesta la proclamazione di un dogma a fronte dell'assenza di una specifica eresia che, al tempo della proclamazione, minacciasse la fede della Chiesa: l'Ortodossia non ha mai conosciuto dogmi proclamati al puro scopo di "chiarire" aspetti dottrinali.

 

Bacio rituale

L'espressione corporea del bacio, oggi limitata nel rito latino a rari gesti dei celebranti, è un'esternazione di pietà tipica del culto ortodosso, che indica venerazione, rispetto e senso di comunione. Entrando in chiesa, i fedeli baciano le icone, e durante le funzioni è pratica comune baciare la mano dei celebranti (a significare la mano di Cristo da cui si riceve ogni grazia sacramentale), o altri oggetti, quali i paramenti, la croce e il libro dei Vangeli (ragioni esclusivamente pratiche sconsigliano di baciare il turibolo acceso...); il saluto di pace tra i celebranti avviene tipicamente nella forma del bacio, così come la venerazione delle reliquie.

 

Banchi e sedie

Uno dei particolari che si notano più facilmente entrando nelle chiese ortodosse è la relativa assenza di posti a sedere. Solo le chiese adattate da precedenti luoghi di culto cattolici e protestanti hanno abbondanza di banchi e sedie; nelle altre si trovano abitualmente dei sedili lungo le pareti, riservati alle persone anziane o inferme. Nella tradizione ortodossa, i fedeli stanno in piedi praticamente per tutta la durata delle funzioni (un'abilità che si raggiunge con la pratica), e sono poche le preghiere o i momenti di culto per le quali è prescritto ai fedeli di sedersi o inginocchiarsi. In realtà, capita spesso di trovare un'avversione tipicamente ortodossa per i sedili posti in mezzo alla navata (soprattutto i banchi con inginocchiatoi), che vengono visti come un impedimento al culto (che rende impossibili, per esempio, le prosternazioni e altre espressioni individuali di pietà), un irrigidimento del ruolo del fedele, e una limitazione alla sua connessione e relazione con l'ambiente e il concetto spaziale di "Cielo sulla terra".

 

Battesimo

La Chiesa ortodossa continua ad amministrare, secondo il costume apostolico, il battesimo mediante triplice immersione del corpo del battezzando. Già uno dei più antichi testi di istruzione cristiana, la Didaché, ammette in caso di necessità l'amministrazione del battesimo mediante il triplice rovesciamento di acqua ("infusione") sul capo. Questo atto di eccezione (che nei primi secoli veniva usato solo nei confronti di malati gravi e di prigionieri nelle celle) divenne la norma nelle chiese cattoliche di rito romano in tempo medioevale. Così venne stravolto non solo il senso dello stesso termine "battesimo" (in greco baptìzein significa immergere), ma anche il suo senso simbolico di immersione nel Nome (realtà) delle Persone della Santa Trinità, e della rinascita, o emersione, alla vita nuova. Quando il segno esteriore non è più corrispondente al significato interiore, gran parte della comprensione dell'atto sacramentale viene perduta.

 

Battesimo d'emergenza

Nei casi in cui si deve procedere a un battesimo di emergenza (in assenza di un sacerdote) la persona del battezzante, secondo i teologi cattolici romani, può anche essere un non cristiano, purché amministri il battesimo secondo le modalità e l'intenzione della Chiesa. L'Ortodossia, al contrario, ha sempre sostenuto che il battezzante deve essere a sua volta battezzato. Il principio è quello che non si può dare ciò che non si possiede: la posizione cattolica romana, portata alle sue estreme conseguenze, rischia di far dipendere un sacramento dal puro requisito formale della sua corretta applicazione.

 

Calendario

La maggioranza numerica degli ortodossi nel mondo (Russia, Bielorussia, Ucraina, Georgia, Serbia, il Monte Athos, Gerusalemme e il Monte Sinai, con le numerose dipendenze di questi ultimi tre, oltre a una consistente parte degli ortodossi polacchi, cechi, slovacchi e dei Paesi Baltici, e molte comunità della diaspora) segue ancora il tradizionale calendario giuliano per il computo delle feste, in ritardo di circa due settimane rispetto al calendario civile. Le altre chiese ortodosse autocefale, a partire dal 1924, hanno introdotto il calendario gregoriano (lo stesso in uso nell'Occidente cristiano), per quanto riguarda il ciclo delle festività a data fissa. Con poche eccezioni dovute alla presenza ortodossa in paesi occidentali, tutte le Chiese ortodosse celebrano invece il ciclo della Pasqua, e delle feste mobili a questa connesse, secondo l'antico calendario.

Le ragioni dell'aderenza al vecchio calendario - che hanno procurato in questi ultimi decenni non poche amarezze tra gli stessi ortodossi - sono molteplici:

1) in primo luogo, il calendario giuliano ecclesiastico, e i cicli pasquali dei Padri della Chiesa di Alessandria, costituiscono un prodigio di ritmo e di armonia tra scienza e fede, a cui il calendario gregoriano (frutto di un'epoca di ossessione "scientista" per l'esattezza della data astronomica dell'equinozio di primavera) non riesce neppure ad avvicinarsi.

2) Inoltre, le "imprecisioni" astronomiche che la riforma gregoriana si vanta di avere eliminato sono state meramente attenuate, e i dati del calendario gregoriano, per i difetti dovuti a qualsiasi calendario, vanno anch'essi discostandosi sempre più dai dati reali.

3) Infine, l'adozione del calendario gregoriano causa innumerevoli violazioni alle norme della Chiesa, prima fra tutte quella che, rifacendosi a un decreto del Concilio di Nicea (325) proibisce la celebrazione della Pasqua nello stesso giorno della Pasqua ebraica.

Con l'adozione del calendario gregoriano nel 1582, la Chiesa cattolica romana ruppe per la prima volta l'unità della Pasqua e delle feste cristiane. Oggi è quanto meno singolare vedere la maggioranza degli ortodossi accusati di "arretratezza" o di mancanza di spirito fraterno, per avere voluto mantenere, nella vita della Chiesa, l'integrità del deposito di fede dei Padri.

 

Canoni

I Santi Canoni, composti come guide o regole della Chiesa dagli apostoli, dai Santi Padri, e da Concili ecumenici e locali, sono applicati nella Chiesa ortodossa dall'autorità del vescovo, che ha l'opzione di interpretarli secondo una posizione severa (acrivìa) oppure misericordiosa (economia) a seconda dei casi (la severità è la norma). L'Ortodossia non vede i canoni come leggi che regolano le relazioni umane o che salvaguardano diritti umani, ma piuttosto come mezzi per forgiare la "nuova creatura" attraverso l'obbedienza. Sono addestramento alla virtù, e fonte di santità, ed è per questo che nella Chiesa ortodossa non possono essere ignorati o scartati, anche se alcuni (generalmente delle semplici specificazioni di canoni antichi) possono essere aggiunti di tanto in tanto. Roma può permettersi, a ogni cambiamento di circostanze esterne, di mutare i propri canoni per tenerli al passo con i tempi, e di ignorare quelli antichi. L'Ortodossia, ritenendo i canoni ispirati dallo Spirito Santo, e consapevole dell'immutabilità dei veri problemi e necessità umane, non può condividere questa linea.

 

Canonizzazioni

La Chiesa ortodossa non ha più inserito nei suoi calendari i santi canonizzati dalla Chiesa cattolica romana dopo il grande scisma del 1054, mentre mantiene i santi anteriori a questa data. Anche con l'accettazione in seno alla Chiesa ortodossa di cristiani occidentali, non è stata loro permessa la venerazione pubblica di santi "latini" posteriori allo scisma. La Chiesa cattolica romana, al contrario, ha permesso la venerazione di santi "greci" canonizzati dagli ortodossi dopo lo scisma, tipicamente nei casi delle Chiese cattoliche orientali.

Dietro la severità della procedura ortodossa c'è un'istanza di profonda serietà: il rifiuto di "rubare" santi a chiese che non sono in comunione con la Chiesa ortodossa (anche figure che maggiormente potrebbero essere vicine alla spiritualità ortodossa) è motivato dal desiderio ortodosso di cercare in primo luogo una piena comunione nella fede, e solo a quel momento sancire una celebrazione comune.

 

"Cattolica": il senso del termine

La differenza di nome ("Chiesa cattolica" e "Chiesa ortodossa") non deve far pensare a marchi depositati. Gli stessi ortodossi, spesso, si definiscono "Chiesa Cattolica Ortodossa" o "Chiesa Cattolica Ortodossa dell'Est". La coscienza ecclesiale ortodossa rifiuta un'identificazione tra "cattolicesimo" e "sede romana" come se questi termini fossero indispensabilmente legati l'uno all'altro.

Nel definirsi "cattolici", gli ortodossi usano il termine nella radicale convinzione di essere la Chiesa "una, santa, cattolica e apostolica", in cui professano la fede quando recitano il Credo.

"Cattolica", com'è noto, viene di solito tradotto in italiano con la parola universale, ma esistono sfumature di significato che rendono il termine più profondo e ricco di quanto sembri a prima vista. Il greco katholikà (che letteralmente significa "secondo il tutto") può significare anche una "universalità interiore" (nel senso di globalità che contiene tutta la verità nella sua pienezza) oppure un principio di conciliarità o sinfonicità di Chiese locali (espresso con forza dalla traduzione slava sobòrnaia). Una universalità vista nel puro senso di disseminazione geografica, di notorietà mondiale, o di superiorità numerica (argomenti spesso usati dalla Chiesa romana per avallare la propria posizione) ha poco senso per l'Ortodossia, se non è accompagnata da una "cattolicità" di fede inalterata.

Il fatto stesso che il mondo latino, pur sottolineando i significati "quantitativi" di universalità, abbia preferito usare per la Chiesa il termine greco catholica piuttosto che quello latino universalis, fa pensare che il senso di "cattolicità" mantenuto nella Chiesa ortodossa sia più prossimo alla coscienza ecclesiale originaria.

Il nome "cattolica", per di più, non ha solo una dimensione filologica, ma anche una molto pratica e tangibile nel diritto internazionale. Nella lista delle religioni mondiali presso le Nazioni Unite, l'entità nota come "Chiesa cattolica" è registrata sotto il nome di Chiesa cattolica romana, mentre quella nota come "Chiesa ortodossa" è registrata sotto il nome di Chiesa cattolica ortodossa.

 

Carattere sacramentale

La Chiesa cattolica romana, sotto l'influsso della teologia scolastica, ha adottato una dottrina particolare, non condivisa dall'Ortodossia, per spiegare perché i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell'Ordine Santo non vengono ripetuti. Secondo tale dottrina, questi tre sacramenti, oltre a conferire la grazia divina, imprimono sull'anima un segno indelebile, che non cessa di esistere anche se la grazia divina del sacramento si ritira a causa del peccato. Questa dottrina è vincolante per i cattolici romani (Concilio di Trento, sess. VII, Canone 9).

La teologia ortodossa ribadisce che la teoria del carattere sacramentale, priva di un solido appoggio scritturale e patristico, crea un'arbitraria qualificazione all'interno dei sacramenti, ed è incapace di spiegare la natura del carattere sacramentale, e la sua eventuale esistenza al di fuori della grazia conferita dal sacramento. La dottrina sostenuta nella Chiesa ortodossa è che i tre sacramenti in questione (come pure il sacramento della Penitenza, per quanto riguarda i peccati già confessati e assolti) non si reiterano, perché non esiste più la causa per la quale quei sacramenti furono conferiti. Vale la pena notare che il secondo conferimento della Cresima agli apostati che rientrano nella Chiesa (testimoniato già in tempi antichi), non è considerato reiterazione del primo sacramento, ma segno di riconciliazione.

 

Cesaropapismo

Tra le più frequenti accuse rivolte dai cattolici romani all'Ortodossia (e a tutto l'Oriente cristiano in generale) vi è quella di una forte ingerenza degli stati secolari (siano essi imperi cristiani, stati laici o regimi atei) negli affari interni della Chiesa (cesaropapismo). La posizione sopranazionale di Roma garantirebbe, secondo questa visione, una libertà dalle intrusioni statali nelle questioni religiose.

Occorre chiarire subito che quest'accusa non ha niente a che vedere con un eventuale pericolo per la purezza della fede: se così fosse, allora la controversia iconoclasta (ovvero la forzatura di un elemento estraneo alla fede apostolica da parte dello stesso potere imperiale) non avrebbe dovuto essere affatto una controversia in Oriente, mentre di fatto lo fu, e grande. La questione riguarda piuttosto diversi livelli di libertà di espressione e di culto, messi in pericolo da ingerenze statali.

Questa potrebbe risultare una divergenza più profonda e difficile da sormontare di quanto sembri, poiché alla base stanno due idee totalmente antitetiche dell'atteggiamento che i cristiani dovrebbero avere di fronte al mondo. Il contrasto potrebbe essere espresso, in modo forse semplicistico ma chiaro, nel dilemma: "è meglio asservirsi allo Stato o soppiantare lo Stato?" (Le due alternative rappresenterebbero i rispettivi punti deboli dell'Oriente e di Roma).

Ovviamente, è impossibile rispondere in modo generalizzato: gli ortodossi ritengono comunque che la costituzione di un centro ecclesiastico che si duplica come potere politico (la soluzione romana dello Stato della Chiesa, della rappresentanza diplomatica sovranazionale, e così via) sia assai più pericolosa che il dominio temporale di uno Stato transitorio, per quanto ostile.

 

Chiesa docente e discente

La Chiesa romana ha sempre avuto grande cura di definire le funzioni dei propri fedeli nei vari ruoli della vita ecclesiastica. In particolare, una netta distinzione ha caratterizzato l'orizzonte dottrinale del Cattolicesimo romano: quella tra Chiesa "docente" (coloro che sono preposti al compito dell'insegnamento e della trasmissione del deposito della fede, storicamente il Papa e i vescovi, o prelati equiparati ai vescovi, in comunione con il Papa) e Chiesa "discente" (coloro che apprendono la dottrina, ovvero tutti gli altri cristiani, inclusi i preti, che pure hanno il mandato della predicazione). Questa suddivisione è stata causa di profonde fratture psicologiche tra i fedeli, incoraggiando un tipo di gerarchizzazione collegato al ruolo didattico.

L'Ortodossia, d'altro canto, ha sempre rifiutato la distinzione tra Chiesa docente e discente: il compito di apprendere, insegnare e vigilare sulla fede appartiene a tutti i fedeli, e il rispetto per singole figure di monaci e chierici di particolare cultura e profondità non va in alcun modo confuso con il rispetto per i membri del clero in quanto celebranti dei Misteri di Cristo, o per i membri dell'ordine monastico in quanto cristiani impegnati in una vita radicale dei principi evangelici.

 

Chiese sorelle

Una vasta polemica è stata sollevata in anni recenti dall'uso sconsiderato del termine "Chiese sorelle", per indicare le realtà ecclesiali cattolica romana e ortodossa alla ricerca di unità.

Per la mentalità ortodossa, la fratellanza significa anche comunione nella stessa fede, e non solo condivisione di un cammino di dialogo e di ricerca di unità. Le uniche chiese che un ortodosso può in piena coscienza chiamare "sorelle" sono le diverse Chiese autocefale dell'ecumene ortodosso, e anche queste, comunque, nella coscienza che si tratta di realtà locali dell'unica Chiesa. Chiamare "sorella" una comunione ecclesiale separata dalla Chiesa Ortodossa equivale a un cedimento rispetto alla confessione della Chiesa Una, e a un tradimento del Simbolo di fede.

Allo stesso modo, gli ortodossi avvertono improprietà nell'uso del termine "Chiesa indivisa" per indicare l'ecumene cristiano del primo millennio (il termine dovrebbe presupporre l'esistenza di una "Chiesa divisa" nei secoli successivi, affermazione che è in contraddizione con la fede proclamata nel Credo).

Una terminologia ben più appropriata sarebbe quella relativa ai "cristiani divisi", o alla fratellanza tra i medesimi, nella ricerca dell'unità di fede.

 

Clero sposato

Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha chiamato al servizio ministeriale, oltre ai celibi, anche gli uomini sposati. Quando la disciplina del matrimonio fu fissata nei Concili di Ancira (314), Nicea (325), Gangra (c. 350) e nel Concilio Trullano del 692, fu rispettata questa tradizione, con la riserva di scegliere i vescovi tra gli uomini che avessero pronunciato i voti monastici (in questi casi, se l'eletto all'episcopato era sposato, il matrimonio veniva sospeso, ed entrambi i coniugi entravano nella vita monastica). Non era invece ammesso un matrimonio dopo l'ordinazione, e se un membro del clero rimasto vedovo desiderava risposarsi, doveva accettare la riduzione allo stato laicale.

La Chiesa ortodossa segue tuttora questa tradizione, senza alcuna modifica. Riteniamo opportuno correggere il luogo comune che parla di "preti che si sposano" nelle Chiese ortodosse: esistono preti sposati, ma non preti che si sposano (a meno di venire ridotti allo stato laicale).

Inoltre, è bene ricordare che nella Chiesa ortodossa i preti e diaconi sposati sono tenuti a offrire nella loro vita matrimoniale una immagine rigorosa e ideale del sacramento nuziale. Pertanto, non può essere ordinato agli Ordini maggiori un uomo che abbia sposato una divorziata o una vedova, o che abbia contratto un secondo matrimonio.

In Occidente, il Concilio di Elvira, in Spagna (306), proibì a preti e diaconi di vivere con le proprie mogli dopo l'ordinazione. Nonostante questa innovazione fosse stata condannata dal Concilio Trullano, ebbe inizio una serie di iniziative, mai del tutto riuscite, per imporre il celibato sacerdotale (l'imposizione lasciava purtroppo mano libera al concubinato), finché i primi due Concili Lateranensi (1123 e 1139) lo imposero con validità universale. Papa Alessandro III, nel 1180, impose il celibato anche ai diaconi, ma in anni recenti ai diaconi permanenti della Chiesa cattolica romana è stato restituito il diritto di essere ordinati nello stato coniugale.

Per le Chiese orientali unite a Roma, la tendenza generale è quella di rispettare le tradizioni di provenienza, ma talvolta queste sono state drasticamente ignorate (un esempio è la forzatura del celibato sui sacerdoti cattolici orientali al di fuori dei loro territori storici d'origine: una prassi che causò il ritorno di molti di loro all'Ortodossia, tra cui intere diocesi in America).

La disciplina cattolico-romana sul celibato sacerdotale, per quanto venga giustificata con ottime ragioni, soprattutto pastorali, presenta troppi "strappi" e cambiamenti perché gli ortodossi la possano ritenere conforme alla tradizione della Chiesa.

 

Comunione chiusa

Anche se un cristiano non ortodosso interamente tagliato fuori dai ministri della propria Chiesa può, in casi particolari (persecuzioni, pericolo di morte, isolamento geografico...) essere ammesso con permesso speciale a ricevere la Santa Comunione nella Chiesa ortodossa, non si applica in alcun modo il contrario: agli ortodossi è proibito essere ammessi alla comunione eucaristica per mano di sacerdoti non ortodossi. Nella sua apparente durezza (per la quale gli ortodossi vengono facilmente criticati), questa norma è profondamente in linea con la fede della Chiesa. Comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo significa anche confessare che nella Chiesa in cui ci si comunica esiste la pienezza della fede apostolica. Significa inoltre, di fatto, diventare membri di detta Chiesa a pieno titolo, abbracciandone l'etica, i regolamenti e la disciplina. Alla luce di queste considerazioni si può capire non solo l'assoluto divieto di comunicarsi presso ministri non ortodossi, ma anche la reticenza dei sacerdoti ortodossi a comunicare cristiani di altre comunioni (è un gesto di rispetto della loro libertà religiosa, un rifiuto di cooptarli in modo poco pulito nel numero dei propri fedeli).

L'atteggiamento della Chiesa cattolica romana, che permette con maggiore larghezza ai propri fedeli di ricevere certi sacramenti in altre Chiese, nelle quali essa non riconosce esplicitamente la pienezza della fede cristiana (canone 844 del Codice di Diritto Canonico del 1983), è visto dagli ortodossi come un cedimento a un relativismo ecclesiologico non diverso da quello della maggior parte delle Chiese protestanti.

 

Comunione sotto le due specie

Mentre la tradizione liturgica latina ha sottratto il calice ai laici dall'Alto Medioevo fino al periodo seguente al Vaticano II, la Chiesa ortodossa ha sempre mantenuto, in conformità alle istruzioni di Cristo (Mt 26,27: "Bevetene tutti"), la comunione sotto le due specie. Il Corpo e il Sangue di Cristo, mescolati nel calice, vengono solitamente amministrati ai fedeli mediante un cucchiaio. Anche le particole che sono conservate per la comunione dei malati vengono intinte nel vino consacrato prima di essere custodite nei tabernacoli.

Solo nella Liturgia di San Giacomo, il più antico rito eucaristico tuttora celebrato dagli ortodossi, gli elementi eucaristici vengono distribuiti separatamente, ma in ogni caso i fedeli partecipano sia dell'uno che dell'altro.

La quantità degli elementi non è importante (ai bambini non ancora svezzati può essere amministrato, in un cucchiaino, un frammento estremamente piccolo del pane eucaristico), ma rimane importante la partecipazione a entrambi.

Un paragone simbolico può servire a riportare l'attenzione all'importanza di questo dettame della Chiesa ortodossa: un corpo senza sangue è, per definizione, un corpo privo di vita.

 

Concili di riunione

Le aspirazioni ecumeniche cattolico-romane ripropongono regolarmente le soluzioni di unione con l'Oriente che furono tentate con i Concili di Lione (1274) e di Ferrara-Firenze (1438-39). Le formule di questi ultimi (ritenuti Concili Ecumenici dal Cattolicesimo romano) furono vigorosamente respinte dall'ecumene ortodosso, e la loro rivisitazione in chiave contemporanea sembra portare a scontati risultati negativi.

Il problema con le formule di unione di Lione e Firenze è che queste costituiscono una non-soluzione, dal punto di vista dell'unità di fede. Le loro conclusioni - che entrambe le parti possono mantenere le rispettive differenze dottrinali e rituali in una reciproca legittimazione - sono per l'Ortodossia una rinuncia alla professione di una fede unica.

Una proposta più interessante per gli ortodossi sembra quella di lavorare per un'unione sulla base del Concilio di Costantinopoli dell'879-880, tenuto sotto il Papa Giovanni VIII e il Patriarca Fozio. Questo concilio, che rovesciò le decisioni del concilio "ignaziano" o "anti-foziano" dell'869 (ritenuto oggi dai cattolici romani l'Ottavo Concilio Ecumenico), resta l'ultimo concilio in cui si testimoniò la comune fede ortodossa dell'Occidente e dell'Oriente. Esso riconobbe Roma e Costantinopoli come supreme nella propria sfera, senza alcuna "giurisdizione romana" su Costantinopoli. Ripudiò unanimemente il filioque (q.v.), e portò alla completa reintegrazione di San Fozio nel suo ruolo patriarcale.

Questo concilio presenta dei problemi agli occhi degli apologeti romani. L'Occidente considerò questo concilio, se non come ecumenico, per lo meno come un sinodo autorevole approvato da Roma. L'Oriente lo vide come ecumenico, poiché vi concorsero tutti i criteri presenti nei concili precedenti: convocazione imperiale e presenza di tutti e cinque i patriarcati maggiori. Gli atti di questo concilio seguono sempre gli atti degli altri Sette nelle collezioni ortodosse di diritto canonico. Per due secoli, il concilio dell'869-870 espresse la fede comune di Roma e dell'Oriente.

Non fu che con la Riforma gregoriana che le cose cambiarono di nuovo in Occidente. Il concilio "ignaziano" fu riconosciuto come il vero Ottavo Concilio Ecumenico. Nessuna giustificazione fu mai addotta da Roma per spiegare questa soluzione di continuità. Ovviamente, anche le tavole d'argento con il Credo comune (senza filioque), appese a Roma in San Pietro, caddero dalla loro sede, e con loro cadde simbolicamente la fede comune dell'Oriente e dell'Occidente cristiano.

Purtroppo, l'esito finale del concilio dell'869-870, con il mutamento di riconoscimento dopo due secoli di accettazione, non rassicura troppo l'Oriente sulle pretese romane di stabilità dottrinale.

 

Concilio ecumenico: quali requisiti?

Perché si possa parlare di Concilio ecumenico, la Chiesa ortodossa richiede la presenza di una minaccia attuale alla fede della Chiesa, che viene difesa attraverso una definizione conciliare. Numerosi concili che la Chiesa cattolica romana considera ecumenici (Costantinopoli IV, Laterano II, Lione I, Costanza, e lo stesso Vaticano II) presentano difficoltà in questo campo, per la loro enfasi politico-amministrativa o pastorale. La coscienza ortodossa tenderebbe piuttosto a iscrivere questi concili nella linea della tendenza latina allo sviluppo dogmatico (q.v.). Una chiara valutazione del valore dei concili ritenuti ecumenici da Roma (due terzi non sono condivisi dall'Ortodossia) è indispensabile sulla via della ricerca di un'unità di fede.

 

Confessione

Il sacramento della penitenza, le cui modalità non sono state codificate in modo immutabile (dalle forme antiche di confessione pubblica si è passati gradualmente alla confessione auricolare privata), ha seguito un percorso diverso nel mondo ortodosso e cattolico romano.

Nella prassi ortodossa, la presenza invisibile di Cristo (vero fulcro di un legame triangolare di cui il prete e il penitente non sono il vertice principale) è manifestata dalla presenza di un'icona di Cristo; ciò viene ulteriormente sottolineato dalla posizione del prete e del penitente, entrambi seduti (usanza greca) o entrambi in piedi (usanza russa) di fronte all'icona del Salvatore.

Il mondo cattolico romano ha sviluppato il confessionale a grata, nella ricerca di una via di discrezione e di raccoglimento nella confessione; pur riuscendo a raggiungere tali scopi, ha tuttavia reso difficile vedere la presenza simbolica di Cristo, e ha fatto uscire di proporzione il ruolo del prete rispetto a quello del penitente.
Parallelamente a queste innovazioni, principi di uno spiccato giuridismo (q.v.) hanno teso a trasformare il confessore in un "direttore delle coscienze", piuttosto che un testimone di fronte a Cristo della confessione di un altro peccatore.

 

Decanonizzazioni

La Chiesa ortodossa, non avendo una procedura "centralizzata" e inappellabile per la canonizzazione dei santi, ammette in linea di principio che il giudizio di canonizzazione non sia infallibile. Può capitare pertanto che la Chiesa tolga dall'albo dei santi certi nomi, e che eventualmente ve li rimetta, senza che questo crei scandalo tra i fedeli. (È una prassi di fatto accaduta all'imperatore Costantino, sospettato di arianesimo, e alla principessa russa Anna di Kashin, sospettata di aver appartenuto allo scisma dei Vecchi Credenti, entrambi tolti dall'albo dei santi e in seguito ricanonizzati).

La Chiesa cattolica romana, al contrario, sostiene che la canonizzazione sia un atto irreformabile, in quanto giudizio solenne che impegna la Chiesa. Gli ortodossi non sanno se essere più sconcertati per questo rigorismo inappellabile, o per certe flagranti contraddizioni in cui lo stesso Cattolicesimo romano è caduto, ammettendo di fatto numerose decanonizzazioni.

Tra i santi decanonizzati dalla Chiesa romana per ragioni di ortodossia teologica, citiamo due casi: San Clemente Alessandrino, festeggiato il 4 Dicembre, fu radiato nel 1586 dal Martirologio Romano da Papa Sisto V, su istanza del Cardinale Baronio, per sospetti di origenismo; Papa Urbano V (1362-1370) fa ancora riferimento in una delle sue bolle a San Giovanni Cassiano, in seguito radiato dall'albo dei santi sotto accusa di semipelagianesimo.

Una decanonizzazione che è parsa particolarmente offensiva agli ortodossi (per i quali equivale a uno sfregio alla tradizione), è la recente esclusione dall'albo cattolico romano dei santi di figure sulla cui storicità sono stati espressi dubbi (a cominciare da San Giorgio e Santa Barbara, due delle figure più venerate del cristianesimo).

 

Devozione al Sacro Cuore

In profonda armonia con lo spirito del Concilio di Calcedonia (culto unico di Cristo nella sua divinità e umanità), l'Ortodossia ha sempre mantenuto un senso globale nell'adorazione di Cristo, e anche oggi gli ortodossi si sentono estranei alle forme di culto di qualche parte distinta del suo essere, o di una delle sue nature separata dall'altra.

L'esempio più clamoroso di tali forme di culto è la devozione cattolico-romana al Sacro Cuore di Gesù (una pratica sviluppatasi alla fine del XVII secolo dalle rivelazioni della mistica francese Margherita Maria Alacoque).

Anche se per "cuore" intendiamo l'ardente amore del Salvatore per gli uomini, pure non esiste, nell'Antico e nel Nuovo Testamento e nella tradizione dei Padri, l'usanza di adorare separatamente l'amore di Dio (o la sua sapienza, provvidenza, santità, o altri aspetti separati), tanto meno usandone come simbolo una parte del corpo.

L'Ortodossia vede qualcosa di innaturale nella separazione del cuore dalla natura corporea generale del Signore a scopo di preghiera e contrizione di fronte a Lui. Anche nell'amore più spontaneo e immediato, come quello materno, non ci si riferisce mai al cuore della persona amata, ma sempre alla persona stessa, in modo globale.

Gli stessi commenti possono valere riguardo a forme simili di devozione (per esempio, quella al Cuore Immacolato di Maria), profondamente sentite nel mondo cattolico romano.

 

Devozioni medioevali

Le usanze e le pratiche devozionali del mondo ortodosso attuale hanno mantenuto una notevole continuità con quelle del primo millennio. Non così si può dire del mondo della pietà cattolica romana, che subì una vera e propria rivoluzione intorno al dodicesimo secolo. Con lo spostamento dell'attenzione dalla nostra redenzione per mezzo della Risurrezione del Signore a un'enfasi sulla Passione del Signore, fu introdotto nel culto e nella devozione privata un elemento simbolico di amore carnale. Si giunse a considerare il Signore come compagno, amico o perfino marito/amante, come si vede nelle immagini matrimoniali introdotte nella professione monastica (q.v.) delle donne in Occidente. Tra le manifestazioni di questo nuovo approccio a Cristo vi sono la festa del Santo Nome, devozioni speciali alle Cinque Piaghe di Cristo, le stazioni della Via Crucis, le meditazioni assegnate alle decadi del rosario, il presepio di Natale e la devozione al "Bambino Gesù" in generale, nonché la devozione al Sacro Cuore di Gesù (q.v.). L'Ortodossia ha mantenuto un approccio devozionale al Signore molto più sobrio e obiettivo, cercando di evitare la sensualità, la sentimentalità e l'emotività.

 

Diaconato permanente

Rimanendo fedele alla tripartizione del ministero sacerdotale (diaconi, presbiteri e vescovi), la Chiesa ortodossa ha sempre giudicato opportuno che i diaconi possano restare nel loro stato, se tale è il loro desiderio, anche per tutta la vita; ciò si giustifica con la ricchezza e la complessità del ruolo del diacono nelle funzioni sacre ortodosse (nella Divina Liturgia, per esempio, le parti riservate ai diaconi sono preponderanti, e costituiscono un legame ideale tra fedeli, coro e sacerdote).

Nel mondo cattolico romano, con l'assottigliarsi delle funzioni del diacono nei riti, il diaconato è gradualmente divenuto, fino ai tempi del Concilio Vaticano Secondo, un periodo di "apprendistato" al sacerdozio, solitamente della durata di un anno.

La recente riaffermazione di un diaconato permanente nella Chiesa cattolica romana manifesta un lodevole desiderio di ridare al diaconato un ruolo di dignità e di importanza nella Chiesa. Gli Ortodossi vedono anche con favore la reintroduzione, nel diaconato permanente romano, della prassi del clero sposato. Visto che tali regole permettono l'ordinazione di uomini sposati al diaconato, ma non al sacerdozio, resta tuttavia l'interrogativo su quanti degli attuali "diaconi permanenti" rimarrebbero tali se si aprissero loro le porte dell'ordinazione presbiterale.

 

Diaconesse

La diaconessa, figura presente nelle comunità cristiane del Nuovo Testamento, è un tipo di ministero femminile che ebbe una certa importanza nei primi secoli della cristianità, finché le sue funzioni (che non corrispondevano a quelle liturgiche e ministeriali del diacono) furono gradualmente assorbite dagli ordini monastici femminili. Per la verità, le tracce storiche di presenza di diaconesse sono enormemente più frequenti nelle chiese dell'Oriente cristiano che in quelle occidentali.

Nella Chiesa cattolica romana, a grandi linee, si può escludere la presenza di diaconesse per tutto il secondo millennio, e anche se si è parlato di una possibile rivalutazione di questo ministero, non si è ancora deciso nulla a proposito.

Nelle Chiese ortodosse, invece, si sono avuti ancora fino ai nostri giorni casi di ammissioni di diaconesse, benché troppo rari per poter parlare di un costume fisso. Ricordiamo i casi di Madre Maria Tuchkova in Russia nel diciannovesimo secolo, e le monache greche ordinate da San Nettario di Egina alcuni decenni dopo: tuttora si ha sentore di ordinazioni sporadiche di diaconesse, ma per lo più monache, e il loro ministero è confinato nei propri monasteri.

Una ulteriore rivalutazione ed estensione del ruolo della diaconessa, nell'Ortodossia, non avrebbe in linea di massima alcun ostacolo canonico, e sarebbe soggetta unicamente all'approvazione dei fedeli.

 

Digiuno e astinenza

Già nell'anno 867 San Fozio, patriarca di Costantinopoli, lamentava l'introduzione di deviazioni della prassi del digiuno operate dalla Chiesa romana, e imposte dai missionari latini: l'usanza di digiunare anche il sabato, e la concessione di cibarsi di latticini nella prima settimana di quaresima. (Provvedimenti, quindi, talvolta più rigorosi e talvolta più permissivi, ma in ogni caso deviazioni dalla prassi della Chiesa antica). Ma le deviazioni sarebbero aumentate ancora di più dopo lo scisma.

Gli odierni residui delle antiche astinenze alimentari tuttora rimasti nella chiesa cattolica romana si limitano al divieto della carne in alcuni giorni particolari della quaresima. Nei periodi di digiuno degli ortodossi (che corrispondono a più della metà dei giorni dell'anno), è rimasto invece l'antico divieto di cibarsi, oltre che della carne, anche di pesce, uova, latte e latticini, vino e olio.

Per gli ortodossi, a differenza dei cattolici romani, rimane in vigore il divieto di consumare sangue, in conformità con il dettame del Concilio apostolico di Gerusalemme, citato in At 15,20.

In alcuni casi (che variano a seconda di usi nazionali e locali) l'astinenza viene lievemente mitigata in ricorrenze speciali, ma si tratta comunque, anche da un punto di vista meramente quantitativo, di una attitudine verso il digiuno molto più rigorosa di quella cattolico-romana.

Inoltre, nell'Ortodossia digiunano tutti, non solo i monaci, con un fervore e una disciplina che provocano spesso stupore nei cattolici romani, abituati a vedere lo stesso rigore solo nei più severi ordini religiosi.

In generale, si può dire che questo enorme divario di prassi ascetica rifletta due tendenze del tutto differenti di considerare il mondo e il cammino di santificazione: il Cattolicesimo romano si è gradualmente diretto verso un progressivo adattamento a questo mondo e alla sua mentalità (ritenendolo, indubbiamente, una misura di generosità della Chiesa nei confronti dei propri figli); l'Ortodossia, invece, pur consapevole della difficoltà di mantenere severe prescrizioni ascetiche nel presente oceano di mondanità, non si sente autorizzata a sminuire i suoi modelli etici. Questi sono infatti modelli di santità, ai quali i fedeli ortodossi sanno di essere sempre e immancabilmente chiamati.

 

Digiuno eucaristico

Come per i periodi di digiuno quaresimale, si è visto nella Chiesa cattolica romana un progressivo indebolimento del senso del digiuno prima di ricevere la santa Comunione. Con le recenti riforme il digiuno eucaristico si è ridotto a una singola ora di astinenza dai cibi e bevande, eccettuata l'acqua.

Nella Chiesa ortodossa, dove l'antica pratica è invece rimasta immutata, per chi desidera comunicarsi nulla può essere mangiato o bevuto dal momento del risveglio al mattino. Nel caso di Liturgie vespertine (permesse dalle rubriche ortodosse solo quando la Liturgia si fonde con il Vespro, in 4 occasioni di vigilie di grandi feste, e nelle Liturgie dei Presantificati in alcuni giorni della Grande Quaresima), il periodo di digiuno totale prima di comunicarsi è lo stesso, ma in certi casi viene tollerato un digiuno di sei ore.

Non sono infrequenti, nel mondo ortodosso, casi di fedeli particolarmente devoti, che prima di comunicarsi osservano anche uno o più giorni di digiuno totale.

 

Diritto canonico

Comprendendo nel suo seno popoli con tradizioni giuridiche molto diversificate, la Chiesa ortodossa non ha, a differenza di quella cattolica romana, un testo di diritto canonico unificato. Eppure, come per i libri liturgici (q.v.), esiste una ricca serie di collezioni di canoni, tra le quali emerge il Pedalion (timone) di San Nicodemo l'Agiorita, pubblicato nel 1800.

Si considerano normative per l'Ortodossia le collezioni canoniche dell'epoca dei sette Concili Ecumenici del primo millennio, nonché l'ampia raccolta del Concilio Quinisesto o Trullano, che è la più antica codificazione estesa del diritto canonico ortodosso.

L'ignoranza del diritto canonico ortodosso ha fatto spesso pensare, in Occidente, a un'Ortodossia "priva di regole". In realtà, le regole sono abbondanti e spesso di grande strettezza e rigore, anche se modellate su situazioni e necessità locali.

La recente promulgazione (1990) di un testo unico di diritto canonico per le chiese cattoliche di rito orientale è vista quanto meno con perplessità dagli ortodossi, che si chiedono come un'unica normativa uniforme possa adattarsi alle diverse usanze e situazioni storiche dei popoli cristiani dell'Oriente (una situazione aggravata dal fatto che il mondo cattolico orientale comprende Chiese di diversa origine, come quelle uscite dal mondo non calcedoniano).

 

Divorzio e secondo matrimonio

Si dice talvolta, in ambienti cattolici romani, che la Chiesa ortodossa tollera il divorzio: l'affermazione è alquanto gratuita, soprattutto in un'epoca in cui, parlando di divorzio, si pensa subito all'istituzione giuridica moderna. In realtà l'Ortodossia non è affatto "divorzista": essa fa proprie le parole di Gesù sul ripudio (in quanto atto unilaterale e umano di scioglimento di un legame divino). Tuttavia, come misura di economia (dispensazione) e filantropia (amorevolezza), basandosi sul fatto che Cristo stesso permise un'eccezione (Mt. 19,9) al suo rifiuto del ripudio, la Chiesa ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto dalla Chiesa (non dallo Stato!), in base al potere dato alla Chiesa di sciogliere e legare, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista (per quanto scoraggiata) anche la possibilità di un terzo matrimonio, mentre è in ogni caso proibito un quarto (gli antichi canoni che proibivano in ogni caso un quarto matrimonio non sono più rispettati nel cattolicesimo romano). Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze in casi di scioglimento del matrimonio viene concessa solo al coniuge innocente.

Le seconde (e terze) nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate con un rito speciale, di carattere penitenziale (il cui principio è il riconoscimento di una situazione di fallimento), che contiene una preghiera di assoluzione (la prassi cattolica romana non prevede una identificazione liturgica delle seconde nozze). Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell'incoronazione degli sposi (che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio), esiste una giustificazione teologica nel dire che le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma tutt'al più, per usare la terminologia latina, un sacramentale, che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi, e questo consente di dire che l'Ortodossia, in linea di principio (e a differenza del Cattolicesimo romano) permette un solo vero matrimonio sacramentale in tutta la vita.

 

"Due polmoni"

Il paragone che vede nell'Occidente e nell'Oriente i due polmoni del mondo cristiano, che pur nella loro distinzione respirano la stessa aria dello Spirito, proviene dalla stessa Sede romana, ed è frequentemente usato come paradigma di apertura ecumenica.

Forse la scelta della metafora biologica sarebbe stata fatta in modo diverso, se si fosse avuto sott'occhio lo stesso paragone fatto nel contesto ortodosso da San Teofane il Recluso nella sua omelia di Pentecoste del 1860. Ne riproduciamo il passo in questione, lasciando ai lettori ogni eventuale commento.

"Ciò avviene perché in una parte dell'umanità gli organi della respirazione sono danneggiati, e un'altra pare, una parte ampia, non è neppure esposta all'influenza di questo soffio salutare. Perché la respirazione abbia il suo pieno effetto sul corpo, infatti, è necessario che tutti i condotti dei polmoni siano integri e privi di ostruzioni. Allo stesso modo, perché lo Spirito Divino manifesti il suo pieno effetto, è necessario che siano integri gli organi che Egli stesso ha stabilito per la propria acquisizione; vale a dire, i Divini Misteri e i riti religiosi dovrebbero essere preservati esattamente così come vennero stabiliti dai Santi Apostoli, guidati dallo Spirito di Dio. Laddove questi riti sono danneggiati, il soffio dello Spirito Divino non è pieno; di conseguenza, manca del pieno effetto. In questo modo tutti i misteri papisti [papistov nel testo originale] sono danneggiati, e molti riti religiosi salvifici sono pervertiti. Il Papato ha polmoni incrostati e infetti."

 

Durata della Liturgia

Una delle caratteristiche che qualificano la Liturgia bizantina (e, in generale, tutto l'insieme dei riti sacri ortodossi) rispetto alla Messa romana è la sua maggiore lunghezza. In particolare, coloro che non vi sono abituati restano colpiti dalla frequente reiterazione delle preghiere pubbliche in forma di litania.

Anche se la maggiore lunghezza non è esagerata (a livello parrocchiale, una Liturgia domenicale non dura di solito oltre un'ora e mezza), essa contribuisce a dare un carattere di "atemporalità" alle funzioni, più consona allo spirito della celebrazione festiva.

 

Epiclesi eucaristica

Nel rito eucaristico della Chiesa ortodossa, un momento fondamentale è costituito dall'epiclesi, ovvero dall'invocazione dello Spirito Santo sui Santi doni, perché li trasformi nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Questo momento dell'epiclesi è presente anche in molti altri momenti del culto ortodosso, tipicamente quando la Chiesa vuole sottolineare che certi effetti misteriosi non avvengono per volontà umana, ma per intervento di Dio.

Anche se la epiclesi non viene considerata l'unico fattore che determina la consacrazione eucaristica, nondimeno la teologia ortodossa riterrebbe priva di validità un'Eucaristia celebrata senza l'invocazione, almeno implicita, dello Spirito.

Inoltre, per la Chiesa ortodossa è la preghiera dell'epiclesi (recitata dopo le parole di istituzione) a perfezionare la trasformazione eucaristica: La Liturgia di San Giovanni Crisostomo, a questo proposito, è inequivocabile: "...e fa' di questo PANE il prezioso Corpo del tuo Cristo".

Per la teologia cattolico-romana, il momento della consacrazione è costituito dalle parole di istituzione ("questo è il mio corpo" e "questo è il mio sangue"), e la formula di epiclesi viene di solito considerata secondaria.

Prima del Concilio Vaticano II, il Canone eucaristico romano non conteneva una epiclesi esplicita; molti liturgisti ortodossi, tra cui il celebre Nicola Cabasilas, indicarono tuttavia nel paragrafo Supplices Te rogamus... una forma implicita di invocazione dello Spirito.

È significativo, inoltre, che negli antichi canoni eucaristici, l'epiclesi fosse sempre posta dopo le parole di istituzione, per indicare il culmine del processo di consacrazione. Così è tuttora nella liturgia bizantina, e così era nel rito latino per quanto riguarda il Supplices Te rogamus. Un fatto curioso del rito eucaristico romano post-conciliare è che l'antica Anafora di Ippolito (divenuta la Preghiera Eucaristica II) abbia subito una traslazione dell'epiclesi da dopo le parole di istituzione a prima, in una posizione più "neutrale".

L'insistenza cattolico-romana sulle parole di istituzione non sembra peraltro giustificata in tutto l'ecumene cristiano: una delle antiche liturgie siriache, l'Anafora di Addai e Mari (tuttora in uso presso le chiese sire), è addirittura priva delle parole di istituzione.

 

Espiazione vicaria

Dalla scuola di Anselmo di Aosta (e, in origine, dalla concezione agostiniana del peccato originale ereditario) è pervenuta al Cattolicesimo romano una comprensione della Crocifissione come pagamento di una punizione, un "riscatto" che Cristo soffrì al posto del genere umano, costretto alla schiavitù al male per virtù del peccato originale.

L'Ortodossia ha una visione assai differente della sofferenza di Cristo e della sua morte sulla Croce: queste ebbero come fine la sconfitta del diavolo e la distruzione del suo potere, la morte (in questo caso, l'unico "riscatto" è quello pagato alla tomba). L'umanità partecipa al riscatto dal diavolo e dalla morte attraverso la padronanza sulle passioni: le sofferenze salvatrici di Cristo vengono così inserite in una cornice di preghiera, pubblica e privata, digiuno (rinnegamento di sé) e obbedienza volontaria, di cui il monachesimo è l'espressione più evidente.

La visione occidentale dell'espiazione vicaria portò a notevoli mutamenti di percorso, con l'introduzione di elementi quali la punizione ecclesiastica dei peccati, le opere supererogatorie, e tutta la cornice giuridica del Purgatorio (q.v.).

Tutto l'edificio teologico del peccato originale e dell'espiazione vicaria (con la sua assoluta necessità di una soddisfazione infinita per un'offesa, e la sua concezione tutto sommato mondana e passionale di giustizia, quasi riconducibile alla vendetta) mette in serio dubbio la bontà di Dio. Può anche essere visto come un pericoloso sintomo di ritorno al paganesimo, con la necessità dell'Incarnazione pari alla Necessità che regolava gli atti degli dèi.

 

Essenza ed Energie

I Padri della Chiesa, di fronte al problema della conoscibilità di Dio, furono molto attenti a distinguere tra un'essenza inconoscibile di Dio (che salvaguarda la sua differenza ontologica con l'uomo e il resto del creato) e le sue energie divine (increate, e fonte della comunicazione di Dio all'uomo). La distinzione tra essenza ed energie è uno degli insegnamenti più profondi dei Santi Padri sulla deificazione dell'uomo, e offre una spiegazione sulla natura della visione di Dio e delle esperienze spirituali.

Tale insegnamento fu rigettato dalla scolastica occidentale, che fece propria una dottrina della "visione dell'essenza divina" che Padri del calibro di San Basilio e San Giovanni Crisostomo avrebbero definito una bestemmia.

Nonostante recenti rivalutazioni della teologia patristica in materia di essenza ed energie, ancora nel recente Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 1023), lo stato di beatitudine è chiamato "visione dell'essenza divina".

 

Fede e Ragione

Seguendo i Santi Padri, l'Ortodossia si serve scienza e filosofia per difendere e spiegare la propria fede, ma senza cercare di riconciliare fede e ragione, o di provare la fede con la logica e la scienza: in questa attitudine, essa vedrebbe piuttosto un pericolo di cambiamenti di fede nel tentativo di adeguamento ai processi intellettuali del tempo. Dal periodo della scolastica (q.v.) in poi, il rispetto per la ragione umana ha portato i cattolicesimo romano a profondi ridimensionamenti in campo di teologia, sacramenti, e istituzioni ecclesiastiche.

Il Cattolicesimo romano insegna che la ragione può provare l'esistenza di Dio, e anche dedurne i suoi attributi (eternità, bontà, incorporeità, onnipotenza, onniscienza...); l'Ortodossia ritiene piuttosto che la conoscenza di Dio sia impiantata nella natura umana; salvo un intervento di Dio, la ragione umana non può scoprire altro.

Il classico detto della teologia romana "potuit, decuit, ergo fecit" (Dio ha il potere di fare qualcosa, Dio l'avrebbe voluta fare, e perciò Dio l'ha fatta), se viene preso come misura di come e quando Dio interviene nella storia, pone il teologo latino nella situazione impossibile di giudicare e dedurre quando Dio ha desiderato che una certa cosa accadesse. In questo caso l'infallibilità papale (q.v.) si rende necessaria per dirimere le controversie di ipotesi e spiegazioni contraddittorie.

L'importanza della ragione, che sta alla base del senso dello sviluppo dogmatico (q.v.), deriva (o piuttosto è sostenuta) dalla particolare antropologia del Cattolicesimo romano: questa asserisce che, di tutte le facoltà umane, la ragione sia la meno coinvolta nella caduta dell'uomo. L'Ortodossia ritiene invece che la ragione sia intaccata dalla caduta allo stesso modo di tutte le altre facoltà umane.

 

Festività alterate

La Chiesa cattolica romana ha spostato, o "sdoppiato", alcune delle grandi festività dell'anno liturgico. Per esempio, il Battesimo del Signore, anticamente celebrato il 6 Gennaio, festa della Teofania o Epifania (vale a dire, manifestazione divina) viene oggi celebrato la domenica successiva. La Domenica della Trinità, divenuta festa a parte, un tempo formava un'unica festività con la Domenica di Pentecoste, e così via.

Nel rimanere fedele alle antiche festività, l'Ortodossia vuole anche insistere sul loro significato teologico, e teme che il loro senso venga indebolito o perduto con ripetizioni e spostamenti. Offriamo qui di seguito alcuni esempi esplicativi:

- L'adorazione dei Magi è collegata alla Natività del Signore, sia nella narrazione evangelica che nella comprensione della Chiesa ortodossa (come si può notare nella celebrazione del Natale ortodosso). Lo spostamento di questo evento alla festa dell'Epifania non solo crea una separazione artificiosa nel contesto della Natività, ma indebolisce l'idea stessa della manifestazione divina, derubandola dell'immagine della manifestazione della Trinità al battesimo nel Giordano.

- L'adozione da parte di tutta la cristianità occidentale dei giorni 1 e 2 Novembre per celebrare tutti i Santi, e la memoria dei defunti, proviene dall'antica chiesa irlandese. Questa pratica era mirata a cristianizzare la festa druidica di Samhain, il giorno celebrato con sacrifici pagani, in cui si credeva che le anime dei defunti tornassero sulla terra. A parte ogni considerazione sulla riuscita di tale iniziativa (il successo contemporaneo di Halloween nei paesi di lingua inglese può far nascere qualche dubbio in proposito), l'adozione indifferenziata di questo costume veramente locale per tutti i paesi cattolici di tradizione non celtica sembra una vera forzatura. Per di più, veniva soppiantata la pratica antica (tuttora osservata dagli ortodossi) di festeggiare tutti i Santi la domenica successiva alla Pentecoste (cosa che rafforza il legame logico tra la comunione dei Santi e lo Spirito "fonte di ogni santità"), nonché l'antico costume di dedicare al ricordo dei defunti tutti i giorni di Sabato, con l'introduzione di una "stagione dei morti" un po' artificiosa.

- Gli eventi biblici che hanno sempre espresso la regalità di Cristo sono l'Ingresso a Gerusalemme, l'Ascensione e, in modo paradossale, l'iter della Passione. L'aggiunta di una nuova festa di Cristo Re, per quanto bene intenzionata, separa l'idea astratta della regalità di Cristo, quasi come una lode "politica" alla monarchia in sé, collocando la regalità in un contesto isolato dalla storia della salvezza.

 

Filioque

La Chiesa ortodossa mantiene inalterato il testo del Credo promulgato dal Primo Concilio di Costantinopoli (381), e solennemente ratificato dal Concilio di Efeso (431), che vietò (canone 7) di modificarne il testo.

In Occidente, in contraddizione a questo divieto, fu introdotta una clausola che resta tuttora uno dei punti fondamentali di differenza tra Ortodossia e Cattolicesimo romano. La Chiesa spagnola, nel Concilio di Toledo del 589, decise di introdurre, laddove il credo parla dello Spirito Santo "... che procede dal Padre", la clausola "e dal Figlio" (filioque). Lo scopo di questa inserzione era di contrastare l'eresia ariana, che negava la divinità di Cristo. Asserendo che la processione dello Spirito avveniva sia dal Padre che dal Figlio, si voleva insistere sull'uguaglianza del Figlio e del Padre. Si veniva così a creare una confusione tra la processione eterna dello Spirito (sulla quale la Bibbia è categorica: "... lo Spirito di Verità, che procede dal Padre": Gv 25,26) e la sua missione temporale, riguardo alla quale anche l'Ortodossia non obietta che lo Spirito sia stato "inviato nel mondo" dal Figlio.

In origine, la Chiesa di Roma fu contraria a questa innovazione nel Credo, a favore della quale si schierarono invece i Franchi. Ancora nell'anno 808, Papa Leone III, per resistere alle pressioni per la modifica del Credo da parte di Carlo Magno, faceva affiggere in San Pietro, sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, due tavole di argento con il testo originale del simbolo di fede.

La definitiva introduzione del filioque da parte della Chiesa romana, su pressione carolingia, fu uno dei punti sui quali si consumò lo scisma del 1054. Da allora, l'Ortodossia ha continuato a rimproverare il Cattolicesimo romano su questo punto, non solo per il "fratricidio morale" di avere cambiato unilateralmente la formulazione della fede, ma anche perché gli ortodossi ritengono il filioque teologicamente errato (il principio dell'unità nella Trinità, per i Padri della Chiesa anteriori ad Agostino, è l'esistenza di un solo Padre come fonte della vita trinitaria: facendo del Figlio una fonte della Terza Persona della Trinità, si ammetterebbero due principi primi).

Bisogna notare come il filioque sia per gli ortodossi un punto di differenza essenziale, mentre non lo è per i cattolici (la clausola compare nel Credo delle chiese cattoliche di rito latino, ma non in quelle cattoliche di rito orientale).

La formula del concilio unionista di Ferrara-Firenze (1438-1439) concedeva l'uso differenziato del Credo, con o senza il filioque, a seconda del "rito" di appartenenza. Lungi dal ritenerlo un atto di misericordia ecumenica, gli ortodossi ancor oggi considerano aberrante un simile atteggiamento: come può una Chiesa, che si considera portatrice di una fede unica, permettere al suo interno due formulazioni diverse della più solenne proclamazione di questa fede?

 

Funzioni cantate

Nella Chiesa ortodossa, tutte le funzioni sacre vengono cantate o intonate. Non esiste (come non è esistito nell'antichità cristiana) l'equivalente eucaristico della "Messa bassa" del Cattolicesimo romano: tutta la Divina Liturgia, nelle sue parti "comuni" (vi sono anche preghiere sacerdotali recitate a bassa voce, ma non pubblicamente), viene cantata, anche nel caso che non vi fossero che il sacerdote e un singolo lettore o cantore. Questa insistenza si appoggia in parte al valore assegnato al canto dai Santi Padri, e ha permesso una continuità ininterrotta di tradizione musicale sacra.

D'altra parte, la presenza della "Messa bassa" si giustifica con l'introduzione medioevale delle celebrazioni multiple e simultanee nella stessa chiesa, cosa che gli ortodossi ritengono una seria deviazione dal principio dell'unicità della Liturgia (q.v.).

Funzioni "speciali"

La "diversificazione dei carismi", che ha portato nel cattolicesimo romano alla nascita di così tanti ordini religiosi (q.v), ha creato anche una forma di sviluppo di funzioni di culto dedicate a singole categorie sociali, a singoli eventi, o a particolari richieste. Tale sviluppo di forme particolari è andato ben oltre alla composizione di singole preghiere, "contagiando" persino l'atto centrale del culto cristiano, la Santa Eucaristia (si può pensare, come esempio evidente, alle recenti "Messe per i giovani"). Questa non è un'innovazione contemporanea: già le complesse regole che diversificano le Messe per i defunti dalle altre celebrazioni eucaristiche permettono di tracciare tali tendenze alla specializzazione fin nell'Alto Medioevo. La coscienza ortodossa, forse in questo più "popolare", non si è mai spinta oltre all'inclusione di alcune intenzioni di preghiera all'interno della Divina Liturgia. In tal modo non si è perduta la centralità dell'Eucaristia, che continua a parlare a ogni fedele e per ogni circostanza.

 

Giuridismo

Nella loro ricerca di una fede sincera e di una autentica bontà, che vadano a fondo nell'anima, gli ortodossi non possono sentirsi a casa propria vedendo il modo in cui il Cattolicesimo romano disciplina l'uomo esteriore, con una catalogazione di azioni "di precetto", "proibite", "permissibili", "perdonabili", "imperdonabili"; di peccati "mortali", "gravi", "veniali"; e così via.

L'Ortodossia sottolinea sempre l'aspetto spirituale della relazione tra l'anima e Dio, e tutti i sacramenti e la disciplina della Chiesa sono ordinati al fine di ristabilire questa relazione nella sua pienezza: la loro trasformazione in "leggi" nettamente definite e valide per tutti è vista come un tentativo di sostituire, con la genialità umana, una pienezza di grazia perduta.

 

Icone e sculture

Uno studio, per quanto sommario, dell'arte sacra della chiesa ortodossa, rivela subito l'assenza di statue tra le immagini a uso liturgico. Nelle chiese ortodosse si trova di norma una grande abbondanza di immagini pittoriche (icone su tavole, affreschi, mosaici, intarsi, ricami), ma non vi sono statue o immagini scolpite a tutto tondo (anche se non mancano i bassorilievi, spesso eseguiti in legno). Questo uso appare in perfetta coerenza con l'arte sacra del primo millennio cristiano, nel quale l'assenza di sculture fu universale. Numerosi motivi spinsero i primi iconografi cristiani a evitare l'uso delle statue: senza dubbio il timore di una identificazione con il culto pagano (innumerevoli esempi attestano la venerazione di divinità pagane attraverso le statue, mentre le immagini pittoriche non erano usate a questo scopo), ma ancor più il rifiuto di modellare l'arte sacra su criteri di realismo naturalistico.

In questo ambito ebbe anche un certo peso la fedeltà al testo dei dieci comandamenti così come fu tramandato dai Padri della Chiesa, e come è ancora in uso nella Chiesa ortodossa ("non ti costruirai idoli, né alcuna scultura di ciò che è in alto nel cielo, o che è sulla terra...").

Il medioevo latino ha ripreso l'uso delle statue per scopi di arte religiosa, riuscendo forse ad attirare la devozione popolare su oggetti più "tangibili", ma mondanizzando allo stesso tempo le immagini sacre e la loro venerazione.

Le statue, a differenza delle icone, non possono essere viste come un libro di teologia per chi non sa leggere (curiosamente, il mondo ortodosso usa frequentemente il verbo "scrivere" per indicare la creazione delle icone), ed è ben difficile vedere una statua come una "finestra" su qualsivoglia realtà.

Una statua attrae (o piuttosto distrae) l'attenzione su dimensioni fisiche, immaginative e romantiche: l'insegnamento ortodosso ritiene che l'unica icona tridimensionale appropriata sia l'essere umano vivente. L'Ortodossia non sostiene che le statue siano un male, ma solo che non siano appropriate come oggetti di venerazione, così come la musica ecclesiastica (q.v.) non si possa esprimere in modo appropriato con strumenti musicali.

L'Ortodossia non è peraltro contraria alle statue in un contesto non liturgico: la tradizione ortodossa ricorda una statua di Cristo eretta da una delle persone da lui guarite (l'emorroissa) nella città di Panas. Questa immagine, usata dagli ortodossi per sostenere l'accuratezza delle immagini di Cristo nelle discussioni con gli iconoclasti, ha tuttavia un mero valore di testimonianza storica.

Un altro paragone interessante si può fare a proposito della concezione di grazia: l'icona riflette l'insegnamento ortodosso della grazia increata e del suo impatto su tutta la creazione. La statua (che normalmente non è oggetto di venerazione, ma supporto di meditazione), riflette la teoria latina della grazia creata.

 

Immacolata Concezione

L'8 Dicembre 1854, con la bolla Ineffabilis Deus, Papa Pio IX proclamò di propria autorità come dogma di fede cattolica una dottrina mariologica controversa: "La beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per grazia speciale di Dio onnipotente e per uno speciale privilegio, per anticipazione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia della colpa originale".

Di tale insegnamento non si ha alcuna traccia prima del nono secolo, quando Pascasio Radberto, abate di Corvey, espresse l'opinione che la Santa Vergine fosse stata concepita senza peccato originale. Questa opinione era forse dettata dal desiderio di non associare Maria alla visione agostiniana (particolarmente pessimistica) del peccato originale. Prima di Pascasio Radberto, nessun teologo latino (neppure Agostino stesso) aveva mai sostenuto che Maria fosse santa fin dalla concezione.

Il mondo latino medioevale fu profondamente diviso su questo punto: Bernardo di Chiaravalle, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, e la scuola domenicana avversarono la dottrina dell'Immacolata concezione, mentre Duns Scoto e la scuola francescana la sostennero e la propagarono. Neppure il mondo dei mistici cattolico-romani portò una voce unita sul tema: Brigida di Svezia e Caterina da Siena ebbero rispettivamente una rivelazione favorevole e una contraria alla dottrina. Fu solo nel 1475 che un papa (Sisto IV) approvò una funzione di culto che insegnava esplicitamente l'Immacolata concezione, pur senza renderla un articolo vincolante di fede. L'uso liturgico e il patrocinio papale favorirono la strada alla proclamazione del dogma.

La coscienza ortodossa, in generale, pur ammettendo che il desiderio alla base di questa dottrina è quello di rendere maggiore gloria alla Vergine Maria e alla sua purezza, sostiene che questa dottrina la sminuisca, piuttosto che esaltarla. L'Immacolata concezione scava infatti un abisso tra Maria e il resto del genere umano, e getta un velo sulla ricca tradizione patristica che narra della lotta della Madre di Dio contro le passioni e le tentazioni. Può essere inoltre la base di tendenze aberranti a mettere Maria sullo stesso piano della divinità.

L'Ortodossia lascia comunque la dottrina dell'Immacolata concezione nella sfera delle opinioni teologiche, e nessun ortodosso viene considerato eretico se vi crede. Di fatto, alcuni celebri teologi ortodossi, tra cui il Patriarca di Costantinopoli Giorgio Scholario (+1472) e il Metropolita di Rostov San Dimitri Tuptalo (1651-1709), si pronunciarono in favore della dottrina.

Un conto è però accettare un'opinione, altro è proclamarla come dogma di fede, a fronte di una totale assenza di testimonianze in tal senso nelle Sacre Scritture, nei primi Padri, e nella fede dei primi otto secoli della Chiesa. L'Ortodossia non può accettare la necessità di "migliorare" la tradizione apostolica introducendo nei suoi fondamenti (i dogmi) un insegnamento tardivo e conflittuale.
Il nuovo dogma del 1854 segnò un altro allontanamento del Cattolicesimo romano dalla tradizione ortodossa: fu infatti l'opportunità di esercitare per la prima volta una potestà che si era venuta ad attribuire al Papa di Roma nell'età moderna: quella di definire dogmi di fede non per autorità di un Concilio Ecumenico, né per suo incarico, ma ex sese (da se stesso).

 

Infallibilità papale

Uno dei punti di fondamentale divergenza dottrinale tra cattolici romani e ortodossi è costituito dal dogma dell'infallibilità papale, sviluppato dalla teologia latina come conseguenza del dibattito sul primato della sede romana. La dottrina dell'infallibilità del singolo pontefice (e della conseguente irreformabilità dei suoi pronunciamenti) è assente nel primo millennio: sorse nel XIII secolo, per opera della scuola francescana di Pietro Olivi (la ragione che questa scuola aveva per difendere l'irreformabilità delle decisioni papali era, molto prosaicamente, una serie di decreti favorevoli all'ordine francescano: è degno di nota che lo stesso Papa Giovanni XXII, in disaccordo con le decisioni dei suoi predecessori, non esitò a scagliarsi contro la dottrina dell'infallibilità nella decretale Quia Quorundam del 1324).

Avendo proclamato di propria autorità (seppure in seguito alla consultazione dell'episcopato cattolico) il dogma dell'Immacolata concezione nel 1854, Pio IX si era appropriato il diritto di cambiare autocraticamente l'insegnamento della Chiesa romana, e dando alla propria voce un peso superiore a quello delle Sacre scritture e della Tradizione. La diretta conseguenza fu, nella costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I del 1869, la dichiarazione dogmatica dell'infallibilità dei pronunciamenti solenni del pontefice romano in materia di fede e di morale.

La nozione di infallibilità non è estranea al mondo ortodosso, però vi resta limitata alle Sacre Scritture e al contenuto dogmatico dei Concili Ecumenici, in quanto espressione della voce della Chiesa: anche questi ultimi, perché la loro infallibilità venga riconosciuta, hanno bisogno di una ratifica reale da parte dei fedeli. Mai, nel corso della storia della Chiesa ortodossa, si è investito dell'infallibilità un singolo individuo, tanto meno come situazione stabile, di diritto.

I difensori dell'infallibilità papale continuano inoltre, agli occhi degli ortodossi, a non riuscire a risolvere l'impasse della condanna postuma di Papa Onorio I come eretico (monotelita), sia per decreto del Sesto Concilio ecumenico (Costantinopoli III, anno 680), sia del suo successore, il Papa San Leone II (anno 682). I tentativi di comporre questo contrasto comprendono le seguenti affermazioni:

1) L'insegnamento di Papa Onorio non era solenne ("ex cathedra").

2) Le dottrine di Papa Onorio furono fraintese dai suoi accusatori.

3) L'insegnamento (per la sua vaghezza) era imprudente piuttosto che eretico.

La prima risposta lascia la questione irrisolta, perché quand'anche l'insegnamento di Papa Onorio non fosse stato solenne, la sua condanna come eretico lo è stata eccome (ed equivalente a un pronunciamento papale sulla fallibilità papale). La seconda e la terza soluzione, parimenti, pur scagionando Papa Onorio, gettano un'ombra di dubbio sul suo successore e su un Concilio ecumenico, e si avvicinano a un rigetto della loro autorità.

Il dibattito sulla solennità dei pronunciamenti papali si fa molto più acuto considerando l'importanza dei cambiamenti nel Credo (l'inserzione del filioque, condannata dai Papi Giovani VIII e Leone III, fu ratificata nel 1014 da Papa Benedetto VIII) nelle Sacre scritture (Papa Sisto V fece pubblicare una edizione latina delle Scritture, ordinando, sotto pena di anatema, che venisse considerata la più autentica; in considerazione di notevoli errori di traduzione, la Vulgata Sistina fu ritirata dall'uso ecclesiastico dai suoi successori) e nel culto (Papa Pio V vietò di modificare l'Ordinario della Messa di rito romano da lui promulgato).

Un'osservazione pratica che gli ortodossi amano fare al tema dell'infallibilità papale è che questo dogma rappresenta la sconfitta ultima del principio conciliare nella Chiesa, lasciando la conciliarità delle decisioni della Chiesa in balìa di un'autorità fondamentalmente priva di controllo.

 

"In Persona Christi"

Mentre l'Ortodossia insegna che la grazia dei sacramenti si infonde negli elementi materiali (pane, vino, acqua, olio) attraverso l'epiclesi (q.v.) o invocazione dello Spirito Santo, il Cattolicesimo romano ha un'enfasi molto più accentuata sul celebrante, che agisce "nella persona di Cristo" donando grazia ai sacramenti nel suo nome. Questo spiega anche perché le formule dell'amministrazione dei sacramenti si sono modificate, nella prassi cattolica romana, da deprecative ("il Servo di Dio N. è battezzato...") in indicative ("N., io ti battezzo...").

Il problema della concezione cattolica romana sorge quando si inizia a confondere il ruolo del prete come rappresentante della persona di Cristo con l'altro ruolo (attestato da una prassi ben più antica) di rappresentante del vescovo, che a sua volta dovrebbe essere "icona di Cristo" nella sua diocesi.

 

Libri liturgici

I libri di culto della tradizione cattolica romana sono più volte stati riformati, subendo numerose semplificazioni e riduzioni (soprattutto dopo il Concilio Vaticano II): per seguire le ufficiature pubbliche della Chiesa romana, possono essere sufficienti il Messale e il Breviario.

La Chiesa ortodossa mantiene una maggiore quantità di testi (circa 5000 pagine a stampa) necessari per le ufficiature, e comprendenti una piccola biblioteca di una ventina di volumi.

Tali libri, a prima vista di difficile padronanza, costituiscono uno dei tesori più preziosi della Chiesa ortodossa, e una loro revisione in senso riduttivo sarebbe vista come un atto di autolesionismo.

 

Lingua vernacolare

La Chiesa ortodossa ha sempre rispettato il diritto dei fedeli a partecipare a funzioni di culto tenute in una lingua a loro comprensibile.

Se avviene che in certe chiese venga usata una lingua più arcaica al posto di quella di uso corrente (nel mondo greco si usa la forma antica della lingua greca; nelle chiese slave la lingua liturgica è il paleoslavo, o antico slavo ecclesiastico, invece delle lingue correnti come il russo, e così via), è pur vero che queste lingue arcaiche sono tuttora comprensibili a livello popolare.

L'adozione universale della lingua parlata nella Chiesa cattolica romana risale al periodo seguente al Concilio Vaticano II, e talora l'imposizione forzata di una fraseologia "moderna" ha creato non poche delusioni. Forte di una tradizione millenaria di liturgia vernacolare, che riesce a essere genuinamente popolare senza scadere nella banalità, l'Ortodossia avrebbe forse qualche esempio da offrire in materia.

 

Liturgia

Il termine "liturgia", che in Occidente è in uso per indicare tutto l'insieme dei riti e delle celebrazioni ufficiali della Chiesa, in Oriente indica principalmente la celebrazione dell'Eucaristia (ed è con questo significato che, ai tempi del Rinascimento, il termine fu "trapiantato" dalla Grecia nel lessico religioso della Chiesa di Roma). Ancor oggi, con Liturgia, o Divina Liturgia, un ortodosso intende quella che nel mondo latino viene chiamata Messa, o Santa Messa.

 

Liturgia "ortodossa" o "bizantina"?

Spesso si fa riferimento all'antica Liturgia bizantina chiamandola "Liturgia ortodossa", sorvolando sul fatto che anche le antiche Liturgie occidentali (romana, ambrosiana, gallicana, e così via), nate nel contesto di piena fede ortodossa della Chiesa del primo millennio, hanno il medesimo diritto a questo appellativo.

Nella coscienza ortodossa, "Ortodossia" non è sinonimo di "rito orientale" (l'identificazione operata in tal senso in ambiente cattolico romano viene vista come un abuso), ma di pienezza di fede. Un rito differente, purché sia capace di esprimere la stessa pienezza, sarebbe altrettanto legittimo e "ortodosso" di quello bizantino.

Di fatto, certi gruppi di ortodossi in Occidente hanno adottato o riadattato antichi riti occidentali a proprio uso, con zelo e dedizione per la riscoperta delle radici ortodosse della cristianità latina.

 

Massoneria e fede cristiana

Come accade nel Cattolicesimo romano, anche nell'Ortodossia l'appartenenza di un membro della Chiesa alla massoneria è strettamente proibita, e comporta la scomunica. La relativa scarsità di sentenze esplicite di condanna, tuttavia (mentre la Chiesa cattolica romana ha emesso in due secoli e mezzo oltre cinquecento scomuniche), ha fatto sì che la Chiesa ortodossa venisse spesso accusata, da parte romana, di compromessi con il mondo massonico.

L'accusa è quanto meno strana, se si considera che il nucleo delle obiezioni cristiane alla massoneria è rivolto al relativismo in questioni di fede: una imputazione difficilmente applicabile alla Chiesa ortodossa, che nel corso dei secoli ha patito indicibili umiliazioni proprio per non transigere sui punti fermi della fede.

La posizione della Chiesa romana in materia è indubbiamente più chiara, e le sue ragioni sono più debitamente espresse e articolate. Tuttavia, l'assenza di ripetute condanne da parte ortodossa è sintomo di un atteggiamento verso i problemi giuridici molto meno categorico e conflittuale. L'Ortodossia, una volta riconosciuta l'incompatibilità di una data posizione filosofica o dottrinale con la fede cristiana, non sente il bisogno di reiterare continuamente la propria posizione, come se bastassero alcuni secoli o decenni a "esaurire" le sue ragioni.

 

Meditazione

La tradizione spirituale ortodossa fa raramente uso dei sistemi di 'meditazione discorsiva', impiegati nel Cattolicesimo romano sin dai tempi della Controriforma (si pensi ai metodi di esercizi spirituali stabiliti da Ignazio di Loyola e da Francesco di Sales). Una probabile ragione di questa assenza è la ricchezza e frequenza di testi-chiave e di immagini che si può riscontrare nelle ufficiature ortodosse, particolarmente nelle grandi feste e nei periodi quaresimali. Questa abbondanza è sufficiente a nutrire l'immaginazione del fedele, che non ha più bisogno di ripensare quotidianamente il messaggio dei servizi della Chiesa in un periodo di meditazione formale. Nell'addestramento alla preghiera esicasta, anzi, la meditazione su immagini e sentimenti è positivamente scoraggiata, in quanto aprirebbe la strada a illusioni emotive e autosuggestioni.

 

Ministri Straordinari dell'Eucaristia

Il nuovo ruolo dei Ministri Straordinari dell'Eucaristia, ora affidato nella Chiesa cattolica romana (di rito latino) anche a laici che dovrebbero essere adeguatamente istruiti, è divenuto fonte di molte violazioni delle istruzioni liturgiche e di atteggiamenti ben poco riverenti.

Se da una parte si vuole attribuire tutto questo a spontaneismo e mancanza di preparazione, nondimeno resta acuto il contrasto con secoli di accuse, da parte cattolica romana, di scarsa riverenza eucaristica tra gli ortodossi, solo perché questi non avevano atti di adorazione eucaristica (q.v.), e non esponevano le sacre Specie alla venerazione dei fedeli.

 

Ministro della Cresima

Nel medioevo, il mondo latino restrinse l'amministrazione della cresima ai soli vescovi, facendo della cresima un sacramento sempre più separato dalla vita parrocchiale; nel tredicesimo secolo, si giunse alla sua completa separazione dal battesimo, sdoppiando così la pratica dell'iniziazione cristiana.

La relativa difficoltà di cresimare i fanciulli nel mondo cattolico romano (erano richieste a tal fine apposite visite episcopali), e i frequenti casi di bambini morti prima della cresima, portarono i teologi latini (forse non senza l'intento di tranquillizzare i fedeli) a sviluppare un nuovo insegnamento: che la cresima non sia un sacramento incondizionatamente necessario per la salvezza.

Anche se, progressivamente (partendo dalle necessità in terre di missione), la Chiesa romana ha reintrodotto l'uso di far amministrare la cresima dai presbiteri, questi rimangono ministri straordinari, e in via ordinaria il ministro è sempre il vescovo.

Nella Chiesa ortodossa, la cresima può essere amministrata da qualunque sacerdote, usando il crisma (ovvero il Santo Myron) consacrato dal vescovo.

Non andrebbe dimenticata, parlando di innovazioni latine nella cresima, l'adozione di una serie di usi cavallereschi medioevali (come lo schiaffo dato dal vescovo al neocresimato), che, oltre a snaturare il senso del sacramento facendone un rito di tono bellico, furono causa di numerose offese ai costumi dei popoli orientali.

 

Ministro del Matrimonio

Il sacramento del matrimonio è visto in modo molto diverso dall'Ortodossia e dal Cattolicesimo romano, sia a livello di principi teologici che a livello di prassi liturgica e pastorale.

Il celebrante del sacramento, per gli ortodossi, è sempre il vescovo o prete officiante; la tesi sostenuta nel mondo cattolico romano, che i veri celebranti del matrimonio siano gli sposi stessi, ha le sue origini nel giuridismo teologico medioevale. Arrivando a considerare il matrimonio con le categorie giuridiche del contratto, la logica conclusione fu quella di considerare come figure centrali i "contraenti", mentre l'autorità che presiede si limita a ratificare la benedizione della Chiesa.

Questa linea di principio ha poi fatto nascere alcuni controsensi all'interno dello stesso mondo cattolico romano; per esempio, per "rispettare la tradizione" delle Chiese orientali cattoliche, ai diaconi cattolici di rito orientale è proibito celebrare riti matrimoniali, mentre ai diaconi di rito latino è concesso, in quanto semplici "assistenti" degli sposi-celebranti.

 

Missione

Il concetto di missione nell'Ortodossia e nel Cattolicesimo romano è piuttosto differente, e spesso, giudicando la Chiesa ortodossa con i parametri di missione invalsi nel cristianesimo occidentale, si è giunti a definire l'Ortodossia come carente dal punto di vista missionario.

La fase iniziale della missione cattolica è stata tradizionalmente affidata agli ordini religiosi (q.v.), che si prendevano cura di intere zone o paesi, avviando le attività ecclesiali secondo la loro particolare regola, fino alla costituzione di strutture diocesane locali (ma spesso anche le cariche episcopali venivano affidate allo stesso ordine religioso che aveva compiuto l'evangelizzazione del luogo). Anche le società missionarie protestanti, seppure in un'ottica di rifiuto degli ordini religiosi, si muovevano su linee simili.

Nell'Ortodossia, Chiesa e missione sono visti in modo molto più inseparabile. Il termine ortodosso (e neotestamentario) per "missionario" è apostolo, e la funzione missionaria è parte integrante dell'aspetto di apostolicità della Chiesa. Ne consegue che lo sforzo di evangelizzazione non può essere appannaggio di un singolo settore, come un ordine religioso o una società di fedeli (spesso agli inizi della missione ortodossa si trovano dei monaci, ma senza strutture centralizzate che ne regolano l'attività), e che questo sforzo deve essere sempre soggetto all'autorità del vescovo locale, e coordinato all'interno della Chiesa locale.

 

Movimento carismatico

La reazione di cattolici e ortodossi al movimento carismatico moderno è un ennesima riprova di una profonda differenza di valutazione degli stessi fenomeni.

Di fronte all'ondata di risveglio pentecostale, originatasi per lo più in ambiente protestante, la Chiesa di Roma, dopo un periodo di diffidenza iniziale, verso la fine degli anni '60 ha aperto le porte alla religiosità di tipo carismatico, incoraggiando la formazione di movimenti carismatici nel proprio seno.

L'Ortodossia, d'altro canto, non ritrovando paralleli accettabili nella tradizione patristica e ascetica della Chiesa, vede il movimento carismatico come una delle tante "nuove spiritualità", più o meno deviate, del mondo moderno. Inoltre, per gli ortodossi, fare propria una realtà di "risveglio" che nasca al di fuori della pienezza della Chiesa (la tradizione ortodossa) equivale ad accettare una nuova rivelazione che, di fatto, trascende la Chiesa.

E così, mentre nel Cattolicesimo romano i movimenti carismatici, con l'avallo della gerarchia, moltiplicano le esperienze di una spiritualità sempre più estranea alla tradizione cattolica, i rari tentativi di importare un risveglio carismatico nella Chiesa ortodossa vengono per lo più visti come infiltrazioni di una concezione eterodossa della Chiesa.

Il primo inizio di movimento carismatico ortodosso, avviato in America su iniziativa di un prete greco, Padre Eusebios Stephanou, si è concluso con la completa abiura del promotore, che ne ha riconosciuto la fallacità.

 

Musica ecclesiastica e strumenti

Nelle chiese ortodosse, con l'eccezione di alcune chiese greche (per esempio, nelle Isole Ionie) che hanno a lungo subito un influsso latino, è virtualmente impossibile trovare strumenti musicali a uso liturgico. Per quanto le Sacre Scritture siano ricche di immagini di lode a Dio attraverso strumenti musicali, infatti, i Padri della Chiesa esortarono all'uso della sola voce umana negli inni, sull'esempio di nostro Signore e dei suoi discepoli. Le Costituzioni Apostoliche del IV secolo vietano l'uso di strumenti musicali nella chiesa, e la prassi ortodossa è rimasta invariata da allora.

In Occidente, invece, l'uso degli strumenti risale al periodo carolingio, quando furono insediati nelle chiese i primi organi. Per colmo dell'ironia, furono proprio gli imperatori greci di Bisanzio (che usavano gli organi a corte e all'ippodromo) a fare dono di questi strumenti ai re carolingi (Costantino I Copronimo ne donò uno a Pipino il Breve, e Michele III Rangabe ne offrì uno a Carlo Magno).

Ancora oggi, gli ortodossi vedono nell'uso liturgico di strumenti musicali una disubbidienza alle regole e allo spirito dei Padri, e un pericoloso principio di commistione tra musica sacra e musica profana.

 

Numero dei Sacramenti

La Chiesa ortodossa ha in comune con il Cattolicesimo romano la dottrina dei Sette Sacramenti (o Misteri, secondo la terminologia greca): tuttavia, la differenza tra sacramenti e sacramentali non vi è delimitata in modo così netto: il numero sette non ha un significato dogmatico assoluto nella teologia ortodossa, e alcuni riti, come la tonsura monastica o l'unzione dei sovrani, vengono considerati in modo informale come sacramenti. Lo stesso uso del termine greco "Misteri" sembra suggerire una connotazione più interiore, laddove il latino "Sacramenti" pare insistere più sugli atti rituali esteriori.

 

Ordini cavallereschi

Nell'ortodossia storica gli ordini religiosi cavallereschi brillano per la loro assenza. (Non sarebbe onesto definire "ordine cavalleresco", per esempio, l'aberrazione degli oprìchniki, la guardia privata dello Zar Ivan IV il Terribile, in cui si giunse talvolta a parodie della vita monastica; neppure alcuni ordini nobiliari tuttora esistenti nella Chiesa ortodossa possono rientrare in questa categoria, perché si tratta di onorificenze civili e non di ordini religiosi).

Può sembrare strano, visto il forte carattere monastico della spiritualità ortodossa, e il sentimento di rispetto che le nazioni ortodosse hanno sempre mostrato per l'esercito e i difensori della patria, che non si sia sviluppata una figura di "monaco guerriero" pari a quelle del Medioevo latino.

Bisogna ricordare, tuttavia, che rimane ancora forte il risentimento degli ortodossi per le crociate, che furono la culla di questi ordini (e che causarono innumerevoli stragi, sacrilegi e distruzioni nell'Impero bizantino), e, soprattutto, che il monaco ortodosso, nel suo rifiuto del mondo, rifiuta anche l'illusione di poter migliorare le sorti dell'umanità con una azione concertata di stile gerarchico-militare.

 

Ordini Maggiori

Fin dai primi secoli, la Chiesa ha suddiviso il sacerdozio ministeriale in tre gradi o funzioni, chiamati Ordini maggiori: quelli di diacono, di presbitero (= prete) e di vescovo. Altre funzioni ministeriali, come quelle dei suddiaconi (di cui si ha notizia già nel III secolo), dei lettori e dei cantori, venivano considerate come "Ordini minori", non istituiti da Cristo. La stessa "imposizione delle mani" (il gesto rituale che accompagna ogni ordinazione) viene tuttora definita nella Chiesa ortodossa con due termini diversi (chirotonìa e chirotesìa), a seconda che si tratti di ordinazioni maggiori o minori.

La Chiesa romana, dalla fine del XII secolo, ha voluto far rientrare l'ordine minore del suddiaconato nel novero degli Ordini maggiori. Per salvaguardare la dottrina dei tre gradi del sacerdozio, ha dovuto sostenere che gli Ordini maggiori fossero quelli di suddiacono, diacono e presbitero, escludendone quello del vescovo, visto come funzione di "pienezza" del potere sacerdotale.

La recente riforma liturgica della Chiesa cattolica romana ha visto la soppressione dell'ordine del suddiaconato, senza dubbio al fine di operare un ritorno all'antica tradizione, ma con la conseguente illogica scomparsa di quello che era stato per secoli un Ordine maggiore.

 

Ordini religiosi e monachesimo

L'Oriente conosce un solo "ordine" monastico, il monachesimo integrale (per quanto questo sia vissuto in diversi gradi di intensità, dal noviziato fino allo stato del "grande abito", corrispondente alla vita monastica "di stretta osservanza").

L'Ortodossia pertanto, pur avendo una grande varietà di monasteri e di modalità di vita monastica (vita comune, anacoretismo o eremitaggio, vita in piccoli nuclei fraterni) non ha nulla di simile agli "ordini" religiosi cattolici. Talvolta si definisce "monachesimo basiliano" lo stato monastico ortodosso (dalla regola di San Basilio, uno dei primi codificatori della vita monastica comunitaria), ma il termine è una forzatura, e in senso stretto dovrebbe applicarsi solo a certi (non numerosi) nuclei di monaci cattolici di rito bizantino.

La "specializzazione dei carismi", tanto tipica degli ordini religiosi cattolico-romani, fino ai nostri tempi, ha fatto sorgere ordini esplicitamente votati ad aspetti isolati della vita religiosa (e tipicamente della vita religiosa attiva, come la predicazione o l'assistenza agli infermi). Questo costume ha creato in effetti dei compartimenti stagni di spiritualità, portando la vita religiosa sempre più lontano dall'antica esperienza monastica integrale.

 

Pane eucaristico

La comune prassi liturgica nel primo millennio del cristianesimo richiedeva che il pane eucaristico fosse lievitato. L'usanza di impiegare pane azzimo fu introdotta in epoca piuttosto tarda (IX secolo) dalla Chiesa armena, da tempo separata dalla comunione delle Chiese ortodosse. In seguito, l'uso fu adottato da tutta la cristianità latina.

Contro l'uso del pane azzimo, la Chiesa ortodossa ha sempre obiettato su tre punti: 1) Il Vangelo dice che Gesù prese il pane (àrton) e non l'azzimo; 2) questa pratica confonde la liturgia cristiana con gli usi ebraici; 3) il lievito nel pane è come l'anima per il corpo, e il pane lievitato simbolizza la piena umanità di Cristo, con tutte le energie viventi dell'umanità, in conformità alla cristologia del Concilio di Calcedonia (451).

Oggi la Chiesa cattolica romana fa uso di pane azzimo o lievitato a seconda dei "riti", mentre la Chiesa ortodossa insiste sul mantenimento dell'antica tradizione, mostrando su questo punto una certa intransigenza (poiché gli elementi da consacrare sono di importanza fondamentale nell'Eucaristia).

Poiché il pane azzimo non richiede preparazioni speciali durante il rito eucaristico, l'intera fase preparatoria della Presentazione dei doni (Proscomidia) è stata perduta nel rito romano. In tal modo, i fedeli vengono privati dell'antica usanza ecclesiastica di commemorare i membri della chiesa, vivi e defunti, e pregare che i loro peccati vengano lavati nel Sangue di Cristo, così come le particole di pane offerte per loro vengono immerse nel calice eucaristico.

La differenza tra l'ostia grande del celebrante latino, e le piccole ostie per comunicare i fedeli, è una ulteriore privazione del senso simbolico della partecipazione all'unico pane (cfr. 1 Cor 10,17).

 

Padri della Chiesa

La dottrina cattolico-romana fissa un limite temporale all'età dei Padri della Chiesa: perché si possa parlare di Padri, si richiede per loro, oltre ai requisiti della santità, dell'ortodossia dottrinale e dell'approvazione ecclesiastica, anche quello dell'antichità. Dopo un certo periodo, fissato per lo più al tempo di Sant'Isidoro di Siviglia (c.560-636) per l'Occidente, e di San Giovanni Damasceno (c.675-749) per l'Oriente, la Chiesa non produce più Padri, ma, tutt'al più, Dottori. La distinzione non è solo a livello terminologico: il Padre, per sua stessa funzione, "genera" o "forma" una dottrina (traendola, beninteso, dalla fede apostolica), mentre un Dottore la "sviluppa" o la "sistematizza".

La Chiesa ortodossa, d'altro canto, ritiene assurdo definire chiusa l'epoca dei Padri, come se si trattasse di un ciclo di eventi passati. Anche nella nostra epoca, o in un lontano futuro, Dio può suscitare nella Chiesa dei personaggi che possono ricoprire lo stesso ruolo dei Padri del passato. L'acquisizione di una mente patristica, ovvero una comunione di intenti e di spirito con i Santi Padri, è del resto una meta costante dell'ascesi monastica ortodossa.

Sostenere che l'età dei Padri è chiusa, peraltro, equivale ad affermare che lo Spirito Santo ha abbandonato la Chiesa, non avendo più il potere di produrre persone in grado di "formarla".

 

"Papa": un titolo non esclusivo

Udendo la parola "Papa," si pensa subito al vescovo di Roma, e forse molti restano sorpresi quando vengono a sapere che anche il Patriarca ortodosso di Alessandria porta il titolo di Papa, e così pure il Patriarca della Chiesa copta, che pure non è in piena comunione con la Chiesa ortodossa né con la Chiesa cattolica romana. Peraltro, il titolo di "Papa" è giunto a Roma dall'Egitto, e non viceversa. L'appellativo (che significa genericamente "padre"), deriva dagli usi della Chiesa alessandrina, di cui il Patriarcato di Roma adottò numerose usanze liturgiche durante il primo millennio (basti pensare ai flabelli, o ventagli di piume, usati nel Pontificale romano e risalenti con una certa probabilità al cerimoniale dell'antico Egitto).

 

Pasqua e le altre festività

Per l'Ortodossia, la Pasqua è la "festa delle feste," tanto da non essere neppure annoverata tra le "dodici grandi feste" del ciclo cristologico, e da occupare un posto a parte, di assoluta centralità. L'enfasi occidentale sull'Incarnazione e sul dramma della Passione si fa sentire ancora nel Catechismo di Papa Pio X, dove la lista dei principali misteri della religione cristiana include l'Incarnazione, la Passione e la Morte del Signore, senza menzionare esplicitamente la Risurrezione.

 

Peccato e caduta dell'uomo

La concezione agostiniana del peccato come eredità di natura ha esercitato una straordinaria influenza sulla teologia occidentale; secondo il pensiero patristico dell'Oriente, invece, solo l'intelletto libero e personale può commettere peccato, che non è mai un atto di natura. Il peccato di Adamo apre le porte alla mortalità, e all'ottenebramento delle passioni, ma questa colpa ancestrale (come del resto la salvezza) può realizzarsi in ogni persona solo coinvolgendo la sua libera volontà.

Questo contrasto si è fatto acuto nella polemica sul destino dei bambini non battezzati, che per Agostino restano comunque eredi della colpa, e riguardo al tema dell'Immacolata concezione (q.v.), che per l'Ortodossia è privo del fondamento di una vera e propria colpa ereditaria da cui Maria sarebbe stata preservata.

E' opportuno altresì ricordare che per la teologia occidentale, per la quale la caduta di Adamo avvenne da uno stato di grazia e conoscenza, la colpa originale è valutata con parametri diversi da quelli dei Padri orientali, per i quali Adamo cadde da uno stato di ignoranza innocente.

 

Periodi di digiuno

La tradizione cattolica ha gradualmente soppresso nel tempo i periodi quaresimali di astinenza e di digiuno (tanto da arrivare ai tempi attuali a un precetto di digiuno pressoché simbolico, limitato ai venerdì di Quaresima e al Mercoledì delle Ceneri).

Gli ortodossi, in conformità con i costumi della Chiesa del primo millennio, mantengono tuttora quattro periodi quaresimali:

1- la Grande Quaresima (sette settimane prima della Pasqua, corrispondenti alla quaresima latina)

2- il Digiuno degli Apostoli (dal termine dell'ottava di Pentecoste fino alla festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 Giugno)

3- Il Digiuno dell'Assunzione (i primi 15 giorni di agosto)

4- Il Digiuno di Natale (quaranta giorni, dal 15 novembre al 24 Dicembre)

Inoltre, sono giorni di digiuno e astinenza tutti i mercoledì e i venerdì dell'anno (nei monasteri anche i lunedì), le vigilie delle grandi feste, e alcune festività particolari, come quella dell'Esaltazione della Santa Croce (14 Settembre). Le eccezioni a questi periodi di digiuno sono poche, ed è stato calcolato che nella vita degli ortodossi sono più numerosi i giorni di digiuno di quelli in cui è lecito di cibarsi di ogni cosa.

 

"Per molti", o "per tutti"?

Nella versione vernacolare del Novus Ordo Missae cattolico romano, in numerose lingue moderne (tra cui l'italiano), il termine "multis" delle parole di istituzione eucaristica ("questo è il mio Sangue, che per voi e per molti si versa in remissione dei peccati"), è stato tradotto con "tutti": questo punto marca una considerevole deviazione non solo dalla pratica ortodossa, ma anche dalla teologia cattolica romana del periodo tridentino.

Il Catechismo del Concilio di Trento, in accordo su questo punto con la teologia ortodossa antica e moderna, condanna l'uso del termine "tutti" per indicare coloro per cui il Sangue di Cristo viene sparso. Il Catechismo fa un esplicito paragone tra il sacrificio di Cristo e la sua preghiera al Padre, in cui Egli prega per coloro che il Padre gli ha dato, e non per il mondo: il sangue viene sparso per coloro che accettano Cristo, e non per tutti indistintamente, poiché se tutti possono volgersi a Cristo, non tutti lo hanno fatto.

Questo cambiamento terminologico è di particolare gravità, non solo perché sono state mutate le parole stesse di Cristo, ma perché, per la teologia cattolica romana, queste parole sono la chiave della consacrazione eucaristica.

 

Pneumatologia

Per la coscienza ecclesiale ortodossa, la scarsa attenzione portata allo Spirito Santo nel cattolicesimo romano è un frutto della stessa distorsione della teologia trinitaria che produsse anche il filioque (q.v.). Per accorgersi di tali lacune, è sufficiente vedere quanto poco spazio sia dedicato nei testi teologici occidentali all'attività dello Spirito Santo nel mondo, nella Chiesa, nella vita dei singoli cristiani. A colmare questa carenza, sorse un eccesso opposto di accettazione della Chiesa come istituzione terrena. La mancata ricostruzione di una pneumatologia (scienza dello Spirito Santo) basata sulla comprensione patristica lascia aperto il campo a numerose visioni alternative, quali quelle del movimento carismatico (q.v.). Di fronte a ogni tentativo ecumenico di appianare le divergenze minimizzando la questione del filioque, l'Ortodossia non può che rispondere che ogni insegnamento falso sullo Spirito Santo è un colpo diretto alla Fede della Chiesa.

Una delle ragioni dell'insistenza ortodossa su un'adeguata dottrina dello Spirito Santo è anche quella di ridimensionare il concetto di autorità: non è l'autorità a rendere tale la Chiesa, ma l'inabitazione in essa dello Spirito, che rende reale la presenza di Cristo tra gli uomini e negli uomini. Anche se esiste posto nella Chiesa ortodossa per un esercizio dell'autorità (Vescovi, Concili, Sacre Scritture, Tradizione), questa è solo una delle espressioni di tale presenza.

 

Precetto festivo

Anche se alcune Chiese ortodosse locali, nella loro disciplina canonica, includono una regola di partecipazione alla Liturgia domenicale che è molto simile al "precetto festivo" del cattolicesimo romano (e in alcuni casi ne sembra evidentemente influenzata), gli ortodossi si sentono piuttosto a disagio con la "obbligazione" cattolica romana al culto domenicale (come se la partecipazione alla Liturgia fosse un atto di dovuta cortesia, piuttosto che la partecipazione al dono della salvezza).

Forse il concetto della Liturgia come scuola potrebbe aiutare a chiarire questa scarsità di precetti: essendoci così tante funzioni ricche di contenuto teologico, coloro che cercano di approfondire la propria conoscenza spirituale si sforzano di essere presenti a quante più funzioni possibili, e anche la durata (q.v.) delle funzioni assume un carattere pedagogico.

 

Preparazione alla Santa Comunione

Il profondo senso di venerazione degli ortodossi per l'eucaristia fa sì che i fedeli dedichino una particolare attenzione alla preparazione alla comunione, partecipando alla funzione di Veglia (o quanto meno al Vespro) alla sera prima, o supplendo alla preghiera pubblica con adeguate preghiere preparatorie. La stessa prassi vuole che chi desidera comunicarsi si astenga alla sera prima da attività dispersive (come la danza) o, nel caso di sposi, da rapporti coniugali (questo non per disprezzo verso la sessualità, ma per un senso di priorità del nutrimento dello spirito).

Nel mondo cattolico romano, la totale scomparsa di questi precetti, oltre all'estrema semplificazione delle norme sul digiuno (q.v.), espone facilmente alla banalizzazione dell'atto centrale e più sacro della vita del cristiano.

 

Primato di giurisdizione universale

Oltre all'infallibilità papale (q.v.), il concilio Vaticano I promulgò una definizione dogmatica riguardo al primato papale, meno nota di quella dell'infallibilità, ma altrettanto inaccettabile agli occhi della tradizione ortodossa. Si tratta della giurisdizione universale del pontefice romano, che fa del Papa di Roma, per il fatto stesso della sua elezione al soglio pontificio, una sorta di super-Ordinario universale, superiore di diritto a qualsiasi vescovo. Ne consegue che, per la concezione cattolica romana, un vescovo è vescovo della Chiesa cattolica solo in virtù della sua comunione con il papa. Quest'ultimo diventa il solo vescovo in senso proprio, e tutti gli altri i suoi vescovi vicari, in diretto conflitto con i canoni della Chiesa, che apertamente vietano l'interferenza di un vescovo nella giurisdizione di un altro, eccetto che per ben definiti rimedi conciliari (simbolicamente, un corpo con due capi visibili è un mostro).

L'Ortodossia vede in questa forma di primato la costituzione di un vero e proprio Ordine sacro al di sopra dell'episcopato, un Ordine non istituito da Cristo, e senza precedenti nella storia cristiana; non cessa quindi di richiamare la sede romana al sobrio modello dello stesso Papa Gregorio Magno, che giunse a rimproverare il Patriarca di Costantinopoli perché aveva accettato dall'imperatore il titolo di "Patriarca ecumenico" (in verità, non per elevare la sua giurisdizione, ma per sottolineare il fatto che Costantinopoli era la capitale dell'impero), laddove, a suo dire (Libro V, Lettera XVIII), nessuno degli apostoli o dei predecessori di San Gregorio nella sede romana aveva mai vantato un rango universale...

 

Professione monastica

La professione monastica mantiene nella Chiesa Ortodossa un carattere di benedizione sacramentale, uniforme e analoga per tutti gli aspiranti alla vita "angelica."

Nella Chiesa cattolica romana sono stati introdotti nel periodo medioevale alcuni elementi esterni al monachesimo, che si sono fatti strada negli ordini religiosi (q.v.) fino ai giorni nostri. Per esempio, sotto l'influsso di ordini cavallereschi (q.v.), la professione monastica assunse alcuni elementi della cerimonia di vassallaggio: questi, pur esaltando alcuni aspetti del monachesimo, tra cui l'obbedienza, alteravano in modo sottile la tradizione monastica precedente.

Il cambiamento più notevole, influenzato dalla predicazione di Bernardo di Chiaravalle e Francesco d'Assisi, si ebbe nel tardo medioevo negli ordini religiosi femminili cattolici. All'enfasi sulla redenzione per mezzo della Risurrezione, si sostituì l'ideale della partecipazione emotiva alla Passione del Signore. Considerando Cristo come marito/amante mistico, il monachesimo femminile si caricò di immagini sponsali, con tanto di assimilazione del rito della tonsura alla cerimonia nuziale, con veli da sposa, anelli di matrimonio, e così via. Tale variazione crea un'arbitraria frattura tra la vita religiosa femminile e quella maschile, priva di dimensioni "sponsali" istituzionali, a discapito di quest'ultima (la disparità numerica tra religiose e religiosi cattolici romani ne è ancora oggi un risultato).

 

Purgatorio

In sintonia con i Padri della Chiesa, la teologia ortodossa parla di uno stato intermedio dopo la morte, di beatitudine per i giusti e di tormento per i peccatori: uno stato ancora privo (prima del Giudizio Finale) di un carattere definitivo. Per coloro che sono morti con piccoli peccati inconfessati, o che non hanno portato frutti di pentimento per i peccati confessati in vita, si parla della purificazione di questi peccati o nella prova della morte, o attraverso l'intercessione della Chiesa (con la preghiera e le buone opere dei fedeli). Questa intercessione è in grado anche di dare una certa misura di sollievo ai tormenti dei peccatori destinati al castigo eterno, come testimoniano numerosi Padri e alcune preghiere pubbliche della Chiesa per i defunti (per esempio, la terza delle preghiere in ginocchio della domenica di Pentecoste, attribuite a San Basilio). Ogni perdono di peccati dopo la morte viene unicamente dalla bontà di Dio, con la cooperazione delle preghiere degli uomini, e senza bisogno di alcuna forma di "soddisfazione" o "pagamento".

La Chiesa cattolica romana era giunta, al tempo del concilio unionista di Lione, a considerare lo stato intermedio dei defunti prima del Giudizio Finale come definitivo e irreformabile. L'inutilità di pregare per i beati già perfetti, o per i dannati senza speranza, giunse a fare ipotizzare un "terzo stadio" di sofferenza limitata e purificatrice, dove anche i peccati già perdonati devono ricevere "soddisfazione". La tradizione ortodossa vede questa dottrina come qualcosa di essenzialmente estraneo alla fede apostolica, aggravata dall'assenza di riferimenti espliciti, nelle Sacre scritture, a uno stato che non sia quello della beatitudine dei giusti o del tormento dei peccatori.

Il Purgatorio nasce dalla concezione di una punizione ecclesiastica che deve necessariamente corrispondere a ogni peccato, in questa vita o nella prossima, e dalla nozione giuridica di opere supererogatorie (in eccesso rispetto al necessario per la salvezza), una dottrina sviluppatasi nella scolastica del XIII secolo, e confermata da Papa Clemente VI nel 1343. Questa dottrina per l'Ortodossia, non solo non è scritturale, ma addirittura in chiaro contrasto con le parole di Cristo (i "servi inutili" di Lc 17,10 non sembrano depositari di meriti sovrabbondanti). L'ideale di perfezione cristiana, del resto, è per i fedeli ortodossi così alto, che la sua stessa irraggiungibilità esclude a priori che si possa superarne la misura.

Infine, l'Ortodossia mantiene serie riserve sul contorno legalistico che il Cattolicesimo romano ha costruito attorno al Purgatorio, così come sulla pratica delle indulgenze (ovvero il trasferimento dei meriti sovrabbondanti di Cristo e dei Santi per colmare i debiti dei peccatori), che ne è il logico coronamento.

 

Quarto matrimonio

Il Cattolicesimo romano, accettando durante il Medioevo una visione giuridica del matrimonio come contratto vincolante per la durata della vita degli sposi, giunse a ritenere che la morte di un coniuge estingua il vincolo matrimoniale: si arrivò così a permettere il matrimonio delle persone rimaste vedove senza limite di numero di nozze successive.

Il diritto canonico ortodosso, invece, in stretta conformità con gli antichi canoni e con i dettami dei Padri, proibisce in ogni caso (sia a causa di vedovanza che di scioglimento di matrimoni precedenti) un quarto matrimonio, e anche il permesso di un terzo matrimonio viene accordato con una certa difficoltà. Questa particolare durezza dovrebbe far riflettere di fronte all'accusa di lassismo matrimoniale che viene facilmente attribuita agli ortodossi in un confronto con la prassi cattolico-romana.

 

Rasatura e tonsura del clero

Mentre nell'Alto Medioevo la Chiesa cattolica romana impose gradualmente il costume del taglio della barba al proprio clero, nel mondo ortodosso si è mantenuto il costume di lasciare crescere barba e capelli, seguito in particolare dai monaci. Benché sia evidentemente un particolare esteriore ed estetico, seppure di origine apostolica, questo aspetto del monachesimo e del clero ortodosso costituisce un istintivo richiamo all'immagine di Cristo e degli apostoli.

 

Ricezione dei convertiti

La Chiesa cattolica romana, per quanto riguarda il conferimento di sacramenti e di Ordini sacri al di fuori della sua comunione, ha aderito strettamente alla dottrina agostiniana dei sacramenti. Questa dottrina vuole che un atto sacramentale conferito al di fuori dei limiti visibili della Chiesa (anche la stessa consacrazione di un vescovo), rimanga valido, per quanto illecito (ovvero giuridicamente irregolare), e al momento della riconciliazione con la Chiesa debba essere riconosciuto come tale. La sola condizione è che venga seguito secondo i dettami di un rito di provenienza apostolica, con l'intenzione di fare "ciò che fa la Chiesa". Differenze sostanziali di rito e di intenzione hanno portato Roma a negare la validità sacramentale di sacramenti e ordini delle Chiese nate in seguito alla riforma, soprattutto quella anglicana.

L'Ortodossia, d'altro canto, non si è mai sentita vincolata a questa visione legalistica degli ordini e dei sacramenti: essa riconosce la presenza della grazia sacramentale al suo interno, in quanto corrispondente con la pienezza della fede: ciò non significa, come alcuni hanno potuto pensare, che la Chiesa ortodossa presuma di negare la presenza della grazia al di fuori dei suoi confini visibili; soltanto, essa non si pronuncia a riguardo.

Se un convertito proveniente da un'altra comunità cristiana desidera entrare nella Chiesa ortodossa, questa si sente libera di accettarlo reiterando i sacramenti in precedenza ricevuti dal convertito (posizione di acrivìa, o severità), oppure "sanando" sacramenti ed eventuali Ordini sacri come se questi fossero stati ricevuti all'interno dell'Ortodossia (posizione di economia, o dispensazione). Quale che sia la forma adottata, la Chiesa Ortodossa ritiene comunque che la pienezza di questi sacramenti inizi a decorrere soltanto dal momento della ricezione nell'Ortodossia.

I cattolici romani, abituati a ricevere i convertiti secondo "categorie" ben definite (coloro che hanno ricevuto un battesimo "valido", coloro di cui sono "validi" anche gli Ordini, e così via) si sentono spesso disorientati, e talvolta offesi, quando vedono che le singole Chiese ortodosse (che talvolta hanno ordinamenti differenti, alcuni più severi, altri più "economici") ricevono convertiti, magari provenienti dalla stessa Chiesa di partenza, in modi differenti: chi viene "ribattezzato", chi "ricresimato", chi "riordinato", chi accolto mediante una professione di fede o una rinuncia alle eresie...

La posizione ortodossa è probabilmente meno "chiara", ma la lezione da imparare è che la forma della ricezione di un convertito è di importanza secondaria rispetto al suo accoglimento nella pienezza della fede ortodossa.

 

Riunione dei cristiani

La Chiesa di Roma vede nella riunione visibile sotto la giurisdizione universale del successore di Pietro la condizione indispensabile per il recupero della pienezza di vita ecclesiale. Nei confronti delle chiese orientali, essa è disposta ad accettare che queste mantengano il loro stato dogmaticamente "sottosviluppato", a condizione della loro sottomissione alla sede romana. Questa posizione giunge di fatto a sorvolare su notevoli differenze di fede: la posizione ambigua nei confronti del filioque (q.v.), contemporaneamente accettato o respinto a seconda del "rito", ne è una prova.

Da questo si capisce come mai il magistero cattolico romano consideri tollerabile, e addirittura incoraggiabile, un certo grado di comunicazione nelle cose sacre (partecipazione dei fedeli di una Chiesa ai sacramenti dell'altra), anche se non si sia giunti a una riunificazione su temi centrali della fede.

L'Ortodossia è di tutt'altro avviso. Riconoscendo la propria fede come l'immutata continuità della fede apostolica, essa richiama le altre confessioni cristiane, inclusa quella cattolica romana, al recupero della pienezza delle proprie radici cristiane. Di fronte a loro si pone, in tutta umiltà, come custode di una verità che ha saputo mantenere inalterata nei secoli, per la grazia dello Spirito Santo, e non certamente per proprio merito. Una unità visibile proclamata con un atto di sottomissione superficiale, dettato da necessità del momento, e senza un totale accordo di espressione di fede, non provocherebbe altro che maggiori lacerazioni e ostilità (come dimostrato dai fallimenti dei concili unionisti medioevali di Lione e di Ferrara-Firenze).

Fino al momento di un accordo nell'integrità della fede apostolica, l'Ortodossia ritiene che il ricorso generalizzato alla communicatio in sacris non sia altro che una profanazione, che strumentalizza la santità dei sacramenti per l'ottenimento di un fine "politico" contingente.

 

Roma antica e moderna

Le particolarità del sistema statale dell'antico Impero romano sembrano avere lasciato sull'attuale Chiesa di Roma una traccia ben più che folcloristica.

Nella Roma pagana, lo Stato aveva un'enorme significato nella vita e psicologia dei cittadini, la virtù del patriottismo era la principale, la sottomissione alla disciplina dello stato era assoluta, e la "pax romana" era l'ideale da esportare a tutti i popoli; era addirittura impensabile, in tale contesto, di sottrarsi alla sovranità romana.

Lo sforzo per la creazione di un centro unico e sovranazionale portò nell'Occidente cristiano allo sviluppo di una mentalità prevalentemente giuridica. Di converso, lo scarso interesse che gli antichi romani avevano per le questioni di verità dogmatica si riflette nella relativa indifferenza dell'Occidente per i dibattiti teologici che per i primi secoli animarono l'Oriente.

Tale mentalità, che esercitò comunque un ruolo complementare a quella dell'Oriente cristiano nel primo millennio, si sarebbe fatta in seguito più pesante per la persistenza di ruoli di assolutismo monarchico nella Sede romana.

 

Rosario

La coroncina di grani utilizzata come supporto per la preghiera è presente sia tra i cattolici che tra gli ortodossi, ma con grandi differenze tra gli uni e gli altri. Queste differenze riguardano più la modalità della preghiera associata alla coroncina che non l'oggetto stesso.

Il rosario ortodosso (che sarebbe forse tecnicamente più appropriato chiamare "corda da preghiera") non ha una lunghezza fissa (i modelli più comuni hanno 33, 50 o 100 "grani"), è generalmente fatto di lana annodata, in rari casi di cuoio (non facendo rumore, è adatto per la preghiera mentale e silenziosa), e non viene usato in forme di preghiera pubblica.

La tradizione del rosario nel cattolicesimo romano associa la coroncina a una forma di concentrazione su immagini della vita di Cristo e di Maria. Come avviene in molti metodi di meditazione (q.v.) cristiani occidentali, con questo approccio si incoraggia attivamente l'uso dell'immaginazione, che i Padri indicavano come una pericolosa fonte di errori e inganni: le distrazioni e i pensieri vaganti vengono facilmente camuffati dalla nostra immaginazione sotto la veste di "meditazioni" sugli eventi della storia sacra, così come se li raffigura la persona che prega. I Santi Padri insegnano, piuttosto, a essere sempre cauti con l'immaginazione, a cercare di controllarla, e non di svilupparla.

La corda da preghiera ortodossa è differente dal rosario, sia nella formulazione delle preghiere (è fondamentalmente associata alla cosiddetta "preghiera del cuore", o preghiera di Gesù, che è una variante della preghiera del pubblicano nel Vangelo di San Luca: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore"), sia nel suo proposito, che è quello di aiutare la persona che prega a focalizzarsi più attentamente sulle parole della sua preghiera (attraverso il supporto fisico del gesto della mano che fa scorrere i nodi), e a trattenere i suoi pensieri dalle distrazioni.

 

Sacramenti di iniziazione

Nella Chiesa ortodossa, i sacramenti dell'iniziazione cristiana vengono amministrati come nella Chiesa dei primi secoli: battesimo, cresima ed eucaristia vengono conferiti in quest'ordine, e tutti assieme, poiché chiunque entra a far parte della Chiesa ha diritto di riceverne appieno tutti i privilegi.

Il Cattolicesimo romano, riservando il conferimento della cresima ai soli vescovi, sconvolse l'ordine dei sacramenti di iniziazione, facendo della cresima un "rito di passaggio" della tarda infanzia o dell'adolescenza (residui dell'antico uso dei sacramenti congiunti sono comunque rimasti nelle unzioni battesimali), e situando la prima comunione in un'età di uso della ragione, abbinata alla confessione dei peccati.

L'Ortodossia non può che deplorare questo sistema di mutilazione della vita cristiana. Il sistema "latino" priva i bambini appena battezzati della loro qualifica di membri della Chiesa a tutti gli effetti, subordina la grazia di Dio data nei sacramenti a una facoltà di "capire" razionalmente la loro efficacia, e riserva arbitrariamente la pienezza della vita cristiana a un'età in cui la prima formazione alla fede è già da tempo superata, e lo sviluppo personale è più esposto a traumi e conflitti.

 

Saluto di pace

Nella nuova messa postconciliare, i fedeli cattolici romani vengono abitualmente invitati dal celebrante a scambiarsi un segno di pace. Nel rito eucaristico (Liturgie di San Giovanni Crisostomo e di San Basilio) comunemente usato dagli ortodossi, così come nell'antica messa tridentina, il saluto di pace viene scambiato solo tra coloro che servono all'altare. Inoltre, il saluto di pace nel rito eucaristico ortodosso è situato subito prima della recitazione del Credo (preceduto dall'annuncio "amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito possiamo professare la nostra fede"). Nel rito latino, antico e moderno, il saluto si trova invece dopo il Padre Nostro e prima della comunione.

L'Ortodossia mantiene di preferenza il costume del saluto di pace riservato ai celebranti, perché questo gesto è un segno di piena comunione, e in senso stretto non andrebbe scambiato con i non ortodossi. Per gli ortodossi l'odierno uso cattolico romano, generalizzato a tutti i partecipanti alla messa, ha finito per indebolire il senso di un segno di comunione tra i fedeli.

 

Scioglimento e annullamento del matrimonio

Nei casi in cui la Chiesa ortodossa permette le seconde nozze, essa considera il legame matrimoniale precedente come sciolto, sulla base del potere di sciogliere e legare dato da Cristo alla sua Chiesa.

La Chiesa romana, d'altro canto, insistendo sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale, ritiene che la Chiesa non abbia il potere di scioglierlo, e si trova così costretta ad annullarlo (o per meglio dire, a dichiarare che il matrimonio non ha mai in realtà avuto effetto), nei casi in cui un legame affettivo tra i coniugi ha di fatto cessato di esistere.

Per giungere a sostenere che un matrimonio non ha mai realmente avuto luogo, laddove manchino dati di evidenza certa, la teologia romana deve per lo più fare ricorso ai cosiddetti vizi del consenso (riserve mentali al momento della celebrazione del matrimonio), che prevengono l'effettiva realizzazione del legame matrimoniale, o ad altri concetti di difficile valutazione, quali l'immaturità emotiva al consenso.

l'Ortodossia ritiene il ricorso ai vizi del consenso come un espediente privo di qualsiasi solidità giuridica (perché una riserva mentale attiene quasi esclusivamente alla sfera dell'intenzione, che è una delle qualità umane più difficili, se non impossibili, da dimostrare), un tentativo di coprire un divorzio senza chiamarlo con questo nome. Realisticamente, il ricorso all'immaturità emotiva può essere visto come un sentiero spalancato per annullare in pratica qualsiasi matrimonio tra coniugi giovani.

Il concetto stesso della possibile nullità del matrimonio rende impossibile essere sicuri che una qualsiasi coppia cattolica romana abbia avuto un matrimonio sacramentale, o sapere se in un rito nuziale cattolico romano venga davvero creato un vincolo matrimoniale valido.

Pertanto, l'idea dell'annullamento è vista dagli ortodossi come qualcosa di più di una destrezza di mano con cui il diritto canonico cerca di coniugare un approccio pastorale con un rigore di principi (cosa che in sé sarebbe accettabile all'Ortodossia): il vero problema è che il concetto di nullità mina alle radici la teologia sacramentale.

 

Scolastica

Il sistema teologico della scolastica, originatosi nel Medioevo latino e rimasto tuttora il motivo conduttore della speculazione teologica cattolico-romana, mira soprattutto a formulare le ragioni della fede cristiana di fronte a qualsiasi obiezione o interrogativo.

Una delle obiezioni metodologiche mosse dagli ortodossi è che un sistema che pretenda di dare tutte le risposte scivola presto nel razionalismo, e la dimostrabilità della verità si sostituisce come criterio alla verità stessa.

 

Sedi apostoliche

Il "ministero petrino" del Cattolicesimo romano, e la stessa definizione di Roma come "Sede Apostolica", si fondano sulla successione dei Papi di Roma sulla sede dell'Apostolo Pietro.

Occorre forse prestare maggiore attenzione alla distinzione tra apostoli e vescovi: anche se nella comprensione ortodossa, così come in quella cattolica romana, non c'è dubbio che i vescovi siano i successori degli apostoli, la teologia ortodossa offre una distinzione più netta dei due ruoli. Gli apostoli, inviati da Cristo ad annunciare il Vangelo a tutte le nazioni, avevano un ruolo missionario (non a caso la Chiesa ortodossa definisce i Santi missionari ed evangelizzatori di intere nazioni come "uguali agli apostoli"): i vescovi, invece, assegnati a sedi stabili, avevano un ruolo residenziale. Solo uno degli apostoli è considerato vescovo a tutti gli effetti: si tratta di Giacomo, che incidentalmente fu l'unico degli apostoli a non andare in missione, rimanendo a custodire la comunità di Gerusalemme. Se gli apostoli fondatori di sedi storiche sono messi in cima alle tavole della successione apostolica, lo sono solo in qualità di iniziatori di particolari linee episcopali, e non perché certi privilegi "apostolici" devono essere tramandati ai vescovi di tali sedi. San Pietro, per esempio, è in cima alle liste di successione apostolica di due sedi: Antiochia e Roma.

Nella teologia cattolica romana (per comprensibili motivi, dovuti alla ricerca di una continuità di privilegi apostolici della sede romana) la distinzione tra apostoli e vescovi è più sfumata.

 

Segno della croce

Uno dei primi comportamenti che differenziano l'espressione devozionale di ortodossi e cattolici è il modo di farsi il segno della croce. Il cattolico di rito latino si segna tenendo la palma della mano aperta, e toccando la fronte, il petto (solitamente all'altezza del cuore), e le spalle, prima la sinistra e poi la destra. L'ortodosso si segna unendo pollice, indice e medio e ripiegando l'anulare e l'indice sul palmo, e toccando la fronte, il ventre (all'altezza dell'ombelico, o della cintola), e le spalle, prima la destra e poi la sinistra. Nell'antico rito russo, il pollice viene unito alle dita ripiegate anziché alle dita estese.

Il modo ortodosso di segnarsi è carico di un ricco simbolismo. Questo viene spiegato talora in modi differenti, ma genericamente si attribuisce all'unione delle tre dita il senso di una professione di fede trinitaria (tre persone in un unico Dio), e alle altre due dita un significato cristologico (due nature nella persona di Cristo). L'estensione del segno della croce al ventre è immagine di centralità e ricorda la nascita verginale di Gesù Cristo. Il segnarsi dalla spalla destra alla sinistra richiama la seconda venuta di Cristo dalla destra del Padre, o il predominio della luce (tradizionalmente associata al lato destro) sulle tenebre.

Il segno della croce "latino", più semplificato, venne considerato fin dal suo apparire una modifica del costume apostolico. Ancora per un certo tempo dopo lo scisma, la stessa sede romana continuò a deprecare la pratica di segnarsi a mano aperta, e da sinistra a destra.

Chi ha modo di osservare i fedeli cattolici e ortodossi durante le funzioni di culto, noterà che questi ultimi impiegano il segno della croce con molta più frequenza e spontaneità dei primi, talvolta segnandosi più volte di fila, o accompagnando il segno della croce con inchini e prosternazioni. Pur esistendo complesse tradizioni monastiche sull'uso appropriato del segno della croce in varie circostanze, di fatto, esiste nel culto ortodosso una libertà molto più ampia nell'uso del segno della croce, e può capitare che fedeli diversi si segnino in momenti diversi.

 

Senso del mistero

L'Ortodossia e il Cattolicesimo romano hanno attitudini piuttosto differenti riguardo ai gesti sacri. Nella celebrazione dei misteri ("mistero" è la parola di origine greca con la quale si designano abitualmente i sacramenti), questa diversità è abbastanza evidente nel momento solenne della consacrazione eucaristica.

Mentre il mondo latino, sempre attento alla definizione e all'esposizione dell'ineffabile, accompagna la consacrazione delle Sacre specie con gesti di ostentazione (elevazione dell'ostia, suono di campane), la tradizione ortodossa preferisce l'adorazione silenziosa, quasi rifuggendo come una tentazione il bisogno di definire il mistero in termini umani.

La bramosia di etichettare il mistero, che lo espone a ogni sorta di razionalizzazione umana, risulta particolarmente sgradita alla coscienza ortodossa.

 

Sviluppo dogmatico

La Chiesa ortodossa pensa che nella rivelazione non esista progresso: i Santi Apostoli avrebbero ricevuto tutta la rivelazione, e tutta la comprensione della rivelazione, nella discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. Pertanto, i dogmi emanati per combattere gli eretici non rappresentano per l'Ortodossia uno sviluppo nella rivelazione, né nella comprensione della rivelazione, ma solo l'espressione di una mediazione culturale funzionale alla lotta all'eresia (ripetizioni di ciò che è sempre stato creduto, e che è stato messo in questione, sfidato o deformato dalla mentalità di questo mondo).

La Chiesa cattolica romana, invece, pensa che la rivelazione possa venire compresa in una crescita temporale, e che pertanto possano darsi dogmi che non solo esprimono una correzione di idee eretiche, ma che rappresentano una maggiore comprensione del deposito rivelato (ne sono un esempio i dogmi dell'Immacolata concezione e dell'Infallibilità papale).

e l'Ortodossia pensa che vi possa essere crescita nella Chiesa, questa deve essere crescita nella santità, e non nella verità.

È opportuno ricordare che l'idea stessa di sviluppo dogmatico è tardiva, ed è stata introdotta ufficialmente solo nel diciannovesimo secolo, con il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana del Cardinale John Henry Newman: un'opera che paragona la dottrina della chiesa a un albero, che da un seme iniziale cresce attraverso stadi di perfezionamento successivo fino alla piena maturità. In tal modo, anche i nuovi dogmi ottocenteschi potrebbero essere visti come "semi" da sempre presenti nella Tradizione cristiana, in attesa del tempo di germogliare. L'ovvia obiezione a una simile concezione della dottrina cristiana è che in tal modo si aprono le porte pressoché a qualsiasi innovazione dottrinale, per quanto dissonante dalla fede dei padri. L'impressione che ne deriva è che lo "sviluppo dogmatico" sia un tentativo di giustificare le nuove dottrine del cattolicesimo romano nell'incapacità di mostrare una loro continuità dalla fede apostolica.

 

Teologia

La comprensione cattolica romana della teologia è che si tratti di una vera scienza, che usa come principi le verità sicure e fondate della Rivelazione divina, e trae da queste nuova conoscenza (conclusioni teologiche) con un metodo strettamente scientifico.

La comprensione ortodossa della teologia è che questa comprenda la partecipazione attiva e cosciente nella percezione delle realtà del mondo divino: in altre parole, la realizzazione di una conoscenza spirituale. Essere un teologo nel senso pieno, pertanto, presuppone l'ottenimento di uno stato di tranquillità (esichìa) e mancanza di passioni (apatìa), che accompagnano la preghiera pura e non distratta, e pertanto richiede doni conferiti a pochissime persone.

La tradizione ortodossa definisce ufficialmente "teologi" soltanto tre santi: Giovanni l'Apostolo ed Evangelista, Gregorio di Nazianzo, e Simeone il Nuovo Teologo.

 

Titoli papali

Dal rifiuto delle definizioni del Concilio Vaticano I sul primato papale, si comprende come l'Ortodossia non si senta di accettare alcun tipo di definizione che voglia indicare nel papa di Roma un capo supremo della Chiesa.

Già il termine "pontefice" (un prestito dal paganesimo, sul quale Tertulliano ironizzava) è visto come una forzatura, mentre l'espressione Vicario di Cristo (un termine originariamente impiegato dai re carolingi, e in seguito avocato ai papi), è vista come assolutamente inconcepibile (a ben vedere, fa pensare a una "vacanza", o carenza, dell'autorità di Cristo sulla Chiesa, ed è un vero e proprio insulto nei confronti delle parole di Cristo sulla sua presenza costante nella Chiesa).

 

Transustanziazione

Pur avendo sempre insistito sulla realtà della trasformazione eucaristica del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, l'Ortodossia non ha mai voluto spiegare la maniera del cambiamento. Nella preghiera eucaristica, viene usato il verbo greco metabàllo (un termine che si traduce, in modo neutrale, con 'cambiare' o 'trasformare').

La scolastica romana medioevale, adottando la filosofia aristotelica e la sua distinzione tra 'sostanza' (ciò che fa essere una cosa) e 'accidenti' (le modalità di manifestazione della cosa stessa), introdusse e rese vincolante il termine di transustanziazione (ovvero, cambiamento della sostanza del pane e del vino con quella del Corpo e Sangue di Cristo, mentre gli accidenti visibili del pane e del vino restano quelli che erano). La terminologia, che anche secondo gli ortodossi è un modo legittimo di spiegazione del mistero eucaristico, costringe comunque all'accettazione della filosofia aristotelica che ne sta alla base.

Benché il termine 'transustanziazione' sia usato nella Chiesa ortodossa (per esempio, nel Concilio di Gerusalemme del 1672, e tuttora in catechismi e opere teologiche), il suo uso è sempre subordinato al fatto che esso sia soltanto una delle molte modalità di descrizione del mistero eucaristico.

 

Uniatismo sugli altari

Se le tristi e complicate vicende dell'uniatismo (che sarebbe troppo lungo elencare qui) rappresentano una pagina buia per ogni tentativo di riconciliazione tra ortodossi e cattolici romani, ci si può chiedere a che pro vengano offerti esempi di santità che sembrano essere un aperto incoraggiamento all'incomprensione.

Tipico esempio è il vescovo uniata Josaphat Kuntsevich, canonizzato da Papa Pio IX il 29 Giugno 1867, ed esaltato da Papa Pio XI nel 1923 nell'enciclica Ecclesiam Dei come ieromartire, esempio di vita santa e aiuto nell'unificazione di tutti i cristiani. Ancora di recente Papa Giovanni Paolo II lo ha definito "Apostolo dell'unità".

La sua morte "da martire" ebbe luogo a Vitebsk il 12 Novembre 1623, dove si era recato assieme a un gruppo di suoi sostenitori per distruggere le tende dove gli ortodossi tenevano in segreto le loro funzioni. Dopo che uno dei suoi diaconi assalì un prete ortodosso, la folla inferocita si levò contro il vescovo, che guidava personalmente il pogrom, e lo uccise a colpi di sassi e bastoni. Il suo corpo fu chiuso in un sacco e gettato nel fiume Diva.

Poco prima della sua morte, il vescovo Kuntsevich aveva ordinato la riesumazione di ortodossi morti e ne aveva fatto dare ai cani i resti; in tutta la sua diocesi di Polotsky, a Mogilyov e Orsha, aveva saccheggiato e terrorizzato gli ortodossi, chiudendo e bruciando le loro chiese, vantandosi di atti quali annegamenti, decapitazioni e profanazioni di luoghi sacri.

Numerose voci si levarono da parte delle stesse autorità: tra i documenti spicca la lettera datata 12 Marzo 1622, un anno e mezzo prima della sua morte, inviatagli dal cattolico (latino) Leo Sapiega, cancelliere del Granducato di Lituania, rappresentante del Re di Polonia: una durissima condanna della sua oppressione del popolo ortodosso.

Per quanto anche la Chiesa ortodossa abbia canonizzato dei santi che nella loro vita avevano scelto deliberatamente di lasciare la comunione romana (tra di loro, Massimo il Greco e Alexis Toth), nessuno di questi si può avvicinare alla efferata crudeltà del vescovo Kuntsevich: anzi, almeno nel caso di Padre Alexis Toth, la conversione all'Ortodossia fu largamente provocata dall'atteggiamento vessatorio delle autorità romane.

 

Unicità della Liturgia

In conformità alla prassi di tutta la cristianità del primo millennio, le chiese ortodosse hanno un singolo altare eucaristico, e vi si celebra la Divina Liturgia non più di una volta al giorno, sempre alla presenza di altri fedeli oltre al sacerdote (è esclusa a priori qualsiasi celebrazione strettamente solitaria). Questo costume è coerente con la concezione che i primi cristiani avevano della Chiesa: i laici e il clero radunati attorno al proprio vescovo, e formanti un unico corpo nel mistero eucaristico. Questa unicità della Chiesa si combina perfettamente con l'unicità della Liturgia.

In Occidente, nel movimento monastico cluniacense (XI secolo), si iniziò a separare atto liturgico e comunità dei credenti, nella convinzione che il sacrificio eucaristico potesse essere di maggiore aiuto se celebrato con più frequenza, a suffragio di quante più persone possibile (particolarmente i defunti). Iniziarono così i fenomeni degli altari secondari, eretti in navate e cappelle laterali delle chiese, perché un maggiore numero di sacerdoti potesse celebrare l'eucaristia. Ebbero altresì inizio le cosiddette "Messe private", celebrate dal sacerdote senza concorso di fedeli, a volte come esercizio devozionale, talora come "Messe di suffragio".

La tradizione ortodossa ritiene che questa concezione "quantitativa" dell'eucaristia ne abbia svilito e snaturato lo spirito; nonostante l'Ortodossia apprezzi i tentativi di ritornare all'antica tradizione compiuti dal movimento liturgico cattolico di questo secolo, essa continua a vedere nei recenti insegnamenti cattolico-romani in materia la medesima impostazione.

 

Unità e uniformità

Una vera unità nella fede può accomodare numerose forme diverse di esprimere detta fede: su questo punto generale, Ortodossia e Cattolicesimo romano coincidono.

Esistono numerose difformità nel culto ortodosso, derivate per lo più da usi locali: queste comprendono, per esempio, l'inclusione o l'omissione di certe formule di preghiera all'interno di una data funzione (o l'inversione dell'ordine di alcune preghiere), diversità di titoli clericali e gerarchici, cambiamenti nel posizionamento di icone o di arredi sacri all'interno della chiesa, differenze di pratiche devozionali e di forme di digiuno o ascesi.

Non si trova mai, tuttavia, un bi-polarismo simile a quello della Chiesa Cattolica Romana nel suo tentativo di armonizzare riti orientali e occidentali: un esempio è la ricezione della comunione da parte dei bambini piccoli, vista come "svantaggio" tra i cattolici occidentali e come "vantaggio" presso i cattolici orientali.

 

Unzione degli infermi

Il sacramento dell'Unzione degli infermi, basato su Gc 5, 14-15, e sulla pratica della Chiesa nei tempi apostolici, fu ristretto, nel mondo cattolico romano dal XII al XX secolo, ai casi di morte imminente, prendendo il nome di "estrema unzione", e divenendo una sorta di sacramento dei morenti.

La Chiesa ortodossa, mantenendo l'amministrazione di questo sacramento a tutti gli infermi, di corpo come di spirito, non lo ha mai riservato ai soli morenti. Pur amministrando l'Olio santo anche ai malati terminali, essa non lo considera una parte necessaria dei riti per i morenti (che includono la confessione, il viatico e le preghiere per la dipartita dell'anima).

 

Validità dei sacramenti

Nella concezione cattolica romana, si presume che i Misteri vengano compiuti dal clero, lecitamente o illecitamente, ma in un modo "valido"; gli ortodossi affermano invece che i Misteri vengono serviti dal clero, e di conseguenza la questione della validità perde di senso al di fuori del contesto del servizio ministeriale nella pienezza della Chiesa apostolica.

Queste diverse concezioni hanno portato a equivoci, con accuse spesso ingiustificate alla Chiesa ortodossa, sulla questione della ricezione dei convertiti (q.v.)

Esisteva una direttiva ufficiale e legittima (per quanto non proprio universale e piuttosto tardiva), descritta nel manuali a uso del clero, per ricevere i convertiti attraverso la rinuncia alle eresie e la confessione, e senza la ripetizione dei riti del Battesimo e della Cresima amministrati in modo formalmente adeguato in chiese non ortodosse. Questa pratica fu seguita soprattutto nella Chiesa russa, non senza un influsso teologico latino, e con lo scopo principale di favorire il ritorno all'Ortodossia degli uniati.

In circostanze moderne, questo grado di economia (che è un modo misericordioso di ricevere i convertiti), può essere facilmente confuso con un effettivo riconoscimento di sacramenti e misteri al di fuori della Chiesa Ortodossa; può facilmente lasciar credere che gli ortodossi sottoscrivano concetti come quello delle "Chiese sorelle" (q.v.), o quello della "validità automatica" dei riti conferiti al di fuori della Chiesa.

La grazia degli atti sacramentali compiuti al di fuori della Chiesa non può essere mai riconosciuta per sé (tant'è vero che gli ortodossi sono comunque tenuti, in ogni caso, a non accostarsi ai sacramenti delle chiese non ortodosse, e che è unicamente nel caso di ricezioni di convertiti che si pone la questione della ripetizione, o non ripetizione, di sacramenti ricevuti in precedenza). L'Ortodossia non specula sulla eventuale presenza della grazia al di fuori dei limiti visibili della Chiesa: l'unica grazia che può essere decisamente, e ufficialmente, riconosciuta come presente e attiva nella vita dei cristiani non ortodossi (e peraltro anche dei non cristiani), è quella grazia che li conduce alla pienezza della Chiesa.

 

Venerazione delle icone

Mentre non è inconsueto vedere cattolici romani pregare per lungo tempo di fronte a immagini sacre, si può facilmente notare come i fedeli ortodossi assumano un atteggiamento di maggiore dialogo e interazione con le icone: nella tradizione ortodossa è d'uso, entrando in una chiesa o in una casa, segnarsi di fronte alle icone, baciandole e accendendo di fronte a loro candele e lampade.

In stretta conformità con i decreti del settimo Concilio Ecumenico (Nicea, 787), il cui Sinodico fa parte integrante del culto ortodosso, la venerazione delle immagini sacre è parte integrante della vita di fede, pubblica e privata, dei cristiani ortodossi, che nella loro iconografia hanno un segno di straordinaria continuità con la fede apostolica.

Questo forte senso di compenetrazione con le immagini sacre è andato sempre più affievolendosi in Occidente, con una progressiva decadenza verso un'arte naturalistica indulgente al razionalismo e al sentimentalismo, e all'uso dell'immagine come "supporto meditativo".

Gli ortodossi, di fronte agli innumerevoli "sviluppi" dell'arte religiosa cattolico-romana, che in gran parte hanno contribuito a neutralizzare la sinfonia tra arte sacra e devozione cristiana, non possono fare altro che vedervi i segni di un autentico allontanamento dalla verità e dalla pienezza di fede.

 

Vetrate istoriate

Per quanto si possa dire che gli ortodossi non badino a spese per decorare con ricchezza e solennità l'interno delle loro chiese, non si è sviluppata tra loro l'arte delle vetrate colorate che ha reso famose le grandi cattedrali gotiche del medioevo (e che da queste è passata anche al protestantesimo). Ciò ha avuto ragioni storiche: la tipica architettura bizantina e slava non ha mai permesso un grande spazio per le finestre, e sovraccaricare di colori le poche aperture esistenti avrebbe sottratto illuminazione all'interno. Tuttavia, anche con le più ampie aperture permesse dalle moderne tecnologie, si è preferito comunque mantenere un colore uniforme e soffuso per le vetrate, senza decorazioni particolari (un tipico caso è la cattedrale di San Demetrio a Salonicco, in Grecia). Certamente, non si può parlare di avversione all'iconografia (dopo tutto, le icone sono definite "finestre" sul cielo), ma bisogna piuttosto considerare questa apparente carenza in relazione con le altre immagini all'interno delle chiese. Nelle cattedrali gotiche, le vetrate colorate arricchivano quello che sarebbe altrimenti stato un ambiente spartano; in una chiesa ortodossa, esse creerebbero probabilmente contrasto e confusione con l'iconografia parietale (affreschi e mosaici), limitandone l'illuminazione e proiettandovi sopra fasci di luce eterogenea e innaturale. Inoltre, diventerebbero un falso surrogato delle icone interne. La finestra ideale di una chiesa ortodossa deve donare un senso di luce celeste e traslucida (per questo erano sapientemente usati nell'antichità l'onice e l'alabastro), che esalta il valore dell'iconografia interna.

 

Conclusione

È stato necessario insistere sugli elementi di differenza, sia per far comprendere come non bastino vaghi desideri di ecumenismo per proclamare che "nulla ormai ci divide", sia perché talvolta è proprio imparando a conoscere ciò che ci differenzia dagli altri (e le loro ragioni per essere quelli che sono), che si impara ad apprezzarne i diritti e a rispettarli nelle loro convinzioni. Talvolta si impara a conoscere meglio anche se stessi, la propria Chiesa e le proprie tradizioni...

Non abbiamo preteso di essere esaustivi: esistono ancora molte altre differenze che un attento osservatore potrà notare, ma confidiamo che la nostra panoramica sia sufficiente come inizio.

Ci auguriamo che queste nostre osservazioni possano stimolare un ulteriore desiderio di conoscenza reciproca tra cattolici romani e ortodossi, una più profonda riverenza per la Verità, un senso di lealtà e di rispetto nel confronto.

 Crediti e ringraziamenti

Questo testo è nato da una serie di discussioni e dibattiti avvenuti in seno alla comunità ortodossa torinese, ed è stato in diverse occasioni analizzato e riveduto a cura di sacerdoti ortodossi in varie parti d'Italia. Fino alla sua stesura definitiva nel 1997, il testo si è arricchito con molte idee espresse nel corso di dibattiti in Internet sull'Ortodossia e il Cattolicesimo romano.

A causa della stratificazione successiva di dati e argomenti, ci è impossibile assegnare a ciascuno un credito specifico per le idee espresse.

Per lo stesso motivo, ci risulta gravoso aggiungere una bibliografia di riferimento, che sarebbe forse lunga quasi quanto il testo stesso.

A tutti quanti hanno contribuito alla stesura di queste pagine va comunque il nostro ringraziamento.

 

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  Sulla ricezione dei convertiti nella Chiesa Ortodossa

Dell'Archimandrita Amvrosij (Pogodin)

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Pubblicato in origine in Vestnik Russkogo Khristianskogo Dvizheniya (Messaggero del movimento cristiano russo), Parigi-New York-Mosca, n. 173 (I-1996) e 174 (II-1996/I-1997).

Nella foto: L'Archimandrita Amvrosij (Pogodin), 1925-2004

 

Nota storica

Q uesto saggio cerca di passare in rassegna il problema di come le persone provenienti da altre confessioni cristiane debbano essere ricevute in seno alla Chiesa Ortodossa. Può il battesimo degli eterodossi, conferito loro dalle proprie chiese, essere accettato se è fatto nello stesso spirito e comprensione con cui è conferito nella Chiesa Ortodossa (ovvero, per tripla immersione nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito)? Possono tali persone essere ricevute nella Chiesa Ortodossa mediante la rinuncia a tutte le eresie, confessione della Fede ortodossa, e cresima per completare ciò che era mancante prima dell'accettazione della Fede ortodossa? Oppure, in altri casi, si dovrebbero ricevere le persone sulla base della rinuncia all'eresia, penitenza e confessione della Fede ortodossa? Oppure l'efficacia del mistero battesimale compiuto in tutte le chiese eterodosse dovrebbe essere rifiutata come carente di grazia? In tal caso, si dovrebbe ricevere tali persone nella Chiesa Ortodossa esclusivamente battezzandole e cresimandole?

Tale questione è sempre stata un problema significativo nella storia della Chiesa. Fu considerata dalla Chiesa antica(1), dai Santi Padri, dai canoni degli antichi Concili locali e dai Concili ecumenici, da decisioni posteriori di singoli Concili di Chiese locali, e in certi casi, da editti di sovrani ortodossi. Per noi, che viviamo all'estero tra gli eterodossi, questo problema non è tanto accademico quanto pratico, parrocchiale e pastorale. Nelle nostre parrocchie incontriamo costantemente, in misura più o meno ampia, un influsso di eterodossi, alcuni dei quali in seguito entrano a far parte della Chiesa Ortodossa come chierici e laici. I matrimoni misti sono avvenimenti comuni nella nostra parrocchia, e offrono occasioni di accogliere nuovi convertiti nella Chiesa Ortodossa.

Nei tempi attuali, tale questione è tuttora all'ordine del giorno. Le regole promulgate dalla Chiesa devono guidare e assistere saggiamente il parroco in questa situazione missionaria. È essenziale che tali regole, quando queste appaiono sotto nuove forme in connessione con le circostanze e condizioni correnti del mondo, riflettano sia la stabilità e la tradizione della Fede ortodossa, sia la sapienza e l'amore della Madre Chiesa. Nell'ottavo secolo, San Giovanni Damasceno scrisse che la legislazione della Chiesa deve respirare con uno spirito di amore e di condiscendenza.(2) Tanto più ce lo dovremmo aspettare oggi, in questi tempi difficili per la Chiesa Ortodossa e per tutto il cristianesimo; tempi in cui "...il mistero dell'iniquità e già all'opera"(3), come testimoniato dall'ateismo, dall'abbandono della Chiesa, dall'indifferenza e da molti altri mali spirituali. La Chiesa ortodossa, pur evitando ogni tipo di compromesso, deve soprattutto mostrarsi come una madre amorevole rispetto a quegli eterodossi che, con fede e amore, vengono a lei da altre confessioni cristiane.

Se mantenute in questa prospettiva, le regole della Chiesa saranno vitali e condurranno alla diffusione dell'Ortodossia nel mondo. La storia è una meravigliosa maestra di vita. Presenteremo qui la storia di come si sia risolto il problema della ricezione degli eterodossi nell'Ortodossia: 1) nella Chiesa universale, 2) nella Chiesa russa, 3) nella Chiesa greca del XVIII secolo, e infine, 4) come tale questione è vista dalle Chiese ortodosse nel tempo presente.(4)

 

La ricezione dei convertiti nella Chiesa antica

Dato che faremo riferimento ai canoni della Chiesa, ovvero alle sue leggi e decisioni, è opportuno notare che ogni canonista, prima di applicare un qualsiasi canone, deve tener conto di quando e in quali circostanze il canone è stato scritto e a chi si riferisce. Quindi deve vedere se il canone particolare esprime una posizione fondamentale come principio stesso della Chiesa, oppure se riflette meramente un tempo particolare, ed è stato emendato da successive legislazioni della Chiesa,(5) e come la legislazione decisionale della Chiesa considera ciò che fu promulgato durante i successivi Concili Ecumenici. I canoni sono cambiati poiché sono mutate le circostanze stesse della vita della Chiesa. L'insegnamento dogmatico della Chiesa è divenuto più preciso; antiche eresie si sono perse per strada e altre nuove hanno preso il loro posto. Anche la struttura esterna del governo della Chiesa è cambiata e nuove condizioni sono sorte nella vita della Chiesa. I canoni della Chiesa sono riflessi dell'organismo vivente della Chiesa, e pertanto, nel considerare questo o quel canone, dobbiamo fare un'indagine completa nel suo spirito, tenendo conto delle circostanze sopra elencate.

Il battesimo è il sacramento fondamentale della Chiesa cristiana. È stato comandato dal nostro Signore Gesù Cristo e compiuto dai santi apostoli,(6) dai vescovi e dai presbiteri che essi incaricarono e dai loro successori. I primi Santi Padri e i canoni della Chiesa parlano del sacramento del battesimo.(7) La santa Chiesa amministrava il battesimo come proprio sacramento di base. Così l'Apostolo Paolo scrive, "...Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo."(8) In considerazione del significato eccezionale di questo sacramento, la santa Chiesa intraprese ogni sforzo per assicurarsi che nessuno dei suoi membri, per qualsiasi ragione, fosse lasciato senza battesimo, e, d'altro canto, per assicurarsi che nessuno fosse battezzato più di una volta, in quanto questo sacramento - per analogia con la nascita naturale, come reale nascita di una persona in Cristo per la vita eterna, - non si può ripetere, cosa che è rimasta impressa negli antichi simboli della fede, e che si trova nel nostro stesso Credo. Questi due elementi: la preoccupazione di assicurarsi che nessun membro della Chiesa resti senza un vero battesimo e la non-ripetizione del battesimo valido, si possono trovare espressi anche nella legislazione ecclesiastica successiva.(9) Lo vediamo dapprima nei Canoni Apostolici 46 e 47: il primo vieta strettamente al vescovo o al presbitero di riconoscere il battesimo ereticocome valido;(10) nel secondo, al vescovo o presbitero è strettamente vietato ripetere un battesimo di qualcuno che già ha un battesimo valido.(11)

Così, il Canone Apostolico 46 parla dell'inammissibilità del battesimo eretico. Subito dopo il testo di tale canone vi è questa spiegazione nell'edizione fatta dal Santo Sinodo [russo]:

"Questo Canone Apostolico si riferisce agli eretici ai tempi degli apostoli, che offendevano i principali dogmi di Dio il Padre, Figlio e santo Spirito, e dell'Incarnazione del Figlio di Dio. I seguenti canoni sono diretti ad altri tipi di eresie: I Concilio Ecumenico 19, Laodicea 7 e 8, VI Concilio Ecumenico 95, e Basilio il Grande. 47."(12)

Così, questo Canone Apostolico si riferisce agli eretici le cui eresie non solo distorcevano gli insegnamenti della Santa Chiesa, ma che ben difficilmente potevano essere chiamate "cristiane". Esse consistevano in un miscuglio fantasioso di giudaismo e cristianesimo, o di una filosofia pagana con una colorazione superficiale di cristianesimo, che somigliava ai misteri orientali frammisti di elementi fantastici. Il Prof. Posnov nel descrivere queste eresie conclude: "Le distorsioni giudeo-cristiane e pagano-cristiane non erano eresie cristiane in un senso reale."(13) Riguardo alle eresie che apparvero al termine del secondo e terzo secolo su suolo cristiano, queste consistevano in complete assurdità in senso dogmatico. La "Lettera circolare dei Patriarchi orientali" del 1848 definisce rettamente queste eresie "mostruosità" e "patetiche immaginazioni e fantasie di persone misere."(14) Anche un'eresia come il montanismo, più vicina alla struttura della Santa Chiesa, era molto distante dall'autentico insegnamento della Chiesa, e introduceva una nuova rivelazione che sarebbe stata data a Montano, e sulla cui base si fondava la visione del mondo della setta.(15) Anche se il loro battesimo si faceva nel nome della Santa Trinità, l'aggiunta della formula "e nel nome dello spirito di Montano" invalidava tutti i battesimi.

Così, i Canoni Apostolici hanno in vista eretici specifici e si riferiscono a quei tempi antichi.(16) È chiaro che la Chiesa non avrebbe potuto accettare in alcun modo tali eretici come cristiani. Tuttavia, tutte queste eresie avevano le loro abluzioni sacre o "battesimi." Un "battesimo" in una forma o in un'altra è comune a tutte le religioni. I cosiddetti "Rotoli del Mar Morto" ci mostrano che gli esseni, in aggiunta alla circoncisione, e a pari rango con essa, praticavano un battesimo.(17) Queste abluzioni sacre o "battesimi" degli eretici del II secolo non avevano nulla in comune con il battesimo compiuto nella Chiesa. Il battesimo nella Chiesa comprendeva due elementi: un insegnamento esplicito sulla Santa Trinità, e sull'Incarnazione del Figlio di Dio. Il battesimo eretico mancava di entrambi, e perciò non poteva essere accettato come equivalente del battesimo compiuto nella santa Chiesa. Il Canone 46 dei Canoni Apostolici fu scritto per evitare ogni incomprensione. Queste persone avevano bisogno di essere battezzate nella Chiesa poiché esse, nel giudizio della Chiesa, non erano battezzate. Ma come avviamo fatto notare, il canone successivo, il 47, vietava la ripetizione di quel battesimo che era stato validamente compiuto.

Il cristianesimo vide un numero non piccolo di eresie durante il III e IV secolo, e all'origine di tali eresie c'erano vescovi o presbiteri eminenti. Come trattare quanti giungevano all'Ortodossia da tali eresie? Con quale metodo dovevano essere ricevuti? All'interno della Chiesa Ortodossa vi fu un'immediata differenza di vedute su questo problema. Alcuni insistevano che fossero ricevuti solo tramite il battesimo, ovvero senza riconoscere come valido il primo battesimo anche se era corretto nella forma (vale a dire, corrispondente al battesimo amministrato nella Chiesa Ortodossa). Altri mantenevano un punto di vista più tollerante, accettando come valido il battesimo compiuto da alcuni eretici, poiché era stato compiuto nel nome della Santa Trinità, e non richiedevano a quanti rientravano nell'Ortodossia dall'eresia di essere ribattezzati. Una linea più rigida fu presa da Tertulliano (egli stesso un montanista), San Cipriano di Cartagine, Firmiliano di Cesarea, ed Elano di Tarso. San Cipriano, avvocato della linea rigorosa, convocò due concili a proposito (255-256) e insistette che gli eretici non venissero ricevuti in altro modo che con il battesimo. Santo Stefano, Papa di Roma (253-257) si poteva considerare un sostenitore della linea più tollerante, e la sua posizione, secondo il famoso Hefele, fu sostenuta dai vescovi orientali. Allo stesso tempo in cui San Cipriano con un concilio di 71 vescovi insisteva che gli eretici mancano di ogni grazia, e che per questa ragione i loro atti sacri sono invalidi, Santo Stefano riceveva gli eretici penitenti con l'imposizione della mano del vescovo sul loro capo. Questo era fatto secondo la pratica tollerante, che era sostenuta da altri vescovi occidentali. Leggiamo in un antico decreto del Concilio di Arles (Canone 8):

"Se qualcuno viene alla Chiesa dall'eresia, gli si chieda di recitare il Credo; e se si vedrà che è stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nel Santo Spirito [in Patre et Filio et Spiritu Sancto esse baptizatum] gli si imporranno soltanto le mani affinché possa ricevere lo Spirito Santo. Ma se non è stato battezzato nel nome della Santa Trinità, che sia battezzato."(18)

Avendo saputo del decreto del Concilio di Cartagine sotto la presidenza di San Cipriano, che imponeva il ri-battesimo degli eretici che entravano nella Chiesa, dapprima il Papa Santo Stefano chiese l'abrogazione di tale decreto, minacciando la scomunica e, dato che l'abrogazione non ebbe luogo, scomunicò in seguito San Cipriano.(19)

È interessante notare che i canonisti orientali trattano in modo critico le decisioni dei concili di Cartagine. Così Zonaras, commentando il Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico, che prescrive la ricezione di certi tipi di eretici senza ribattezzarli, nota il decreto di San Cipriano, del quale dice: 
"Così, le opinioni dei Padri riuniti in concilio con il grande Cipriano non si riferiscono a tutti gli eretici e a tutti gli scismatici. Dato che il Secondo Concilio Ecumenico, come abbiamo appena fatto notare, fa un'eccezione per certi eretici e accorda sanzioni per la loro ricezione senza ripetere il battesimo, richiedendo solo la loro unzione con il Santo Crisma, e la rinuncia alle loro eresie e a tutte le altre eresie."

Balsamone definisce il decreto del Concilio di Cartagine "non vincolante, e come tale senza effetto."(20)

Con questi elementi di prova, la nostra analisi mostra che nel III e nella prima parte del IV secolo vi erano due pratiche differenti per la ricezione degli eretici e degli scismatici nella Chiesa Ortodossa: una attraverso il ri-battesimo e l'altra attraverso la penitenza. Tuttavia, la Chiesa Ortodossa, essendo sempre misericordiosa, tendeva verso la visione meno rigorosa.

Anche se il Primo Concilio Ecumenico non diede regole definitive in materia, i suoi tre canoni, 8, 11 e 19, si ispirano alla misericordia verso quanti sono caduti nei tempi di persecuzioni, o a quanti sono fuoriusciti dall'Ortodossia durante lo scisma dei novaziani(21) o nell'eresia di Paolo di Samosata(22). I novaziani, che si definivano "puri e migliori," dovevano essere ricevuti attraverso la penitenza. I paulianisti si dovevano ricevere con il battesimo, poiché il loro insegnamento dogmatico era una distorsione di quello ortodosso, e in seguito i loro chierici potevano essere ricevuti [per ordinazione, N.d.T.] nel clero della Chiesa Ortodossa.

Troviamo un certo numero di principali eresie cristologiche nel IV secolo, quali l'arianesimo, l'apollinarismo e le loro diramazioni, come pure altre eresie relative al dogma della Santa Trinità e dell'ipostasi del Santo Spirito (macedoniani). Quanto alla ricezione di questi e altri eretici e scismatici nella Chiesa Ortodossa, possiamo vedere che la Santa Chiesa non aveva ancora formulato a quel tempo decreti decisivi, e che la loro ricezione era governata dalle due pratiche parallele che abbiamo notato in precedenza. Tuttavia, come abbiamo fatto notare, la Chiesa seguiva il sentiero della misericordia e della condiscendenza. San Basilio ne è testimone nel suo Canone 1, in cui dice che la Chiesa può accettare solo quel battesimo che non differisce in alcun modo dal battesimo compiuto nella Chiesa Ortodossa. Un'eresia è definita come "una chiara differenza nella stessa fede in Dio." Pertanto, quegli eretici che appartengono a eresie che distorcono completamente l'insegnamento cristiano dovrebbero essere trattati come privi del battesimo che si compie nella Chiesa, e dovrebbero essere battezzati quando entrano nella Chiesa. Quanto agli scismatici, ovvero quelli che si sono staccati dalla Chiesa sulla base di "dispute ecclesiastiche," essi possono essere ricevuti mediante la penitenza. Inoltre San Basilio si lamenta che talvolta i montanisti vengano ricevuti nell'Ortodossia senza il ri-battesimo, ovvero che il loro battesimo sia accettato come valido. Poiché tale battesimo era fatto "nel Padre, nel Figlio e in Montano o Priscilla," non corrisponde al battesimo compiuto nel nome della Trinità dagli ortodossi. Quindi San Basilio presenta il punto di vista di San Cipriano di Cartagine secondo il quale tutti gli eretici e tutti gli scismatici devono essere ribattezzati quando entrano nella chiesa ortodossa poiché eretici e scismatici sono completamente privi di Grazia. Come risultato di tutto questo dice, "Ma poiché altri in Asia hanno determinato altrimenti, per l'edificazione dei più, si convalidi il loro battesimo." In questo modo San Basilio espresse la propria autorità non con una risoluzione rigorosa del problema ma con una risoluzione misericordiosa e accondiscendente, che serviva al beneficio della Chiesa.

La seguente interpretazione delle parole di San Basilio il Grande è stata data dal Concilio della Chiesa Russa all'Estero, alla sua sessione del 15/28 Settembre 1971:

"Così, San Basilio il Grande, e per bocca sua il Concilio Ecumenico, confermando il principio che non vi è un battesimo genuino al di fuori della Santa Chiesa Ortodossa, permette per condiscendenza pastorale, che è detta economia, l'accettazione di certi eretici e scismatici senza un nuovo battesimo."

Nel periodo tra il Primo e il Secondo Concilio Ecumenico vi fu un Concilio locale a Laodicea (c. 363) che decretò, nel suo Canone 7: "Le persone convertite dalle eresie, vale a dire, quelle dei novaziani, fotiniani, e quartodecimani: ...saranno ricevute per mezzo della rinuncia all'eresia e della cresima." Perciò, vediamo anche qui che la visione tollerante ha prevalso su quella più rigida. Tuttavia, i canoni di San Basilio il Grande e quelli di Laodicea, per quanto autorevoli, non erano ancora leggi per tutta la Chiesa universale. C'era bisogno di una decisione di un Concilio Ecumenico.(23) Più tardi, il Sesto Concilio Ecumenico decretò (Canone 2) di accettare i canoni di San Basilio il Grande e i canoni di Laodicea come leggi per tutta la Chiesa. Ciò ebbe luogo più di tre secoli dopo.(24)

Bisogna riconoscere che con le parole di San Basilio il Grande e dei Padri del Concilio di Laodicea la Chiesa determinò un sentiero per la successiva legislazione ecumenica, ovvero il fatto che i decreti (o i canoni) della Chiesa devono essere motivati da uno spirito di tolleranza e tenendo in vista il bene comune della Chiesa Ortodossa. Tuttavia, nel decreto del Sesto Concilio Ecumenico (e prima di esso nei canoni di San Basilio il Grande e del concilio locale di Laodicea) è anche evidente che la Santa Chiesa accettava come genuino quel battesimo che era compiuto nel nome della Santa Trinità anche se il battesimo aveva luogo fuori della Chiesa Ortodossa, ma in tutti i sensi corrispondeva al battesimo compiuto dagli ortodossi. In tal caso viene accettato come genuino ed efficace all'atto della ricezione del convertito nella Chiesa Ortodossa per mezzo della penitenza e della cresima. Inoltre le parole di San Basilio il Grande sono ben chiare quando dice: "Le autorità antiche avevano giudicato accettabile quel battesimo che non scartava alcun punto della fede." [San Basilio, Canone 1] Nel libro dei riti per la ricezione degli eterodossi nell'Ortodossia leggiamo la seguente descrizione in uno dei riti:(25) "Officio per la ricezione nella Fede ortodossa di persone che non sono state in precedenza ortodosse, ma sono state allevate fin dall'infanzia fuori della Chiesa Ortodossa, eppure hanno ricevuto un valido battesimo nel nome del Padre e del Figlio e del santo Spirito, rifiutando tuttavia altri misteri e usanze e mantenendo visioni contrarie a quelle della Chiesa Ortodossa."(26) Se la Santa Chiesa Ortodossa avesse dubitato della genuinità di un tale battesimo non vi è dubbio che non avrebbe mai assoggettato una tale persona, che giunge nel suo seno per la salvezza della propria anima, al pericolo di restare senza il battesimo, il più grande dei sacramenti, motivata da condiscendenza pastorale verso gli eretici e gli scismatici, sulla base dell'economia (ovvero, per il benessere generale della Chiesa), vale a dire accettando un compromesso al prezzo della salvezza dell'anima che la persona affida alla Chiesa! Il battesimo è il sacramento fondamentale della Chiesa senza il quale non si può essere salvati. Se si dovesse tenere conto dei tempi successivi, e dire a buona ragione che i ministri protestanti mancano della successione apostolica e all'ingresso nella Chiesa Ortodossa sono ricevuti come laici, obietteremo facendo notare che nella Chiesa Ortodossa il battesimo può essere compiuto anche da un laico se l'esigenza lo richiede.

Ma torniamo alla lunga storia del problema di ricevere gli eterodossi nella Chiesa Ortodossa.

La legislazione decisiva a questo riguardo fu promulgata al Secondo Concilio Ecumenico (A.D. 381) nel suo Canone 7:

"Quegli eretici che giungono all'Ortodossia e alla comunione dei salvati, noi li riceviamo secondo il rito e l'uso prescritto: riceviamo gli ariani, i macedoniani, i novaziani che si definiscono 'puri e migliori,' I quartodecimani, altrimenti noti come tetraditi, così come gli apollinariani, a condizione che offrano libelli (ovvero, abiure per iscritto) e rinuncino a ogni eresia che non mantenga la stessa fede della santa, cattolica e apostolica Chiesa di Dio, e quindi siano segnati con il sigillo, vale a dire, unti con il crisma sulla fronte, sulle orecchie, narici, bocca e orecchie. E mentre sono segnati con il sigillo, diciamo, 'sigillo del dono dello Spirito Santo.' Quanto però agli eunomiani, che sono battezzati con una singola immersione, ai montanisti, detti anche frigi, e ai sabelliani, che insegnano che il Padre e il Figlio sono la stessa persona, e che commettono altre cose abominevoli, e [a quanti appartengono ad] ogni altra eresia - poiché qui ve ne sono molte, soprattutto tra la gente che proviene dal paese dei galati, - tutti quanto desiderano aderire all'Ortodossia siamo disposti a riceverli come greci [ovvero, pagani]. Di conseguenza, il primo giorno li facciamo cristiani; il secondo giorno, catecumeni; quindi, il terzo giorno, li esorcizziamo con il gesto dei tre soffi sul volto e nelle orecchie; e così li catechizziamo, facendoli aspettare un poco nella chiesa e ascoltare le scritture; e quindi li battezziamo."(27)

In questo modo la Santa Chiesa stabilì le regole su come ricevere quanti giungevano all'Ortodossia dall'eresia. Quanti hanno un battesimo corretto sono ricevuti senza ri-battesimo. Quanti non hanno un battesimo nel nome della Santa Trinità sono ricevuti per mezzo del battesimo. Si deve notare che ariani e macedoniani aderivano a un falso insegnamento sulle persone della Santa Trinità, ma l'effettiva fede nella Santa Trinità, nel Padre, Figlio e Santo Spirito, era presente, ed era sufficiente, nell'opinione della Santa Chiesa, per riconoscere la validità (sufficienza) del loro battesimo.

Con questo canone il Secondo Concilio Ecumenico diede la direzione per come agire in futuro. Hefele nota che i Santi Padri e i dottori della Chiesa, pur accettando come valido il battesimo di certi eretici, nondimeno sentirono necessario dare loro il dono dello Spirito Santo, inerente nella santa Chiesa ortodossa, attraverso la cresima.(28)

Abbiamo già mostrato il paragone tra il Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico con i canoni passati al concilio di Cartagine sotto San Cipriano, assieme all'opinione in materia di Zonaras e Balsamone.

La Chiesa di Cartagine, nel III secolo sotto Cipriano, manteneva una visione tanto rigida da decretare che tutti gli eretici e scismatici entrati nell'Ortodossia fossero ribattezzati senza eccezione. Ma tra il IV e l'inizio del V secolo cambiò le proprie posizioni, e decretò di accettare gli scismatici senza ri-battesimo ma per via della penitenza e del ripudio dell'eresia. Quanti erano in precedenza chierici scismatici erano ricevuti senza ri-ordinazione.(29) Quanto a eretici come gli ariani, i macedoniani e altri, tale questione non fu sollevata al concilio (o più correttamente, un certo numero di concili) a Cartagine.

Secondo la direttiva generale del Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico, vediamo svilupparsi nella Chiesa treordini per la ricezione degli eretici (e degli scismatici) nell'Ortodossia. La Kormchaya Kniga [Pedalion, o Timone] contiene la lettera di Timoteo, presbitero di Costantinopoli vissuto nel V secolo, che scrive quanto segue:

"Vi sono tre riti per l'accettazione di quanti entrano nella Santa, Divina, Cattolica e Apostolica Chiesa: Il primo rito richiede il santo battesimo, nel secondo non battezziamo ma ungiamo con il Santo Crisma, e nel terzo non battezziamo né ungiamo, ma richiediamo la rinuncia della propria e di ogni altra eresia."(30)

Così quanti sono battezzati sono eretici nel senso estremo, di cui abbiamo parlato più sopra. Quanti sono unti con il santo crisma (senza compiere su di essi un secondo battesimo) sono gli ariani, i macedoniani e quelli simili a loro. Quanti sono ricevuti con la penitenza e il ripudio degli errori, sono gli scismatici come pure certi eretici.

L'ultima parola nella legislazione della Chiesa Universale rispetto alla ricezione nell'Ortodossia di quanti giungono dall'eresia o dallo scisma è il Canone 95 del VI Concilio Ecumenico. La sua prima parte è una ripetizione parola per parola del Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico, e non fa altro che aggiungere una nota sulla necessità di ribattezzare i seguaci di Paolo di Samosata (in questo caso riferendosi al Canone 19 del Primo Concilio Ecumenico). La seconda parte lista le eresie sorte in seguito al Secondo Concilio Ecumenico: Manichei, Marcioniti e altre simili eresie, nelle quali quasi nulla restava che potesse essere chiamato cristiano, e i cui membri dovevano essere ricevuti tramite il battesimo. Nestoriani e monofisiti (seguaci di Eutiche, Dioscoro e Severo) dovevano essere ricevuti tramite la penitenza e il ripudio delle loro eresie, dopo di che potevano essere ammessi alla Santa Comunione.

Questa legislazione della Chiesa universale avrebbe dovuto essere sufficiente per tutti gli anni futuri di esistenza. Senza dubbio molte eresie sono morte, ma ne sono apparse delle altre. Non esisteva ancora una Chiesa Cattolica Romana a sé, poiché questi erano ancora i tempi beati in cui le chiese orientale e occidentale costituivano ancora la Chiesa unica. Il Protestantesimo con le sue diramazioni era una cosa del lontano futuro. Nuove e barbariche distorsioni della dottrina sana e salvifica non erano ancora sorte. Tuttavia, il Canone 95 del Sesto Concilio Ecumenico detta le norme per le relazioni future della Chiesa con gli scismi e le eresie emergenti, come pure per mezzo di quale rito ricevere quanti desiderano essere membri della Chiesa Ortodossa. Ribadiamo queste norme.

Coloro che hanno il minor grado di errore dogmatico vanno ricevuti per mezzo del pentimento e di un ripudio delle eresie, a condizione che la loro struttura ecclesiastica conservi la successione apostolica. Altri, il cui insegnamento dogmatico ha subito una maggiore distorsione o che non hanno conservato la successione apostolica pur essendo stati battezzati, come nella Chiesa Ortodossa, nel nome della Santa Trinità per tripla immersione, vanno ricevuti per mezzo del secondo rito, vale a dire, per mezzo del ripudio delle distorsioni eretiche e l'unzione con il santo Crisma. Il terzo gruppo, il cui battesimo non è compiuto nel nome della Santa Trinità per tripla immersione, va ricevuto per mezzo del battesimo, cosa che si applica pure a ebrei, musulmani e pagani. Gli insegnamenti di questo gruppo di eretici consiste di solito di una completa innovazione o di un miscuglio di giudaismo o di paganesimo con i principi di base del cristianesimo. Ma in nessun modo vi è in questo gruppo alcun tipo di struttura ecclesiastica o di successione apostolica, così come noi la intendiamo.

Il nono secolo ha visto la triste divisione tra le Chiese orientali e occidentali. Il Grande Scisma del 1054 creò una frattura tra le Chiese, che con il tempo si approfondì. La Chiesa occidentale si mosse non solo verso lo scisma con la Chiesa Ortodossa, ma col tempo adottò posizioni eretiche. La legislazione della chiesa ortodossa dovette formulare regole su come trattare i membri della Chiesa Cattolica Romana - come scismatici o come eretici, e decidere contemporaneamente con quale rito ricevere quei latini che volevano entrare nella Chiesa Ortodossa. Per un lunghissimo tempo non vi fu alcuna decisione in materia. Solo nel XV secolo, in connessione con il Concilio di Firenze (1459) fu presa in considerazione una legislazione.

Prima del Concilio di Firenze i greci consideravano i latini come scismatici. Allo stesso modo, i latini consideravano e chiamavano i greci "scismatici." Con una simile considerazione, i latini che entravano nell'Ortodossia erano ricevuti con il terzo rito, ovvero, con il ripudio dei loro errori e la penitenza. San Marco di Efeso, quel grande confessore e pilastro della Chiesa Ortodossa, quando parlò al Concilio di Firenze, chiamò la Chiesa di Roma "santa,"(31) rivolgendosi a Papa Eugenio con le parole "santissimo Padre,"(32) "beato Padre,"(33) "primo tra i servi di Dio,"(34) e rivolgendosi al Cardinale Cesarini come "eminente padre."(35) Egli parla con tristezza della frattura che ebbe luogo tra le chiese e chiede al Papa e ai suoi collaboratori di fare di tutto per l'unione delle chiese. In seguito, vedendo la posizione totalmente intransigente dei latini rispetto al "Filioque" e convintosi che essi aderivano a un errore di carattere dogmatico riguardo alla processione del Santo Spirito, egli inizia a parlare di loro come eretici. Ecco il punto di vista espresso da San Marco di Efeso a un incontro interno tra i greci a Firenze il 30 Marzo 1439:

"I latini non sono solo scismatici ma eretici. Tuttavia, la nostra Chiesa è rimasta in silenzio perché [i latini] sono così numerosi; ma non è questa la ragione per cui la Chiesa Ortodossa si è allontanata da loro, perché erano eretici? Non ci possiamo unire con loro a meno che non concordino di rimuovere l'aggiunta (fatta da loro) al Simbolo [Credo], e confessare il Simbolo così come noi lo confessiamo."(36)

L'Unia firmata tra i greci e i latini a Firenze fu una terribile umiliazione per la Chiesa Ortodossa. I greci sconfessarono le loro tradizioni di fronte a tutte le pretese sulle quali insisteva il Vaticano. Al suo ritorno da Firenze San Marco - il difensore e guida nella lotta per l'Ortodossia - si appellò a tutto il popolo ortodosso con un'epistola, in cui richiamava l'attenzione dei fedeli al tradimento dell'Ortodossia a Firenze. E qui si riferiva ai latini come eretici che, in caso che alcuni di loro vogliano passare all'Ortodossia, devono essere cresimati. Egli scrive quanto segue:

"I latini, non avendo ragioni per condannarci per i nostri insegnamenti dogmatici, ci chiamano "scismatici" perché abbiamo rifiutato di umiliarci davanti a loro, cosa che immaginano sia loro dovuta. Ma esaminiamo la cosa: sarebbe giusto estendere loro tale cortesia e non accusarli di nulla riguardo alla Fede? Essi hanno portato in principio la causa della frattura. È loro l'aperta aggiunta (il Filioque nel Simbolo della Fede), che prima pronunciavano segretamente. Noi siamo stati i primi a staccarci da loro, ma è meglio dire che noi stessi li abbiamo staccati e tagliati dal comune Corpo della Chiesa. Perché? Ditemelo! Forse perché hanno la retta fede e hanno fatto la retta aggiunta (al Simbolo della Fede)? Chi direbbe una cosa del genere a meno di non avere una mente malata! Ma (ci siamo staccati da loro) perché dimostrano una posizione empia ed erronea, e perché hanno fatto l'aggiunta in modo affrettato e sconsiderato. Perciò, ci siamo allontanati da loro come da eretici e per questa ragione ci disassociamo da loro. I venerabili canoni così dicono: 'È un eretico, ed è soggetto alle leggi contro gli eretici colui che - anche in poco - devia dalla fede ortodossa.'(37)Se i latini non deviano in alcun modo dalla Fede Ortodossa, allora sembrerebbe che siamo stati in errore noi a tagliarli fuori. Ma se hanno deviato completamente, per quanto riguarda la loro teologia sul Santo Spirito - un peccato che comporta il più grave dei pericoli - allora è chiaro che sono eretici, e noi li abbiamo tagliati fuori come eretici. Perché compiamo l'unzione su quanti vengono a noi? Non è chiaro: come eretici? Il Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico così dice: 'Quegli eretici che giungono all'Ortodossia e alla comunione dei salvati, noi li riceviamo secondo il rito e l'uso prescritto: riceviamo gli ariani, i macedoniani, i novaziani che si definiscono 'puri e migliori,' I quartodecimani, altrimenti noti come tetraditi, così come gli apollinariani, a condizione che offrano abiure per iscritto e rinuncino a ogni eresia che non mantenga la stessa fede della santa, cattolica e apostolica Chiesa di Dio, e quindi siano segnati con il sigillo, vale a dire, unti con il crisma sulla fronte, sulle orecchie, narici, bocca e orecchie. E mentre sono segnati con il sigillo, diciamo, 'sigillo del dono dello Spirito Santo.'

Non vedete come designare quanti provengono dai latini? Se tutti questi (citati nel Canone) sono eretici, allora è chiaro che essi (ovvero i latini) sono eretici. Che cosa scrisse l'erudito Patriarca di Antiochia Teodoro Balsamone in risposta a Marco, il santo Patriarca di Alessandria?

'I prigionieri latini e gli altri che giungono nelle nostre chiese cattoliche, chiedono di ricevere i Divini Misteri. Vorremmo sapere: è permesso? (Risposta) "Colui che non è con me, è contro di me, e colui che non raccoglie con me disperde" (Mt 12:30; Lc 11:23) Poiché molti anni or sono la parte prominente della Chiesa occidentale, vale a dire Roma, si è separata dalla comunione con gli altri quattro santissimi Patriarchi, poiché ha effettuato nei propri usi e dogmi cambiamenti estranei alla Chiesa Cattolica e all'Ortodossia - per questa ragione il Papa divenne indegno della comune elevazione dei nomi con i Patriarchi durante i Divini e Sacri Offici - e non è appropriato santificare la tribù dei latini attraverso i Divini e Purissimi Doni (dati) dalle mani di un sacerdote, a meno che essi (i latini) non decidano di abbandonare i dogmi e usi latini e di essere catechizzati e ammessi (per mezzo del rito prescritto) all'Ortodossia.'(38)

Non avete udito che essi hanno adottato non solo usi ma anche dogmi estranei all'Ortodossia (e ciò che è estraneo all'Ortodossia è quasi certamente un insegnamento eretico) e che secondo i canoni devono essere catechizzati e uniti all'Ortodossia? Se è necessario catechizzarli allora è chiaro che devono essere cresimati."(39)

San Marco di Efeso scrisse tali cose in un tempo in cui la Chiesa Ortodossa era sottoposta a una forte aggressione da parte dei cattolici romani - in un tempo in cui la sua stessa esistenza, in termini umani, era in questione. Questa fu una delle epoche critiche, se non la singola epoca critica, nella storia della Chiesa Ortodossa. Ma nonostante tutto questo, non udiamo San Marco dire che vi era una pratica, o che si dovesse introdurre una pratica, di ribattezzare i latini che desideravano entrare nella Chiesa Ortodossa. San Marco parla di ungerli con il santo crisma, e niente di più. La visione e la testimonianza di San Marco di Efeso furono molto importanti per la futura legislazione della Chiesa Ortodossa sul rito con cui dovevano essere ricevuti i latini che entravano nella Chiesa Ortodossa. La sua opinione fu sostenuta dal Concilio dei quattro patriarchi orientali riunito a Costantinopoli in 1484, che decretò che i latini non dovevano essere ribattezzati quando entravano nell'Ortodossia. Questa posizione di San Marco di Efeso, che i latini giunti all'Ortodossia non dovessero essere ribattezzati, fu pure sostenuta dal Grande Concilio di Mosca nel 1667. Ciò verrà discusso in dettaglio nel prossimo capitolo di questo saggio.

Al Concilio di Costantinopoli del 1484 va pure attribuita la formula del rito su come ricevere i latini all'Ortodossia. Nonostante le due unioni forzate - Lione e Firenze, nonostante le malefatte dei latini a Costantinopoli così come sul Santo Monte Athos (di cui il Patericon dell'Athos è testimone) (40), la santa Chiesa ortodossa, attraverso le parole di San Marco di Efeso e dei padri del Concilio di Costantinopoli nel 1484, assieme con i precedenti e prominenti canonisti, riconosceva che per portare i latini (cattolici romani) nella Chiesa Ortodossa, è sufficiente per loro rinunciare ai loro punti di vista eretici, confessare la Fede ortodossa e prometterle lealtà fino alla fine delle loro vite. La loro effettiva ricezione nell'Ortodossia si compie attraverso il rito della cresima.

Abbiamo dimostrato che la Chiesa Ortodossa universale ha istituito canoni pervasi di tolleranza nei confronti di coloro che, cercando la salvezza delle proprie anime, giungevano all'Ortodossia, lasciandosi alle spalle i propri errori e rifiutandoli. La Santa Chiesa li riceveva, accettando dove possibile il loro battesimo e riconoscendolo come valido, anche se era stato compiuto in un ambiente esterno alla Chiesa Ortodossa. La Chiesa insegnava la necessità di seguire regole fondate sulla sapienza e sulla forza dell'Ortodossia espressa attraverso le parole dei Padri del IV secolo (San Basilio il Grande e i Padri del Concilio di Laodicea)(41) e coerentemente fino al termine del XV secolo attraverso le parole di San Marco di Efeso e dei quattro Patriarchi orientali riuniti in concilio a Costantinopoli nel 1484, come pure l'autorità del Secondo e del Sesto Concilio Ecumenico.(42)

 

La ricezione dei convertiti nella Chiesa russa

La tolleranza verso i non-russi è sempre stata una caratteristica del sistema statale russo, e ciò ha contribuito al rafforzamento del grande impero russo, composto di molte nazionalità che vivevano tutte su principi di uguaglianza. Questa stessa tolleranza era allo stesso modo una caratteristica della Chiesa Ortodossa Russa rispetto ai non ortodossi, come è stato giustamente evidenziato dagli storici russi. Il Professor A. V. Kartashev scrive: "La relativa tolleranza dei russi rispetto alle altre religioni e confessioni cristiane era un tratto distintivo del periodo pre-mongolico."(43) Il Professor N. Talberg nota correttamente: "La Chiesa russa si distingueva per la sua tolleranza dei non ortodossi."(44)Si trovavano chiese latine servite da clero latino a Kiev, Novgorod, Ladoga, Polotsk, Smolensk, Perejaslavl e in altri luoghi. Nei suoi "Lineamenti di storia della Chiesa russa" Il Prof. Kartashev fornisce interessanti elementi di prova sulle interrelazioni russe con l'Occidente.(45) Vi erano vivi contatti commerciali e politici tra il popolo russo e i popoli occidentali. Rappresentanti e mercanti stranieri di ogni parte d'Europa si potevano trovare nelle città russe. La Russia ricevette il cristianesimo prima della grande divisione delle chiese, perciò l'Occidente, in senso ecclesiastico, non era visto come un mondo ostile. Prima del battesimo della Rus' e in tutta la lunga storia della Russia vediamo che le grandi speranze del Vaticano di includere la Chiesa russa come una delle proprie. I principi russi, a partire da San Vladimiro, erano rispettosi e garbati nelle loro risposte ai papi, ma fortemente attaccati all'Ortodossia greca. Per un lungo periodo la Chiesa russa fu governata da metropoliti greci che, dopo la divisione delle chiese, mantennero una linea ostile verso i latini. Il Prof. Kartashev scrive:

"I russi, sotto l'influenza dei metropoliti greci che vedevano ogni cosa romana in una cattiva luce, e in parte motivati dalla rivalità nel controllo sulla Rus', avevano bisogno di tempo per adottare gradualmente il punto di vista estremo dei greci."(46)

È interessante notare che un certo numero di opere polemiche contro i latini sono state attribuite a questi metropoliti, ma tutte quante, come fa notare il Prof. Talberg, erano scritte in un tono calmo e benevolo nei loro confronti.(47) Tuttavia, nelle loro istruzioni ai russi essi sostenevano una estrema intolleranza verso i latini, vietando i matrimoni misti, qualunque forma di relazione sociale, la condivisione di un pasto con loro e perfino cibarsi dai loro piatti. Un piatto da cui aveva mangiato un latino doveva essere lavato in modo speciale, accompagnato da una preghiera. Il Professor Kartashev scrive:

"Tuttavia, la teoria non sopraffece immediatamente l'inerzia della pratica vivente, e in questo caso l'attitudine acquisita di relazioni pacifiche e benevole dei russi verso i popoli non ortodossi e occidentali rimase evidente per tutto il periodo pre-mongolico."(48)

I principi russi continuarono a stipulare matrimoni con tutte le corti latine, e le figlie dei principi russi ad adottare il rito occidentale al loro matrimonio, e talora perfino le figlie di sovrani stranieri continuavano a mantenere le loro funzioni latine in Russia. (49) Sotto l'influenza di legami amichevoli con l'Italia, la festa della Traslazione delle Reliquie di S. Nicola a Bari fu istituita in Russia, celebrata il 9 maggio. Le chiese di Vladimir e Suzdal' riflettevano l'influenza dello stile romanico, dato che furono costruite da architetti italiani. Il "Cancello di Korsun" nella Cattedrale di Santa Sofia a Novgorod era di origine tedesca. Il Prof. Kartashev nota:

"A Novgorod il popolo viveva a così stretto contatto con gli stranieri che le donne semplici non esitavano a richiedere funzioni speciali ai preti latini, apparentemente senza paura della loro eresia, e senza trovarli nel loro aspetto esterno troppo differenti dal proprio clero."(50)

Il principe Iziaslav Yaroslavich non esitò a chiedere assistenza a Papa Gregorio VII, anche dopo la divisione delle chiese, per sbarazzarsi di un usurpatore. Anche se la richiesta non portò frutti, il principe non fu messo in questione né criticato.

Il Metropolita di Kiev Kirik (Ciriaco, o, secondo alcune fonti, Cirillo), in risposta alla richiesta di San Nifon (†1156), Vescovo di Novgorod, su come ricevere i latini che giungono all'Ortodossia, gli diede la seguente direttiva:

"Se un latino desidera sottomettersi alla legge russa, lo si faccia frequentare la nostra chiesa per sette giorni. Gli si deve dare un nuovo nome. Ogni giorno si leggono devotamente quattro preghiere in sua presenza. Quindi gli si faccia fare un bagno. Si asterrà dalla carne e dai latticini per sette giorni, e all'ottavo giorno, dopo il bagno, lo si introduca in chiesa. Si leggano su di lui le quattro preghiere, e lo si rivesta di abiti nuovi. Gli si ponga sulla testa una corona o un serto. Lo si unga con il Crisma , e gli si ponga in mano una candela di cera. Riceverà la Comunione durante la Liturgia e sarà d'ora in poi considerato un nuovo cristiano."

Con relazioni così strette tra i russi e i popoli occidentali durante il periodo pre-mongolico, è improbabile che i russi ribattezzassero quei latini che esprimevano un desiderio di accettare la Fede ortodossa. Tale ri-battesimo sarebbe stato l'equivalente di non riconoscerli come cristiani. Nelle grandi città russe che fungevano da centri commerciali e politici si poteva trovare tanto una cultura ortodossa russa quanto una latina, occidentale. I contatti tra di loro erano benefici a entrambe. In seguito, questa situazione sarebbe cambiata.

La Chiesa greca non praticava il ri-battesimo dei latini che giungevano nella Chiesa Ortodossa. I metropoliti greci erano a capo dell'antica Chiesa russa, ed è ben poco plausibile che avrebbero promosso qualcosa di estraneo alla Chiesa greca stessa. Nella direttiva sopra citata del Metropolita di Kiev Kirik (Ciriaco, o Cirillo) a Nifon di Novgorod vediamo che non vi è alcuna menzione di alcun ri-battesimo di latini che si convertono alla Fede ortodossa. Quanto ai russi, abbiamo visto che le loro relazioni con i latini erano cordiali, cosa che fu insegnata loro dai metropoliti greci che erano a capo della Chiesa russa a quel tempo.

Tra i santi russi troviamo alcuni stranieri condotti da Dio in Russia, dove operarono per la salvezza delle anime russe, servendo e salvandosi nelle terre della Chiesa Ortodossa Russa, dove Dio li glorificò come santi russi.

Ne nominerò alcuni. Sant'Antonio il Romano nacque e crebbe a Roma in un tempo in cui la Chiesa occidentale si era già separata dalla Chiesa ortodossa orientale. I suoi genitori conservarono in segreto la loro pietà, tramandandola al figlio. Nel 1106 Sant'Antonio il Romano fu portato miracolosamente dalle onde a Novgorod. Qui il Santo visse il resto della sua vita, e arricchì in molti modi fruttuosi la tradizione monastica dell'antica Russia. Si dovrebbe notare che San Niceta di Novgorod ricevette Sant'Antonio con grande onore e amore, come una persona inviata da Dio. Ai potrebbe sollevare formalmente una domanda: Sant'Antonio è considerato ortodosso? Egli nacque e fu battezzato a Roma in un tempo in cui a Roma non c'erano chierici ortodossi. In quel tempo Roma era la cittadella del Papa, che era non solo il suo vescovo, ma anche il sovrano secolare a cui il territorio apparteneva.(51) La storia non sa nulla di una "Chiesa Ortodossa delle catacombe" a Roma. La Roma papale fu sempre e sotto ogni aspetto leale a tutto quanto era latino. Sant'Antonio non avrebbe potuto ricevere il battesimo e gli altri sacramenti in altri luoghi che non fossero le chiese latine di Roma, cosa comprensibile. Vi erano territori ortodossi nell'Italia del Sud, che erano soggetti a Costantinopoli, e dove gli abitanti erano greci. Sant'Antonio non era un greco ma un italiano, e viveva nel territorio appartenente al trono di Roma. La sua lingua nativa era il latino, come si evince dalla sua bibbia latina, con la quale fu sepolto a Novgorod. San Niceta di Novgorod avrebbe potuto legittimamente sollevare la questione di una ricezione pubblica nell'Ortodossia di un monaco giunto dalle terre latine, nato e battezzato a Roma. Ma come possiamo vedere dalla vita di Sant'Antonio il Romano, San Niceta ricevette il monaco romano senza la minima esitazione, come una persona a lui mandata dalla volontà di Dio. La decisione del santo potrebbe essere stata influenzata non solo dall'arrivo miracoloso di Sant'Antonio, ma da quella generale attitudine di cordialità verso i non-ortodossi che, come abbiamo visto, era così tanto in evidenza nei dintorni della Grande Novgorod, uno dei più importanti centri del commercio europeo. Tali centri di commercio, a prescindere dalla prevalenza di una particolare religione, erano tolleranti sul piano religioso, come vediamo dagli esempi di Venezia e Amburgo.

Il Beato Isidoro, Folle in Cristo e Taumaturgo di Rostov, vissuto nel XV secolo, era di nascita tedesco e latino, come si vede dalla sua Vita. Amando profondamente l'Ortodossia russa, vi dedicò la sua vita di gesta spirituali, salvandosi nel mondo della Russia e operando per la salvezza delle anime russe. Dio lo glorificò come un santo russo. Non si trova nulla nella sua estesa Vita che indichi che sia stato ri-battezzato quando accettò l'Ortodossia.(52)

Anche un altro santo di Rostov, San Giovanni il Peloso (†1591), a giudicare dal suo Salterio Latino trovato dopo la sua morte e da lui utilizzato, era uno straniero che amava l'Ortodossia e si unì alla Russia dove Dio glorificò la sua santità. Anche se la sua Vita è poco conosciuta, non c'è nulla a suo riguardo che indichi che sia stato ri-battezzato quando giunse all'Ortodossia.(53)

San Procopio di Ustiug fu l'unico santo russo di origine straniera di cui il Prologo dice che, nell'accettare l'Ortodossia nella Grande Novgorod, "fu battezzato." Vi sono un certo numero di punti non chiari nella sua Vita: l'edizione contemporanea della sua Vita dice che "egli ricevette l'Ortodossia," senza indicare con quale rito fu ricevuto nella Chiesa Ortodossa.(54)

Non vi sono basi per presumere che la Chiesa russa ribattezzasse i latini giunti all'Ortodossia durante il periodo pre-mongolico. I metropoliti greci a capo della Chiesa russa appartenevano al Patriarcato di Costantinopoli, che a sua volta non ribattezzava i latini quando li riceveva nell'Ortodossia. Solo eventi straordinari potevano provocare le situazioni in cui le chiese di Russia e di Costantinopoli cambiarono questa pratica antica e passarono al ri-battesimo dei latini e di quei protestanti il cui battesimo era compiuto nel nome della Santa Trinità. La pratica di ri-battezzare i non ortodossi giunse tardi nella storia della Chiesa russa. Fu provocata da un certo numero di eventi, che saranno descritti in breve qui sotto.

La Chiesa russa si trovò inaspettatamente in grande pericolo dai latini giunti a imporre il latinismo nei territori russi, con il fuoco e la spada. Il popolo russo, guidato dai propri valorosi principi quali Sant'Alessandro Nevskij (†1263) e San Dovmont-Timoteo di Pskov (†1299), fu forzato a difendere con il sangue la propria fede e la propria patria dagli invasori latini. Tutto ciò non poteva non portare un cambiamento radicale nell'attitudine dei russi nei confronti dei non ortodossi. La precedente cordialità nei loro confronti fu sostituita da un senso di indignazione e disgusto. Gli umili monaci russi non potevano più vedere ordini monastici armati, corazzati di ferro e portatori di morte e desolazione, come loro fratelli in Cristo. Così come in un altro momento i crociati provocarono una frattura irreparabile e senza precedenti nelle relazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa Ortodossa Greca, così i monaci teutonici portatori di spada provocarono danni irreparabili nelle relazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa Ortodossa Russa.

Gli eventi successivi causarono un'ulteriore deterioramento di queste relazioni.

Il Papa Eugenio IV tentò di soggiogare la Chiesa Ortodossa Russa per mezzo del Metropolita Isidoro di Kiev. Con l'espulsione del Metropolita Isidoro, si iniziò in Russia a dirigere letteratura polemica contro i latini. In questo modo sia in pratica che in teoria il popolo russo vedeva i latini come nemici mortali dell'Ortodossia e della Russia. Le severe persecuzioni contro gli ortodossi nei territori confinanti della Russia sud-occidentale, delle quali Mosca sapeva e si lamentava, provocarono odio contro i latini.

Un successivo tentativo dei latini, con l'assistenza della Polonia cattolica e per mezzo del Falso Dimitri e di Marina Mnishek [un pretendente al trono russo e sua moglie polacca, †1614], di distruggere completamente l'Ortodossia russa nello stesso stato della Moscovia e nel sacro Cremlino fece traboccare d'ira la coppa dei popolo russo. L'amarezza del popolo fu tale che dopo l'uccisione del Falso Dimitri (17 Maggio 1606) la folla irruppe nel Cremlino e uccise tre cardinali, 4 preti latini e 26 "insegnanti stranieri." È interessante notare che durante il regno del Falso Dimitri sorse la questione dell'accettazione ufficiale dell'Ortodossia da parte di Marina Mnishek come tsarina della Russia. Il metropolita greco di Mosca, Ignazio, la ricevette nell'Ortodossia non per mezzo del battesimo ma per mezzo della cresima, cosa della quale il suo successore, il Patriarca Filarete, lo considerò degno di colpa. Il Professor Kartashev nota:

"La stretta e uniforme pratica russa del ri-battesimo fu stabilita in seguito, nel 1620, dal Patriarca Filarete. Ma anche allora una parte dell'episcopato russo si espresso contro questa pratica."(55) 
Al Concilio di Mosca del 1620, la Chiesa russa decise di ri-battezzare i non ortodossi, in questo caso i latini, che entravano nella Chiesa Ortodossa. Queste decisioni erano il risultato dell'insistenza del Patriarca Filarete. Esamineremo che cosa richiedevano queste decisioni, e come vennero messe in pratica.

Le sofferenze sperimentate dalla Chiesa russa e personalmente dal Metropolita Filarete di Rostov, futuro Patriarca di tutta la Russia, che furono causate durante il Periodo dei Torbidi dai latini determinati con mezzi leciti o illeciti a soggiogare la Chiesa russa e a portarla all'Unia con Roma, con un totale disprezzo di tutto quanto era ortodosso e russo, non fece altro che esacerbare l'antipatia russa verso i latini che, in quei tempi preoccupanti, erano visti come nemici mortali sul piano spirituale. Nonostante tutto ciò, un certo numero di vescovi russi mantenne la posizione che nel ricevere i cattolici nella Chiesa Ortodossa era sufficiente ungerli con il Santo Crisma senza ri-battezzarli. È solo come risultato di ciò che può essere descritto come forte pressione personale da parte del Patriarca Filarete, che il Concilio di Mosca del 1620 decretò che i latini fossero ri-battezzati al momento della conversione all'Ortodossia.

Il Patriarca Filarete disse del Patriarca (o Metropolita) Ignazio, che fu deposto senza alcun processo giuridico:

"Il Patriarca Ignazio, accattivandosi i favori degli eretici di fede latina, accettò Marinka [Marina Mnishek], di fede eretica papista, nella cattedrale della Santissima Sovrana nostra Theotokos, senza compiere un santo battesimo secondo la legge cristiana, ma si limitò a ungerla con il Santo Crisma e quindi la incoronò [sposò] con quel depravato deposto, e diede a entrambi i nemici di Dio, al depravato e a Marinka, il Corpo e il Santo Sangue di Cristo. Per questa colpa egli, Ignazio, fu deposto dal proprio trono e ministero dai santi ierarchi della grande e santa Chiesa russa secondo i santi canoni, per aver violato i canoni dei santi Apostoli e dei Santi Padri."(56)

In seguito, Il Patriarca Filarete incolpò il locum tenens del trono patriarcale, il Metropolita Giona, di non ri-battezzare i latini. Il Professor Kartashev scrive:

"Giunse al Patriarca Filarete l'accusa che il Metropolita Giona non aveva permesso il ri-battesimo di due polacchi, Jan Slobodski e Matfei Sventitski, giunti all'Ortodossia, ma solo che fossero cresimati e ammessi alla comunione. Fu fatto riferimento da Giona all'antica pratica secondo le "Domande di Nifon a Kirik.'(57) Il patriarca convocò il Metropolita Giona per una spiegazione e lo rimproverò per avere introdotto un'innovazione non ordinando il ri-battesimo dei latini. Per sottomettere Giona con la propria autorità, il patriarca incluse la questione nell'ordine del giorno della successiva sessione plenaria del Concilio il 16 ottobre 1620. Filarete stesso apparve con un discorso di accusa per provare che il battesimo eretico non è un battesimo ma 'nient'altro che contaminazione.' Per questa ragione il Patriarca Ignazio era stato deposto, per aver mancato di battezzare Marinka... Tutti gli eretici sono privi di vero battesimo. Tutti gli argomenti teologici del Patriarca Filarete mostrano lo spaventoso declino del livello di conoscenza nella gerarchia russa del tempo, e specialmente quello di Filarete stesso, che era infettato da un odio passionale per i polacchi latini. Il Patriarca Filarete disse: 'I papisti latini sono i più vili e feroci tra tutti gli eretici, dato che includono nella loro legge tutte le eresie degli antichi greci, dei giudaizzanti, degli ariani e delle fedi eretiche, assieme agli adoratori degli idoli pagani, e a tutti gli eretici condannati, con tutte le loro immaginazioni e attività.' Rivolgendosi a Giona Filarete chiese: 'Come osi iniziare a introdurre qui in questa città capitale cose che sono contrarie ai canoni dei Santi Apostoli e ai santi Padri, comandando che i latini, che sono peggiori dei cani e nemici consapevoli di Dio, siano accolti non con il battesimo ma solo tramite la cresima?' Quindi il Patriarca Filarete pose una censura sul Metropolita Giona, vietandogli di celebrare. Tutte le argomentazioni e i riferimenti offerti dal Metropolita Giona furono rifiutati da Filarete." Senza tener conto di alcun dato storico o di archivio, e solo, per così dire, di sua volontà, Filarete annunciò: "Nel nostro stato di Mosca, dalla sua stessa fondazione, non è mai avvenuto che gli eretici latini e gli altri eretici non fossero battezzati." Secondo la dichiarazione del Patriarca Filarete, il latinismo è il deposito e la fonte di tutte le eresie.(58) Entro due settimane sorse la questione di come ricevere gli uniati che si accostavano all'Ortodossia, e gli altri slavi che erano infetti dallo spirito del calvinismo. Il Patriarca Filarete decretò che tutti, anche quelli che erano stati battezzati ortodossi e avevano in seguito lasciato l'Ortodossia, dovevano essere ri-battezzati. Quanto erano stati battezzati per infusione e non per immersione dovevano allo stesso modo essere ri-battezzati. Queste decisioni rigorose ebbero risultati sfortunati. Fu impedito un ritorno in massa di fratelli slavi. Nel 1630 perfino un Arcivescovo uniata, Atenogene Kryzhanovski, fu ri-battezzato. In origine aveva ordinazioni puramente ortodosse fino al rango incluso di Archimandrita. Era stato allettato ad andarsene per diventare unarcivescovo uniata. Al suo rientro e dopo il suo ri-battesimo venne ri-ordinato."(59)

Il decreto del Concilio di Mosca del 1620 sul ri-battesimo dei latini, uniati, luterani e calvinisti fu ben presto riconosciuto come un errore e fu revocato molto rapidamente. Si giunse a questo decreto solo come risultato dell'odio verso i non ortodossi a causa della persecuzione sofferta per causa loro dalla Chiesa russa, come fa notare il Metropolita Macario di Mosca, autore della monumentale storia della Chiesa russa.(60) Un altro storico della Chiesa russa, l'Arcivescovo Filarete (Gumilevskij) scrive: "La decisione è scorretta alla luce dell'insegnamento della Chiesa, ma è comprensibile a causa dei terrori di quel tempo."(61) Il Patriarca Nikon, con la sua mente brillante, non poteva non riconoscere l'errore di tale decisione, e la rescisse due volte. Durante il Concilio ecclesiastico del 1665, Il Patriarca Nikon e i padri conciliari decretarono che il ri-battesimo dei polacchi è illegale e revocarono la necessità di riceverli nell'Ortodossia per mezzo del ri-battesimo, decretando che questo avesse luogo mediante la cresima.(62) Allo stesso modo al Concilio ecclesiastico che ebbe luogo l'anno successivo (1666), presieduto dallo stesso Patriarca Nikon, lo stesso tema fu di nuovo portato alla discussione. Il Metropolita Macario scrive:

"Si sentì la necessità di dibattere ancora una volta tale questione. Tutti i vescovi russi furono invitati a questo nuovo concilio, assieme al metropolita di Kazan. Il Patriarca di Antiochia Macario insistette ancora che i latini non fossero ri-battezzati quando si convertivano all'Ortodossia, ed ebbe una calorosa discussione con la gerarchia russa. Cercò di convincerli facendo riferimento ai loro libri dei canoni. Per sostenere i suoi argomenti, presentò un estratto di un antico libro greco portato dal Monte Athos, che faceva una dettagliata analisi della questione, e in questo modo costrinse i vescovi russi, per quanto riluttanti, a sottomettersi alla verità. Questo estratto, formato da Macario, fu presentato al sovrano (lo Tsar Aleksei Mikhailovich), tradotto in russo, stampato e diffuso. Lo Tsar emanò un Ukaz che proibiva il battesimo dei polacchi e degli altri appartenenti alla stessa fede. Non soddisfatto di tutto ciò Macario, che ben presto lasciò Mosca, inviò una lettera a Nikon sullo stesso tema. Il Patriarca Macario scrisse al Patriarca Nikon che "i latini non devono essere ri-battezzati: hanno i sette sacramenti e tutti e sette i Concili, e sono tutti battezzati correttamente nel nome del Padre, Figlio e Santo Spirito con un'invocazione della Santa Trinità. Dobbiamo riconoscere il loro battesimo. Sono solo scismatici, e lo scisma non rende un uomo infedele e non battezzato. Lo separa soltanto dalla Chiesa. Lo stesso Marco di Efeso, che si oppose ai latini, non pretese mai il loro ri-battesimo e accettò il loro battesimo come corretto."(63)

La norma finale e decisiva in materia fu il decreto del Grande Concilio di Mosca del 1667. Il Patriarca Ioasaf II prese parte al Concilio, che ebbe luogo durante il regno dello stesso Aleksei Mikhailovich.

Qui vi è quanto leggiamo nella "Storia della Chiesa russa" del Metropolita Macario:

"Il rito per la ricezione dei latini nella Chiesa Ortodossa fu ora completamente cambiato. È noto che, in accordo con lo Statuto Conciliare del Patriarca Filarete Nikitich, in Russia i latini venivano ri-battezzati. Anche se al tempo del Patriarca Nikon, su insistenza del Patriarca Macario di Antiochia, che era in quel tempo a Mosca, fu decretato due volte in Concilio che i Latini non sarebbero stati ri-battezzati in futuro, l'abitudine profondamente radicata di ri-battezzare rimase nella pratica. Ecco perché lo Tsar Aleksei Mikhailovich propose che il Grande Concilio discutesse la questione e prendesse una decisione. I padri conciliari rividero con cura lo statuto del Patriarca Filarete Nikitich e giunsero alla conclusione che le leggi erano state interpretate e applicate ai latini in modo scorretto. Fecero quindi riferimento ai precedenti statuti conciliari per i quali si vietava di ri-battezzare perfino gli ariani e i macedoniani nel caso del loro ingresso nell'Ortodossia, e tanto più, dissero i padri, i latini non dovevano essere ri-battezzati. Fecero riferimento al Concilio dei quattro Patriarchi Orientali tenuto a Costantinopoli nel 1484, che decretò di non ri-battezzare i latini al loro ingresso nell'Ortodossia, ma solo di ungerli con il Crisma, e che compose perfino lo stesso rito per la loro ricezione nella Chiesa. Fecero riferimento al sapiente Marco di Efeso che, nella sua epistola indirizzata a tutti gli ortodossi, offre lo stresso insegnamento, e decretarono:

'I latini non devono essere ri-battezzati, ma dopo la loro rinuncia alle proprie eresie e confessione dei peccati, devono unicamente essere unti con il crisma e ammessi ai Santi Misteri, e in tal modo portati in comunione con la santa, cattolica Chiesa Orientale, in accordo ai sacri canoni (Capitolo 6)'."(64)

Dal 1718 il Concilio Spirituale [Sinodo] decretò di non ri-battezzare i protestanti che erano stati battezzati nel nome della Santa Trinità.(65) Da quel tempo la Chiesa russa non è mai ritornata al ri-battesimo di latini, luterani, anglicani e calvinisti. In seguito la Chiesa russa decretò che i cattolici romani confermati e gli armeni cresimati fossero ricevuti per mezzo del terzo rito, ovvero attraverso la confessione e il ripudio delle eresie. Luterani, calvinisti e altri protestanti battezzato per triplice immersione (o per infusione), sarebbero stati ricevuti per mezzo del secondo rito, ovvero per mezzo della cresima e il ripudio delle eresie. Venivano cresimati in primo luogo perché non avevano un simile sacramento, e in secondo luogo perché non avevano un sacerdozio basato sulla successione apostolica. Anglicani ed episcopaliani sono parimenti ricevuti per mezzo del secondo rito perché è discutibile (come scrisse il Metropolita Filarete di Mosca) se la loro chiesa abbia mantenuto o meno la successione apostolica.

I teologi russi aderirono strettamente al principio di non ri-battezzare i latini, gli armeni e quei protestanti che nelle loro chiese d'origine sono stati battezzati nel nome della Santa Trinità. I membri della casa reale che erano in origine protestanti furono ricevuto nell'Ortodossia tramite la cresima.

Nell'opera ben nota dell'Arcivescvovo Beniamino, "Novaja Skrizhal'" ["Le Nuove Tavole della Legge"] leggiamo quanto segue:

"Tutti gli eretici sono divisi in tre tipi. Al primo appartengono quelli che non credono nella Santa e Coessenziale Trinità e non compiono il battesimo per triplice immersione in acqua; questi, assieme ai pagani e ai maomettani, vanno battezzati come decreta il Canone 19 del Primo Concilio Ecumenico. Gli eretici del secondo tipo sono quelli che credono nell'Unico Dio nella Trinità e sono battezzati per triplice immersione, ma hanno le loro delusioni ed eresie, e con l'eccezione del battesimo o non riconoscono gli altri sacramenti o, nel compiere impropriamente gli altri sacramenti, rifiutano cresima. Essi non devono essere battezzati poiché sono battezzati, ma, in seguito al ripudio delle loro eresie e alla confessione della Fede ortodossa, vanno uniti alla Chiesa per mezzo del sacramento della Cresima, come è prescritto dal Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico. Il terzo tipo di eretici, chiamati dissidenti, mantiene tutti e sette i sacramenti inclusa la cresima, ma, essendosi separati dall'unità della Chiesa Ortodossa, osano aggiungere alla pura confessione della fede le loro delusioni, che sono contrarie agli antichi insegnamenti degli Apostoli e dei Padri della Chiesa, e introdurre molte vedute perniciose nella Chiesa, e rifiutando gli antichi e pii riti della Chiesa, introducono nuove tradizioni, contrarie allo spirito della pietà. Questi non li battezziamo per la seconda volta né li ungiamo con il Santo Crisma. Dopo il ripudio della loro delusione e la penitenza per i loro peccati, essi confessano il Simbolo Ortodosso della Fede e sono purificati dai loro peccati per mezzo delle preghiere e dell'assoluzione ierarchica."(66)

Il libro del vescovo Partenio di Smolensk, "Sui doveri del parroco," approvato dal Sinodo per tutte le chiese, contiene regole per i riti appropriati per la ricezione nella Chiesa Ortodossa dei latini e dei protestanti che sono stati battezzati nel nome della Santa Trinità. Alcuni vanno ricevuti per mezzo del terzo rito; altri per mezzo del secondo. Quei preti che vorrebbero ri-battezzare latini e luterani sono definiti "ignoranti" (§82).

Nel 1858 In Santo Sinodo pubblicò i riti che descrivevano in dettaglio in che modo e per mezzo di quale rito vanno ricevuti i non ortodossi che entrano nella Chiesa Ortodossa. Uno di questi si intitola: "Rito per ricevere nell'Ortodossia coloro che non sono mai stati di retta fede, e sono stati cresciuti fin dall'infanzia fuori della Chiesa Ortodossa, ma che hanno un vero battesimo nel Nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito."

Il Metropolita Filarete di Mosca preparò un rito per ricevere un prete cattolico romano, che deve essere ricevuto per mezzo del terzo rito, senza alcuna ripetizione di battesimo, cresima oppure ordinazione.(67) Ma un tale prete può conservare il suo rango sacrale nella Chiesa Ortodossa solo nel caso che sia rimasto celibe, ovvero che non abbia violato il voto fatto al momento della sua ordinazione sposandosi. Se si è sposato prima della sua conversione all'Ortodossia, è ricevuto come un laico e non conserva il diritto al proprio rango sacerdotale. (68)

Il libro dell'Arcivescovo Sergio di Astrakhan "Regole e riti per la ricezione di cristiani non ortodossi nella Chiesa Ortodossa" (Viatka, 1894) presenta i tre riti per la ricezione di cristiani non ortodossi nella Chiesa Ortodossa sulla stessa base e con la stessa comprensione degli autori sopra citati.

Per controbattere le accuse dei Vecchi ritualisti di ogni tipo, dirette contro la Chiesa Ortodossa perché non ri-battezzava latini, luterani e calvinisti, il Metropolita Gregorio pubblicò il libro "La Veramente antica e Vera Chiesa Ortodossa di Cristo," che presenta spiegazioni apologetiche per questo modo di fare, nella Parte 2, Capitoli 33 e 34. Si vedano anche gli Atti dell'Accademia Teologica di Kiev, Giugno-Agosto 1864, "Sulla ricezione dei cristiani non ortodossi nella Chiesa Ortodossa: Analisi storica e canonica contro gli asacerdotali." Si veda anche l'articolo in Khristianskoje Chtenyie, Giugno 1865, "Analisi del principio in base al quale gli asacerdotali giustificano la loro pratica del ri-battesimo degli ortodossi nella loro conversione allo scisma."

I riti, sulla cui base la Chiesa Ortodossa compie la conversione all'Ortodossia di cattolici romani e protestanti, sono forniti dal "Manuale per lo studio dell'ordine [Ustav] degli offici" di P. K. Nikolskij. Il testo contiene anche un certo numero di istruzioni e direttive di autorità ecclesiastiche in materia. 
Il ben noto "Libro di riferimento per ministri sacri" di S. V. Bulgakov offre una lista dettagliata di come compiere ciascuno dei tre riti con i quali gli eterodossi e i non ortodossi sono ricevuti nell'Ortodossia. Vi è pure una lista di istruzioni e direttive di autorità ecclesiastiche a riguardo.(69)

Troviamo le stesse direttive e regole in altri manuali per il clero parrocchiale e nelle collezioni di decreti ecclesiastici su vari argomenti.

Ora elencheremo un certo numero di regolamenti della Chiesa russa sul tema della ricezione di latini e protestanti nell'Ortodossia.

Come abbiamo notato in precedenza, la legislazione ultima che proibisce il ri-battesimo dei latini alla loro conversione all'Ortodossia, è il decreto del Grande Concilio di Mosca del 1667, Capitolo 6.

La più recente legislazione che proibisce il ri-battesimo di quei protestanti il cui battesimo è compiuto per triplice immersione nel nome della Santa Trinità fu il decreto del Concilio Spirituale del 1718.

Altri decreti e direttive in seguito promulgate dalle autorità della Chiesa si basarono sui due decreti precedenti. Tali direttive si possono sistematicamente elencare come segue:

- La benedizione [permesso] del vescovo diocesano non è richiesta per ogni caso di unione alla Chiesa Ortodossa di cattolici romani, armeni, nestoriani, luterani e calvinisti. Solo in situazioni speciali e nell'evento di una conversione di massa il vescovo deve essere messo al corrente per ottenere la sua benedizione e istruzioni.(70)

- L'unione alla Chiesa Ortodossa è preceduta da istruzioni e dall'affermazione degli insegnamenti della Chiesa Ortodossa, con l'apprendimento di certe preghiere.(71)

Quanto ai malati, si fa per loro ogni accomodamento, e l'istruzione è data alla luce delle loro forze, e la loro ricezione non dovrebbe essere ritardata.(72)

- Si richiede una dichiarazione scritta da parte di quanti giungono all'Ortodossia, che essi stanno accettando l'Ortodossia di propria volontà. La loro ricezione si annota nella prima parte del registro parrocchiale di battesimo, matrimonio e morte. In alcune parti dell'Impero dove vivono ortodossi e non ortodossi, è richiesto che le autorità locali notifichino il locale prete cattolico romano o pastore luterano se un membro della loro parrocchia si converte all'Ortodossia.

- Segue quindi il rito vero e proprio con il quale la persona non ortodossa è ricevuta nella Chiesa. Anche se quanto segue è ripetitivo, sentiamo che è conveniente reiterare la legislazione della Chiesa russa in materia.

Le persone non ortodosse sono ricevute con uno dei tre riti:

- Il terzo rito - penitenza degli errori precedenti, ripudio di tali errori e una confessione della Fede ortodossa. Da usarsi per persone che si convertono dalla fede cattolica romana e dagli armeni, a condizione che i primi abbiano ricevuto la confermazione dal loro vescovo, e che i secondi siano stati cresimati dal loro clero. Se non sono stati confermati, o se c'è qualche dubbio che siano stati confermati, dovrebbero essere unto con il Santo Crisma.

- Il secondo rito - penitenza, ripudio delle eresie, confessione della Fede ortodossa e cresima. Da usarsi per la ricezione di luterani, calvinisti e anglicani (episcopaliani). Luterani e calvinisti, perché non hanno il sacramento della cresima e non hanno un clero con successione apostolica. Anglicani, perché la successione apostolica del loro clero è messa in discussione, come fu notato dal Metropolita Filarete di Mosca.

- Il primo rito - battesimo e cresima. Da usarsi per la ricezione di pagani, ebrei, musulmani e di quei membri di sette che non credono nella Santa Trinità né compiono un battesimo per triplice immersione nel nome delle persone della Santa Trinità.

Le persone in pericolo di morte che desiderano essere ricevute nell'Ortodossia vengono ricevute attraverso l'imposizione delle mani del prete e la confessione della persona morente, che in seguito può ricevere i sacri misteri. Questo ordine è appropriato nel caso di un cattolico romano o di un armeno. Luterani, calvinisti ed episcopaliani dovrebbero essere ricevuti con l'unzione del Santo Crisma sulla fronte, seguita dalla comunione ai santi misteri. Il funerale si compie secondo il rito ortodosso.(73)

Queste erano le leggi fondamentali della Chiesa russa riguardo alla ricezione dei non ortodossi nell'Ortodossia.(74)

Bulgakov riassume in modo simile i metodi per la ricezione nell'Ortodossia come segue:

Vi sono tre riti per la ricezione di quanti si convertono alla Chiesa Ortodossa: battesimo, cresima, e penitenza e comunione con i Santi Doni.

Pagani, ebrei e musulmani sono ricevuti nella Chiesa Ortodossa per mezzo del battesimo. In aggiunta, quei seguaci di sette cristiane che deviano dai dogmi fondamentali della Chiesa Ortodossa, respingono l'insegnamento ortodosso sulla Santa Trinità e l'amministrazione del sacramento del battesimo (quali gli eunomiani che rifiutavano l'uguaglianza delle Persone della Santa Trinità e compivano un battesimo con una singola immersione nella morte di Cristo, o i montanisti che compivano il battesimo nel nome del Padre, del Figlio, di Montano e Priscilla), allo stesso modo sono ricevuti per mezzo del battesimo.

Quei membri di sette che compiono il battesimo correttamente per mezzo di tre immersioni con le parole divinamente formulate: "Nel nome del Padre, del Figlio e del Santo Spirito," ma errano in particolari dogmi di fede (ariani, macedoniani e altri) sono da ricevere per mezzo della cresima.

I dissidenti dalla Chiesa che hanno una gerarchia legittima ma sono separati dalla Chiesa Ortodossa su questioni morali, rituali o disciplinari, come pure da insegnamenti dogmatici di un livello secondario (donatisti, eutichiani, nestoriani) sono da ricevere per mezzo della penitenza e del ripudio dei loro errori.

La Chiesa Ortodossa Russa si conforma alle leggi della Chiesa antica in situazioni simili. Riconoscendo che il battesimo è la condizione essenziale per entrare nei ranghi dei propri membri, essa riceve ebrei, musulmani, pagani e quei membri di sette che distorcono i dogmi fondamentali della Chiesa Ortodossa, per mezzo del battesimo. Riceve i protestanti per mezzo della cresima. Quei cattolici e armeni che non sono stati confermati o cresimati dai loro pastori, li riceve allo stesso modo per mezzo della cresima. Quei cattolici e armeni che sono stati confermati o cresimati, li riceve per mezzo del terzo rito: con la penitenza, il ripudio degli errori e la ricezione dei Santi Misteri."(76)

Riguardo ai membri della Chiesa Anglicana, Bulgakov è dell'opinione che un prete non possa assumere su di sé la responsabilità di riceverli per mezzo del terzo rito, e che debba riceverli per mezzo del secondo rito, tramite la cresima, come si faceva al tempo del Metropolita Filarete di Mosca. In caso di dubbio, il prete è obbligato a consultarsi con l'autorità diocesana.(76)

L'Arciprete Nikolskij riassume il tema della ricezione dei non ortodossi come segue:

"Il sacramento della cresima, separato dal battesimo, è compiuto sugli eterodossi che si uniscono alla Chiesa Ortodossa, ma solo su quanti, avendo ricevuto un battesimo appropriato, non sono stati cresimati, come i luterani, i calvinisti e quei cattolici romani e armeni che non sono unti con il crisma (non confermati)."(77)

Il clero cattolico romano, come sopra notato, è ricevuto nel proprio ordine, in seguito alla penitenza, al ripudio dell'eresia e alla confessione della Fede ortodossa. Il rito vero e proprio di ricezione nell'Ortodossia di un prete cattolico romano fu compilato dal Metropolita Filarete di Mosca.(78)

Riguardo alla validità degli ordini del clero anglicano, il Metropolita Filarete non li respingeva né li riconosceva e raccomandava la ri-ordinazione all'ingresso nell'Ortodossia, con l'osservanza della formula condizionale: "Se non sei ordinato." Nell'opinione di alcuni studiosi russi (e.g., il Prof. V. A. Sokolov), la Chiesa Anglicana ha conservato la successione apostolica e tutti i sacramenti della Chiesa. Nell'opinione di altri, le cose non stanno così. Non ci sono state determinazioni autorevoli da parte della Chiesa in materia.(79)

La Chiesa russa riceveva gli uniati che desideravano ritornare nel seno della Chiesa Ortodossa con grande gioia. Essi ritornavano all'Ortodossia come individui, come parrocchie e come intere diocesi. Durante il regno di Caterina la Grande, fino a due milioni di uniati si unirono alla Chiesa Ortodossa. Nel XIX secolo, gli uniati si convertirono all'Ortodossia a migliaia. Come li riceveva la Chiesa Ortodossa Russa? Li riceveva con amore. Il loro stesso desiderio di riunirsi alla Santa Chiesa ortodossa era sufficiente a proclamare che essi erano suoi figli. L'amore della Madre Chiesa faceva mettere da parte tutti gli impedimenti e tutti i riti con i quali essi avrebbero dovuto essere ricevuti nell'Ortodossia. Il Vescovo Porfirio Uspenskij, descrivendo la sua udienza con il Patriarca di Costantinopoli nel 1843 scrive di avere informato il Patriarca che nel, 1841, 13.000 uniati si erano riuniti alla Chiesa Ortodossa Russa. Il Patriarca chiese: "Li avete battezzati?" Il Vescovo (allora Archimandrita) Porfirio Uspenskij diede una risposta negativa, spiegando al Patriarca che "gli uniati, per propria convinzione e fede interiore, sono sempre stati in comunione con la nostra Chiesa e non hanno alcun bisogno di essere ri-battezzati."(80) Quando gli uniati furono riuniti alla Chiesa Ortodossa nel 1916, al tempo in cui l'esercito russo occupò la Galizia, la Chiesa russa ancora una volta espresse un'eccezionale cordialità: gli uniati erano ricevuti come "nostri." Non c'era la più pallida enfasi sul fatto che stessero lasciando qualcosa e giungendo a qualcosa di nuovo. La Santa Chiesa Russa li riceveva come propri figli semplicemente in risposta al loro desiderio di essere figli della Chiesa Ortodossa. L'Imperatore Nicola Aleksandrovich era in completo accordo con questo trattamento delicato e magnanimo nei loro confronti.(81)

Per riassumere il materiale presentato in questo capitolo, diremo che nei tempi antichi la Chiesa russa non ri-battezzava i latini che si convertivano all'Ortodossia. Il ri-battesimo fu introdotto per un breve periodo (dal 1620 al 1667) come risultato degli orrori che la Chiesa russa e il popolo russo sperimentò da parte dei latini e della Polonia cattolica durante il Periodo dei Torbidi. Dal 1667 - rispetto ai latini, e dal 1718 - rispetto ai luterani e calvinisti, la legge sul ri-battesimo fu abrogata una volta per tutte. Secondo le opinioni dei nostri prominenti teologi, la legislazione della Chiesa Ortodossa Russa ha seguito la tradizione stabilendo il rito per la ricezione dei non ortodossi nella Chiesa Ortodossa. Questi punti di vista e queste leggi si distinguevano per i principi umani e tolleranti che erano caratteristici della Chiesa russa. Dove vi è la Verità, là vi saranno forza e magnanimità. Quant'è meravigliosa la nostra grande e saggia Chiesa russa!

 

Il Concilio di Costantinopoli del 1756

Il Concilio di Costantinopoli del 1756, al tempo del Patriarca Cirillo, prese la decisione che è appropriato ricevere i cattolici romani e i protestanti che si convertono alla Chiesa Ortodossa esclusivamente per mezzo del battesimo. In aggiunta al Patriarca Cirillo di Costantinopoli, anche i Patriarchi Matteo di Alessandria e Partenio di Gerusalemme firmarono questa decisione. Questo decreto dice:(82)

"Tra i mezzi con i quali ci è assicurata la salvezza, il battesimo è il primo che è stato affidato da Dio ai Santi Apostoli. Quando tre anni or sono è stata sollevata la questione se sia appropriato riconoscere il battesimo degli eretici che si rivolgono a noi (con un desiderio di essere ricevuti nella nostra fede) allora - per quanto tale battesimo sia compiuto contrariamente alla tradizione dei Santi Apostoli e dei Santi Padri, e parimenti contrario alla pratica e ai decreti della Chiesa Cattolica e Apostolica, - noi, cresciuti dalla misericordia di Dio nella Chiesa Ortodossa, conservando i Canoni dei Santi Apostoli e dei Divini Padri e riconoscendo la nostra Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica e i suoi misteri, tra i quali vi è il divino battesimo, e di conseguenza, considerando tutto quanto ha luogo tra gli eretici e non è compiuto nel modo comandato dallo Spirito Santo e dagli Apostoli e nel modo conforme alla Chiesa di Cristo, come contrario a tutta la tradizione apostolica e come invenzione di gente corrotta - noi, per decisione comune, scartiamo ogni battesimo eretico e così riceviamo tutti gli eretici che si volgono a noi, come se non fossero stati santificati né battezzati, e noi prima di tutti seguiamo nell'obbedienza il nostro Signore Gesù Cristo che comandò ai Suoi Apostoli di battezzare nel nome del Padre, Figlio e Santo Spirito. Seguiamo inoltre i Santi e Divini Apostoli che stabilirono la triplice immersione mentre si pronuncia ogni nome della Santa Trinità. Seguiamo inoltre il Santo e Isapostolo Dionigi(83) che dice che i catecumeni, deposte tutte le vesti, devono essere battezzati nel fonte, in acqua e olio santificati, invocando le tre ipostasi della Divinità Tuttabeata, quindi unti con il Crisma divinamente creato, quindi divengono degni della salvifica Eucaristia. Infine seguiamo i Concili Ecumenici, il Secondo e il Quinisesto, che prescrivono che quanti si volgono all'Ortodossia siano considerati come non battezzati se non sono stati battezzati per triplice immersione, in ciascuna delle quali è pronunciato il nome di una delle Ipostasi divine, ma sono stati battezzati in qualche altro modo. Aderendo a questi Santo e Divini decreti, consideriamo il battesimo eretico come degno di giudizio e di ripudio in quanto non si conforma - ma anzi la contraddice - alla formazione Apostolica e Divina e non è altro che un'inutile abluzione, secondo le parole di Sant'Ambrogio e di Sant'Atanasio il Grande, che non santifica il catecumeno né lo purifica dal peccato. Ecco perché noi riceviamo tutti gli eretici che si volgono all'Ortodossia come coloro che non sono stati battezzati appropriatamente o che non sono stati battezzati del tutto, e senza alcuna esitazione li battezziamo secondo i canoni apostolici e conciliari sui quali si regge fermamente la Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa di Cristo, la madre comune di noi tutti. Affermiamo questa nostra unanime decisione che è in conformità con i canoni apostolici e conciliari, con un decreto sottoscritto dalle nostre firme."

Come il Vescovo Nikodim Milash fa notare: "...questa decisione sinodale non menziona per nome i cattolici romani, e non dice che il loro battesimo dovrebbe essere rifiutato e che essi dovrebbero essere battezzati alla conversione alla Chiesa Ortodossa; tuttavia, è piuttosto evidente da ciò che è detto e da come tutto è formulato nella decisione."(84)

Il "Pedalion" (Kormchaya Kniga) dichiara apertamente che questa decisione si riferisce ai cattolici romani. In una lunga discussione sulla ricezione dei non ortodossi per mezzo del battesimo leggiamo: 
"Il battesimo latino è erroneamente chiamato con tale nome: non è per nulla un battesimo ma è semplicemente un'abluzione. Ecco perché non diciamo che 'ri-battezziamo' i latini, ma li 'battezziamo'. I latini non sono battezzati poiché non compiono la triplice immersione al battesimo, che è stata una tradizione nella Chiesa Ortodossa fin dai primi inizi degli apostoli."(85)

Neppure una singola Chiesa Ortodossa, eccetto quella greca, accettò questa decisione. La Chiesa Ortodossa Russa, nel ricevere i non ortodossi che si convertono all'Ortodossia, seguì i canoni adottati nel 1667 e nel 1718, che riconosceva i battesimi compiuti nelle chiese cattolica romana e luterana come validi e non li ripeteva.

Il ben noto canonista della Chiesa Ortodossa Serba, il Vescovo Nikodim Milash, spiega:

"I non ortodossi sono ricevuti nella Chiesa o: 1) con il battesimo, oppure 2) con la cresima, oppure 3) con la penitenza e la confessione della Fede ortodossa. Ciò fu stabilito fin dal V secolo, come testimonia il Presbitero Timoteo della Chiesa di Costantinopoli nella sua epistola al suo concelebrante Giovanni. La Kormchaya [Pedalion] fornisce questa epistola, in cui è scritto: "Vi sono tre riti per accettare quanto giungono alla Santa, Divina, Cattolica e Apostolica Chiesa: il primo rito richiede il santo battesimo, nel secondo noi non battezziamo, ma ungiamo con il Santo Crisima, e nel terzo non battezziamo né ungiamo, ma richiediamo la rinuncia della propria eresia e di ogni altra eresia."

La base per questa posizione è il Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico. Questi tre riti per la ricezione dei non ortodossi nella Chiesa rimangono oggi in piena forza nella Chiesa Ortodossa. Con il primo rito la Chiesa riceve quegli eretici che hanno insegnamenti errati sulla Santa Trinità, che non riconoscono il battesimo o non lo compiono secondo il comandamento divino. Con il secondo rito, ovvero per mezzo della cresima, quegli eretici che sono battezzati nel nome della Santa Trinità e non rifiutano la Santa Trinità, ma sono in errore su certi aspetti della fede; così come quanti non hanno una legittima gerarchia sacra né il sacramento della cresima. Questo include tutti i vari protestanti. Questo rito è pure usato nel ricevere i cattolici romani e gli armeni che non sono stati unti con il Santo Crisma dai loro vescovi o preti. Ma se questi, ovvero i cattolici romani o gli armeni, sono stati unti con il crisma nelle loro chiese, sono ricevuti nella Chiesa Ortodossa per mezzo del terzo rito in cui quanti sono ricevuti, in seguito a un certo periodo di tempo nello studio del catechismo ortodosso, quindi in un ripudio verbale o scritto delle loro precedenti credenze, confessano solennemente il Simbolo della Fede ortodossa e quindi, seguendo le preghiere prescritte da parte del vescovo o prete ortodosso, sono comunicati con i Santi Doni."(86)

Rispetto alle decisioni del Concilio di Costantinopoli del 1756 leggiamo i seguenti punti di vista dello stesso vescovo Nikodim Milash:

"La decisione che ogni cattolico romano e ogni protestante che desidera convertirsi alla Chiesa Ortodossa debba essere battezzato nuovamente fu presa dal Concilio di Costantinopoli del 1756 al tempo del Patriarca Cirillo V. Questa decisione conciliare fu motivata dal fatto che i cristiani occidentali sono battezzati per infusione e non con tre immersioni. Poiché la sola forma appropriata di battesimo è quella compiuta per mezzo di tre immersioni, ne consegue che i cristiani occidentali devono essere considerati non battezzati dato che non furono battezzati in tale maniera, e di conseguenza devono essere battezzati quando vogliono convertirsi alla Chiesa Ortodossa. Questa decisione del summenzionato Concilio di Costantinopoli fu richiesta da circostanze straordinarie, sorte nel XVIII secolo nelle relazioni tra le chiese greca e latina, e fu una reazione da parte della Chiesa greca verso l'aggressione contro la Chiesa da parte della propaganda latina. Da un punto di vista formale la motivazione per questa decisione ha una certa base, dato che i canoni della Chiesa Ortodossa richiedono che il battesimo sia fatto per triplice immersione del battezzato nell'acqua, e lo stesso termine battesimo è derivato dall'atto dell'immersione, e gli stessi canoni condannano quel battesimo farro per mezzo di una singola immersione da vari eretici dei primi secoli della Chiesa cristiana. Ma la Chiesa non ha mai condannato il battesimo fatto per infusione. Non solo, ma la Chiesa stessa permetteva una tale forma di battesimo in caso di necessità e considerava il battesimo per mezzo dell'infusione come non contrario alla tradizione apostolica. Perciò, la summenzionata decisione del Concilio di Costantinopoli non può essere considerata vincolante per l'intera Chiesa Ortodossa, dato che è contraria alla pratica della Chiesa orientale di tutti i secoli, e in particolare alla pratica della stessa Chiesa greca dal tempo della divisione delle chiese al tempo di quel Concilio di Costantinopoli."(87)

E ancora:

"Come risultato delle condizioni eccezionali che sorsero nelle relazioni tra la Chiesa greca e quella latina, il Concilio di Costantinopoli del 1756 promulgò un obbligo di battezzare nuovamente ogni cattolico romano che desiderava convertirsi alla Chiesa Ortodossa. Un obbligo simile, prodotto da una serie di circostanze simile a quelle affrontate dalla Chiesa greca, fu decretato da uno dei Concili di Mosca nel 1620. Ma questi obblighi, che deviavano da molti secoli di pratica della Chiesa orientale, erano visti come esempi estremi di rigore, inevitabilmente richiesti dalle circostanze sfavorevoli dei tempi, e non hanno, né possono avere, un significato universale."(88)

Questa dunque è l'opinione di uno dei canonisti più noti della Chiesa Ortodossa. Ripetiamo che neppure una singola Chiesa Ortodossa, con l'eccezione di quella greca, ha adottato le decisioni sul ri-battesimo di cattolici romani o luterani durante la loro conversione all'Ortodossia.

Guarderemo ora alla circostanze che spinsero alla decisione del Concilio di Costantinopoli del 1756, citato appieno più sopra. Il Professor A. P. Lebedev, nella sua "Storia della Chiesa greco-orientale sotto il dominio dei turchi" scrive quanto segue:

"Il Concilio, sotto il patriarcato di Simeone (a Costantinopoli nel 1484) richiese da parte di un rinnegato latino (ovvero, una persona che desiderava convertirsi dalla Fede cattolica romana alla Fede ortodossa) che rinunciasse soltanto ai suoi errori cattolici romani. Nell'atto della ricezione il rinnegato era unto con il Santo Crisma, come si fa durante il battesimo degli infanti. Il rito era notevole per la sua semplicità. Sotto questo aspetto la Chiesa greca del XV secolo era molto più elevata delle Chiese greche del XVIII e XIX secolo. Come è noto, la Chiesa greca nel XVIII secolo sollevò una rumorosa polemica sui mezzi di ricezione dei convertiti latini - come pure quelli protestanti - all'Ortodossia, e iniziò a inclinarsi verso l'opinione che tali rinnegati debbano essere ri-battezzati come se fossero di fatto eretici che non credono nel dogma Trinitario. Come risultato di queste polemiche, sorse nella chiesa greca una pratica contraria ai canoni, che potesse servire a raffreddare il desiderio dei rinnegati di convertirsi all'Ortodossia, con il risultato che quanti cercavano la verità ortodossa iniziarono a essere ri-battezzati."

Il Professor Lebedev scrive inoltre:

"Uno degli esempi più convincenti, che serve come prova di che grande grado di instabilità esistesse nella Chiesa di Costantinopoli, fu la storia che accompagnò le dispute sul battesimo dei latini. Nel 1751, durante il regno del Patriarca Cirillo V, nella regione di Katirli in Nicomedia apparve un certo monaco, Auxentios [Aussenzio], che era un diacono e che iniziò a predicare al popolo sugli errori dei latini. Con un'insistenza particolare prese a predicare contro la validità del battesimo latino giungendo alla conclusione che i latini (e i protestanti assieme a loro) devono essere ri-battezzati alla loro conversione alla chiesa greca orientale. Il Patriarca Cirillo, per quanto pienamente consapevole della predicazione di Auxentios, diede l'impressione di non saperne nulla, agendo così per paura di provocare l'odio di parte papista, anche se nel profondo dell'anima era in pieno accordo con il predicatore. Il numero di persone in accordo con l'insegnamento di Auxentios' crebbe di giorno in giorno, ma ilPatriarca per cautela non espresse né solidarietà né mancanza di solidarietà con il profeta, così come Auxentios era considerato dal popolo. Auxentios si insinuò come profeta per mezzo di malizia e astuzia. Riuscì ad apprendere dai loro confessori i peccati di alcuni dei loro figli spirituali, e incontrandoli li accusava dei loro peccati che essi ritenevano ignoti a tutti, e li ammoniva con insistenza di astenersi in futuro dal più grande di tali peccati, minacciandoli del castigo eterna. Chi era accusato in tal modo credeva ingenuamente che Auxentios fosse un conoscitore di segreti. Per questo motivo fu percepito come profeta. Auxentios era visto come un sant'uomo, e attraeva numerosi uomini e donne che pendevano da ogni sua parola, di pentivano dei loro peccati, imploravano un'imposizione delle mani e chiedevano le sue preghiere e benedizione. Presto, nell'anno seguente del 1752, vi fu un cambiamento al patriarcato. Al posto di Cirillo, Paissio II divenne patriarca. Egli ordinò immediatamente ad Auxentios di interrompere la sua predicazione sul ri-battesimo di latini e armeni. Sì, armeni, perché il veggente di Katirli profetizzò che il battesimo armeno era invalido. Ma questi non volle ascoltare la voce del patriarca di Costantinopoli. Una o due volte Auxentios fu convocato al sinodo dove fu ammonito collettivamente, ma senza che gli venisse il pensiero di abbandonare la sua delusione. Quindi, per ammonire Auxentios di Katirli, fu inviato un didaskolos [insegnante], un certo Kritios, ma la folla, eccitata dal predicatore fanatico, poté appena essere contenuta dal fare a pezzi il didaskolos. L'eccitazione pubblica crebbe sempre di più. Auxentios non era ascoltato solo dalla gente semplice, ma anche da arconi e arconti, e gran parte di quelli che lo ascoltavano passò dalla sua parte e si unì a lui esprimendo la propria palese insoddisfazione nei confronti del Patriarca Paissio e del sinodo. Sostenuto dalla folla, Auxentios non solo non volle ascoltare le ammonizioni e gli ordini del patriarca e del sinodo, ma osò chiamarli pubblicamente eretici, dichiarando che erano devoti del papato. In opposizione a Paissio, Auxentios lodava il patriarca precedente, Cirillo V, come persona veramente ortodossa, poiché, a dire il vero, Cirillo era incline a condividere le vedute di quell'estremo e irragionevole oppositore dei latini. Il patriarca e i vescovi, in un tentativo di porre fine alla controversia e di calmare la discordia tra greci, armeni e papisti, di nuovo vietò ad Auxentios di continuare la sua predicazione illegale. Ma queste nuove pressioni da parte delle autorità della Chiesa contro Auxentios ebbero come risultato un'espressione pubblica di odio verso il patriarca e i vescovi. L'opposizione dei partigiani di Auxentios contro le autorità della Chiesa prese le caratteristiche di un tumulto. Così il governo turco fu coinvolto nell'affare, con ogni probabilità per l'insistenza del patriarca e del sinodo. Il governo affrontava i responsabili di disordini sociali a modo proprio. Comprese che un'azione diretta e aperta contro Auxentios non sarebbe stata senza pericoli, e così diede inizio a un sotterfugio. Una notte un ufficiale turco molto importante fu inviato da Auxentios a Katirli per invitare il falso profeta a Costantinopoli, presumibilmente per un'udienza distinta con il Gran Vizir. Il piano ebbe successo. L'ambizione di Auxentios era sfrenata. I suoi ammiratori, da parte loro, lo spinsero ad accettare l'invito del Vizir. Ma appena Auxentios si imbarcò e si allontanò dalla riva, come in un piano architettato in precedenza, il sobillatore fu strangolato e il suo corpo gettato nel mare (secondo un'altra versione, Auxentios e due dei suoi principali ammiratori furono impiccati). Il giorno seguente i seguaci di Auxentios arrivarono a Costantinopoli e andarono direttamente al palazzo del Gran Vizir; ma non ebbero alcuna notizia sul fato del loro capo. In seguito, la folla si mosse verso il Patriarcato, urlando e imprecando insulti contro il patriarca. Infine presero il patriarca e iniziarono a percuoterlo. La polizia del Fanar fu appena in grado di strappare il patriarca vivo dalle mani della folla inferocita. Quindi il patriarca si nascose si imbarcò. La folla non poté essere calmata. Circa 5000 persone si mossero verso la Porta e iniziarono a gridare a una voce che non volevano Paissio come patriarca e pretendevano la restaurazione di Cirillo V sul trono. La folla gridò con furia: "Non vogliamo Paissio! È un armeno! È un latino! Ecco perché rifiuta di battezzare armeni o latini! Vuole distruggere il Venerabile (Auxentios)! Non lo vogliamo!" E così Cirillo divenne patriarca. Nel salire al trono fece tutto quanto poteva per favorire il partito di Auxentios. Promulgò un documento ufficiale con il quale decretava di ri-battezzare i cattolici romani e gli armeni che si convertivano all'Ortodossia. Non tutti seguirono la determinazione del patriarca - i più anziani dei vescovi erano contrari, e una protesta particolarmente forte in difesa della verità venne dai Metropoliti Acacio di Cizico e Samuele (più tardi patriarca) di Derconio. Vi fu perfino un trattato che provava l'illegittimità del ri-battesimo. C'è un forte tentativo nel documento del patriarca di minimizzare l'effetto di quel trattato sulle menti. Leggiamo nel documento di Cirillo V: "...tre volte condanniamo l'insensata e anti-canonica composizione. Chiunque accetti ora o in futuro questa composizione, li proclamiamo scomunicati, siano essi preti o laici. I loro corpi alla loro morte non si ridurranno in povere. Pietre e ferro si consumeranno, ma le loro spoglie, mai! Il loro fato porterà loro malanni e strangolamento come a Giuda! La terra li inghiotta come Datan e Abiram! L'angelo del Signore li insegua con la sua spada fino alla fine dei loro giorni." Un erudito scrittore greco, Vendotis, pieno di un senso di indignazione riguardo alla decisione di Cirillo sul ri-battesimo, non poté trovare parole sufficienti a esprimere adeguatamente i suoi sentimenti. Fece notare: forse che non desidera proclamare Dio stesso come protettore di ogni profanazione ed eresia? Forse non vuole proclamare che la Santa e Apostolica Chiesa è capace di cadere nell'errore? Egli scrive inoltre che Cirillo fu in grado di sostenere la sua decisione solo con l'aiuto delle autorità turche. Secondo lui, il Sultano del tempo, Osman, saputo della decisione di Cirillo disse che il patriarca agì come un Mufti islamico, che aveva il diritto di definire l'insegnamento religioso islamico, e che tutti i metropoliti erano obbligati a sottomettersi al patriarca in tale decisione, e chiunque non desiderava farlo, avrebbe dovuto tornare nella sua diocesi affinché potessero cessare le dispute nella capitale.

La controversia sorta sulla questione del ri-battesimo continuò durante il tempo del successore di Cirillo, Callinico IV. Ecco ciò che accadde a questo patriarca. Quando Callinico celebrò per la prima volta nella sua nuova carica, mentre stava sulla solea per impartire la sua benedizione al popolo, udì dai presenti un grido frenetico: "Abbasso il franco, fratelli! Abbasso il franco!" Quindi la folla si avventò sul patriarca e lo trascinò fuori della chiesa, non volendo dissacrare il suolo della chiesa con il sangue. Fu a malapena possibile recuperate lo sfortunato patriarca dalle mani dei seguaci fanatici di Auxentios. Il patriarca, mezzo morto e privo delle vesti, sopravvisse a malapena grazie al coraggio dei suoi chierici. Ira popolare fu diretta al patriarca assolutamente per caso. Il suo pensiero, si diceva nelle supposizioni, era simile a quello dei latini, e questa idea era basata sul fatto che prima di diventare patriarca egli viveva nel sobborgo multinazionale di Galata, e così pensarono che egli fosse una creatura dei latini che vivevano là. Callinico rimase patriarca solo per pochi mesi. Queste dunque furono le lamentevoli circostanze che portarono all'abrogazione dell'antica pratica della Chiesa di ricevere latini e armeni convertiti alla Chiesa Ortodossa per mezzo del loro rifiuto degli errori precedenti, seguito dalla cresima."(89)

Si può aggiungere alle parole del nostro grande studioso che questa determinazione sul ri-battesimo dei latini che si convertivano all'Ortodossia era il risultato di ignoranza e malafede nella preparazione della determinazione. C'è una totale assenza di qualsiasi riferimento alle decisioni dei precedenti Concili, alle opinioni dei Santi Padri quali San Marco di Efeso e San Gennadio II (Scolario) Patriarca di Costantinopoli. Fu un risultato di demagogia e di ristretto sciovinismo. Questa determinazione non può essere in alcun modo chiamata "Ecclesiale" in quanto è qualcosa di alieno a quei grandi canoni ecclesiastici e opinioni dei Santi Padri che erano noti alla Chiesa Ortodossa Universale. Pertanto, è chiaro perché le altre Chiese Ortodosse non la accettarono come tale.

Anche se è un fatto non controverso che questa era un'espressione di odio verso i latini, non possono in alcun modo essere paragonate le circostanze di ciò che accadde in Russia al tempo del Patriarca Filarete e ciò che accadde nel Patriarcato di Costantinopoli nel XVIII secolo. L'assalto dei latini in Russia fu senza precedenti per crudeltà. Vi fu il martirio del Patriarca Ermogene e una persecuzione della Chiesa Ortodossa e dei suoi vescovi. Vi furono piani maliziosi da parte dei latini, che operavano per mezzo del Falso Dimitri, di distruggere tutti i campioni dell'Ortodossia in Russia. Nel mondo greco c'era la presenza di propaganda latina, diffusa in primo luogo dai gesuiti (pari a quella che essi diffondevano in tutti gli altri paesi). Tale propaganda ebbe un effetto minimo nelle terre greche e fu pure contenuta dal potere turco, e, si può dire, fu su scala piuttosto limitata. (90)

Come abbiamo fatto notare, lo sciovinismo greco, che sarebbe cresciuto nei secoli XVII, XVIII e XIX a dimensioni mostruose, giocò una parte non piccola nelle decisioni del Patriarca Cirillo V. Dopo che Costantinopoli fu conquistata, il grande orgoglio della potenza dell'Impero e della sua Chiesa fu rimpiazzato da un malsano sciovinismo tra i greci, e soprattutto tra la gerarchia greca. Questo sciovinismo si proiettava in un odio passionale verso i non ortodossi, un disprezzo verso gli altri popoli ortodossi e una malevolenza perfino verso la Russia, il suo popolo e la sua Chiesa, da cui la Chiesa orientale aveva ricevuto innumerevoli benefici e ricchi doni, godendo della protezione del monarca russo e della Chiesa russa. Per disprezzo verso i russi, non volevano considerare alcunché di autorevole nella legislazione della Chiesa russa, cosa che sarebbe stata loro di beneficio.

Nel suo libro "Il Carattere delle relazioni russe con l'Oriente ortodosso nei secoli XVI e XVII," Il Professor N. F. Kapterev scrive:

"Arrivando a Mosca a chiedere finanziamenti, i greci si profondevano a lodare e glorificare i russi. Erano toccati dall'incontro con la loro genuina e ferma pietà, tuttavia in questo caso parlavano frequentemente senza sincerità, senza un genuino rispetto per la pietà russa, ma con un desiderio di compiacere i russi in ogni modo, per essere amati da loro e accattivarsi i loro favori in anticipo di finanziamenti più generosi. Vedevano i russi come un popolo forte e ricco, ma allo stesso tempo rozzo e ignorante, ancora bisognoso di cure e di guida dai più maturi e istruiti greci. Va da sé che i greci non esprimevano le loro opinioni poco adulatorie mentre erano a Mosca, sotto stretta osservazione, ma quando uscivano dalla Russia non mantenevano questo riserbo."(91) "Agli occhi dei greci, il popolo russo era rozzo e ignorante, e stava sul gradino più basso della loro comprensione e vita cristiana."(92)

Il Professor Kapterev ci dà ancora diversi esempi di attitudini negative dei greci verso i russi. Ci fornisce alcune delle lamentele dei russi sull'attitudine estremista e sprezzante dei greci:

"Nel 1650 Pacomio, un chierico del monastero di Chudov, di ritorno dalla Moldavia, riportò allo Tsar: "Quei greci all'estero odiano il popolo russo da Mosca e da Kiev, e quanti vengono di là sono chiamati cani." Inoltre scrive: "E le icone che la vostra Regale Maestà ha dato come doni agli anziani greci per vari monasteri in Palestina, questi anziani le vendono e le portano al mercato come se fossero tavole grezze. Non venerano queste icone e non le pongono nelle loro chiese."

I greci bruciarono i libri di culto che lo Tsar inviò ai monasteri greci nell'Athos, cosa che sconvolse i russi all'estremo, e che fu fatta per mancanza di rispetto nei loro confronti. Il compilatore del Menologio russo notava che "..i greci sono orgogliosi e sprezzanti" verso i russi, e scherniscono la loro pietà. Un greco, in una lettera ai suoi a Costantinopoli, scrive: "Dio vuole venirmi a salvare dal popolo rozzo e barbarico di Mosca... sono a malapena cristiani ortodossi."(93) Caratteristici in modo speciale sono i dati - basati su fonti primarie - forniti dal Professor Lebedev:

"È inutile pensare che la gerarchia greca guardi benevolmente ai russi, che sperano di eliminare il trionfo della mezzaluna sulla croce nelle antiche terre dell'Ortodossia. I gerarchi greci sanno bene che non esiste minaccia maggiore per i turchi ottomani di quella che viene dalla Russia. Tuttavia, accecati dal loro filetismo, guardano la Russia dall'alto nascondendo a mala pena il proprio disprezzo. Secondo il loro pensiero, cadere sotto il dominio della Russia significherebbe soccombere alla rozzezza e al barbarismo. I greci pensano: "Che cosa c'è in comune tra la frusta russa e la nobile nazione ellenica? Tra il despotismo e la libertà? Tra le tenebre degli sciti e la Grecia nel Sud? Che cosa c'è in comune tra la radiosa e nobile Grecia e il lugubre Ahriman [lo spirito del male nello zoroastrismo.- Tr.] del Nord? I sogni sulla loro unione spirituale non sono che i frutti dell'ignoranza della folla, per la quale il rintocco delle campane vale più di quei pensieri illuminati accessibili solo ai migliori tra i greci."

I greci hanno disprezzato inquesto modo i russi non solo nei tempi recenti, non solo nel XIX secolo. Lo facevano anche prima. Già a metà del XVII secolo alcuni venditori ambulanti greci, che portavano le loro mercanzie a Mosca, osarono in seguito diffondere ridicole storie sulla Russia a Costantinopoli. Per esempio, dissero che non vi erano insegnanti in Russia, e che lo stesso erede al trono fu istruito da loro, gli ambulanti, e che qualche monaco "fece un incantesimo" perché i russi non andassero mai in guerra contro i tartari, e i russi gli prestarono ascolto. Si presero gioco dello stesso Tsar russo dicendo che era così occupato a far fare un fonte d'argento per il battesimo del figlio del re (danese?), da trascurare completamente tutte le questioni più importanti. Ma il disdegno verso i russi come popolo meno colto dei greci non era la sola ragione. C'era tra il clero più anziano la paura di una possibile conquista di Costantinopoli da parte dei russi. La gerarchia temeva che se i russi avessero espulso i turchi dall'Europa, i vescovi sarebbero stati forzati a vivere e ad agire secondo i canoni della Chiesa, cosa che i vescovi non erano più abituati a fare. Un vescovo greco molto erudito, attorno al 1860, riassunse il pensiero di tutti i suoi predecessori quando disse: "Voi slavi (cioè russi) siete i nostri nemici naturali. Noi dobbiamo pertanto sostenere i turchi. Finché esiste la Turchia, si prenderà cura di noi. Il pan-slavismo per noi è pericoloso." Come risultato di tutte queste attitudini da parte dei greci e soprattutto dei vescovi, un viaggiatore russo in Medio Oriente notò che, "a partire dal più umile monaco e terminando con rappresentanti della chiesa quali il patriarca, tutti i chierici greci ci odiano istintivamente, dal profondo del cuore". Daremo alcuni esempi di questo odio che animava l'alta gerarchia della Chiesa greca. Questi fatti ci presentano una situazione moralmente difficile, e ci asterremo da ogni commento. Lasciamo che i fatti parlino da soli.

Il Vescovo Porfirio Uspenskij in una delle sue opere, dedicata allo studio della vita ecclesiale greca, riporta un incidente, una "meraviglia delle meraviglie", come la descrive. Il Patriarca Melezio di Costantinopoli (nel 1845), apparendo di fronte al Sultano Abdulla-Medjid, gli baciò il piede dicendo: "O Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola, poiché i miei occhi hanno visto la salvezza che hai preparato" (Tutto questo era rivolto al sultano). Il narratore aggiunge: quel patriarca era un amico dei turchi e un nemico dei russi, e si sostiene che abbia detto: "Fatevi avere un pezzetto della carne di un russo, e la triterò nelle particelle più minute." Lo stesso vescovo Porfirio scrive in un altro dei suoi articoli: "Nel 1854, quando infuriava la guerra nella nostra Sebastopoli, il patriarca ecumenico (naturalmente, quello di Costantinopoli, ma l'autore non fornisce il suo nome; probabilmente Antimo VI), in risposta agli ordini del Sultano Abdulla-Medjid, pubblicò una preghiera per i cristiani ortodossi, composta da lui in stile fiorito, e in cui si supplica Dio per la vittoria dei nostri nemici e per la nostra sconfitta (ovvero, per il nostro esercito amico di Cristo). La preghiera dice:

"Signore nostro Dio, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che tutto hai creato in sapienza... O Re della gloria, ricevi ora la preghiera dei tuoi servi umili e peccatori, che ora offriamo a nome del grande sovrano, mite e misericordiosissimo re e autocrate, Sultano Abdulla-Medjid, nostro signore. O Signore Dio di misericordia, ascolta noi tuoi umili e indegni servitori in quest'ora e con il tuo potere invincibile proteggilo, rafforza il suo esercito, accordagli ogni vittoria e bottino, distruggi i suoi nemici, che insorgono contro il suo potere, e compi tutto a suo favore, affinché possiamo vivere una vita quieta e pacifica, lodando il tuo santissimo nome, Padre, e Figlio, e Santo Spirito. Amen."

Non c'è dubbio che il patriarca di Costantinopoli e i vescovi greci non pregarono solo con una sola voce, ma anche con tutto il loro cuore. Questa preghiera, aggiunge il reverendissimo autore, fu mandata perfino all'Athos. Ma là non fu letta, né nelle chiese né nelle celle." Infine, riportiamo un episodio dall'ultima guerra russo-turca in Bulgaria. Quando i russi occuparono la Bulgaria, il comandante militare in capo, Conte Totleben, era di ritorno da Livadia, ovvero dalla stessa corte dello Tsar russo. Ad Adrianopoli incontrò il clero di tutte le denominazioni - bulgari, armeni, ebrei e perfino musulmani. Tutti andarono dal conte per dimostrare la loro gratitudine per la protezione offerta dalle autorità russe. Vennero tutti, con l'eccezione del Metropolita greco Dionysios. Le autorità militari russe conclusero da questo e da altri incidenti che "l'attitudine del clero greco verso i russi non era amichevole", e che"tentavano di dimostrarlo anche nei più piccoli dettagli." Adrianopoli passò di nuovo ai turchi. Quando vi arrivò il nuovo governatore generale turco Reut Pascià, i greci organizzarono un ricevimento solenne, e si disse in uno dei discorsi: "...per troppo tempo siamo stati prigionieri, alla fine vediamo il nostro liberatore." (94)

Nelle "Lettere dal Monte Santo" vediamo che i monasteri greci dell'Athos rifiutavano di lasciar usare le loro biblioteche agli studiosi russi sotto il pretesto che i russi rubavano i loro antichi manoscritti.

Sia che fosse il risultato del deterioramento dei rapporti tra russi e greci, sia che fosse indipendente da ciò, il Santo Sinodo nel 1721, secondo il Professor Kapterev, "...abrogò in modo solenne e ufficiale l'elevazione del nome del patriarca di Costantinopoli durante gli offici divini, cosa che fino a quel tempo era sempre stata fatta in Russia, - non desiderando vedere neppure un'ombra o una traccia di preferenza o preminenza del patriarca di Costantinopoli nella Chiesa russa."(95)

Tutte queste cose non sono state discusse per provocare una sorta di antagonismo verso il popolo greco e la loro Chiesa. Tutto è cambiato e migliorato con il tempo, ed è diventato storia passata. Oggi le relazioni tra la Chiesa greca e quelle slave sono fraterne e collegiali. Perfino le relazioni con i non ortodossi,per un certo tempo ostili, ora riflettono cordialità e un mutuo rispetto.

Abbiamo discusso tutto ciò per mostrare l'atmosfera che esisteva durante l'era in cui la Chiesa di Costantinopoli promulgò i suoi decreti sul ri-battesimo di cattolici romani e luterani che desideravano convertirsi all'Ortodossia, e in cui vi furono dibattiti di interpretazioni dei canoni nel Pedalion (Kormchaya). Ciò aveva luogo nel periodo più cupo della storia del Patriarcato di Costantinopoli, quando i decreti della Chiesa, anche se scritti in linguaggio ecclesiastico fiorito, non erano in sostanza motivati dalle vere necessità della Chiesa, ma avvennero a causa di ignoranza, demagogia ed estremo sciovinismo, e furono regressivi rispetto ai canoni della Chiesa universale, nonché un ripudio dell'esperienza benefica delle Chiesa russa e delle altre Chiese slave. La grande Chiesa russa, muovendosi sul sentiero della magnanimità, dell'ampiezza di visione e della benevolenza, così come sui principi canonici della Chiesa Universale e della propria esperienza, non solo respinse questa decisione greca sul ri-battesimo dei latini e dei luterani che si convertivano alla Chiesa Ortodossa, ma rese anche il sentiero verso l'Ortodossia più facile per i non ortodossi. Abbiamo introdotto il lettore ai saggi e oculati Canoni della Chiesa russa nel capitolo precedente del nostro saggio.

 

La ricezione dei convertiti negli Stati Uniti

Nei tempi contemporanei vi sono due visioni distinte di come ricevere i non ortodossi nella Chiesa Ortodossa.

Il primo metodo, che i greci chiamano "russo", consiste nel dividere i non ortodossi in tre categorie ai fini della conversione. Nella prima categoria, i convertiti sono battezzati. Nella seconda, sono cresimati. Nella terza, sono ricevuti mediante il rito della penitenza, un ripudio dell'eresia e la confessione della Fede ortodossa. Come è stato più sopra dimostrato, questa pratica è basata sui canoni dei Concili Ecumenici, sulla diretta autorità di San Marco di Efeso, del Concilio di Costantinopoli del 1484, delle decisioni dei Concili di Mosca del 1655 e soprattutto del 1667, delle decisioni del Santo Concilio del 1718 come pure delle successive decisioni e direttive del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa. È vero che vi fu un periodo nella Chiesa russa in cui i cattolici romani (e i protestanti) erano ricevuti nell'Ortodossia per mezzo del battesimo, ma in tutta la millenaria storia della Chiesa russa ciò fu in effetto per circa 45-47 anni, dopo i quali la pratica di ricevere con il battesimo tutti non ortodossi senza distinzione fu condannata e abrogata una volta per tutte. Come risultato, si svilupparono tre forme o riti per ricevere i non ortodossi nel seno della Chiesa Ortodossa.

Nel secondo metodo, tutti i non ortodossi sono ricevuti per mezzo del battesimo seguito dalla cresima. Questo fu adottato dai greci al Concilio di Costantinopoli nel 1756, ed è descritto nel Pedalion.

Neppure una singola Chiesa Ortodossa non greca ha adottato questa pratica. Invece, le Chiese Ortodosse non greche aderiscono fermamente a quella pratica, che è designata come "russa."

In tempi recenti, il Patriarcato di Costantinopoli ha rescisso l'uso del secondo metodo, e ora riceve i non ortodossi per mezzo del rito "russo".

Tutte le giurisdizioni vecchio-calendariste greche (ve ne sono almeno sette), sia negli Stati Uniti che in Grecia, aderiscono al rito "greco" rito per la ricezione dei non-ortodossi nell'Ortodossia, ovvero, esclusivamente per mezzo del battesimo come decretato dal Concilio di Costantinopoli del 1756. Questa pratica "greca", con certe modifiche, e l'allontanamento dalla pratica "russa", è divenuta di recente la regola per la Chiesa Russa all'Estero, secondo la decisione del Concilio dei Vescovi del 15/28 Settembre 1971. Il testo completo di tale decisione sarà fornito alla fine di questo capitolo.

La Chiesa Ortodossa in America (già nota come "Metropolia Americana"), fondata dai missionari russi e in seguito costituita come diocesi della Chiesa Ortodossa Russa con centro prima a San Francisco e quindi a New York, e che per un certo tempo ebbe come suo vescovo diocesano il futuro Patriarca [San] Tikhon, ha ereditato le tradizioni della Chiesa russa rispetto al rito per la ricezione dei non ortodossi che si convertono alla Chiesa Ortodossa. La Chiesa Ortodossa in America riceve i non ortodossi per mezzo di tre riti:

- Chi si converte dal giudaismo, dal paganesimo e dall'islam, così come quanti distorcono o non accettano il dogma della Santa Trinità, o laddove il battesimo si compie per mezzo di una singola immersione, per mezzo del battesimo.

- Coloro il cui battesimo era valido ma che non hanno il sacramento della cresima oppure che mancano di una gerarchia con successione apostolica (o se quest'ultima è discutibile), per mezzo della cresima. Questo gruppo include luterani, calvinisti ed episcopaliani (anglicani).

- Coloro la cui gerarchia ha una successione apostolica e che hanno ricevuto nella propria chiesa battesimo e cresima (o confermazione), per mezzo di penitenza e ripudio dell'eresia, dopo l'istruzione nell'Ortodossia. Questo gruppo include persone delle confessioni cattolica romana e armena. Nel caso che non siano stati cresimati o confermati nelle loro chiese, o se su questo punto vi sono dei dubbi, sono unti con il santo crisma.

Esattamente le stesse regole si trovano in tutte le Chiese ortodosse non greche in America e in Canada.

Lo stesso Patriarcato di Costantinopoli si è radicalmente allontanato dallo spirito che motivò le decisioni del Concilio di Costantinopoli del 1756. Nella sua "Lettera circolare a tutte le chiese cristiane" del 1920 il Sinodo del Patriarcato di Costantinopoli si appellò a tutte le chiese cristiane con una proposta di mettere da parte la mutua diffidenza tra le chiese. Invece, devono essere rigenerati e intensificati i sentimenti di amore, in modo che le chiese non si guardino più reciprocamente come estranee o perfino come nemiche, ma vedano l'una nell'altra la propria gente e fratelli in Cristo. L'epistola propone che vi sia mutuo rispetto per i costumi e le pratiche proprie di ciascuna delle chiese che si adornano del nome di Cristo, senza più dimenticare o ignorare i suo "nuovo comandamento," il grande comandamento dell'amore reciproco. (96)

Durante l'ultima sessione del Concilio Vaticano Secondo alla fine del Dicembre 1965 vi fu un annuncio da parte del Patriarcato di Costantinopoli e del Papa di Roma e del Concilio sul mutuo sollevamento degli anatemi che furono "scambiati" tra la Chiesa di Roma e la Chiesa Ortodossa durante il tragico anno del 1054, l'anno della grande divisione tra le chiese. (97)

Nel capitolo "Sull'Ecumenismo" nella raccolta di documenti e decreti del Concilio Vaticano Secondo, si parla della Chiesa Ortodossa con eccezionale calore. Visto che ero presente al Concilio Vaticano Secondo nel ruolo di osservatore ufficiale dalla Chiesa Russa all'Estero, posso testimoniare quanto eccezionalmente cordiali fossero le attenzioni verso tutti gli osservatori delle Chiese Ortodosse da parte della Chiesa Cattolica Romana. A dire il vero, resta da valutare quanto solide siano rimaste tali attenzioni.

In seguito al Concilio Vaticano Secondo fu elaborato un accordo tra la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa di Roma secondo il quale, in casi di estrema necessità e in completa assenza del proprio clero, i membri della Chiesa di Roma potessero ricevere i Santi Misteri nelle chiese russe, e allo stesso modo gli ortodossi in chiese cattoliche romane. (98) Non sappiamo se questo accordo sia stato realizzato nella pratica o se rimanga solo sulla carta. Non una singola Chiesa ortodossa, con l'eccezione della Chiesa Russa all'Estero, rimproverò il Patriarca di Mosca per questa decisione che fu causata dai tempi terribili e dalle persecuzioni di cristiani sotto regimi atei. (99) Nondimeno questa decisione non è stata rescissa neppure ora, e il catechismo recentemente stampato della Chiesa di Roma pubblicato con la benedizione di Papa Giovanni Paolo II parla del pieno riconoscimento dei sacramenti della Chiesa Ortodossa. Tuttavia, non vi è dubbio che come risultato del proselitismo tra la popolazione tradizionalmente ortodossa - da parte di cattolici romani e protestanti - al quale la Chiesa Ortodossa reagisce con grande sconforto, così come della repressione contro gli ortodossi nell'Ucraina occidentale e perfino in Polonia - non c'è più quel calore e cordialità verso gli ortodossi che vi fu durante Concilio Vaticano Secondo e per un certo tempo in seguito. Tuttavia, la domanda incisiva oggi è questa: Vi è stato qualche cambiamento nelle pratiche delle chiese cattolica romana o luterana rispetto al loro sacramento del battesimo? E la risposta è questa: Nulla è cambiato. Così, le nostre chiese (con l'eccezione della Chiesa Russa all'Estero), riconoscono come valido il sacramento del battesimo compiuto da cattolici romani e luterani.

Perciò, per tornare al nostro tema, ripetiamo che il Patriarcato di Costantinopoli e i suoi Esarcati in America e in Europa hanno adottato quella pratica per la ricezione dei non ortodossi nell'Ortodossia, che i greci chiamano "russa," e ha di fatto rigettato la decisione del Concilio di Costantinopoli del 1756 (che fu motivata dall'intolleranza) e la spiegazione nel Pedalion.

E così, nella "Guida per gli ortodossi riguardo ai contatti con le chiese non ortodosse," pubblicata nel 1966 dalla Standing Conference of Canonical Orthodox Bishops in America (SCOBA), raccomandata come indicazione dal clero delle nostre chiese ortodosse, si trova la regola seguente:

"All'ingresso nella Chiesa Ortodossa di uno che si converte di propria volontà dalla non-Ortodossia, il prete riceve il candidato per mezzo di uno dei tre riti prescritti dal Concilio Ecumenico Quinisesto: per mezzo di battesimo, cresima o confessione di fede, a seconda dei casi." (100)

Nelle "Istruzioni per le relazioni con le chiese non ortodosse," pubblicate dallo stessa Conferenza nel 1972, leggiamo le stesse regole sulla ricezione dei non ortodossi nella Chiesa Ortodossa, ovvero, "I non ortodossi che si convertono all'Ortodossia e che sono stati battezzati nelle loro chiese d'origine si possono ricevere senza ripetizione del battesimo se questo può essere accettato dagli ortodossi, ovvero per mezzo della cresima o la confessione della Fede ortodossa, secondo il rito appropriato per ogni situazione." (101)

Questo rito si trova nelle "Linee guida" dell'Arcidiocesi Greco-Ortodossa in America, pp. 53-55. Si può usare anche il rito stampato in Russia e che si trova nel Trebnik ("Libro delle necessità"): "Officio per la ricezione nella Fede ortodossa di persone che non sono state in precedenza ortodosse, ma sono state allevate fin dall'infanzia fuori della Chiesa Ortodossa, eppure hanno ricevuto un valido battesimo nel nome del Padre e del Figlio e del santo Spirito." Questo rito è stato tradotto in inglese e si può trovare nel libro pubblicato con la benedizione del Santissimo Patriarca [San] Tikhon: Isabel Florence Hapgood, "Orthodox Service Book," 1954 ed., p. 454ss.

Vediamo dalla storia della Chiesa che fu tipico delle sette dissidenti quali novaziani, montanisti e donatisti di ri-battezzare quanti si convertivano a loro. Considerandosi "puri" e "migliori" e vendendo se stessi come i soli sulla via della salvezza, aborrivano chiunque altro. Avrebbero potuto meritare rispetto per i loro alti requisiti morali, ma l'orgoglio li tradì. Si tagliarono fuori dal corpo della Chiesa in cui dimoravano la vita e la grazia, e così si estinsero completamente in un breve periodo di tempo. "Il Signore resiste gli orgogliosi, ma dà grazia agli umili" (Prov. 3:34 LXX). Anche in Russia certi dissidenti, soprattutto i vecchi ritualisti asacerdotali, compivano allo stesso modo il ri-battesimo degli ortodossi che si convertivano a loro. L'umile, mite, compassionevole, benevola e accondiscendente Chiesa Ortodossa possedeva e possiede e continuerà a possedere la grazia, e insieme con questa la vitalità e la forza di essere magnanima. Quel ri-battesimo, che gli eretici e i dissidenti compivano sugli ortodossi, albergava dentro di sé la sua debolezza interna. I forti e i giusti non hanno paura di essere magnanimi, ma i deboli e gli ingiusti non se lo possono permettere. Come abbiamo visto, nei tempi antichi (particolarmente nel terzo secolo) e dentro la Chiesa Ortodossa vi sono state tendenze a ri-battezzare i dissidenti che si convertono alla Chiesa Ortodossa. Ma la Chiesa vi si è opposta in modo decisivo, vietando, con i suoi canoni, il ri-battesimo di quanto sono stati validamente battezzati nel nome della Santa Trinità. I Concili Ecumenici, il Secondo e specialmente il Sesto, decretarono con le loro decisioni, chi dovrebbe essere ricevuto nell'Ortodossia per mezzo del battesimo, chi per mezzo della cresima e chi per mezzo della penitenza, del ripudio delle eresie e della confessione di Fede ortodossa. In questo modo si è piamente mantenuta la regola della non ripetizione di un valido battesimo, anche se compiuto al di fuori della Chiesa Ortodossa. In Russia, come abbiamo visto in seguito, fu decretato per breve tempo di ricevere tutti i non ortodossi per mezzo del battesimo. Ma questo "ri-battesimo" evocato dagli orrori di quei tempi fu rapidamente rescisso come erroneo, una volta per tutte, dai Concili e dai decreti della Santa Chiesa Russa. Infine, come abbiamo visto, il patriarcato di Costantinopoli ha di fatto respinto quel decreto radicale sul ri-battesimo di tutti i non ortodossi che si convertono all'Ortodossia, pronunciato dal Concilio di Costantinopoli del 1756.

Ciascuno dei misteri della Chiesa Ortodossa ha un aspetto dogmatico. Le forme possono cambiare e i canoni possono essere emendati, ma i loro aspetti dogmatici restano immutabili, Per esempio, le forme della Divina Liturgia sono cambiate nel corso dei secoli, ma l'essenza dogmatica della Divina Liturgia rimase e rimane immutata, vale a dire, che sotto l'aspetto del pane e del vino riceviamo il Vero Corpo e Sangue di Cristo, il cui cambiamento ha luogo attraverso l'azione sacra del vescovo o del prete. Così, nel mistero del battesimo il fondamento dogmatico o sostanza è che sia compiuto per triplice immersione (o per mezzo di un suo equivalente) (102) pronunciando il nome di ciascuna Persona della Divina Trinità, individualmente, e quindi nella non-ripetizione di questo mistero, dato che è stato la nascita spirituale del cristiano nella vita eterna in Cristo. Così come la nostra nascita nella carne avviene una volta sola, così la nostra nascita spirituale avviene una volta sola nel mistero del battesimo. Questa non-ripetizione del battesimo valido, come dogma, è sigillata per tutti i tempi nel Simbolo della Fede: "Credo ... in un solo Battesimo." Anche se il battesimo è stato compiuto in una chiesanon ortodossa, ma nella stessa forma in cui compiuto tra gli ortodossi, è accettato, secondo i canoni dei Concili Ecumenici. (103) Il Beato Agostino scrisse che il sacramento del battesimo fu istituito da nostro Signore Gesù Cristo stesso, e che anche la perversione (perversitas) degli eretici non priva tale sacramento della sua veracità e validità. Così ne consegue che il ri-battesimo viola il principio dogmatico della non-ripetizione del battesimo. (104)

Nel Settembre 1971, la Chiesa Russa all'Estero, rigettando la pratica "russa" per la ricezione dei non ortodossi, adottò la pratica "greca", ovvero, la pratica seguita dai Vecchi Calendaristi greci, basata sulle decisioni del Concilio di Costantinopoli del 1756, decretando che tutti i cristiani non ortodossi che si convertono alla Fede ortodossa devono essere ricevuti esclusivamente per mezzo del battesimo permettendo solo "per ragioni di necessità" la loro ricezione per mezzo di un altro rito, ma solo con il permesso del vescovo diocesano.

Questa decisione del Concilio dei Vescovi della Chiesa Russa all'Estero del 15/28 Settembre 1971 dice: (105)

"Sulla questione del battesimo degli eretici che accettano l'Ortodossia, è stato adottato il seguente decreto: la Santa Chiesa ha creduto da tempo immemorabile che vi può essere un solo vero battesimo, vale a dire quello che è compiuto nel suo seno: 'Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.' (Ef 4:5) Anche nel Simbolo della Fede è confessato 'un solo battesimo,' e il Canone 46 dei Santi Apostoli dichiara: 'Comandiamo che un vescovo o un presbitero che abbia accettato (ovvero, che riconosca) il battesimo o il sacrificio degli eretici, sia deposto.'

"Tuttavia, quando lo zelo di alcuni eretici nella loro lotta contro la Chiesa diminuì e quando insorse la questione di conversioni di massa all'Ortodossia, la Chiesa, per facilitare la loro conversione, li ricevette nel proprio seno per mezzo di un altro rito. San Basilio il Grande nel suo Primo Canone, che fu incluso neo canoni del Sesto Concilio Ecumenico, allude all'esistenza di diverse pratiche per ricevere gli eretici in terre differenti. Egli spiega che ogni separazione dalla Chiesa ci priva della grazia e scrive a proposito dei dissidenti: 'Anche se l'allontanamento è iniziato per mezzo dello scisma, tuttavia, quanti si dipartono dalla Chiesa sono già privi della grazia del Santo Spirito. La concessione della grazia è cessata poiché la successione legittima è stata tagliata. I primi ad andarsene furono consacrati dai Padri, e attraverso l'imposizione delle loro mani avevano i doni spirituali. Ma ritornarono laici, senza alcun potere di battezzare né di ordinare, e non potevano trasmettere ad altri la grazia del Santo Spirito dalla quale essi stessi erano decaduti. Perciò, gli antichi ritennero quanti provenivano dagli scismatici alla Chiesa come se fossero stati battezzati da laici, e che dovessero essere purificati dal vero battesimo della Chiesa.' Tuttavia, 'per l'edificazione di molti' San Basilio non obietta ad altri riti per la ricezione dei dissidenti catari in Asia. Riguardo agli encratiti scrive che 'questo potrebbe essere un ostacolo al buon ordine generale' e che si potrebbe usare un rito differente, spiegandosi così: 'Ma ho paura di porre un impedimento ai salvati, sollevando in loro timori relativi al loro battesimo.'

"Così, San Basilio il Grande, e con le sue parole il Concilio Ecumenico, mentre stabiliscono il principio che al di fuori della Santa Chiesa ortodossa non esiste valido battesimo, concede per condiscendenza pastorale, chiamata economia, la ricezione di alcuni eretici e dissidenti senza un nuovo battesimo. Sulla base di questo principio i Concili Ecumenici hanno permesso la ricezione degli eretici per mezzo di differenti riti, in risposta all'indebolirsi della loro ostilità contro la Chiesa Ortodossa.

"La Kormchaya Kniga ne dà una spiegazione con le parole di Timoteo di Alessandria. Alla domanda 'Perché noi non battezziamo gli eretici che si convertono alla Chiesa Cattolica?' la sua risposta è: 'Se così fosse, una persona non si allontanerebbe rapidamente dall'eresia, non volendo provare la vergogna di ricevere un battesimo (ovvero, un secondo battesimo). Tuttavia, lo Spirito Santo scende attraverso l'imposizione delle mani e la preghiera del presbitero, come testimoniano gli Atti degli Apostoli.'

"Riguardo ai cattolici romani e a quei protestanti che sostengono di avere conservato il battesimo come sacramento (per esempio, i luterani), in Russia sin dal tempo di Pietro I fu introdotta la pratica di riceverli senza battesimo, attraverso una rinuncia delle eresie e la cresima per i protestanti e per i cattolici non confermati. Prima di Pietro, i cattolici erano battezzati in Russia. Pure in Grecia, la pratica è variata, ma dopo circa 300 anni successivi a una certa interruzione, fu reintrodotta la pratica di battezzare i convertiti dal cattolicesimo e dal protestantesimo. Quanti furono ricevuti in altri modi non sono stati (talvolta) riconosciuti in Grecia come ortodossi. In molti casi tali figli della nostra Chiesa russa non sono stati neppure ammessi alla Santa Comunione.

"Tenendo in considerazione questa circostanza e anche l'attuale crescita dell'eresia ecumenista, che cerca di cancellare completamente ogni differenza tra l'Ortodossia e ogni eresia - tanto che il Patriarcato di Mosca, nonostante i santi canoni, ha perfino promulgato un decreto che permette ai cattolici romani di ricevere (in certi casi) la comunione - il Sobor dei Vescovi riconosce la necessità di introdurre una pratica più severa, ovvero di battezzare tutti gli eretici che giungono alla Chiesa, e solo a causa di speciale necessità e con il permesso del vescovo è concesso, sotto applicazione dell'economia o condiscendenza pastorale, usare un metodo differente rispetto a certe persone, ovvero, la ricezione dei cattolici romani e dei protestanti che compiono il battesimo nel nome della Santa Trinità, per mezzo del ripudio delle eresie e della cresima" ("Church Life," Luglio-Dicembre 1971, pp. 52-54).

Poiché non appartengo più al clero della Chiesa Russa all'Estero, non mi considero in diritto di fare commenti su questa decisione.

 

Note

1) Canoni Apostolici 46, 47, 49 e 50.

2) San Giovanni Damasceno, Sui Santi Digiuni, cap. 3 P.G. 95, col. 64-76.

(3) 2 Ts 2:7.

(4) È fuori di ogni dubbio che i Santi Canoni siano promulgati dall'episcopato, e che i preti siano obbligati a metterli in pratica, ma in questo caso si presume che ai nostri tempi sia utile che l'episcopato, prima di promulgare un certo numero di regole direttamente correlate alla vita parrocchiale, solleciti il parere del clero parrocchiale. Nei tempi antichi il i vescovi erano anche pastori di parrocchie, cosa che spiega perché vi fossero così tanti vescovi e corepiscopi in territori relativamente piccoli, che a volte comprendevano centinaia di vescovi nei propri confini, e come risultato, erano ben consci delle necessità della vita parrocchiale.

Tra i Padri orientali non troviamo un concetto rigorosamente definito di autorità episcopale nella Chiesa. San Giovanni Crisostomo dice che nella Chiesa antica i termini "vescovo" e "presbitero" significavano un identico servizio e nei suoi scritti ha un'alta considerazione del servizio dei presbiteri nella Chiesa. I canoni della Chiesa orientale prescrivono l'obbedienza totale del clero verso il proprio vescovo, ma offrono anche un'opportunità per un chierico offeso di contestare il proprio vescovo di fronte al metropolita del territorio, e al metropolita è richiesto, durante le regolari sessioni del sinodo dei vescovi, di indagare con diligenza nei reclami del clero offeso. Un chierico offeso dal proprio vescovo aveva il diritto di appellarsi direttamente al patriarca del territorio.

Un concetto rigidamente definito di autorità episcopale nella Chiesa si ritrova più facilmente in Occidente, e appartiene soprattutto a San Cipriano di Cartagine (III secolo), i cui scritti riflettono i seguenti assiomi sull'autorità episcopale nella Chiesa: i vescovi sono stabiliti da Dio; la Chiesa si basa sui vescovi; Cristo ha affidato la sua Sposa, la Chiesa, ai vescovi; questi sono i successori degli Apostoli; il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa è nel vescovo; quanti non sono con il proprio vescovo non sono con la Chiesa; senza il vescovo non vi è Chiesa. Allo stesso tempo, lo stesso san Cipriano scrive che dal principio del proprio episcopato egli è determinato a non decidere alcunché senza consultazione con il clero e il popolo (P.L. 4, col. 240. Epistola V). Chiamando i vescovi "sacerdotes" egli usa lo stesso termine usato per i presbiteri (P.L. 4, col. 333-334) e dice che i più degni tra loro sono in sessione con lui per correggere le questioni ecclesiastiche. Sant'Ambrogio scrive che vi sono degni preti attorno al vescovo, che lo aiutano e che sono pronti per un'immediata assegnazione a cattedre episcopali rimaste vuote. Scrive anche che vescovi e presbiteri sono dello stesso ordine, entrambi "sacerdoti di Dio," ma nondimeno i vescovi vengono in primo luogo: infatti il vescovo è il primo tra i presbiteri (P.L. 16, col. 496).

Il Beato Agostino scrive che al clero e ai laici si addice ricevere direttive dai propri vescovi, poiché i vescovi sono custodi e pastori, ma sottoposti essi stessi a Cristo, il primo custode e pastore. In un altro luogo egli scrive che i vescovi sono i servitori della chiesa; nelle sue lettere ai presbiteri si firma "co-presbitero", in quelle ai diaconi si firma "co-diacono."

Nella Chiesa l'autorità e il significato dell'episcopato è unico e sacro. Ma la Chiesa può anche trarre beneficio dall'esperienza benedetta dei preti di parrocchia.

I membri del Santo Sinodo russo consistevano non solo di vescovi eminenti, ma pure di eminenti preti.

(5) Come esempio possiamo indicare il Canone Apostolico 5 che vieta al vescovo di terminare il legame matrimoniale con la propria moglie. D'altro canto il Canone 6 del Sesto Concilio Ecumenico vieta al vescovo di avere moglie. Il Canone Apostolico 37 prescrive che i sinodi dei vescovi abbiano luogo due volte all'anno. In canoni successivi si prescrivono frequenze differenti. Il Canone Apostolico 85 fa una lista dei libri canonici delle Sacre Scritture. Canoni successivi riducono il numero, e altri includono l'Apocalisse di San Giovanni il Teologo. Il Canone 15 di Neocesarea prescrive che vi siano sette diaconi in ogni città a prescindere dalla sua grandezza, facendo riferimento al Capitolo 6 degli Atti degli Apostoli. Il Canone 16 del Sesto Concilio Ecumenico abroga questo canone che fu decretato dai Padri a Neocesarea. Un certo numero di canoni nella Chiesa antica prescrivono l'età minima dei candidati agli ordini di presbitero e diacono. La legislazione ecclesiastica successiva non ha tali requisiti e si attiene alla propria comprensione.

(6) Mt 28:19; At 2:38ss; At 8:12, 38; At 19:1-7ss. Secondo l'antica tradizione, tramandata da San Sofronio, Patriarca di Gerusalemme, gli Apostoli, dietro indicazione del Salvatore, si battezzarono l'un l'altro, e gli Apostoli Pietro e Giovanni battezzarono la Theotokos. P.G. n. 78/3 col. 3372.

(7) Canoni Apostolici 24, 47, 49, e 50.

(8) Ef 4:5.

(9) Canoni Apostolici 46, 47, 68; Laodicea 8; Basilio il Grande I; II Concilio Ecumenico 7; VI Concilio Ecumenico 95; Cartagine 59.

(10) Il testo dice: "Ordiniamo che un vescovo, o presbitero, che ha ammesso il battesimo o il sacrificio degli eretici sia deposto. Quale accordo esiste infatti tra Cristo e Belial, o tra un credente e un infedele?"

(11) Il testo dice: "Che un vescovo o presbitero che battezza nuovamente una persona che ha rettamente ricevuto il battesimo, o che non battezzi una persona che è stata contaminata dagli empi sia deposto, come uno che denigra la croce e la morte del Signore, e non fa distinzione tra veri e falsi preti."

(12) Ci riferiamo qui all'edizione sinodale di Mosca del 1901, p. 26. [C'è anche una nota più dettagliata in Milash che si riferisce al testo sinodale. N.d.T.].

(13) M .E. Posnov, Storia della Chiesa Cristiana [Istoriya Khristianskoy Tserkvi], Brussels, 1964, p. 146. Si veda la sua descrizione di queste eresie alle pagine 142-149. Si veda pure il Manuale per uno studio descrittivo di Ortodossia, Cattolicesimo e Protestantesimo.

(14) Lettera circolare dei Patriarchi orientali, 1848, §§ 2 e 3. Citata nel Manuale per uno studio descrittivo..., p. 729.

(15) Posnov, Op. Cit., pp. 147-148.

(16) I canonisti sono concordi nel dire che i "Canoni Apostolici" furono compilati al termine del II secolo e all'inizio del III. Alcuni dei canoni hanno un'origine ancor più recente. Si veda la discussione su questo punto in Posnov, op. cit., pp. 317-318.

(17) Si veda il termine "Baptism" nell'Encyclopedia Britannica e in Hastings, Encyclopedia of Religion and Ethics. Si veda il termine "Bapteme" nel Dictionaire de Theologie Catholique.

(18) The Seven Ecumenical Councils, Henry Percival, Oxford, 1900, p. 40.

(19) Si vedano i dettagli in Puller, The Primitive Saints and the See of Rome.

(20) Notato nel riferimento di Percival ai Concili di Cartagine.

(21) Così venivano descritti i seguaci dello scisma novaziano nel citato Libro dei Canoni pubblicato dal Santo Sinodo russo: "Quelli che si chiamavano 'puritani' erano seguaci di Novato, presbitero della Chiesa romana, che insegnava che quanti caddero nelle persecuzioni non si dovevano riaccogliere con la penitenza, né i bigami si sarebbero mai dovuti ricevere nella comunione della Chiesa, e che sostenevano la purezza della propria società per orgoglio e una totale mancanza di amore per gli altri" (p. 41). Si dovrebbe notare qui che i "catari" ("puritani"), così come i montanisti, ribattezzavano gli ortodossi che aderivano al loro scisma.

(22) L'eresia di Paolo di Samosata (A.D. 260) aveva un carattere giudaico: introduceva la circoncisione, non riconosceva la Trinità, né la divinità di Cristo in essenza, ma solo una sorta di sua elevazione di rango. L'eresia fu condannata due volte al Concilio locale di Antiochia negli anni 264 e 269. Per ulteriori dettagli si veda J.H. Blunt, Dictionary of Sects, Heresies, etc., 1874, p. 515ss.

(23) Concilio in Trullo.

(24) Il Concilio in Trullo ebbe luogo nel 691-692 A.D. San Basilio il Grande morì nel 379 A.D. Il concilio locale di Laodicea ebbe luogo nel 363 A.D.

(25) Si trova nel Grande Trebnik, edito dalla Lavra delle Grotte di Kiev, 1895, p. 408.

(26) Si veda il libro speciale pubblicato per direzione del Santo Sinodo nel 1895. Troviamo la stessa designazione nella Parte Terza del Trebnik pubblicato a Jordanville nel 1960.

(27) Questo canone si può trovare on line (in inglese) come parte della collezione Early Church Fathers. Si veda: http://www.ccel.org/fathers2/NPNF2-14/Npnf2-14-61.htm#P4014_722138.

(28) H. Percival, op. cit., pp. 405-406.

(29) Canoni 59 e 68.

(30) Non avendo accesso alla Kormchaya Kniga, che oggi è una rarità bibliografica, sto citando il testo dall'opera sul diritto canonico ortodosso scritta dal vescovo Nikodim Milash (Belgrado, 1926, p. 590.)

(31) Si veda: Archimandrite Ambrosius, St Mark of Ephesus and the Florentine Unia, Jordanville, 1963, p. 313.

(32) Ibid, pp. 40 and 41.

(33) Ibid, p. 41.

(34) Ibid, p. 40.

(35) Ibid, p. 171.

(36) Ibid, p. 214.

(37) Nomocanonis, tit. XII c. 2; Pitra, Juris ecclesiastici Graecorum, t. II, p. 600.

(38) Theodori Balsamones, Responsa ad Interrogationes Marci, P.G. 138, col. 968.

(39) Citato in: Archimandrite Ambrosius, St Mark of Ephesus and the Florentine Unia, pp. 333-334. Lettera circolare di San Marco di Efeso § 4. Testo greco in Patrologia Orientalis T. XVII, p. 460-464 e in Migne, P.G. t. 160.

(40) Patericon dell'Athos, v. II, pp. 230-250 e pp. 282-283.

(41) Il Beato Agostino nota che il battesimo è un mistero, stabilito dal nostro Signore Gesù Cristo stesso, e che tale mistero non può perdere la sua validità attraverso la depravazione o la perversità (perversitas) degli eretici. De Baptismo V 2-3-4. P.L. 43.

(42) Lo spirito di tolleranza è sempre stato insito nella Chiesa Ortodossa. Come uno dei tanti esempi possiamo indicare l'officio della prima settimana della Grande Quaresima, dove si racconta come il Grande Martire San Teodoro di Tiro andò dal vescovo di Costantinopoli e lo avvisò che i cibi venduti al mercato in quel giorno erano stati profanati dal sangue offerto agli idoli per ordine dell'imperatore Giuliano l'Apostata, deciso con questo atto a fare dispetto ai cristiani (si veda il Sinassario per il primo sabato della Grande Quaresima). Per tutto questo officio, il vescovo locale è chiamato "ierarca," "capo dei pastori" che prega per tutta la notte per il suo gregge, e "patriarca." Tuttavia, al tempo in cui tutto questo aveva luogo, il vescovo di Costantinopoli era Eudossio, un ariano prominente. Costantinopoli non aveva in quel tempo un vescovo ortodosso.

(43) Prof. A. V. Kartashev, Outlines of Russian Church History, v. 1, pp. 264-265.

(44) Prof. N. Talberg, History of the Russian Church, p. 71.

(45) Kartashev, op. cit. Capitolo su La Separazione dall'Occidente, pp. 263-266.

(46) Ibid, p. 263.

(47) Talberg, op. cit., pp. 71, 73.

(48) Kartashev, op. cit., p.264.

(49) Ibid, p.264.

(50) Ibid, p.266. Un certo numero di opere è dedicato alla descrizione dei rapporti tra la Chiesa russa e l'Occidente. Uno degli esempi più significativi a proposito, a nostro umile giudizio, è l'opera in tre volumi di P. Pierling, La Russie et le Saint Siege, Paris, 1897.

(51) I papi erano sovrani rigorosi. Un papa è ricordato con gratitudine per avere reso sicure le vie di Roma per residenti e pellegrini. Lo fece ordinando di impiccare tutte le persone sospette. I papi avevano una forza di polizia efficiente e leale. Il "Sant'Uffizio" (Sacra Cancelleria) aveva una "Bocca della Verità," un'apertura nel muro dove si potevano depositare denuncie anonime, e che incuteva una grande paura ai residenti di Roma. I papi potevano avere nemici personali, ma non temevano nemici sui principi di fede. Questi ultimi a Roma erano sconosciuti.

(52) Vite dei Santi, compilate da San Dimitri, Metropolita di Rostov, per il 14 Maggio. Si veda anche I Folli in Cristo nella Chiesa orientale e russa di Ioann Kovalevskij, Mosca, 1895, pp. 238-249.

(53) Kovalevskij, op. cit., pp. 249-251.

(54) Ibid, p. 161ss.

(55) Possiamo far notare qui che gli storici russi caratterizzano la ricezione nell'Ortodossia di Marina Mnishek come un atto strettamente politico. La politica del Falso Dimitri era permeata dallo scopo di latinizzare la Chiesa russa. Si veda: Metropolita Makarij, Storia della Chiesa russa, v. X, pp. 99-122. Si veda anche Prof. Kartashev, op. cit., v. II, p. 60. Quanto alle mire del Falso Dimitri, si fa anche notare che egli, probabilmente, voleva essere un vero Tsar russo e non un lacchè di Roma e Varsavia. Il Professor Platonov nel suo libro su Boris Godunov fa correttamente notare che non c'è niente di peggio che formulare una calunnia contro una persona morta che non può controbattere. 
(56) Kartashev, vol. 2, p. 98.

(57) Idem.

(58) Kartashev, pp. 96-97.

(59) Ibid, p. 99.

(60) Metropolita Makarij, Storia della Chiesa russa, v. XI, p. 232.

(61) Citato in Prof. Talberg, op. cit., p. 467.

(62) Metr. Makarij, op. cit., vol. XII, pp. 175-175.

(63) Ibid, pp. 196-197.

(64) Op. cit., p. 786. Per il testo originale si vedano gli Atti dei Concili di Mosca 1666-1667, Mosca, 1893, pp. 174-175.

(65) Nikodim Milash, op. cit., p. 592, nota II.

(66) Arcivescovo Beniamino, "Novaja Skrizhal'" 16a ed., San Pietroburgo, 1899, pp. 475-476; [si veda anche la ristampa della 17a edizione fatta a Jordanville, §79, p.506].

(67) Si trova in Nikolskij, Manuale per lo studio dell'Ordine [Ustav] degli Offici, ed. 1900, pp. 685-686.

(68) Bulgakov, Libro di riferimenti per i ministri sacri, ed. 1900, p. 947, nota 2.

(69) Ibid, p. 929 e note a p. 948.

(70) Decreti del Santo Sinodo, 1840, II, 20. 1865, VIII, 25. Statuto del Concistoro Spirituale, 22, 25.

(71) Tserkovnye Vedomosti, 1893, 28. Istruzioni Pratiche [per pastori rurali], 181ss.

(72) Tserkovnye Vedomosti, 1891, 21, p. 280.

(73) Istruzioni del Santo Sinodo, 1800, 20 febbraio, nota 4. Si vedano maggiori dettagli in Nikolskij, op.cit., p. 684.

(74) Riguardo ad alcune situazioni speciali di certi eterodossi giunti all'Ortodossia, che non sono direttamente correlate al nostro tema, si veda la Compilazione di Direttive e Note sui Problemi di Pratica Pastorale, Mosca, 1875, pp. 73-75.

(75) Bulgakov, op. cit., pp. 928-929.

(76) Ibid, p. 929, nota 1.

(77) Arciprete Nikolskij, op. cit., p. 678.

(78) Nella rivista Annali della Società Imperiale di Storia e Antichità (1892, libro 3), c'è materiale che indica che i chierici che si uniscono alla Chiesa Ortodossa da un'eresia il cui battesimo e ordinazione sono fuori questione, dovrebbero essere ricevuti solo con una confessione scritta della Fede ortodossa e il ripudio della loro eresia, com'era la pratica del Settimo Concilio Ecumenico rispetto ai vescovi e altri chierici iconoclasti. Essi devono essere ricevuti in conformità al Canone 8 del Primo Concilio Ecumenico, ciascuno nel proprio rango clericale, ricoprendoli di paramenti secondo il loro rango. Si veda l'Arciprete Nikolskij, p. 686, nota 1.

(79) Si veda Bulgakov, op. cit., p 948, note.

(80) Porfirij Uspenskij, Libro della mia vita, v. 1, p.173.

(81) Protopresbitero Georgij Shavelskij, Memorie dell'ultimo protopresbitero dell'esercito e della marina russa, v. II, pp. 33ss.

La Chiesa russa era tollerante verso i non ortodossi. Il libro del Prof. N. Zernov Orthodox Encounter (1961) offre materiale storico sugli incontri di teologi e ierarchi russi e teologi e ierarchi non ortodossi, soprattutto anglicani, dai quali si può apprezzare l'ampiezza di visione della Chiesa russa. Le visioni ristrette e il fanatismo confessionale le erano estranei. Vorrei aggiungere da parte mia di avere visto, quando ero all'antica Cattedrale di York,conservato in una teca di vetro con gran riverenza, un omoforio di uno ierarca russo presentato da quest'ultimo all'Arcivescovo di York. Possiamo ricordare con quale cordialità la Chiesa russa accolse il ben noto Palmer, e quanto fu aperta nei suoi confronti. Egli, da parte sua, arricchì la letteratura teologica russa con la sua notevole opera sul Patriarca Nikon.

Gli ierarchi russi nella maggior parte dei casi si sono attenuti al principio che "le divisioni tra le denominazioni cristiane non giungono fino al cielo." È ben noto con quanta tenerezza e attenzione il giusto Padre Giovanni di Kronstadt si comportava verso i non ortodossi, mantenendo con loro una corrispondenza. La Regina Vittoria, a cui fu dedicata la traduzione inglese dell'opera del Santo Padre Giovanni di Kronstadt, La mia vita in Cristo, ricevette con riverenza il libro e rifletté sul suo autore con sommo rispetto. Qui c'è un estratto dal libro del teologo anglicano Birkbeck, Due giorni a Kronstadt (1902), pp. 277-295:

"Il volto di Padre Giovanni era calmo, come al solito, e aveva un sorriso brillante. Si muoveva con difficoltà tra le file dei presenti, che lo pressavano tutti per baciargli la mano o per ricevere la sua benedizione. Tra di loro notai non solo diversi luterani tedeschi, ma anche due tartari musulmani che facevano i camerieri al ristorante e che chiesero e ricevettero pure loro la sua benedizione. La sua influenza arrivava ben al di là dei confini della popolazione ortodossa.."

Padre Giovanni di Kronstadt ebbe una conversazione con un arcivescovo anglicano, e alla sua uscita dagli alloggi degli ospiti fu di nuovo circondato dalla folla. (Come è noto, il Metropolita Anastasij partecipò alla stesura di questo libro, essendo stato studente dell'Accademia Teologica).

Le relazioni della Chiesa Ortodossa Russa con i non ortodossi erano permeate di nobiltà e cordialità. Non è plausibile che qualcuno possa accusare San Filarete, Metropolita di Mosca, o il giusto San Giovanni di Kronstadt di non avere fermezza nella loro Ortodossia! Al contrario, è precisamente questa forza - la loro e quella della Chiesa russa - che permise tale magnanimità e tolleranza di approccio verso i non-ortodossi. Dove vi è Verità - vi saranno anche libertà, e forza, e magnanimità.

(82) Dato in Nikodim Milash, Canoni della Chiesa Ortodossa con Commentario, 1911, vol. I, pp. 589-590.

(83) Si fa riferimento alle opere dello Pseudo-Dionigi, che non sono dei tempi apostolici ma dei secoli successivi.

(84) Milash, supra, p. 590.

(85) Pedalion, ed. 1800. Traduzione inglese, ed. 1857, pp. 68-76, p. 402, nota 9. Le citazioni sono prese anche dal Diritto canonico ortodosso del Vescovo Nikodim, p. 591.

(86) Vescovo Nikodim Milash, Diritto canonico ortodosso, pp. 590-591.

(87) Ibid, pp. 591-592.

(88) Vescovo Nikodim Milash, Canoni della Chiesa Ortodossa... , vol. I, pp. 119-120.

(89) A. P. Lebedev, History of the Greco-Eastern Church under the Turks, 1903, pp. 270, 323-328.

(90) See Pichler, Geschichte der kirchliche Trennung, 1865, v. II, S. 107.

(91) N. F. Kapterev, The Character of Russian Relations towards the Orthodox East in the 16th and 17th Centuries, 1914, p. 427.

(92) Ibid, p. 435.

(93) Ibid, pp. 428-429. Egli dice pure che i monarchi russi, durante un periodo di due secoli, spesero grandi somme a beneficio dell'Oriente (Ibid, p. 144).

(94) Lebedev, op. cit., pp. 174-177.

(95) Kapterev, op. cit., p. 473.

(96) Guidelines for the Orthodox in Ecumenical Relations, 1966, pp. 8-13.

(97) Si veda l'Appendice 1.

(98) Si veda l'Appendice 2.

(99) Si veda l'Appendice 3.

(100) Cfr. nota 1.

(101) Ecumenical Guidelines, 1972, p. 11.

(102) Si veda l'Appendice 4.

(103) Canone 7 del Secondo Concilio Ecumenico; Canone 95 del Sesto Concilio Ecumenico.

(104) De baptismo, lib.V, cc. 2-3-4, Z.D. 43.

(105) Questo documento è stato originariamente tradotto in inglese e pubblicato su Orthodox Life, Vol. 29, No. 2, 1979, pp. 35-43. 

 

Appendici

Appendice 1

Nelle mie "Note sul Concilio Vaticano Secondo" ho fornito un certo numero di esempi che mostrano le relazioni cordiali del corso dei secoli tra i patriarchi di Costantinopoli e i papi di Roma. Durante il Concilio Vaticano Secondo queste relazioni migliorarono in modo significativo. In questa luce, il viaggio del Patriarca Atenagora a Gerusalemme per un incontro amichevole con Papa Paolo VI diviene comprensibile, come pure la seguente visita dal papa del patriarca di Costantinopoli, e la risposta del papa al patriarca, e anche il ritorno degli oggetti sacri degli ortodossi presi per sé in tempi passati dai latini: vale a dire, il ritorno del capo dell'Apostolo Andrea il Primo Chiamato, che la chiesa di Costantinopoli vanta come proprio fondatore, e il ritorno delle reliquie di San Sabba al monastero che porta il suo nome. Il ritorno di questi oggetti sacri è senza dubbio servito a creare relazioni più strette tra i greci e i cattolici romani. Un diacono e professore greco, testimone del rientro delcapo dell'Apostolo Andrea mi raccontò della grande solennità con cui ebbe luogo il trasferimento della reliquia, sacra per gli ortodossi. Il riverito capo dell'Apostolo Andrea, chiuso in una teca d'argento nella Basilica di San Pietro, fu scortato dal papa e dal clero latino e consegnato per via aerea alla città greca di Patrasso dal Cardinale Bea con la sua scorta. La popolazione della città si riunì tutta all'aeroporto. Il primo ministro, rappresentante del Re di Grecia, presentò al cardinale un'alta decorazione da parte del re. Numerose processioni religiose, clero in paramenti e fino a trenta vescovi accolsero la reliquia, il capo del Primo Chiamato tra gli Apostoli, dopo la sua assenza di 600 anni. È difficile descrivere la gioia e l'eccitazione del momento in cui l'anziano cardinale portò fuori la sacra reliquia. Preceduta dalla processione religiosa, la reliquia fu portata alla cattedrale, dove l'Arcivescovo Atenagora, capo della Chiesa ellenica, assieme all'intero episcopato greco e a un gran numero di chierici, celebrò una Divina Liturgia. Al termine della funzione l'arcivescovo prese il Cardinale Bea sotto braccio e uscì verso il popolo. Vi fu un'ovazione da parte del popolo, che chiese al cardinale di portare al papa la propria profonda gratitudine. "Piangevamo tutti," mi disse il mio interlocutore, "il popolo piangeva, i vescovi piangevano, l'anziano cardinale piangeva." La Divina Liturgia, celebrata da un vescovo, fu servita per quaranta giorni. La scorta e la ricezione dell'altro oggetto sacro - il ritorno delle reliquie di San Sabba da Venezia al suo chiostro in Gerusalemme fu altrettanto solenne e toccante. San Sabba disse ai suoi discepoli che il suo corpo incorrotto sarebbe stato rimosso dal suo monastero, e che in seguito avrebbe riposato alla Lavra da lui fondata. Egli fece notare che sarebbe ritornato al suo chiostro vicino alla fine del mondo. Una descrizione dettagliata del trasferimento della reliquia da Venezia a Gerusalemme, scritto dalla Signora V. Arturova-Kononova, è apparso sulle pagine di "Russkaja Zhizn'," No. 8793.

Durante la sessione finale del Concilio Vaticano Secondo, ebbe luogo un evento che lasciò una grande impressione su tutti i presenti. Il Patriarca Atenagora di Costantinopoli e Papa Paolo VI annunciarono simultaneamente la mutua sollevazione delle scomuniche e il proclama di inefficacia degli anatemi lanciati tra le loro sedi nel 1054. A Roma il fatto ebbe luogo nel modo seguente: Il papa sedeva sul suo trono nella Basilica di San Pietro. Il primo cardinale lesse, per conto del papa, un'epistola da lui mandata al Patriarca Atenagora, in cui esprimeva il suo rammarico per le offese alla Chiesa di Costantinopoli da parte dei legati papali. Con profondo rammarico per l'accaduto "tutte le scomuniche e gli anatemi posti dai legati sul Patriarca Michele Cerulario e sulla Santa Chiesa di Costantinopoli, le dichiariamo nulle e vuote."

Poco prima un'epistola del Patriarca Atenagora rivolta a Papa Paolo VI, in francese, fu letta a tutto il popolo: in essa la Chiesa di Costantinopoli diceva che tutte le scomuniche e gli anatemi posti sulla "nostra sorella, la Santa Chiesa di Roma, sono dichiariate nulle e vuote."

In seguito, dopo la lettura di entrambe le epistole, Il Metropolita Melitone, presidente della conferenza dei vescovi ortodossi di Rodi e primo rappresentante del Patriarca Atenagora, si avvicinò al papa. Era vestito in una mantia regale dorata, e scortato da due arcidiaconi. Quando fu letta l'epistola papale, il papa si alzò dal suo trono, srotolò la propria epistola manoscritta, abbellita in caratteri d'oro come si conviene a parole dorate, e la mostrò al popolo. Quindi la arrotolò e la diede al Metropolita Melitone. Quando il metropolita accettò il manoscritto, baciando la mano del papa, il papa abbracciò il metropolita scambiando con lui il bacio di pace. Il metropolita ci volgeva le spalle, e pertanto non fummo in grado di vedere l'espressione del suo volto. Il papa era di fronte a noi, e in quel momento il suo volto era così radioso da poter essere giustamente definito il volto di un angelo. È difficile riportare quella gioia, quell'eccitazione che in quel momento colse le migliaia di presenti. Molti piangevano, tutti applaudivano come fanno gli italiani, e alcuni, caduti in ginocchio, elevavano le mani al cielo come espressione di profonda gratitudine a Dio per un tale momento. Quando il metropolita ritornò al proprio posto, il suo percorso fu accompagnato da ovazioni che, devo dire, erano ancor più forti di quelle che accompagnavano il papa. Molti, in lacrime, si volsero a me in quanto rappresentante della Chiesa Ortodossa dicendo che se il Concilio Vaticano fosse stato convocato solo per questo singolo momento, sarebbe valso tutti gli sforzi e i mezzi spesi. Tutti sentimmo di essere stati presenti a uno dei momenti più notevoli, belli e commoventi della storia. E io notai, senza osare affermarlo, un segno speciale della benedizione di Dio. Forse fu solo un fenomeno naturale, ma era inverno, la fine di dicembre. Faceva freddo ed era molto nuvoloso. Ma nel momento stesso in cui il papa consegnò la sua epistola al Metropolita Melitone, un brillante raggio di sole irruppe attraverso la vetrata laterale della basilica e illuminò il papa e il metropolita.

La Chiesa Russa all'Estero non riconobbe l'atto del Patriarca Atenagora, ritenendo che il patriarca dovesse essere obbligato a compiere un atto simile solo con il consenso di tutte le Chiese Ortodosse, visto che la questione dello scisma tra le chiese occidentale e orientale riguarda tutte le Chiese Ortodosse. Non è solo una relazione personale tra il papa e il patriarca di Costantinopoli. Noi, gli osservatori della Chiesa Russa all'Estero, ricevemmo una direttiva telefonica dalle nostre autorità ecclesiastiche di non presenziare alla cerimonia del mutuo sollevamento degli anatemi tra le Chiese di Costantinopoli e di Roma. Ma dopo esserci consultati tra noi, percepimmo che una simile dimostrazione sarebbe stata dannosa per la nostra Chiesa, che rappresentavamo con onore. La nostra dimostrazione non sarebbe stata notata. Che significato avrebbe avuto l'assenza di tre individui di fronte a una massa di decine di migliaia?

Tuttavia, sentimmo che il mutuo sollevamento degli anatemi, per quanto fosse un gesto bello e nobile, non aggiungeva nulla in sostanza alle relazioni tra gli ortodossi e la Chiesa di Roma, poiché anche prima del Concilio Vaticano le relazioni tra le chiese erano nettamente migliorate. Il Concilio Vaticano non fece che rafforzarle, così che mutuo sollevamento degli anatemi fu un progresso naturale di queste relazioni migliorate tra le Chiese. Se solo un simile mutuo sollevamento degli anatemi fosse accaduto nel 1054 o poco dopo, quando c'era ancora un'unità di fede e dogmi tra la chiesa occidentale e orientale, questo avrebbe portato unità nella Chiesa e, senza dubbio, il destino del mondo sarebbe stato differente.

 

Appendice 2

In uno dei suoi decreti il Concilio Vaticano ritenne possibile e perfino desiderabile che cattolici romani che si trovassero al di fuori della prossimità di una chiesa cattolica, potessero ricevere i santi sacramenti, inclusa la Santa Comunione, da chiese ortodosse nelle loro vicinanze. Solo il Patriarcato di Mosca rispose a tale decreto e annunciò una decisione favorevole ai cattolici, permettendo loro di ricevere la Comunione in Chiese Ortodosse dove non erano presenti chiese cattoliche romane. Questa decisione fu accettata dal Sinodo Patriarcale il 16 Dicembre 1969, e fu pure confermato in un tempo successivo. Si veda il Journal of the Moscow Patriarchate in inglese, 1983, No 4, p. 76.

 

Appendice 3

Poco tempo prima del Concilio Vaticano, un prete polacco che parlava bene il russo mi raccontò, con grande trasporto, la sua esperienza. Era stato esiliato in Siberia dalle autorità sovietiche. Quindi, durante la Seconda Guerra Mondiale, un contingente polacco fu organizzato come parte dell'Ottava Armata britannico. I polacchi rilasciati dai campi sovietici iniziarono a organizzare i propri offici divini. Ma non avevano paramenti, né vasi sacri. Iniziarono a fare paramenti con tela di sacco, quindi fu detto loro di parlare al vescovo ortodosso locale. Quando i preti polacchi arrivarono, il vescovo russo li accolse con calore, dicendo di essere proprio in grado di aiutarli. Diede ai cattolici romani paramenti, vasi sacri e altri oggetti ecclesiastici. Tali oggetti erano giunti al vescovo in questa maniera. Quando ebbe inizio la distruzione delle chiese nell'Unione Sovietica, il vescovo cattolico romano locale istruì il suo clero di portare tutti gli oggetti della chiesa al vescovo ortodosso locale, dicendo, "Forse la Chiesa Ortodossa riuscirà a sopravvivere, ma noi cattolici non abbiamo probabilità. Così, lasciate che il vescovo ortodosso tenga tutti i nostri oggetti, e quando ne avrà l'opportunità ce li restituirà." Il vescovo ortodosso, restituendoci tutti gli oggetti, disse di essere pieno di gioia nel vedere il giorno della restituzione ai loro proprietari. Va da sé che questo prete polacco divenne un amico della Chiesa Ortodossa.

Riporterò pure una piccola esperienza che io stesso ho avuto. Nel 1952, avevo una parrocchia in Inghilterra, a Bradford. In questa città industriale c'erano molti rifugiati che avevano le proprie chiese: russi, polacchi, ucraini e altri. C'era una folta comunità di ucraini della Galizia, che erano uniati. Mi fu detto che erano molto ostili a noi russi. Una notte, ebbi una chiamata dall'ospedale locale, che mi avvisava che una donna "della vostra religione" era in punto di morte. Prendendo i Santi Doni mi affrettai verso l'ospedale. La notte non era solo scura, ma una spessa nebbia copriva ogni cosa. Si riusciva a stento a camminare da un lampione all'altro. Giunsi all'ospedale e fui portato al reparto dove la donna seriamente malata giaceva in una tenda a ossigeno. Qui seppi che non era ortodossa, ma uniata della Galizia. Suo marito era seduto al suo fianco, e piangeva. Gli dissi che non era ortodossa, ma apparteneva alla fede cattolica romana. Era urgente che fosse chiamato un prete cattolico romano. Allo stesso tempo assicurai il marito che non avrei permesso che morisse senza Comunione, e se il prete cattolico non fosse arrivato o non fosse giunto in tempo, le avrei dato io stesso la comunione. Il prete cattolico arrivò presto. Era inglese e non conosceva il russo o l'ucraino. Offrii il mio aiuto, e chiesi alla malata se si pentiva dei propri peccati e voleva ricevere la Comunione. Ella rispose, "Sì, Padre" nel suo accento ucraino. Tradussi le parole al prete, che le diede la Comunione. Andai all'ospedale alcuni giorni più tardi, e fui molto contento di vedere che la donna stava rapidamente riprendendosi, e che era felice di vedermi. In seguito, mentre camminavo per strada di fronte a un club di galiziani, fui piacevolmente sorpreso quando tutti coloro che erano al di fuori dell'edificio si tolsero il cappello salutando me, un prete russo, con calore. Ne parlai al nostro grande ierarca, l'Arcivescovo John [Maksimovich] e gli dissi che avrei dato la Comunione alla donna morente anche se era uniata. In seguito, sarei stato disposto ad accettare qualsiasi punizione che Santa Chiesa vi avrebbe voluto dare. La risposta dell'Arcivescovo John fu degna della sua santità e amore per le persone: "Non ti sarebbe stata data alcuna punizione."

 

Appendice 4

Quando ero a Sydney, in Australia, nel 1956, fui chiamato al capezzale di un neonato morente. Il bimbo era in un'incubatrice. Infilai la mano nell'apertura dell'incubatrice e aspersi l'infante per tre volte con acqua santa, pronunciando la formula del battesimo. Ebbi anche il tempo di ungerlo con il Crisma. Come potremmo parlare di qualsiasi tipo di immersione?

Quando servivo come prete in uno dei villaggi di Srem, nel 1949, ebbi l'occasione di battezzare un bambino portato nella mia chiesa. L'inverno era molto severo. La chiesa non era riscaldata tutti eravamo rivestiti di cappotti e tremavamo per il freddo. Il bimbo era ben avvolto in panni, solo la testa era visibile. Come avrei dovuto battezzarlo? Il prete anziano, ex-rettore della parrocchia, mi disse di aspergerlo per tre volte con acqua santa usando un rametto di basilico, dicendo: "Il servo di Dio (....) è battezzato nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito. Amen." Questo è quanto feci, ed è la sola cosa che si sarebbe potuta fare.

 

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  Il proselitismo cattolico tra la popolazione ortodossa in Russia
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Questo testo è una traduzione dall'inglese del documento del 25 Giugno 2002 preparato dal Dipartimento delle Relazioni con l'Estero del Patriarcato di Mosca, presente sul Sito Internet della Chiesa Ortodossa Russa

 

Informazione generale

 

1. Concetto di proselitismo

Il problema del proselitismo cattolico nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa è uno dei più seri ostacoli al miglioramento delle relazioni tra le due Chiese. Il proselitismo, portato avanti dai cattolici tra la popolazione tradizionalmente ortodossa in Russia e negli altri paesi della Comunità di Stati Indipendenti, svaluta l’attitudine della Chiesa Cattolica Romana verso la Chiesa Ortodossa come sua “Chiesa sorella” dichiarata dal Vaticano II. I rappresentanti del Vaticano e i gerarchi cattolici che operano in Russia hanno spesso affermato i loro sentimenti “fraterni” verso gli ortodossi. La situazione reale, tuttavia, indica il contrario.

Il problema del proselitismo è aggravato dal fatto che la parte cattolica nega la sua stessa esistenza, riferendosi alla propria interpretazione del termine “proselitismo” come adescamento di persone da una comunità cristiana a un’altra attraverso mezzi “disonesti” (per esempio, la corruzione). Allo stesso tempo, essa allude alla predicazione del vangelo alle persone “non credenti e non battezzate” che giungono alle chiese cattoliche esercitando la loro libertà di scegliere una religione che vada loro bene. La parte cattolica spesso pone questa domanda: “Sarebbe meglio se queste persone rimanessero atee piuttosto che diventare cattoliche?”

Portando avanti precisamente la predicazione e la missione in Russia, senza curarsi affatto del proprio gregge tradizionale (polacchi, lituani, tedeschi), la parte cattolica si riferisce spesso alla “natura missionaria della Chiesa” e al comandamento del Signore di predicare il vangelo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo” (Mt 28,19). Questo è ciò che Padre Bernardo Antonini, una figura ben nota della Chiesa Cattolica in Russia, ha scritto nel suo articolo intitolato “Che cosa ne penso del proselitismo”. Egli propone “di andare alla ricerca della delicata linea di confine tra predicazione, missione e proselitismo”, affermando il diritto della Chiesa “di predicare dovunque possibile” (Svet Evangelia (La Luce del Vangelo), giornale dei cattolici russi (qui di seguito SE), n. 37, 2000). E’ sulla base di queste vedute che i cattolici rigettano la nozione stessa di territorio canonico.

Tali vedute, assai popolari tra il clero cattolico russo, possono produrre molte serie obiezioni.

Dapprima, il clero cattolico, che come vedremo più avanti viene in maggior parte dall’estero, non deve predicare in qualche oscuro “territorio missionario”, né a un popolo pagano o irreligioso. Questo clero viene in un paese con una millenaria cultura cristiana impregnata di tradizione ortodossa. Pertanto, il fatto stesso di condurre una missione cattolica qui, tra la popolazione locale che non ha alcuna relazione storica o culturale con la Chiesa Cattolica, e la presenza di missionari cattolici nella terra russa provoca la domanda perfettamente legittima: i cattolici credono che la Chiesa Ortodossa sia una Chiesa? Se sì, la loro attività è condotta in violazione delle parole di San Paolo: “Mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui” (Rm 15,20).

In secondo luogo, è da lungo tempo evidente che l’oggetto della missione cattolica in Russia e negli altri paesi della CSI è la popolazione tradizionalmente ortodossa. Queste persone sono state strappate con la forza dalle loro radici ortodosse nei decenni del regime antiteista, ma non possono essere definite non credenti o atee. Molte di loro si sono trovate a un bivio, in ricerca spirituale, ma come possiamo vedere dalla pratica, la maggior parte di loro ritorna alla fede dei propri padri e trova il proprio sentiero spirituale nell’Ortodossia. E’ impensabile negare i profondi legami spirituali, culturali e storici nel nostro popolo con l’Ortodossia. Ci disorienta il fatto che i cattolici, che appartengono essi stessi a una Chiesa in cui la nozione di tradizione è una delle nozioni fondamentali, debbano dubitare della natura tradizionale dell’Ortodossia per la Russia. Per molti di loro, la Russia è un campo missionario di “evangelizzazione” della popolazione locale. In altre parole, l’attitudine della Chiesa Cattolica Romana verso la Russia differisce ben poco da quella dei membri di varie sette che cercano di “cristianizzare” lo spazio post-sovietico e di costruirvi un “mercato religioso” in cui le organizzazioni religiose agiscono come concorrenti in lotta per la “clientela”. La logica che ne consegue è chiara: chi è più grande e potente, chi è stato il primo ad appropriarsi di un particolare “settore di mercato”, è nel giusto.

La Chiesa Ortodossa Russa non ha paura della competizione con la Chiesa Cattolica Romana. Noi non abbiamo le paure che alcuni ci attribuiscono: “Gli ortodossi temono che il lavoro pastorale possa finire per svuotare le loro chiese” (Intervista dell’Arcivescovo T. Kondrusiewicz ad Avvenire, 18 marzo 2000’). Il Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, è stato anche più aspro: “La Chiesa Ortodossa Russa sente la propria debolezza pastorale ed evangelica, e perciò ha paura della presenza cattolica, che è ben più efficace a livello pastorale, anche se numericamente più piccola” (Civiltà Cattolica, 16 Marzo 2002).

Com’è che questa “efficacia” della pastorale cattolica si esprime concretamente? – In una vita cristiana del loro gregge più elevata di quella del gregge ortodosso? Al contrario, si può dichiarare con sufficiente confidenza che i successi dei cattolici in Russia sono stati indirettamente condizionati dall’influenza dell’Ortodossia sulla vita dei russi. Infatti, nonostante le più severe persecuzioni mai avute contro la Chiesa, è sotto l’influenza dell’Ortodossia, sia nel passato che nel presente, che il nostro popolo ha mantenuto l’interesse nella fede, la riverenza per il sacro e una profonda sensibilità alla predicazione di Cristo. E’ questa predisposizione del nostro popolo, consumato dal desiderio della fede negli anni dell’ateismo di stato, piuttosto che l’efficacia del “livello pastorale” cattolico in Russia, che rende conto del relativo successo non solo di quella cattolica, ma di qualsiasi predicazione di Cristo. Oggi, i missionari occidentali sfruttano di fatto quel terreno buono fertilizzato dall’Ortodossia che è l’anima russa, notevole per la sua credulità e apertura alla Parola di Dio e alla sua speciale sensibilità a tutto ciò che concerne la fede. Sfortunatamente, nessuna cosa del genere sta accadendo in Occidente, il territorio della responsabilità pastorale storica della Chiesa Cattolica Romana. Né l’efficacia né l’“aggiornamento” sono qui di aiuto. L’Occidente sta crescendo in modo sempre più secolare e ateo. Si dovrebbe notare per amore di giustizia che la nostra posizione incontra comprensione e sostegno tra i rappresentanti della Chiesa Cattolica Romana in molti paesi, eccetto, purtroppo, che tra i cattolici russi e le gerarchie del Vaticano.

La Chiesa Ortodossa Russa non desidera essere in rapporti di rivalità e di competizione con la Chiesa Cattolica. Essa crede che questo tipo di rapporti non sia fraterno né cristiano. Noi chiamiamo la parte cattolica al dialogo e alla cooperazione, al mutuo rispetto e all’osservazione degli interessi gli uni degli altri. Ciò si dovrebbe esprimere soprattutto nel riconoscimento che ciascuna delle due parti ha certi territori tradizionali di responsabilità pastorale che le competono. Sfortunatamente, il nostro richiamo differisce radicalmente dalla posizione presa dal Cardinale W. Kasper quando dichiara: “E’ divenuto chiaro che il dibattito sul principio del territorio canonico e del proselitismo nasconde argomentazioni di natura basilarmente ideologica”, mentre la Chiesa Ortodossa Russa “difende non solo una realtà che non è più esistente, ma anche relazioni tra Chiesa e popolo che sono teologicamente problematiche” (Ibid.). Egli accusa la Chiesa Ortodossa Russa di “eresia ecclesiologica”, che consiste nel “fallimento di riconoscere l’aspetto missionario della Chiesa Cattolica a vantaggio di una concezione del proselitismo indebitamente estesa nel suo significato”. L’articolo del cardinale non riesce a dare una singola prova a sostegno di queste dure dichiarazioni. Nondimeno, noi crediamo che sia necessario esporre argomentazioni che le confutino.

La nozione di territorio canonico non è un’invenzione della Chiesa Russa, sviluppata per qualche ragione ideologica. Essa è una conseguenza della tradizione canonica della Primitiva Chiesa Indivisa. C’è un’antica regola nelle Chiese sia dell’Oriente che dell’Occidente: “una città – un vescovo”. Questo significa che un territorio affidato alla cura di un vescovo non può essere governato da un altro vescovo legittimo. Questo principio è stato osservato fino a oggi sia nella Chiesa Ortodossa che nella Chiesa Cattolica. Un’eccezione è costituita da una diaspora confessionale, vale a dire, gli ortodossi che vivono in un territorio dove i vescovi cattolici hanno storicamente esercitato la loro giurisdizione, e vice versa. La cura pastorale di tale diaspora da parte dei propri vescovi e clero non ha mai fatto sollevare obiezioni da parte dei vescovi locali. Un vivido esempio in Russia è lo status della Chiesa Cattolica prima della rivoluzione del 1917, e nell’Europa occidentale lo status di varie giurisdizioni di Chiese ortodosse locali, inclusa quella della Chiesa Ortodossa Russa.

Sfortunatamente, questo principio non è stato sempre osservato nella storia delle relazioni tra Oriente e Occidente. L’esempio più vivido è l’era delle crociate, in cui fu stabilita in Oriente una gerarchia cattolica parallela, che considerava come proprio dovere la missione tra la popolazione locale, inclusa la conversione degli ortodossi al Cattolicesimo. Il Vaticano II, avendo descritto la Chiesa Ortodossa come “Chiesa sorella”, ha riconosciuto il fatto che le Chiese Ortodosse hanno un territorio in cui conducono il proprio ministero salvifico, vale a dire, che hanno ciò che oggi noi descriviamo come territorio canonico.

Il Vaticano non avrebbe dovuto sfidare il principio di territorio canonico anche perché gli ortodossi, riferendosi a esso nelle proprie relazioni con i cattolici, continuano in tal modo a credere che le strutture ecclesiastiche cattoliche siano vincolate dalle norme canoniche della Chiesa Primitiva, condivise da entrambe le Chiese. E’ questa fiducia che provoca una reazione tanto negativa della Chiesa Russa alla fondazione delle quattro nuove diocesi cattoliche in Russia, e a differenza della sua reazione ad azioni simili di vari gruppi settari che non sono associati nella consapevolezza ortodossa con la tradizione ecclesiastica. Gli ortodossi percepiscono le azioni di Roma come un arretramento all’ecclesiologia delle crociate, e un rigetto di fatto del retaggio del Vaticano II, quindi un rifiuto dell’era del dialogo e della cooperazione.

Le parole del Cardinale Kasper sulle “relazioni tra Chiesa e popolo che sono teologicamente problematiche”, e che sostiene che la Chiesa Ortodossa Russa predichi, indicano la sua mancanza di conoscenza delle realtà ecclesiastiche, storiche e culturali della Russia. In particolare, il significato di formazione statale che l’Ortodossia ha avuto per la Russia. Nella storia russa, la Chiesa Ortodossa ha avuto un gran numero di volte un ruolo salvifico per il nostro popolo. Uno degli esempi più vividi è il cosiddetto Periodo dei Torbidi all’inizio del XVII secolo, quando la struttura statale della Russia fu di fatto distrutta dall’attacco degli invasori polacchi. La Chiesa Ortodossa fu la forza che ispirò il popolo alla lotta per l’indipendenza, e che aiutò a restaurare lo stato russo. Se si dovesse seguire la logica del Cardinale Kasper, il legame storico tra il Cattolicesimo e la Polonia, per esempio, dovrebbe suscitare in lui “teologicamente” non minori preoccupazioni.

Le accuse di “eresia ecclesiologica” fatte dal cardinale contro la chiesa russa suscitano stupore e indignazione. La nozione di eresia presuppone una contraddizione all’insegnamento cristiano presentato nella Santa Tradizione della Chiesa. Lanciando simili accuse, si dovrebbe almeno avere cura di comprovarle. Sfortunatamente, non c’è nulla del genere nel summenzionato articolo del cardinale, cosa che dà a questo testo il tono di una dichiarazione politica.

Ritornando al tema della “libertà di scelta” esercitata da alcuni russi di optare per la fede cattolica, si dovrebbe menzionare che il problema del proselitismo non sta nel fatto che qualcuno preferisce il Cattolicesimo o diventa cattolico – dopo tutto, è diritto dell’individuo – ma nel fatto che la missione cattolica spinge coloro che sono esitanti verso questa opzione. La questione del proselitismo non appartiene né alla giurisprudenza secolare né all’area dei diritti umani, ma all’etica inter-cristiana e inter-ecclesiale. L’attività missionaria dei cattolici in Russia è una palese violazione di quest’etica. E si manifesta in modo specialmente vivido nell’attività degli ordini religiosi cattolici.

Vedremo più oltre che molti ordini religiosi cattolici che operano in Russia mostrano la missione persino nei loro nomi: “Figli Missionari del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria (Claretiani), “Sorelle Missionarie del Divino Amore”, “Donne Missionarie della Sacra Famiglia”, etc. Altri ordini, come i verbisti, sono stati stabiliti fin dal principio come missionari. E’ la missione, non la cura pastorale del gregge tradizionalmente cattolico, il compito principale di questi ordini religiosi.

Apparentemente, altre strutture cattoliche in Russia sono altresì calcolate con uno “spazio di crescita” in mente, a spese dei convertiti al Cattolicesimo. E’ piuttosto evidente che nella Federazione Russa di oggi i cattolici sono in numero molto minore di quanto fossero nell’Impero Russo prima della rivoluzione del 1917. Eppure, se a quel tempo c’erano 150 parrocchie cattoliche nel paese, oggi ce ne sono oltre 200. Se prima della rivoluzione c’erano due diocesi cattoliche, Mogolev e Tiraspol, oggi, nella Federazione Russa contemporanea, ce ne sono quattro! A cosa mirano tutte queste strutture? Apparentemente, a un rafforzamento che risulti dall’attività missionaria, che è il centro di tutta l’opera cattolica in Russia.

Quanto al reale numero di fedeli cattolici nella Russia di oggi, c’è una discrepanza tra le cifre fornite dai vari rappresentanti ufficiali della Chiesa Cattolica Romana. L’addetto stampa vaticano J. Navarro-Valls nelle sue dichiarazioni fornisce la cifra di 1,3 milioni. Questa cifra è contraddetta dal riferimento dell’Arcivescovo T. Kondrusiewicz a 500.000 o 600.000 cattolici in Russia. A dire il vero, di recente, nel febbraio 2002, ha menzionato 65.000 cattolici nella sola Mosca (nella conferenza stampa che annunciava la fondazione delle diocesi cattoliche in Russia). E’ del tutto oscura la fonte di questa cifra. Anche se il numero dei cattolici includesse tutti gli stranieri cristiani che vivono a Mosca, difficilmente sarebbero così tanti. Non più di 1.000 persone in tutto si raduna alle funzioni natalizie e pasquali in lingua russa nelle maggiori chiese cattoliche della capitale, la chiesa dell’Immacolata Concezione e San Luigi. Ancor meno persone vanno alle messe servite in altre lingue. E’ impossibile negare questo fatto. Non meno eloquenti sono i piani della Chiesa Cattolica di erigere a Pskov una chiesa alta 42 metri, vale a dire, alta quanto un edificio di 13 piani, considerato che vi sono solo circa 100 cattolici nella regione di Pskov.

 

2. La ricerca di “vocazioni” cattoliche in Russia

Una delle principali priorità nel lavoro della Chiesa Cattolica Romana in Russia è l’addestramento di un clero cattolico locale, e probabilmente di clero e religiosi per l’Europa Occidentale. Sono già apparsi novizi russi in alcuni monasteri in Occidente. Al suo incontro con i vescovi cattolici dell’ex-Unione Sovietica il 9 febbraio del 2001, Giovanni Paolo II ha sottolineato l’importanza di formare, a partire dalla popolazione locale, un clero che sia capace di “comprendere a fondo la mentalità della grande nazione a cui appartiene”. L’Arcivescovo T. Kondrusiewicz, criticando le leggi russe come impedimenti all’attività di un clero in visita, ha detto, “La Chiesa Cattolica è estremamente interessata ad avere clero russo, e non straniero, che si prenda cura dei cattolici in Russia, e farà per esso tutto il possibile” (SE, N. 11, 2001). Secondo l’agenzia di stampa cattolica Zenit, nel rapporto del 13 febbraio 2002, il vescovo cattolico Jerzy Mazur della Siberia Orientale sta preparando le bozze di un “programma pastorale” per la formazione di un clero pienamente locale.

Scopi simili sono serviti dal Seminario Maggiore Maria Regina degli Apostoli. Questo è stato aperto a Mosca nel 1992 e trasferito a San Pietroburgo nel 1995. Vi erano due seminari a San Pietroburgo e a Saratov prima della rivoluzione, ma il numero dei cattolici russi a quel tempo e oggi è incommensurabile. Nella Russia di oggi, in aggiunta alla summenzionata scuola teologica a San Pietroburgo, vi sono pre-seminari ad Astrakhan e Novosibirsk, e il Collegio Teologico per laici San Tommaso d’Aquino a Mosca, che ha succursali a San Pietroburgo, Saratov e Kaliningrad.

Per quanto riguarda la composizione degli studenti in queste istituzioni, c’è qui “proselitismo in azione”. Basti guardare la lista dei seminaristi: le “vocazioni” sono davvero locali, ma non vi sono quasi nomi polacchi o lituani. Questo non è del tutto celato dagli stessi educatori cattolici in Russia. L’articolo di E. Spiridonova intitolato “Il latino è ora fuori moda” pubblicato in SE (N. 14, 2001), dice, “Una famiglia su due, di quelle che hanno dato uno studente al seminario, si considera non credente”. Padre Bernardo Antonini dice praticamente lo stesso del Collegio San Tommaso d’Aquino: “Nel nostro collegio di teologia, filosofia e storia, che ha aperto il 9 novembre 1991, dal 20 al 30 per cento degli studenti iscritti ogni anno è ortodosso. Ci sono anche protestanti… La succursale del collegio a Kaliningrad è stata frequentata da 89 studenti ortodossi e 28 studenti cattolici nel primo anno”.

Il centro dei gesuiti russi a Meudon, in Francia, ha pubblicato un Catechismo della Chiesa Cattolica in russo. Durante la sua presentazione in Vaticano, l’Arcivescovo T. Kondrusiewicz ha detto, “Di fatto, la terminologia teologica e religiosa della lingua russa ha iniziato a formarsi solo negli ultimi pochi anni, specialmente grazie al lavoro del Collegio e del Seminario… Io credo che il Catechismo sarà utile non solo ai cattolici , ma anche agli ortodossi e agli altri cristiani, sia in Russia che negli altri paesi dell’ex-URSS” (SE, N. 6, 1997). Ci si può immaginare di udire simili dichiarazioni da un gerarca della Chiesa Ortodossa Russa in Occidente? Certamente, l’Arcivescovo Kondrusiewicz non deve essere necessariamente un fine conoscitore della tradizione teologica russa, ma dovrebbe quanto meno essere al corrente della sua esistenza.

Da qui nasce la domanda: quando e dove la Chiesa Ortodossa Russa ha fondato i propri seminari nel territorio di paesi tradizionalmente cattolici? (L’Istituto teologico San Sergio a Parigi è emerso come istituzione educativa per venire in contro alle necessità degli emigrati russi, non per risvegliare “vocazioni” locali.)

Una delle principali e più disturbanti caratteristiche dell’attività cattolica è la sua enfasi sul lavoro con i bambini e gli adolescenti, soprattutto negli ospedali, nelle scuole secondarie e negli orfanotrofi. Sotto il pretesto della cura degli orfani e dei bambini senza casa, i cattolici (soprattutto rappresentanti di ordini religiosi femminili) coltivano una nuova generazione di cattolici russi che prenda il loro posto! Qualsiasi “libertà di scelta” è qui totalmente fuori questione. I missionari cattolici dichiarano apertamente che la loro mira è di influenzare gli adulti attraverso i bambini. Se le suore cattoliche sono davvero interessate al fato degli orfani, perché allora non lavorare assieme alla Chiesa Ortodossa Russa, sostenendo i suoi sforzi in quest’area?

Passiamo agli esempi di attività proselitistiche cattoliche, la cui assenza è ripetutamente affermata dai gerarchi cattolici russi. L’esempio più scioccante è quello riportato dalla diocesi di Novosibirsk della Chiesa Ortodossa Russa. Nell’estate del 1996, è stato aperto un orfanotrofio cattolico a Novosibirsk, attrezzato per 50 bambini, le cui “iscrizioni” sono iniziate nell’autunno dello stesso anno. I primi tre bambini sono stati i fratelli Belyaikin di nome Evgenij, Dmitrij e Vitalij (di 14, 11 e 8 anni). Prima di quel momento, essi erano nell’Orfanotrofio N. 1 di Novosibirsk. La Fraternità Ortodossa di Sant’Alessandro Nevskij si prendeva cura spirituale dei bambini di quell’orfanotrofio. I missionari della fraternità parlavano con i bambini, li preparavano per i sacramenti, li portavano in una chiesa ortodossa e alla scuola domenicale. I fratelli Belyaikin furono battezzati nella primavera del 1996; iniziarono ad andare in chiesa, a fare la confessione e a ricevere la comunione. Presto, tuttavia, Evgenij, Dmitrij e Vitalij furono trasferiti da questo orfanotrofio a quello cattolico per qualche ragione ignota. Quando i bambini furono portati là, i loro padrini, membri della Fraternità Ortodossa di Sant’Alessandro Nevskij, iniziarono a far loro visita, a pregare con loro, a portare loro libri religiosi, pane benedetto e acqua santa. Quasi immediatamente gli ortodossi incontrarono un’attitudine sospettosa e malevola da parte del personale cattolico dell’orfanotrofio, che presto divenne palesemente ostile. Alludendo al fatto che i padrini non erano legalmente imparentati con i bambini, iniziarono a impedire le loro visite. Il direttore dell’orfanotrofio, un prete italiano di nome Ubaldo Orlandelli, minacciò telefonicamente il padrino dei bambini, mentre una guardia dell’orfanotrofio promise di punirlo fisicamente se fosse tornato. Insultarono anche la nonna dei bambini. Tolsero ai bambini i libri ortodossi, e iniziarono a impedire in ogni modo possibile il loro nutrimento spirituale da parte della Chiesa Ortodossa. Dopo l’apertura dell’orfanotrofio, i cattolici sottolinearono ripetutamente che quest’opera di carità non si sarebbe occupata di educazione religiosa. Forse per questa ragione il personale cattolico decise di “disabituare” i bambini dalla loro fede ortodossa.

C’è stato un caso di un viaggio organizzato dai cattolici per bambini “non credenti” della regione di Smolensk in visita in Polonia. Furono portati a una funzione sacra in una chiesa cattolica e “serviti” di ostie consacrate senza spiegare loro che questa era la comunione cattolica.

I cattolici hanno lavorato con i bambini nella scuola media N. 84 a Volgograd. Là effettivamente non ci sono cattolici, e la maggior parte dei bambini è ortodossa. Questa attività di insegnamento non è stata affatto compiuta in contatto con il locale vescovo ortodosso, ma in contrasto con la sua posizione e con un’apparente tendenza a favore della Chiesa Cattolica Romana.

C’è un centro giovanile cattolico a Elista. Nello stesso luogo, in Kalmykia, i cattolici hanno organizzato vacanze per bambini di varie confessioni nel campo estivo Beriozka.

Le Sorelle della Madre di Dio dell’Immacolata Concezione hanno organizzato a Orenburg un teatro per giovani, che si esibisce sul palcoscenico del locale teatro per burattini, con lo stesso scopo di convertire i giovani al Cattolicesimo.

Al villaggio di Vershina, nella regione autonoma dell’Ust-Ordynskij, con la sua popolazione etnicamente e confessionalmente mista, e in assenza di una chiesa ortodossa, la parrocchia cattolica locale ha condotto catechismi e messe per bambini della scuola primaria. Al vicino villaggio di Dunday, i cattolici hanno condotto lezioni di studi religiosi per bambini di scuola media (SE, N. 11, 2001). Incidentalmente, tra questi non c’è un singolo cattolico. Ci si può immaginare un prete ortodosso russo che insegni a ragazzi cattolici di una scuola media in Italia?

La parrocchia cattolica a Yuzhno-Sakhalinsk ha lavorato in orfanotrofi (SE, N. 13, 2001) in cui i bambini erano in maggioranza ortodossi.

L’orfanotrofio di Raduga a Petropavlovsk-Kamchatsky “è preso in cura” dalla locale parrocchia cattolica di Santa Teresa. Il direttore di Raduga ha dato il suo consenso al Vescovo Mazur di visitare l’orfanotrofio. Durante quella visita, una suora cattolica di nome Fabiana Patshonsay, una Sorella Missionaria della Sacra Famiglia, “ha parlato ai bambini dell’Annunciazione e ha insegnato loro a pregare” (SE, N. 14, 2001). Questa sorella insegna anche al Centro Catechistico di Irkutsk e Khabarovsk, e scrive libri di testo. E’ stata lei a esprimere l’idea di influenzare gli adulti attraverso i bambini. E’ superfluo fare ancora notare che quest’opera è stata compiuta su bambini di famiglia ortodossa.

Al paesino di Listvyanka vicino a Irkutsk, c’è un Centro Spirituale Cattolico dedicato a Giovanni Paolo II, chiamato “Edinenie” (unità). Vi lavorano le Ancelle dello Spirito Santo. Questo è quello che dicono dei loro assistiti: “Sono per lo più bambini piccoli battezzati nella Chiesa Ortodossa o lontani da qualsiasi confessione” (SE, N. 36-37, 2001).

A Ulan-Ude, il catechismo è condotto tra i bambini e i giovani dalle Sorelle di San Domenico, che predicano nel sanatorio dei bambini e nel ricovero degli anziani, conducono eventi festivi e lavorano con figli di famiglie in difficoltà (SE, N. 38-39, 2001). La maggior parte di questi bambini è ortodossa.

Vi sono ampie prove che clero, religiosi e laici cattolici conducono la loro opera missionaria a Mosca tra bambini finanziariamente dipendenti in orfanotrofi che appartengono alle organizzazioni caritatevoli non lucrative di Madre Teresa e degli Oratori di Don Bosco, che operano per la protezione sociale di giovani e indigenti. In questi casi come in altri, si opera fondamentalmente con bambini battezzati nella Chiesa Ortodossa, vale a dire, membri a pieno titolo della Chiesa Ortodossa.

 

3. L’attività degli ordini religiosi

Come già menzionato prima, la più attiva opera “caritativa” è stata condotta da rappresentanti degli ordini religiosi cattolici. E’ la loro attività che ricade più di tutte sotto la definizione del proselitismo. Il numero di cattolici nella Russia di oggi non è così grande da richiedere la creazione di tanti monasteri. Tutta la loro vita consacrata in questo paese è oggi diffusa artificialmente attraverso gli sforzi di monaci stranieri. Allo stesso tempo, come sappiamo dalla storia della Chiesa, il monachesimo è sempre stato un risultato delle aspirazioni spirituali dei credenti stessi, vale a dire, è emerso in mezzo a loro in modo naturale. Questo non è il caso, tuttavia, nella Russia di oggi. Le comunità religiose cattoliche sono state organizzate da stranieri in visita, nella speranza di convertire un crescente numero di ortodossi o di russi “non credenti”.

I Verbisti (Societas Verbi Divini – SVD - Compagnia del Verbo di Dio). Questo è un ordine missionario fondato nel 1875 da Arnold Janssen nei Paesi Bassi. Di conseguenza, le parrocchie che hanno a Tambov, Vologda, Blagoveschensk, Novosibirsk e Irkutsk sono missionarie. I verbisti insegnano al Seminario Maggiore cattolico, altra cosa che indica il loro sforzo di addestrare “vocazioni locali”. A Mosca lavorano con bambini e con giovani.

Il più famoso verbista in Russia è il vescovo cattolico Mazur della Siberia Orientale. Nato nel 1953 in Polonia, è diventato novizio verbista già nel 1972. Si è laureato in un seminario dello stesso ordine. Dal 1980 al 1982 il futuro vescovo ha studiato missiologia all’Università Gregoriana a Roma. Dal 18 maggio 1999 è l’amministratore apostolico della Siberia occidentale. Per decreto papale del 10 novembre 2000, è stato altresì nominato amministratore apostolico della prefettura di Karafuto, il nome dell’isola di Sakhalin durante l’occupazione giapponese. Questa è un’evidente mancanza di rispetto per l’integrità territoriale della Federazione Russa.

Dato l’addestramento missionario e le aspirazioni dello stesso Vescovo Mazur, il clero della sua giurisdizione è stato coinvolto in un’attività missionaria in larga scala in Siberia Oientale e nell’Estremo Oriente. La maggior parte dei resoconti sul proselitismo cattolico continuano a giungere precisamente da queste aree. Per esempio, nel 2000, i fedeli ortodossi in Kamchatka sono stati sconvolti dalle dichiarazioni provocatorie fatte dal Rev. Jaroslaw Wiszniewski, dello staff del Vescovo Mazur, alla TV locale. Egli ha affermato in particolare che “non si sa con esattezza dove sia stata battezzata la Russia – nell’Ortodossia o nel Cattolicesimo”. Il nome di questo prete cattolico è associato con il seguente incidente di aperto proselitismo in Kamchatka. Nel marzo 2000, la popolazione del Microdistretto del Quarto Chilometro a Petropavlovsk-Kamchatsky ha fatto un appello al Vescovo Ignazio di Petropavlovsk e Kamchatka. Nella loro lettera hanno detto che due donne visitavano gli abitanti di quel distretto nelle loro case, a nome della Chiesa Cattolica e del Rev. Jaroslav Wiszniewski, offrendo libri cattolici gratuiti e mettendo preghiere cattoliche scritte a mano, in particolare la Preghiera di San Francesco, nelle cassette delle poste.

Durante il suo viaggio in Polonia nel 2001, il Vescovo Mazur ha discusso la possibilità dell’arrivo di nuovi preti e suore dalla Siberia Occidentale in Polonia. L’Arcivescovo di Bielystok, che è il responsabile della Commissione per le Missioni della Conferenza Episcopale Polacca, ha concesso l’invio di due preti dalla sua diocesi in Siberia orientale nel 2001. Un’assistente della Madre Generale delle Suore Albertine ha parlato della possibilità che suore della sua congregazione vadano in Siberia per il lavoro missionario. Alcune Suore Carmelitane Scalze hanno progettato di andare a Usolye in Siberia a sistemare un santuario di San Raphael Kalinowski nello stesso anno 2001 (SE, N. 11, 2001).

Dalla diocesi di Irkutsk della Chiesa Ortodossa Russa è giunto un rapporto che dice che durante una riunione della Conferenza dei Vescovi Cattolici in Russia, il Vescovo Mazur ha pubblicizzato i piani della sua opera missionaria. Egli ha dichiarato che il numero potenziale dei cattolici nella regione di Irkutsk ammontava al 20% della popolazione regionale e includeva persone di nazionalità polacca, tedesca, bielorussa e ucraina (che, secondo il censo del 1989, comprendono in totale circa il 4% della popolazione regionale) e i membri delle loro famiglie. In aggiunta, il Vescovo Mazur ha dichiarato che stimava che in 10 anni si tempo il numero di cattolici nella Regione di Irkutsk avrebbe raggiunto i 200.000. E’ perfettamente chiaro a spese di chi e con quali mezzi stava cercando di far crescere il suo gregge.

I rapporti che vengono dalla diocesi di Irkutsk della Chiesa Ortodossa Russa indicano che di recente i capi della comunità cattolica hanno iniziato a sottolineare l’“universalità” del Cattolicesimo in tutti i modi possibili, così che la popolazione locale possa non considerarla come la religione etnica dei discendenti di polacchi e tedeschi. A questo fine, è stato raccomandato che il clero e i laici cattolici evitino di usare parole come “ksendz”, “kostel”, etc., e che usino le loro versioni russe. Per la stessa ragione i rappresentanti delle strutture cattoliche hanno iniziato a prendere le distanze in pubblico dalla società culturale polacca Ognivo, anche se le loro azioni congiunte sono di fatto continuate.

I Domenicani (OP – Ordo Praedicatorum). Nel 2000, avevano solo una “casa” a San Pietroburgo. Quella di Mosca era stata chiusa nel 1998 per mancanza di fratelli. Solo il Rev. Aleksander Chmielnicki era rimasto nella capitale.

L’obiettivo principale dello sforzo missionario dei domenicani in Russia è l’intellighentsia russa. Così è sia a Mosca che a San Pietroburgo. In futuro, i domenicani progettano di portare la loro “predicazione” al di là della loro parrocchia in molte “istituzioni accademiche”. Il Fratello Krzysztof Buyak, membro della comunità di San Pietroburgo, ne scrive apertamente nel giornale ecumenico francese Chretiennes en Marche (N. 66, 2000). La comunità di San Pietroburgo è guidata da un americano di nome Frank Soothman, attraverso il quale giunge alla comunità aiuto finanziario dagli USA (Ibid.).

Il domenicano K. Buyak non nasconde che la maggioranza della loro “comunità di catecumeni” è fatta di “non battezzati”, come pure di “battezzati nella Chiesa Ortodossa senza preparazione e persone che necessitano di una più approfondita istruzione cristiana”. Per gran delizia dei domenicani, questa comunità è cresciuta rapidamente (Ibid.). Forse con l’aiuto di queste persone i domenicani inizieranno a mettere in pratica il loro piano di organizzare il pre-noviziato per quanti entreranno nell’ordine da tutta la Russia. Essi sperano che la sola “casa” del loro vicariato in Russia diventi il più grande centro del loro ordine in Russia. Intanto, si aspettano assistenza dai loro fratelli di altre province perché “la presenza dell’ordine in Russia possa essere sviluppata”. E ci si aspetta presto questo aiuto nella persona di nuovi monaci dalla Polonia (Ibid.).

I Gesuiti (SJ – Societas Jesu). Sono loro a controllare il lavoro del Collegio San Tommaso d’Aquino. Dal 2001, il collegio è diretto da Octavio Vilches Landin, un gesuita dal Messico. Il suo predecessore, Stanislaw Opiela, capo dei gesuiti russi, è stato bandito dalla Russia nel 2000.

C’erano 71 studenti nella struttura centrale del Collegio San Tommaso d’Aquino nell’anno accademico 2000-2001. La succursale a Novosibirsk è più modesta. Vi sono solo 26 studenti. La presenza generale dei gesuiti a Novosibirsk, tuttavia, è considerevole. Basti dire che il vescovo cattolico Joseph Werth della Siberia Occidentale è egli stesso un gesuita. Vi è a Novosibirsk un noviziato gesuita, dove sono addestrati 8 giovani novizi da Russia, Ucraina e Bielorussia (altri giovani gesuiti, i cosiddetti “scolastici,” studiano in centri gesuiti all’estero). In aggiunta, c’è in città il centro religioso gesuita Inigo. Sono loro a controllare lo studio televisivo della neo-istituita Diocesi Cattolica di Preobrazhensk. I gesuiti cercano anche di “alimentare” l’Università di Stato di Novosibirsk.

L’Istituto della Beata Vergine Maria (“le ancelle inglesi”). La società osserva la costituzione gesuita; il suo scopo dichiarato è di “difendere e rafforzare la fede”. Le sorelle dalla Slovacchia hanno operato Tyumen, Tobolsk, Salekhard. Sono attive a “educare e istruire” bambini e giovani (SE, N. 14, 2001).

Le Carmelitane della Santa Resurrezione. Il Vescovo Joseph Werth ha consacrato un convento per le sorelle di quest’ordine il 28 aprile 2001, a Novosibirsk (SE, N. 20, 2001).

La Congregazione di Santa Elisabetta d’Ungheria. Le sorelle di questa congregazione hanno il proprio convento a Novosibirsk e gestiscono un’orfanotrofio.

La Congregazione del Santissimo Redentore (Redentoristi). Le loro attività sono condotte a Kemerovo, Orsk, Orenburg, operando con i giovani. Monaci dalla Polonia organizzano forum giovanili sotto lo slogan “Costruire ponti”.

Le Sorelle Missionarie del Santissimo Sacramento. Quattro sorelle di quest’ordine giunte dal Messico operano a Saratov. Insegnano spagnolo e italiano alla succursale locale del Collegio San Tommaso d’Aquino. Operano anche con bambini e giovani.

Le Sorelle Missionarie della Sacra Famiglia (MSF - Missionariae Sacrae Familiae). Soni impegnate in attività missionarie tra gli orfani in Siberia Occidentale e in Estremo Oriente.

I Figli Missionari del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria (Claretiani) (CMF - Congregatio Missionariorum Filiorum Immaculati Cordis BMV). Operano a San Pietroburgo, Murmansk, Krasnoyarsk e Aginsk.

Le Sorelle Orioniste – ramo femminile della Congregazione di Don Calabria (PSDP - Congregatio Pauperum Servorum a Divina Providentia – Povere serve della Divina Provvidenza). Sono attive nel lavoro con i bambini degli orfanotrofi. Esercitano “giurisdizione” sulla casa di riposo per editori, già campo dei pionieri di Rodnichok, presso Mosca. Operano anche a Smolensk.

I Salesiani (SDB - Salesiani di Don Bosco - Societas Sancti Francisci Salesii – Società di San Francesco di Sales). C’è un Centro Salesiano per l’addestramento vocazionale dei giovani a Gatchina. Il motto salesiano è “Dove ci sono i giovani ci sono i SDB”. I membri dell’ordine sono attivi nell’opera missionaria in Yakutia.

Le Sorelle di Madre Teresa di Calcutta (CSMC - Congregatio Sororum Missionarium Caritatis). Anche il nome completo della loro congregazione religiosa contiene la parola “missionarie”. Operano a Mosca e a Perm. Queste sorelle gestiscono un orfanotrofio in Via Chechulinskaya a Mosca, dove portano bambini senza casa e li convertono al cattolicesimo.

Le Sorelle di San Domenico. Operano a Tambov e a Ulan-Ude. Il loro scopo principale è la “catechizzazione” di bambini e giovani. Esse predicano nei sanatori per bambini, in case per invalidi, e organizzano campi estivi chiamati Vacanze con Dio per bambini di famiglie a basso reddito.

Le Ancelle dello Spirito Santo. In aggiunta al summenzionato centro cattolico Edinenie per i bambini della regione di Irkutsk, le sorelle gestiscono il reparto pediatrico della Clinica Regionale di Irkutsk (SE, No. 36-37, 2001).

Le Ancelle di Gesù nell’Eucaristia. Sono attive in modo speciale nella città di Marks, nella Regione di Saratov.

L’Istituto Secolare Schenstatt delle Sorelle di Maria. Le sorelle credono che la Russia abbia un urgente bisogno di sviluppare l’apostolato cattolico tra i laici. Sono impegnate in questo “sviluppo” a Mosca, San Pietroburgo e Kaliningrad.

I Francescani. Uno dei più attivi rami dell’Ordine francescano operante in Russia è l’OFMConv - Ordo Fratrum Minorum Conventualium – l’Ordine dei Frati Minori Conventuali. Il 13 maggio 2001, una custodia generale di quest’ordine (ovvero un’unità amministrativa autonoma che riunisce diverso conventi con un capitolo che rende direttamente conto al ministro generale dell’ordine) è stata aperta con una cerimonia solenne a Mosca. La custodia include i seguenti conventi francescani in Russia: San Francesco a Mosca, Sant’Antonio da Padova a San Pietroburgo, la Madonna degli Angeli a Kaluga.

Presente all’inaugurazione della custodia generale era il padre generale della Provincia dell’ordine a Varsavia, Gregory Bartosik. Nel suo messaggio al ministro generale che chiedeva di istituire una custodia, si legge in particolare: “Nel 1993, su invito di Sua Eminenza l’Arcivescovo Taddeuzs Kondrusiewicz, due padri francescani della Provincia della Madre Immacolata di Dio, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali sono giunti a Mosca per condividere la causa della rinascita del cristianesimo in questa terra che ha brama di Dio. Da quel giorno il numero di frati che lavora in Russia è cresciuto; nuove vocazioni sono apparse tra i giovani locali; sono emersi conventi a pieno titolo che danno il loro contributo alla vita della Chiesa locale... Alla fine del 1993, l’arcivescovo affidò ai francescani la cura pastorale delle parrocchie di Tula e Kaluga, che in breve tempo si sono trasformate in dinamici centri pastorali”. (SE, N. 21, 2001).

Un convento e un centro francescano sono stati fondati a Mosca nel 1994. Il 1 febbraio 1995, ebbe qui inizio una postulantura, o corso di noviziato per la preparazione di nuovi frati. L’11 febbraio, fu fondata nel convento una casa editrice francescana per iniziare la “cooperazione con i rappresentanti dell’intellighentsia russa” (Ibid.). I frati francescani di Mosca “conducono opera pastorale tra i giovani, danno guida spirituale, visitano i malati e i prigionieri…” (Ibid.)

Nel 1995, un convento dedicato a Sant’Antonio da Padova è stato fondato a San Pietroburgo. Si tratta di un centro per la formazione religiosa di seminaristi francescani in Russia e di altre nazioni dell’ex-URSS.

Assieme agli ordini religiosi, movimenti laicali cattolici di orientamento missionario hanno operato in Russia. Tra di loro i Focolarini, Comunione e Liberazione, e i Neo-Catecumenali. L’opera di questi ultimi è stata la più oltraggiosa di tutte. I rappresentanti del cammino neo-catecumenale predicano apertamente un tipo di “intercomunione”, invitando gli ortodossi a ricevere la comunione nelle chiese cattoliche. Questo è proselitismo anche secondo lo standard cattolico, ovvero un incitamento al passaggio di persone da una Chiesa all’altra.

 

4. Conclusione

Gli esempi summenzionati riflettono solo una piccola parte dello sforzo proselitistico dei cattolici in Russia. Gli ortodossi osservano con stupore e amarezza i rappresentanti della Chiesa che solo di recente si è definita nostra “sorella” entrare nelle schiere dei “nuovi illuminatori della Rus” assieme ai membri delle sette.

Una prova che il Vaticano intende estendere la missione cattolica in Russia è la sua recente decisione di elevare lo status delle sue strutture ecclesiastiche in Russia, da amministrazioni apostoliche a diocesi, e formarle in una “provincia ecclesiastica” guidata da un “metropolita”. Se questo sviluppo deve essere valutato nei termini della tradizione canonica ortodossa, si può dichiarare che Roma ha dichiarato l’esistenza di una Chiesa Cattolica Russa nel senso di una chiesa per i russi, quali che siano le loro radici etniche e culturali. Questo passo mostra che Roma, agendo unilateralmente e e senza alcun dialogo con la Chiesa Ortodossa, ha cambiato fondamentalmente la natura della presenza cattolica in Russia. Con l’istituzione di diocesi, la Chiesa Cattolica in Russia ha cessato di essere una struttura pastorale per minoranze etniche legate alla tradizione cattolico-romana, e ha dichiarato se stessa come chiesa locale il cui dovere e responsabilità è la missione verso tutti i popoli che vivono in Russia. Questo passo di Roma non ha solo allontanato le prospettive di risoluzione del problema del proselitismo, ma ha pure creato un sistema di competizione, e perciò di scontro con la Chiesa Ortodossa in una testimonianza cristiana così importante per l’intera società russa. Tutto ciò ha certamente indebolito l’integrità ed efficacia di questa testimonianza, e così ha operato contro la cristianizzazione e l’integrazione delle persone nella Chiesa.

Questa è la precisa ragione per cui la politica del Vaticano verso la Russia è percepita dalla maggioranza dei nostri concittadini come un programma capace di infliggere seri danni alla vita spirituale del popolo russo.

25 giugno 2002

Mosca

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  Agire in consapevolezza della responsabilità di fronte a Dio, alla storia e all’umanità

Di P. Vsevolod Chaplin

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Arciprete Vsevolod Chaplin - Vice-Presidente Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche con l’Estero Patriarcato di Mosca

Versione completa dell'articolo abbreviato pubblicato con il titolo 'La tentazione del Vaticano' in Rossiskaja Gazeta il 5 luglio 2002, presente in russo e in inglese sul sito Internet del Patriarcato di Mosca

Nella Foto: L'Arciprete Vsevolod Chaplin

La recente decisione del Vaticano di istituire diocesi cattoliche in Russia ha sollevato tutta una serie di serissime questioni sulle relazioni tra la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Ortodossa Russa. Dal febbraio 2000, quando è stato fatto questo passo, entrambe le parti, ortodossa e cattolica, hanno fatto un certo numero di dichiarazioni, e anche rilasciato molte interviste. Ora le loro posizioni sono chiare, e la loro fondamentale discrepanza è evidente. E’ diventato chiaro a tutti che il dialogo ortodosso-cattolico ha raggiunto un punto morto. Ognuna delle parti ha la sua verità, ed è pronta a difenderla fino in fondo. Ma quali sono le vere, profonde ragioni di questo nuovo tragico confronto?

Il primo tentativo di spostare la discussione da un livello polemico a uno più serio, dal punto di vista ideologico e teologico, è stato fatto nell’articolo del Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, pubblicato in marzo sulla rivista dei gesuiti Civiltà cattolica. L’articolo descriveva seriamente il presente conflitto teologico tra Oriente e Occidente. E’ certamente una sfida, poiché rappresenta un’azione offensiva di forte critica alle posizioni della Chiesa Ortodossa Russa.

Noi accettiamo questa sfida, e io cercherò di spiegare perché non solo la Chiesa Russa ma quasi tutte le Chiese Ortodosse nazionali hanno considerato il passo summenzionato del Vaticano come un colpo alle relazioni tra ortodossi e cattolici, uno sbaglio strategico fatto dalla Chiesa Cattolica Romana, del quale essa porta la responsabilità storica.

Fin dall'inizio vorrei sfidare l'affermazione che l'istituzione di diocesi cattoliche in Russia sia un “affare meramente interno” dei cattolici, e come tale al di là di qualsiasi critica esterna. Da un lato, questa decisione del Vaticano è di fatto una questione di organizzazione interna delle strutture della Chiesa Cattolica Romana, che ha una piena libertà e legittimità di regolare la propria vita. Ma questo è vero solo se lo si considera da un punto di vista formale e legale. Di fatto, dall'altro lato, questa ri-organizzazione ha coinvolto direttamente gli interessi della Chiesa Ortodossa Russa. Questa, oltre a essere una chiesa di maggioranza in Russia, è ufficialmente considerata dal lato cattolico come partner e come chiesa “sorella”.

Quando un tempo l’Occidente accusava i capi dell’URSS di violare i diritti umani, anche i funzionari sovietici rispondevano dicendo che si trattava di un “affare interno” del paese. I dittatori di oggi hanno fatto e fanno lo stesso. Possono avere ragione in un senso legale, un “affare interno” che coinvolge interessi altrui o insulta la dignità altrui cessa di essere interna. In verità, vi sono norme etiche universali che non possono essere cancellate.

Ciò è ancor più rilevante per le relazioni tra le chiese. Come cristiani non possiamo e non dovremmo essere motivati in queste relazioni solo da principi legali. Amore e sollecitudine per il proprio prossimo sono nozioni fondamentali nell’insegnamento cristiano. Ma se la Chiesa Cattolica vuole operare in Russia come in una sorta di vuoto, ignorando l’opinione e gli interessi degli ortodossi, che cosa implica questo nella collaborazione e nel dialogo? Nondimeno, noi vorremmo ancora considerare le nostre relazioni non come competizione ma come collaborazione, e vivere non secondo la lettera morta delle prescrizioni legali, ma secondo la legge dell’amore fraterno. Le nostre Chiese non dovrebbero essere come due aziende che si contendono il mercato, ma come due nazioni alleate.

La collaborazione presuppone inevitabilmente coordinazione di azioni, mutua apertura e responsabilità. Fino allo scorso febbraio avevamo fiducia in una simile attitudine della Chiesa Cattolica, ma il metodo con cui è stata presa la decisione riguardante le nuove diocesi è stato per noi un amaro disappunto. Alla Chiesa Ortodossa Russa è stato semplicemente presentato un fatto compiuto, di cui ha avuto la notifica solo qualche giorno prima. Questo è il modo in cui si dichiara una guerra, non il modo in cui si chiede un parere fraterno! Letteralmente alla vigilia della decisione, ovvero in dicembre, nel periodo tra il Natale cattolico e il Natale ortodosso, il Metropolita Kirill, presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche con l’Estero del Patriarcato di Mosca, ha cenato per due volte con l’Arcivescovo Taddeuzs Kondrusiewicz, capo dei cattolici russi, che non ha fatto parola della decisione in programma. Il 25 gennaio 2002, una delegazione della nostra Chiesa, che ha partecipato all’incontro interreligioso ad Assisi, è stata ricevuta in udienza da Giovanni Paolo II, e ancora una volta non si è fatta parola dell’imminente istituzione di diocesi. La decisione è stata presa in segreto. Che cosa ci rimaneva da discutere con il Cardinale Kasper, la cui visita era programmata per la fine di febbraio? Il dialogo dovrebbe certamente essere condotto prima, non dopo avere preso specifiche decisioni che coinvolgono gli interessi di una delle parti in dialogo. Altrimenti, perde il suo significato.

Spiegherò ora perché, propriamente parlando, la nostra Chiesa è contraria alla divisione della Russia, uno dei principali paesi ortodossi del mondo, in diocesi cattoliche, cosa che la rende una “provincia ecclesiastica” della Chiesa Cattolica Romana. Ciò significa a tutti gli effetti la creazione in Russia di una Chiesa Cattolica Nazionale centralizzata. Invero, Cristo ha comandato a ogni chiesa di predicare e di insegnare. E poiché una Chiesa Nazionale è parte della Chiesa Universale, dovrebbe ammaestrare, secondo le parole del Salvatore, “tutte le nazioni” (Mt 28:19) a prescindere dalla nazionalità o dalla lingua. E in questo il Cardinale Kasper ha certamente ragione. La difficoltà, però, sta nel fatto che la Russia ha già la sua Chiesa Nazionale, la Chiesa Ortodossa Russa, da un millennio. E creare strutture centralizzate a questa parallele significa di fatto rifiutare di riconoscerla come parte della Chiesa Universale. Tale attitudine viola i principi dichiarati dal Vaticano II. E che dignità c'è in seguito a parlare di relazioni da “sorelle” tra le Chiese?

Nelle polemiche che sono seguite la parte cattolica ha rigettato completamente la nozione di territorio canonico, cosa che indica chiaramente un ritorno al pensiero prevalente prima del Vaticano II, quando la Chiesa Cattolica non riconosceva l’Ortodossia come parte della Chiesa Universale. Tuttavia, a ben pensarci, gli ortodossi, quando espongono questo principio, applicano alla Chiesa Cattolica le norme della Chiesa unica e indivisa che sono comuni a entrambe le Chiese e che non permettono l’esistenza di strutture ecclesiastiche parallele. Questo approccio è impossibile in linea di principio con quelle comunità cristiane che, nell’opinione ortodossa, non hanno alcuna continuità con la Chiesa antica.

La cosa più sconvolgente è il fatto che ancora di recente eravamo completamente unanimi a riguardo. Vi ricorderò la storia. Quando nel 1991 sono state fondate le amministrazioni cattoliche nella Federazione Russa, Roma ha spiegato al Patriarcato di Mosca il senso della nozione di “amministrazione”, così come la ragione per cui la Chiesa Cattolica non restaurava le precedenti diocesi che si trovavano precisamente in Russia, né ne creava di nuove, come faceva in tutti gli altri stati post-totalitari agli inizi degli anni ’90. Il senso era quello di evitare di creare strutture parallele, in modo che l’opinione pubblica mondiale fosse messa al corrente che la Chiesa Cattolica riconosceva le Chiese Ortodosse come Chiese sorelle.

Un anno dopo questi sviluppi, Roma ha promulgato un documento intitolato “Principi generali e norme pratiche per coordinare l’evangelizzazione e il lavoro ecumenico della Chiesa Cattolica in Russia e in altri paesi della CSI”. Esso stabiliva limiti chiari all’opera pastorale cattolica in Russia. Dichiarava in particolare che invece di accettare quanto erano privi di cura pastorale nella Chiesa Cattolica, il clero cattolico avrebbe dovuto aiutare per quanto possibile la Chiesa Ortodossa (II,2). Inoltre, il documento spingeva i vescovi cattolici a fare in modo che nessuna attività nelle aree sotto la loro giurisdizione venisse interpretata come “struttura evangelizzatrice parallela”.

Ciò che vediamo ora è una diretta contraddizione alle buone intenzioni di dieci anni fa. Strutture cattoliche parallele a quelle ortodosse sono create nella Russia di oggi per condurre una predicazione parallela. Nel riferirsi al comandamento del Salvatore di predicare a tutte le nazioni, la parte cattolica sembra dimenticare le parole di San Paolo: “Mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui” (Rm 15,20), e cerca di operare in Russia costruendo sulle fondamenta spirituali costruite dalla Chiesa Ortodossa per un migliaio di anni.

Si sbagliano di grosso coloro che pensano che il nostro popolo sia ateo fino all’ultimo ed essenzialmente senza Dio. E’ vero piuttosto il contrario. I nostri compatrioti sono stati strappati con forza alla fede nel tempo sovietico, ma sono riusciti in molti modi a preservare valori spirituali della Santa Russia quali la tenerezza, lo spirito di sacrificio, la riverenza per i luoghi santi, l’idea del peccato e del pentimento. Un tratto principale in questa percezione del mondo è la nozione della spiritualità come fattore dominante della vita. I persecutori della nostra Chiesa non riuscirono a sterminare questa religiosità genetica, profondamente radicata, del nostro popolo, anche in lunghi anni di severe persecuzioni. Essa è rimasta forte fino a oggi. E precisamente questa sensibilità dei russi verso la fede ha portato ora al successo della predicazione, sia ecclesiale che settaria. Sono state l’opera millenaria della Chiesa Ortodossa, le gesta compiute dai suoi illuminatori e martiri, la formazione cristiana e la cultura spirituale del popolo, che hanno fertilizzato il suolo per la Parola di Dio.

Precisamente questi fattori, piuttosto che qualche “avanzata” tecnologia missionaria, a contribuire al relativo successo della missione cattolica in Russia, a cui il Cardinale Kasper si riferisce nel suo articolo. Inoltre, egli menziona la “debolezza” della Chiesa Ortodossa Russa, che a suo dire teme l’“efficacia pastorale” della Chiesa Cattolica. Noi non abbiamo nulla da temere riguardo a questa “efficacia”, poiché possiamo vedere che il successo della missione cattolica in Russia non è tanto grande neppure con un terreno tanto favorevole alla predicazione. La Russia non è divenuta cattolica dopo i dieci anni duro lavoro da parte di ogni tipo di ordine missionario. La crescita del numero dei fedeli cattolici nel nostro paese è stata molto piccola. Per tutti coloro che sono un poco familiari con le realtà russe, i dati di 500-600mila fedeli, ripetutamente citati dall’Arcivescovo Kondrusiewicz, sembrano più che sopravvalutati. Allo stesso tempo, egli stesso ha dichiarato che il numero dei membri del suo gregge non è di fatto cambiato dagli anni ’90. Per questa ragione è ancor più sorprendente che una “provincia ecclesiastica” sia stata creata per un così “piccolo gregge”, da affidare a un “metropolita”. L’impressione è che i cattolici russi abbiano solo due cose in crescita – strutture amministrative e titoli.

Continuando sul tema dell’“efficacia pastorale” della Chiesa Cattolica, guardiamo all’Occidente dove essa è sempre stata tradizionalmente forte. In quasi ogni capitale europea, vi può essere mostrata una chiesa cattolica chiusa e un ex-seminario cattolico. La gente li ha abbandonati. Noi non ne esultiamo, poiché conosciamo le cause di queste tendenze, ovvero, lo spirito del consumismo, dell’edonismo, della permissività totale, che oggi si impongono attivamente sulla gente. Due grandi Chiese cristiane, la Cattolica e l’Ortodossa, dovrebbero opporsi assieme a tale spirito “di questo mondo”, piuttosto che competere in “efficacia missionaria”.

E invece, i predicatori della “forte” Chiesa Cattolica continuano a venire in Russia nella speranza di ricolmare i propri ranghi con persone spiritualmente nutrite e allevate nella tradizione ortodossa della “debole” Chiesa sorella. Precisamente a causa di questo sfruttamento dell’eredità ortodossa noi qualifichiamo invariabilmente la missione cattolica in Russia come proselitismo, vale a dire, come adescamento di persone da una tradizione all’altra.

L’attiva opera missionaria della Chiesa Cattolica nel nostro paese non ha nulla a che fare con la cura pastorale per il gregge già esistente. Il buon senso suggerisce che un certo numero di parrocchie cattoliche sarebbe sufficiente per questo scopo. Ma quale proposito se non il proselitismo può spiegare la presenza di ordini missionari Russia? Molti di loro hanno la missione indicata anche nei loro nomi, per esempio, “Figli Missionari del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria (Claretiani), “Sorelle Missionarie del Divino Amore”, “Donne Missionarie della Sacra Famiglia”, etc. Altri ordini, come i verbisti, sono stati stabiliti fin dal principio come organizzazioni missionarie.

Rispondendo alle nostre proteste, i cattolici russi amano appellarsi alla libertà di coscienza, che secondo loro noi cercheremmo di restringere. Essi ribattono che i russi vengono da loro solo di propria libera volontà. Senza negare l’esistenza di tali casi, faremo notare che una simile “libera scelta” è normalmente ben preparata e fertilizzata con uno sforzo missionario preliminare. Un conto è se una persona giunge da sé in una chiesa cattolica, e un altro se vi è condotta a forza di spinte di gomito di un missionario. E i casi del secondo tipo sono un bel po’ numerosi.

Siamo pure contrari a che i cattolici qualifichino come “non credenti” quelli tra i nostri compatrioti che sono stati battezzati nella Chiesa Ortodossa o che si identificano con la cultura ortodossa, e tale è quasi tutta la popolazione russa etnica della Federazione Russa, così come quella di altri popoli tradizionalmente ortodossi della CSI e del Baltico. Anche se non tutti sono attivamente coinvolti nella vita della Chiesa, se sono considerati non credenti, allora nello stesso modo anche la stragrande maggioranza dei cattolici in Europa Occidentale e nelle Americhe può essere considerata come composta di non credenti.

Ci rifiutiamo completamente di accettare la missione cattolica tra i bambini russi, specialmente gli orfani e quelli che sono cresciuti in famiglie a rischio. Per la maggior parte sono battezzati nella Chiesa Ortodossa, e pertanto ne sono membri a pieno titolo. I missionari cattolici, per lo più suore di vari ordini, vanno nelle scuole e negli orfanotrofi e sotto il pretesto della carità predicano lì i loro insegnamenti. Istituiscono pure orfanotrofi per i bambini senza casa che sono così numerosi per le strade delle città russe di oggi. In queste istituzioni, i piccoli russi, che spesso vengono da famiglie russe a basso reddito, sono convertiti al cattolicesimo. In tal modo si coltivano le fondamenta per una nuova “provincia ecclesiastica”. Naturalmente, nessuno chiede ai bambini russi se vogliono essere cattolici. Queste sono dirette violazioni della libertà di coscienza a cui spesso si riferiscono i nostri oppositori quando criticano la risposta ortodossa alla loro attività missionaria.

Non suggeriamo in alcun modo che i bambini senza casa dovrebbero essere lasciati soli nelle strade. La nostra Chiesa ha fatto grandi sforzi per restaurare le proprie opere sociali e caritative, proibite sotto il regime totalitario. E qui la cooperazione con la Chiesa Cattolica sarebbe proprio la cosa giusta da fare. Un lavoro caritativo congiunto diventerebbe un’eccellente forma pratica per la nostra cooperazione. Si dovrebbe notare in tutta onestà che questo in parte avviene, ma non con gli ordini cattolici che operano in Russia. In questa o quella regione russa, può esserci già un orfanotrofio ortodosso, ma le suore cattoliche, mostrando meraviglie di segretezza, vi fondano il loro orfanotrofio per allevare piccoli cattolici. Se avessero davvero a cuore i bambini invece della missione, perché non portarli dagli ortodossi? Perché non condividere la loro esperienza? Perché non permettere che i bambini battezzati nella Chiesa Ortodossa ricevano istruzione religiosa da un prete ortodosso?

Ahimè, con rare eccezioni questo non avviene quasi mai. I cattolici che si prendono cura dei bambini russi normalmente non vogliono cooperare con i loro colleghi ortodossi, perché apparentemente hanno compiti diversi. Per esempio, abbiamo informazioni attendibili che tre fratelli orfani minorenni nell’orfanotrofio cattolico di Novosibirsk, che sono stati battezzati e cresciuti nell’Ortodossia, non hanno il permesso di parlare con i propri padrini e di leggere libri ortodossi, e sono impediti con ogni mezzo possibile dal frequentare la Chiesa Ortodossa. Questo esempio non è una prova diretta di proselitismo? E vi sono molti esempi del genere in Russia. Un altro è l'attività di Madre Teresa di Calcutta a Mosca, dove è gestito un orfanotrofio per bambini senza casa. Nella capitale della Russia c’è un numero sufficiente di istituzioni caritative ortodosse che sono pronte alla cooperazione e allo scambio di esperienze con le Sorelle di Madre Teresa nel campo della carità e dell’aiuto ai poveri. Tuttavia, è evidente che le sorelle cattoliche non desiderano questo scambio e che agiscono senza venire in contatto con la Chiesa Ortodossa.

Riassumendo quanto ho detto, considero necessario affermare che in Russia abbiamo a che fare con deliberati sforzi missionari della Chiesa Cattolica Romana di espandere la propria presenza. La Chiesa Ortodossa Russia ritiene che sia precisamente per questi scopi, non per la “normale” cura del proprio gregge, che le quattro diocesi cattoliche sono state istituite nel nostro paese, assieme a un nuovo esarcato e a due nuove diocesi in regioni dell’Ucraina in cui i cattolici sono una piccola minoranza.

In risposta la parte cattolica ha sempre portato la stessa contro-argomentazione, indicando le diocesi all'estero della Chiesa Ortodossa Russa, come le diocesi di Berlino, Bruxelles, Korsun, etc. I nostri oppositori sembrano riluttanti a osservare che le diocesi estere della Chiesa Ortodossa Russa sono etniche, non geografiche, in natura. In prevalenza si prendono cura della diaspora ortodossa di lingua russa, e non conducono missione tra la popolazione locale. Un vescovo della Chiesa Ortodossa Russa può avere sotto la sua giurisdizione diverse parrocchie in differenti paesi, come è il caso per la diocesi di Korsun che include le nostre parrocchie in Francia, Italia, Spagna e Svizzera. L’Arcivescovo di Argentina e Sud America basato a Buenos Aires si prende cura dei fedeli nel territorio dell'intera America meridionale! Così, la nostra Chiesa non ha diviso alcun altro paese in diocesi come i cattolici hanno fatto in Russia. Non abbiamo creato, per esempio, una chiesa ortodossa locale in Italia o in Francia, anche se vi sono state numerose opportunità per farlo. Basti ricordare gli sforzi di Eugraph Kovalevski, un emigrante russo in Francia, che cercò di creare un “rito latino ortodosso” all’inizio e alla metà del XX secolo. La sua iniziativa ha incontrato un certo successo, e un movimento simile esiste tuttora. Ma noi ci rifiutiamo consapevolmente di sostenere questo e molti altri progetti simili poiché crediamo che l’Occidente sia prima di tutto un territorio di responsabilità pastorale della Chiesa Cattolica.

Per la stessa ragione i nostri vescovi e preti non vanno in missione nelle scuole e nelle università in Italia, Francia e Belgio come i cattolici fanno in Russia. A dire il vero, la nostra Chiesa, potrebbe sfruttare la “debolezza” della Chiesa Cattolica in Europa occidentale, dove le chiese cattoliche sono state abbandonate, chiuse o vendute, per lanciare la nostra predicazione “alternativa”. Ma crediamo che i giovani occidentali debbano ascoltare la predicazione del proprio clero. E il punto non è la nostra “debolezza pastorale”. E’ che proprio non abbiamo alcuna strategia missionaria riguardo all’Occidente. La nostra presenza nei paesi occidentali è emersa a causa dell’emigrazione causata da numerosi eventi tragici nella nostra patria, quali rivoluzioni, guerre, disastri economici. Il popolo ortodosso russo è giunto e tuttora giunge in Occidente in cerca di asilo per una persona, o di una vita più stabile e sicura per un’altra. E’ nel loro diritto. E’ pure nel loro diritto avere le proprie chiese, i propri preti e vescovi. La Chiesa Russa in Occidente non è un invasore o un conquistatore spirituale. Noi non siamo intenzionati a competere con la Chiesa Cattolica in “efficacia pastorale”. Che ciascuno lavori nel suo campo spirituale.

Vorremmo molto vedere la stessa comprensione e attitudine da parte della dirigenza vaticana nella sua politica riguardo alla Russia. Sfortunatamente, gli eventi recenti che violano la fragile fiducia stabilita con sforzi comuni nel periodo dopo il Vaticano II, hanno rafforzato molti ortodossi nella convinzione, formata da esempi di storia remota e non tanto remota, che quando la Russia e la Chiesa Russa sono in difficoltà, la Chiesa Cattolica cerca di rafforzarvi la propria posizione. Le più dolorose sono naturalmente le memorie associate con il severo tempo della rivoluzione del 1917 e della persecuzione contro la Chiesa da essa iniziata. Ricordiamo i martiri cattolici per la fede, ma è impossibile dimenticare la “politica orientale” del Vaticano che mirava a giungere a un accordo con i bolscevichi quando questi perseguitavano gli “scismatici”. Questo era esattamente ciò che facevano la commissione Pro Russia stabilita dalla Congregazione per le Chiese Orientali nel 1925 a Roma, e il suo capo Michel d’Herbigny. In quel tempo ebbe luogo anche la fondazione di una diocesi cattolica nell’Estremo Oriente della Russia.

Speravamo che il Vaticano II avesse messo fine a questa politica verso la Russia e gli ortodossi russi quando descrisse la Chiesa Ortodossa come una Chiesa sorella. Questo cambiamento di attitudine verso di noi fu confermato dai 25 anni post-conciliari in cui si è tenuto un intenso dialogo teologico tra le due Chiese, e ci siamo trovati uniti di fronte a sfide provenienti da un mondo che perde la fede.

Segnali deludenti sono apparsi durante gli eventi della fine degli anni ’80 e dei primi anni ’90. La legalizzazione dei greco-cattolici in Ucraina occidentale è stata accompagnata dall'espulsione forzata degli ortodossi dalle loro chiese. Le chiese che appartenevano agli uniati prima della Seconda Guerra Mondiale erano state usate dagli ortodossi per cinquant'anni. Il compito era di trovare un modo ragionevole e privo di conflitti per uscire da quella difficile situazione che si era sviluppata come conseguenza dei tragici eventi della metà del XX secolo. La Chiesa Ortodossa Russa propose alla parte cattolica una soluzione di dialogo, e in breve si stabilì una commissione quadrupla che consisteva di rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa e di quella Ucraina, della Chiesa Greco-Cattolica e del Vaticano. I greco-cattolici, tuttavia, si ritirarono unilateralmente dalla commissione e continuarono la loro barbara campagna di severe persecuzioni contro gli ortodossi. Il Vaticano non è riuscito a fermare i greco-cattolici nel loro zelo insensato, anche se questo conflitto è uno dei due temi che si è iniziato a discutere urgentemente durante tutti i colloqui ufficiali con il Patriarcato di Mosca.

Il secondo tema era quello del summenzionato proselitismo cattolico. Nei primi anni ’90, un flusso di missionari, inclusi quelli cattolici fece ressa nello spazio religioso ora aperto dell'ex-Unione Sovietica. Questo ci ha fatto pensare se fosse appropriato usare il termine “Chiesa sorella”. Ma a quel tempo la parte ortodossa non abbandonò la sua intenzione di appianare i problemi esistenti in spirito di pace: incontri ufficiali tra delegazioni della Chiesa Ortodossa Russa e della Chiesa Cattolica Romana si sono tenuti molto spesso, quasi annualmente. Gli ultimi due hanno avuto luogo nel Novembre 1999 e nel Giugno 2000, con il prossimo incontro programmato per il febbraio di questo stesso anno. Il rimprovero di mancanza di desiderio di dialogo, mosso alla nostra Chiesa dal Cardinale Kasper, appare non corretto. Il problema è che questi incontri sono stati di fatto infruttuosi, dato che nel corso degli stessi incontri gli stessi temi – il conflitto nell'Ucraina occidentale e il proselitismo – sono stati discussi e sono stati presi certi impegni, ma la parte cattolica non si è affrettata a metterne qualcuno in pratica. Nondimeno, abbiamo continuato a stare pronti ai negoziati fino alla decisione del Vaticano di febbraio riguardo alle diocesi.

La nostra Chiesa ha condotto un dialogo con i cattolici russi. Fino a tempi molto recenti, avevamo nel nostro paese un Comitato Consultivo Interconfessionale Cristiano, presieduto congiuntamente dall’Arcivescovo T. Kondrusiewicz e dal Metropolita Kirill. Riponevamo grandi speranze nel lavoro di questo organismo, ma ora, dopo tutto ciò che è accaduto, il suo futuro è dubbio.

Vi sono tutte e le ragioni per dichiarare che la decisione del Vaticano sulle diocesi cattoliche in Russia è divenuta un vero disastro interconfessionale. Questo non è solo un conflitto tra la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Cattolica Romana, ma anche tra l’Ortodossia e il Cattolicesimo nel mondo. Il tentativo di presentare il conflitto come se fosse stato generato dall’“inflessibilità” della Chiesa Russa non ha prospettive, come non ne ha il desiderio di dividere le Chiese Ortodosse in “buone” e “cattive”, quelle aperte al dialogo con i cattolici e quelle inclini all’isolazionismo. Il Cardinale Kasper cita come esempio positivo la Chiesa Ortodossa di Antiochia. Ma il Patriarcato di Antiochia è stato il primo a condannare l’azione del Vaticano in Russia! E il Papa e Patriarca di Alessandria ha mandato persino una lettera al Papa di Roma, sostenendo pienamente la posizione della Chiesa Ortodossa Russa sull’istituzione delle diocesi cattoliche nel nostro paese. Sostegno per la nostra Chiesa è stato pure espresso dai patriarchi ortodossi di Serbia, Bulgaria e Romania e dal primate della Chiesa Ortodossa Polacca.

Pertanto, non è la “cattiva” Chiesa Russa ad aver fermato il suo dialogo con i cattolici, come ha scritto il Cardinale Kasper, ma è stato il Vaticano a iniziare un conflitto tra le due grandi tradizioni cristiane in un momento cruciale di crisi globale della civilizzazione. La situazione causata dall’istituzione di nuove strutture cattoliche in Russia ha molto in comune con quella degli inizi del XIII secolo, in cui patriarcati latini paralleli sono stati fondati durante le crociate nell’Oriente ortodosso. La cosa davvero coerente è qui si fa penitenza per le crociate di quel tempo, mentre si rianimano trucchi e metodi antiquati per riportare le nostre relazioni a quel periodo. Naturalmente, nessuna Chiesa Ortodossa locale sarà in grado di affrontare la situazione con calma.

Non è oggi, comunque, che è sorto il problema: lo sviluppo generale delle relazioni tra il Vaticano e le Chiese Ortodosse è stato ultimamente tutt’altro che liscio. Sia sufficiente ricordare il fallimento della sessione plenaria della Commissione Internazionale Congiunta di Dialogo Teologico tra Gli Ortodossi e la Chiesa Cattolica Romana che ha avuto luogo a Baltimora, USA, nel Luglio 2000. Il tema di quella sessione era lo status delle Chiese Uniati. Le differenze tra le parti ortodossa e cattolica erano tanto grandi che non si è mai raggiunta una risoluzione mutuamente accettabile. Già a quel tempo era chiaro che una seria crisi era scoppiata nelle relazioni tra le chiese.

E’ ancor più evidente che questa crisi è rovinosa in un tempo in cui i cristiani in Oriente e in Occidente dovrebbero essere uniti quanto mai prima di fronte a processi pericolosi che hanno luogo nel mondo. Questi sono il regno dello spirito materialistico e consumistico, la dominazione del liberalismo totale che oblitera i valori tradizionali, la perdita di orientamento morale, la crescente minaccia di estremismo, terrorismo e altre manifestazioni di inimicizia interpersonale, e un’incredibile amarezza e collera. Dovremmo dare una risposta cristiana unita alle nuove realtà politiche – la globalizzazione dell’economia mondiale, l’internazionalizzazione della legge e dei meccanismi decisionali e l’unificazione dell'Europa. L’assenza di ogni menzione di valori religiosi nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, recentemente adottata, è allo stesso modo un nostro comune fallimento.

In questa situazione, i cristiani tradizionali, primi tra tutti ortodossi e cattolici, dovrebbero fermamente esortare l’umanità a ritornare ai fondamentali valori spirituali e morali, e reiterare Cristo e il Vangelo come le fondamenta più affidabili per un giusto e armonioso ordine sociale. Dobbiamo anche opporci risolutamente ai tentativi di mettere la religione ai margini della vita internazionale e sociale, di confinarla entro una cornice di comunità parrocchiale, casa privata o “ghetto” etnografico. A tal fine, la Chiesa dovrebbe avere la risolutezza di cambiare il mondo non nascondendosi dietro a uno schermo di slogan secolari e di costruzioni mentali ad essa alieni, siano essi il “pluralismo”, il “tempo appropriato” o “la separazione dall’era costantiniana” a cui si riferisce il Cardinale Kasper. La terminologia delle Sacre Scritture e dei Santi Padri è estremamente precisa, e quando è sostituita da nozioni alla moda e popolari di “questa epoca” la Chiesa perde acutezza di visione, divenendo temporale e apatica, e in ultimo fallisce nella propria missione. E’ deplorevole sentir giungere talvolta da Roma inflessioni da mentore, specialmente quando ci insegna la libertà di coscienza e il pluralismo religioso, dimenticando che questi possono essere a volte distruttivi sia per la società che per l’individuo se non sono bilanciate dall’opzione per la verità e la bontà – opzione non accidentale ma coltivata dalla propria tradizione spirituale.

In Vaticano comprendono che, usando in una discussione inter-ecclesiale argomentazioni prese in prestito da dottrine sviluppate al di fuori della tradizione della Chiesa come risultato di sviluppo filosofico, e ispirate in molti modi dall’idea di liberarsi dall’influenza religiosa, essi indeboliscono, volontariamente o involontariamente, la loro stessa posizione? In Vaticano comprendono che la devastazione del dialogo inter-ecclesiale e le azioni anti-ortodosse sono a vantaggio delle forze che cercano di indebolire, umiliare e marginalizzare il cristianesimo? Il modo in cui molti mass media hanno coperto l’opera della Chiesa Cattolica ne sembra una prova. Noi i media li seguiamo attentamente, e non abbiamo notato di recente alcuna speciale solidarietà mostrata dalla stampa verso il Vaticano eccetto che per un singolo caso – il suo confronto con la Chiesa Ortodossa Russa. Qui il sostegno è dalla parte del Vaticano. In tutto il resto, la Chiesa Cattolica è criticata e accusata di vari peccati.

Sfortunatamente, Roma ha ceduto alla tentazione di una facile espansione nel campo della Chiesa Ortodossa Russa. E il risultato è stato il tracollo delle nostre relazioni. E’ uno dei più grandi sbagli fatti dal Vaticano, e già appartiene alla storia. L'inizio del XXI secolo sarà così sempre ricordato come tempo di tragedia nelle relazioni tra le nostre due Chiese. Questo errore storico è difficile da rettificare per mezzo di passi diplomatici, attività politica o retorica propagandistica. La ferita è seria, e sorge la domanda: chi ha inflitto la ferita è in grado di curarla? Ma noi siamo fiduciosi che il Signore la curerà scegliendo persone capaci di comprendere tutto il danno fatto a entrambe le Chiese da ciò che è accaduto.

Rivolgendosi ai suoi discepoli Cristo chiese loro se sono in grado di bere dalla coppa dalla quale Egli stesso beve. Queste parole del Salvatore sono dirette a tutti noi, ortodossi e cattolici. Se in obbedienza al Signore beviamo oggi insieme a quella coppa, allora, credo, il mondo potrà essere diverso. So che moltissimi cattolici condividono questa fiducia e sono pronti, insieme ai loro fratelli e sorelle ortodossi, ad agire in consapevolezza della propria responsabilità di fronte a Dio, alla storia e all'umanità. In queste azioni sta la garanzia non solo della riconciliazione, ma anche la restaurazione dell’unità della Chiesa per la quale il Salvatore pregò nel Getsemani.

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  Le apparizioni mariane: intervento divino o illusione?

Di Miriam Lambouras

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L’articolo che segue è stato pubblicato per la prima volta sul periodico The Shepherd (Il Pastore), edito dalla St Edward’s Brotherhood a Brookwood (Chiesa Ortodossa Russa all’Estero). L’autrice, Miriam Lambouras, è una fedele della Cattedrale del Patriarcato di Mosca a Ennismore Gardens, a Londra. Il testo è nato dalla corrispondenza tra l’autrice e la redazione della rivista, entrambe preoccupate dal fenomeno di pellegrinaggi indiscriminati a qualsiasi santuario mariano, fatti da molti cristiani ortodossi.


Alcuni anni fa, una traduzione italiana (con alcune imprecisioni) del testo è apparsa su un sito al momento non più attivo. Presentiamo qui una nuova revisione dell’articolo, ringraziando Miriam Lambouras per il suo cortese permesso di pubblicarla sul nostro sito parrocchiale.


A parte Walsingham nei miei lontani giorni da anglicana, i santuari mariani non mi avevano mai realmente interessata. Ero ovviamente al corrente di alcuni dei più importanti tra loro – Lourdes, Fatima, e più recentemente Medjugorje –, e sapevo che, mentre molta gente (in maggioranza cattolici romani, naturalmente) considerava tali apparizioni come segni diretti dal Cielo, altri (soprattutto protestanti) le ritenevano allucinazioni, o addirittura inganni demoniaci. Non essendo membro della Chiesa Cattolica Romana, non mi sentivo in alcun modo obbligata, o incline, a pensarci granché. Ma, essendo venuta a sapere che un prete ortodosso era stato in pellegrinaggio a Lourdes, e che la moglie di un altro prete ortodosso organizzava una visita annuale a Lourdes per un gruppo di donne ortodosse, il mio interesse si è risvegliato, e sono stata spinta fortemente a osservare più da vicino le apparizioni mariane e i loro santuari.

La fonte principale delle mie informazioni riguardo alle apparizioni e ai santuari sono libri scritti da autori cattolici romani. Sono rimasta estremamente sorpresa nello scoprire quanto fossero numerose, e alla fine, mi sono limitata a quindici di esse, in particolare alla Medaglia Miracolosa, La Salette, Lourdes, Fatima, Garabandal, Zeitoun, Medjugorje e Hriushiw. Non ho preso in considerazione Walsingham, perché mi sembra classificabile in una differente categoria: la sua raison d'etre è onorare il mistero dell'Incarnazione, con il figlio di Dio come figura centrale. Anche il più severo protestante potrebbe difficilmente trovarsi in disaccordo con una simile intenzione, per quanto possa disapprovare il modo particolare in cui tale onore viene tributato.

Più leggevo, più mi convincevo che l'intera faccenda era ben più complessa di una drastica scelta fra la rivelazione divina da una parte e l'inganno demoniaco dall'altro. Molti altri fattori sembravano giocare un certo ruolo, a vari livelli, nei diversi santuari: fattori psicologici, la questione della manipolazione ecclesiastica e del coinvolgimento papale, elementi nazionalistici e politici, la presenza di qualcosa di molto più antico del cristianesimo, vale a dire il culto della dea; e, infine, la possibilità di un collegamento con il sincretismo New Age e il neopaganesimo.

Uno degli aspetti che mi hanno particolarmente interessata, ma che sembra attirare poco l'attenzione, è il problema dei fenomeni solari, di cui si hanno testimonianze nella maggior parte dei siti delle apparizioni, da Fatima in poi. Non avevo la minima idea che ciò mi avrebbe portata dritta nel dominio degli UFO!

Alla fine della mia ricerca mi è sembrato di avere più domande che risposte, e di avere in mano molte trame apparentemente prive di alcun legame fra loro; le conclusioni a cui sono giunta sono esclusivamente il risultato delle mie personali riflessioni. È probabile che altri ben più competenti di me nel giudicare questi problemi possano fornire una diversa interpretazione. Tutto sommato, si è trattato più che altro di un'indagine: quando ho cominciato, non avevo la benché minima idea di dove mi avrebbe condotto.

Un breve compendio dei santuari precedentemente menzionati potrà essere di aiuto per farsi un'idea generale del problema.  

Alcune apparizioni mariane

1) Intorno al 1295, Duns Scoto, un francescano scozzese di Oxford, difendeva l'Immacolata Concezione contro Tommaso d'Aquino e i domenicani. Dal 1708, la festa dell'Immacolata Concezione fu dichiarata festa di precetto. Nel 1830, Caterina Labouré, una giovane suora parigina, ebbe una visione della cosiddetta Medaglia Miracolosa. La suora aveva una certa predisposizione per le visioni, poiché aveva già visto il cuore di San Vincenzo, Nostro Signore nel Santissimo Sacramento e Cristo Re. Desiderosa di vedere anche la Santa Vergine, la Labouré implorò l'intercessione di San Vincenzo, e il suo desiderio fu esaudito. Un bambino vestito di bianco (il suo Angelo custode) la condusse a notte fonda nella cappella del convento, dove vide la Signora, le parlò e poté anche toccarla. Più tardi nello stesso anno, la Signora, vestita di bianco, apparve nella cappella con un serpente sotto i piedi, circondata da una cornice ovale con le parole: "Maria, concepita senza peccato, prega per noi, che ricorriamo a te". Una voce disse a Caterina di far coniare una medaglia, che avrebbe procurato grandi grazie a chi l'avesse indossata. Il retro della medaglia avrebbe dovuto recare una "M", sormontata da una croce, con il cuore di Gesù e quello di Maria. Caterina continuava a udire la voce della Signora nelle sue preghiere. La medaglia ebbe un grande successo, e diede un forte impulso alla fede nelle preghiere della Vergine, la Mediatrice di tutte le grazie. Crebbe anche la pressione popolare per la promulgazione ufficiale del dogma dell'Immacolata Concezione. Portando la medaglia per far contento un amico cattolico, un ebreo – il futuro Padre Marie-Alphonse Ratisbone – ebbe una visione della Vergine della Medaglia Miracolosa e si convertì nel 1842 (il fratello era già un prete cattolico romano), dedicando il resto della sua vita alla conversione degli ebrei, e alla costruzione del Convento Ecce Homo delle Sorelle di Sion sulla Via Dolorosa a Gerusalemme.

2) Nel 1842 a La Salette, in Francia, due guardiani di mandrie, l'undicenne Massimino e la quattordicenne Melania, videro un improvviso lampo di luce, da cui apparve una signora vestita di bianco e d'oro, con una corona di rose sulla testa. Era circondata da una luce sfolgorante, e piangeva. La signora lamentò la dissacrazione della domenica, e le bestemmie dei contadini contro i santi. (Il Curato d'Ars ed altri membri del clero si lamentavano continuamente di questi peccati nei loro sermoni). Se non vi fosse stato alcun pentimento, sarebbero accaduti grandi disastri – carestie e fame – perché la signora non poteva trattenere più a lungo suo figlio dall'infliggere la punizione. Il discorso udito durante l'apparizione era molto simile a una "Letera [sic] caduta dal Cielo", che circolava a quei tempi. Il prete della parrocchia dichiarò che la signora era la Beata Vergine; le apparizioni furono approvate in seguito dal Vescovo di Grenoble, e iniziarono i pellegrinaggi. Melania divenne suora, e continuò a ricevere visioni e rivelazioni. Massimino tentò senza successo di diventare un prete, e fu sempre pieno di debiti.

3) Nel 1854, l'Immacolata Concezione divenne ufficialmente articolo di fede nella Chiesa Cattolica Romana. Quattro anni dopo, nel 1858, una serie di visioni ebbe luogo dall’11 di febbraio fino al 16 luglio, dando origine al più celebre dei santuari mariani. Nella grotta di Massabielle, a Lourdes, la quattordicenne Bernadette Soubirous vide "qualcosa di bianco che sembrava una giovane donna". Le vennero rivolte molte domande, a cui rispose elaborando questa immagine in quella di "una graziosa giovane con un abito e un velo bianchi, una fascia azzurra alla vita ed una rosa gialla su ciascun piede." In seguito, disse che la visione somigliava soprattutto "alla Beata Vergine nella chiesa parrocchiale, per gli abiti e il volto...ma viva, e circonfusa di luce". La Signora, che portava un rosario sul braccio, parlava in dialetto locale, molto educatamente, e chiedeva penitenza. A Bernadette furono rivelati tre "segreti", fu richiesto di pregare per la conversione dei peccatori, e la Signora le promise che l'avrebbe fatta felice non in questo mondo, ma nell'altro. L'apparizione chiese una processione ed una cappella, e indicò a Bernadette dove scavare per trovare una sorgente, di cui già si conosceva l'esistenza. Bernadette recitava il rosario e andava in trance. La Signora annunciò così il proprio nome: "Io sono l'Immacolata Concezione", confermando così il dogma recentemente definito. Nell’ottobre seguente, le autorità ecclesiastiche si occuparono del caso; e le apparizioni furono confermate come provenienti dalla Beata Vergine, il culto di Nostra Signora di Lourdes fu autorizzato e si iniziò a progettare la costruzione di un santuario. Nel 1933, Bernadette fu canonizzata.

4) Nell'agosto del 1879, quindici persone dai sei ai settantacinque anni di età videro un'apparizione sul lato sud della chiesa parrocchiale di Knock, in Irlanda. La visione aveva la forma di un quadro, con un altare su cui vi era un agnello, con angeli sospesi sulla sua testa, e tre figure: la Vergine incoronata, San Giuseppe e San Giovanni Evangelista vestito come un vescovo e in atteggiamento aparente di predicazione. Le figure erano appena scostate dal muro della chiesa, e a poco più di mezzo metro dal suolo. Non si muovevano; si limitavano ad allontanarsi e a riavvicinarsi a tratti. Non emisero alcun suono. Alcuni dei testimoni rimasero due ore sotto la pioggia battente, recitando il rosario. Questa è l'unica apparizione nota dell'agnello. Fu costruito un aeroporto internazionale in previsione di un gran numero di pellegrini, ma il santuario non divenne mai molto popolare. Nel 1954 il Papa Pio XII benedisse il labaro di Knock in San Pietro e accordò l'autorizzazione per l'incoronazione di Nostra Signora di Knock. Nel 1960, Giovanni XXIII presentò un cero benedetto; e, nel 1967, Paolo VI rinnovò le indulgenze ai pellegrini e a coloro che avevano rapporti col santuario. Giovanni Paolo II ha visitato Knock in occasione del centenario, ha promosso la chiesa al rango di basilica e la ha insignita con la Rosa d'Oro.

5) Nel 1917, a Cova da Iria, vicino al villaggio di Fatima, in Portogallo, tre pastorelli (Lucia, che aveva dieci anni, Francisco di nove, e Jacinta di sette, cugini fra loro) videro dei lampi, seguiti dall'apparizione, sopra un albero, di una "piccola bella signora" che diceva di essere venuta "dal Cielo". Ai fanciulli disse che avrebbero dovuto tornare il tredicesimo giorno del mese, per i sei mesi successivi, e poi avrebbero saputo chi era la signora e cosa voleva. In risposta alle domande di Lucia, disse che Lucia e Jacinta sarebbero andate in paradiso, e anche Francisco, ma quest'ultimo avrebbe dovuto "recitare molti rosari". Un amichetto dei fanciulli, morto di recente, era in paradiso, ma un altro sarebbe rimasto in purgatorio "fino alla fine del mondo". Francisco, sulle prime, non riusciva a scorgere la visione, e non udiva niente. Jacinta vedeva e udiva, ma non parlò mai alla Signora. In altre occasioni fu loro detto di recitare il rosario e pregare, soprattutto per essere "salvati dal fuoco dell'inferno". A Lucia vennero rivelati "segreti", ed ebbe una terrificante visione dell'inferno. La Signora promise che avrebbe compiuto un miracolo in ottobre. Lucia fu picchiata dalla madre, convinta che la bambina raccontasse bugie; e l'amministratore locale, un ateo, interrogò i bambini e li imprigionò per due giorni, ma essi continuarono ad affermare la veridicità della loro storia.

Il 13 ottobre, un giorno in cui pioveva a dirotto, una folla di settecento persone si riunì a Cova, in attesa del miracolo promesso. Secondo un prete cattolico romano, la gente era molto eccitata, si inginocchiava, piangeva e pregava. La signora apparve, annunciando di essere Nostra Signora del Rosario e che la guerra sarebbe terminata quello stesso giorno (in realtà non finì se non tredici mesi più tardi). Poi scomparve, ed ebbe luogo il celebre "miracolo del sole". La pioggia era cessata, e quando Lucia gridò "Guardate il sole!" (nel quale affermò di aver visto, uno dopo l'altro, Nostra Signora dei Dolori, Nostra Signora del Carmelo, San Giuseppe con il Santo Fanciullo e Nostro Signore), la folla guardò il sole, che sembrò mettersi a girare, ad emettere raggi colorati, a muoversi a zigzag da est ad ovest, per poi cadere verso terra – così che tutti i presenti, terrorizzati, credettero che quella fosse la fine del mondo – e tornare infine al suo posto. Non tutti nella folla videro queste cose, benché alcune persone, a dieci chilometri da Fatima, furono testimoni del fenomeno. Altri riferirono che i fenomeni solari, sia durante il periodo delle apparizioni che dopo, consistevano nel sole che colorava tutto di una luce arcobaleno, un "globo luminoso", una "stella notturna" ed una "pioggia di fiori" (simile alla "pioggia di rose" che seguì la morte di Teresa di Lisieux, il Piccolo Fiore).

Come Melania di La Salette e Bernadette di Lourdes, Lucia si fece suora, e, come Melania, continuò ad avere visioni e rivelazioni. Nel 1925 le apparve la Signora con il Bambino, esortandola a diffondere la devozione al Cuore Immacolato. L'anno successivo, il Bambino apparve da solo. Poi, nel 1929, la Signora ordinò che la Russia fosse consacrata al Cuore Immacolato: questa fu la prima volta in cui fu menzionata la Russia. Nel 1937, Lucia scrisse un dettagliato resoconto delle apparizioni, che crebbe nel corso della stesura e giunse a includere precedenti apparizioni di un Angelo ai fanciulli. Nel 1915, quest'ultimo era apparso "come una persona avvolta in un lenzuolo"; nel 1916, come un giovane di quindici o sedici anni, "più bianco della neve", che si definì "l’Angelo della Pace" e che insegnò ai bambini a pregare, con la fronte a terra, per i miscredenti. Più tardi, quello stesso anno, disse loro di essere l'angelo custode del Portogallo, e che era necessario pregare e rendere ogni azione un sacrificio (come Teresa di Lisieux) per propiziare la pace; e che "i Cuori santissimi di Gesù e di Maria" avevano progetti per loro. Sempre nel 1916, l'angelo apparve poi come "una nube in forma umana, più bianca della neve, trasparente", e dette ai bambini la Santa Comunione.

Fra il 1941 e il 1942 Lucia rivelò altri particolari, descrivendo la sua terrificante visione dell'inferno avvenuta il 13 luglio del 1917. Le immagini erano quelle convenzionali: fuoco rosso, neri demoni, urla di dolore e di disperazione. A suo dire, inoltre, la signora aveva annunciato che avrebbe illuminato una notte come in pieno giorno, come suo grande segno che avrebbe preannunciato qualche terribile punizione divina, evitabile soltanto con la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato. Questa consacrazione fu eseguita nel 1952 da Papa Pio XII, poiché fu promessa, incondizionatamente, la conversione della Russia. Il prete cattolico romano Padre Martindale notò, con un certo scetticismo, che "perfino lo stesso Calvario non ha garantito, incondizionatamente, la conversione del mondo"! Papa Giovanni Paolo II ha ripetuto la consacrazione nel 1981.

Nel 1960, Giovanni XXIII ha aperto la busta sigillata contenente il terzo segreto di Fatima, rifiutandosi però di rivelarlo. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto ufficialmente le apparizioni e il culto di Nostra Signora di Fatima.

6) A Garabandal, in Spagna, fra il 1961 e il 1965 ebbe luogo una serie di apparizioni, in cui i visionari – quattro bambine fra i dieci e i dodici anni – asserirono di aver ricevuto duecento apparizioni della Vergine e dell'Arcangelo Michele. Il 18 giugno, mentre stavano giocando, dopo un lampo di luce e un rombo di "tuono", l'Arcangelo Michele fece la prima delle nove apparizioni di quel mese. Le fanciulle lo descrissero come un bambino di circa nove anni, vestito di azzurro con ali rosa, scuro di pelle e di occhi, con mani ed unghie ben curate. Il mese successivo, in presenza di una grande folla, le ragazze rimasero in trance per due ore. Il giorno seguente, durante un'altra trance, videro la Vergine vestita di bianco e di azzurro, coronata di stelle. La signora parlò alle fanciulle della raccolta del fieno e di altre faccende quotidiane. Talvolta appariva con il bambino, che alle veggenti era permesso tenere in braccio. Gli stati di trance duravano da pochi minuti a nove ore; e, mentre erano in trance, le fanciulle davano alla Vergine oggetti sacri – rosari, medagliette e crocifissi – da baciare per i pellegrini. Una grande folla vide l'Ostia apparire sulla lingua di Conchita quando l'Arcangelo Michele le dette la Comunione. Questo "miracolo" era stato annunciato in precedenza.

I messaggi contenevano ammonimenti di grandi punizioni, che avrebbero potuto essere evitate solo con molti sacrifici e penitenze. Alle ragazze fu detto di visitare spesso il Santissimo Sacramento, e di cercare di essere perfette. In futuro ci sarebbe stato un grande miracolo a Garabandal, che sarebbe stato visto anche dal Papa e da Padre Pio (che, naturalmente, morì senza che ciò accadesse); e, come conseguenza del miracolo, la Russia si sarebbe convertita. Un giovane prete gesuita ebbe una "visione" del miracolo, disse che quello era stato il giorno più felice della sua vita, e il giorno dopo morì. Sembra che Padre Pio credesse nelle apparizioni. Ma la gerarchia ecclesiastica locale non si fidava; e in un certo momento, dopo un lungo interrogatorio, Conchita confessò di avere dubbi riguardo alle sue visioni. L'attuale vescovo, nominato nel 1991, sta chiedendo a Roma di riaprire il caso. durante le apparizioni, alcune persone hanno visto il sole danzare, e una stella rossa con una coda come di fuoco. Una volta la Vergine è venuta in una misteriosa "nube di fuoco".

7) Per molti versi, le apparizioni sulla Chiesa Copta di S.Maria a Zeitoun (Cairo) sono le più interessanti e credibili. Esse non riguardano la Chiesa romana, ma quella copta; e alcuni vescovi copti, fra cui il vicario del Patriarca, sono stati fra i milioni di cristiani, musulmani, ebrei e non credenti che ripetutamente hanno testimoniato le apparizioni lungo un arco di tre anni, dal 1968 al 1971. La Chiesa Copta ha riconosciuto le apparizioni come vere visioni della Beata Vergine Maria, così come la Chiesa Copta Cattolica, la Chiesa Greco-Cattolica e l'allora capo della Chiesa Evangelica e portavoce di tutte le chiese protestanti d'Egitto. Perfino il direttore del Dipartimento dell'Informazione Generale e dei Ricorsi del governo egiziano sottopose un resoconto al suo superiore, dichiarando che "indubbiamente la Beata Vergine Maria è apparsa sulla Chiesa Copta Ortodossa di Zeitoun..." La visione mantenne un completo silenzio. Non vi furono minacce di punizione, imposizione di dogmi e pratiche latine, moniti apocalittici e stati di trance.

L'apparizione avveniva sulle cupole della chiesa, e durava ogni volta fino a due ore, sempre di notte, ma non ogni notte, e non ad intervalli regolari. La Signora appariva avvolta di luce – così splendente che le sue fattezze non potevano essere distinte chiaramente – che rifulgeva nella chiesa. era invariabilmente preceduta o accompagnata da "colombe" luminose, "strane creature di luce simili ad uccelli", che non sbattevano le ali ma sembravano scivolare. La figura si muoveva attraverso le cupole, inchinandosi e salutando la folla enorme, che a volte raggiungeva secondo le stime il numero di 250.000 persone. Talvolta le benediceva, o porgeva un ramoscello d'olivo. Il rappresentante del Patriarca la descrisse come "molto calma, piena di gloria". A volte teneva in braccio il bambino, o era parte della Sacra Famiglia. Tutti pregavano a modo loro: i musulmani recitavano il Corano sui loro tappeti, i greci dicevano preghiere, i copti cantavano inni. Le "colombe" furono menzionate da molti testimoni concordi. Altri fenomeni furono una "pioggia di diamanti", una nube rossa splendente, e nubi gonfie d'incenso. Avvennero guarigioni miracolose, spettacolari e attestate da medici, benché – come negli altri santuari – esse fossero poche, se paragonate al gran numero di malati.

8) Con le apparizioni iniziate nel 1981 a Medjugorje, in Yugoslavia, si torna alla familiare atmosfera di fanciulli, trance e segreti. Una sera d'estate, quattro ragazzi – tre femmine ed un maschio – fra i quindici e i sedici anni videro una luce sul fianco di una collina. Nella luce c'era una giovane donna che teneva in braccio un bambino. La giovane li chiamò, ma essi fuggirono. La sera dopo tornarono sul posto con altri due amici, una ragazza di sedici anni e un ragazzo di dieci; e tutti videro, questa volta sulla collina di fronte, la stessa grande luce che circondava la donna, come se fosse "vestita di sole"; ma erano troppo spaventati per avvicinarsi a lei. La sera successiva, i sei ragazzi furono accompagnati da una folla di cinquemila persone. Dopo tre lampi di luce la signora apparve, ma solo i sei potevano vederla: capelli neri, occhi azzurri, vestita di grigio, coronata di stelle, in pedi su una nuvola bianca appena al di sopra del suolo, così vicina che avrebbero potuto toccarla. Una delle ragazze, tenendo in mano un recipiente di acqua santa, disse all'apparizione: "Se sei satana, va' via!", (!) e ricevette come risposta: "Io sono la Vergine Maria", venuta a "convertire e riconciliare". Più tardi la videro in una croce di luce arcobaleno, triste, mentre ripeteva: "Pace, pace. Riconciliatevi."

Negli ultimi anni la visione è apparsa una volta la settimana, verso le sei di sera, durante la recitazione del rosario. Era vestita di grigio, con un velo bianco; ma a Pasqua e a Natale indossava un abito dorato e teneva in braccio il bambino. Talvolta la "Gospa" [Signora] visitava i ragazzi a casa loro, soprattutto se erano malati, e pregava con loro da cinque minuti a mezz'ora. Venivano loro mostrate visioni del paradiso, dell'inferno e del purgatorio. (In paradiso gli angeli volavano, e persone vestite di manti grigi, rosa e gialli camminavano, cantando e pregando. Il purgatorio, un luogo pieno di nebbie, risuonava del suono di martelli che battevano su sbarre di prigione. Nel fuoco dell'inferno, uomini e donne emergevano irriconoscibili come esseri umani). La Gospa diede ai ragazzi messaggi di pace, conversione e preghiera – la recitazione giornaliera del Credo, seguita da sette Pater, Ave e Gloria (una devozione locale) – penitenza, digiuno il mercoledi e il venerdi, e rispetto per le altre religioni.

La Gospa disse ai veggenti di soffrire a causa dell'umanità peccatrice, e di essere impegnata in una grande battaglia con satana per il possesso delle anime. Medjugorje sarebbe stato l'ultimo luogo delle sue apparizioni: tutte le altre visioni sarebbero state false. Ci sarebbe stato un grande segno sulla collina per convertire i miscredenti. Ai ragazzi furono affidati dieci segreti, che si ritiene siano di natura apocalittica, e di avvertimento per possibili disastri futuri. Come il Vaticano si è rifiutato di rivelare il terzo segreto di Fatima, così si pensa che anche i francescani tendano a minimizzare gli aspetti più sensazionali delle rivelazioni della Gospa.

L'allora vescovo cattolico romano di Mostar non accettava la genuinità delle apparizioni; ma il parroco francescano, Padre Jozo, sostenuto in seguito dall'Arcivescovo di Split, si mise entusiasticamente dalla parte dei visionari. Fr Jozo fu imprigionato dalle autorità comuniste per le sue attività relative alle apparizioni. Una volta scarcerato, fu inviato alla parrocchia di Tihaljin, dove, nella chiesa nuova di zecca, iniziarono ad essere celebrati servizi di guarigione per i molti pellegrini che venivano a conoscere l'uomo che era il confidente dei visionari. L'imposizione delle mani era accompagnata da abbracci, pianti e svenimenti. Fra il 1981 e il 1990, prima del conflitto bosniaco, si erano recati a Medjugorje dieci milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo, inclusi americani e australiani, fra cui vi erano anche luterani, anglicani e ortodossi. Circolavano le solite storie isteriche: era stato visto il Cristo nel cielo, il rosario di una donna era diventato d'oro (a 24 carati, in un'altra versione), e qualcuno era riuscito a fotografare la Vergine.

Nel 1993, quattro dei ragazzi avevano ancora visioni. Sono state riportate guarigioni miracolose, e vari fenomeni: rotazioni del sole, misteriosi "fuochi" e "arcobaleni" senza pioggia, una croce di pietra sulla montagna, alta trenta piedi, si era messa a girare su se stessa, e la parola "MIR" (Pace) era apparsa sulla montagna in lettere di luce bianca, in modo da poter essere vista da tutti a Medjugorje.

9) L'Ucraina è stata per secoli un territorio "visionario". Nel 1987, si è detto che la Vergine sia apparsa in quindici luoghi diversi. Il 26 aprile 1987, una contadinella tredicenne di Hriushiw vide una luce sopra una cappella in rovina. Una donna vestita di nero, con un bambino in braccio, apparve nella luce dicendo che gli ucraini erano stati scelti per ricondurre i russi a Dio. La ragazza chiamò la madre e la sorella, che immediatamente dichiararono che doveva trattarsi della Bogoroditsa [Theotokos], la Vergine. Da allora fiumi di pellegrini si sono riversati nel villaggio, tanto che mezzo milione di persone afferma di aver visto la Bogoroditsa, il cui profilo apparve anche in televisione il 13 maggio, anniversario dell'apparizione di Fatima. Le autorità comuniste non riuscirono a fermare le folle, e la Pravda dichiarò che si trattava di un'opera di estremisti che tentavano di sabotare la Perestroika.

Non è chiaro se tutti udirono i messaggi, o se questi furono rivelati attraverso la contadinella, Marina, che fu visitata da uno psichiatra e dichiarata sana di mente. Quel che è certo è che non tutti videro la Vergine: molti, fra cui monaci e monache, non videro nulla. I messaggi, in sostanza, dicevano che la Vergine era rattristata per le condizioni del mondo, che gli ultimi tempi si stavano avvicinando, e che Chernobyl era stato un avvertimento per il mondo. Il rosario è una grande arma contro satana; l'Ucraina, "mia figlia", è sotto la speciale protezione della Vergine, e sarebbe diventata uno stato indipendente. Poiché avevano sofferto più di tutti sotto il comunismo, gli ucraini erano stati scelti come gli apostoli che avrebbero convertito la Russia; e, se la Russia non si fosse convertita, sarebbe scoppiata una terza guerra mondiale. Se fossero rimasti fedeli al Papa, il terzo segreto di Fatima sarebbe stato rivelato.

Come a Zeitoun, le apparizioni erano irregolari, visibili da molti, e la luce che circondava l'apparizione era "lunare", non "solare". Le parole per descrivere la luce erano molto simili fra loro: "luce lunare, ma non proprio", "fosforescente", "splendore argenteo", "fasci di luce". Ma a Hriushiw non vi era alcuno spirito ecumenico. I messaggi non facevano nulla per allentare la tensione fra gli uniati e gli ortodossi.

Intervento divino

È realmente Dio che parla attraverso queste apparizioni, o almeno attraverso alcune di esse? I fenomeni solari riportati sono davvero segni celesti, o sono solo contraffazioni?

Credendo, come noi crediamo, che la Chiesa Ortodossa sia la Chiesa, in cui si trova la pienezza della fede cattolica – cioè la fede apostolica in tutta la sua purezza e completezza – è per noi impossibile accettare alcunché di contrario all'insegnamento e alla pratica ortodossi. Ciò dovrebbe rendere immediatamente sospetto ogni santuario o apparizione in cui si fa menzione del dogma dell'Immacolata Concezione, o in cui si incoraggia il culto, non ortodosso, di parti del corpo, come il cuore di Gesù e di Maria (nel XVII secolo, in Francia, vi fu perfino quello del piede sinistro della Vergine, e delle suole delle sue scarpe...).

Ugualmente sospetto dovrebbe essere qualsiasi suggerimento di sostituire "Cristo nostro Dio, che tutto sopporta, di tutti ha misericordia e compassione, che ama i giusti e ha misericordia dei peccatori" con una figura distante e impersonale piena di furore, incline alla punizione e alla vendetta. L'apparizione a La Salette disse: "Non posso più trattenere il braccio pesante di mio figlio"; e l'apparizione di Fatima: "...è già profondamente offeso". A San Damiano, nel 1961: "Il Padre Eterno è stanco, molto stanco... ha liberato il Demonio, che provoca distruzioni." Nel 1985 a Oliveto Citra, in Italia, si odono ancora le parole di La Salette: "Non posso più trattenere il braccio di giustizia di mio Figlio". Queste parole riecheggiano gli insegnamenti – privi di equilibrio, ma molto popolari – di alcuni santi e predicatori latini del passato, per cui il Regno di giustizia di Cristo era opposto al Regno di misericordia di Maria. "Se Dio è adirato contro un peccatore, Maria lo prende sotto la sua protezione; trattiene il braccio vindice del suo Figlio, e lo salva" (Alfonso de'Liguori). "La Vergine è il sicuro rifugio dei peccatori e dei criminali dal rigore dell'ira e della vendetta di Gesù Cristo"; Ella "lega il potere di Gesù Cristo, per impedirgli di fare del male al colpevole" (Jean-Jacques Olier).

Le assurdità di La Salette parlano da sole: per esempio, l'apparizione che dichiara di aver dato agli uomini sei giorni per lavorare, e di aver riservato il settimo per se stessa (l). Nel suo libro The Dancing Sun, Desmond Seward scrive:

A detta dei visionari, la Vergine (di Medjugorje) afferma che il mondo si trova in un periodo di oscurità mai visto prima... Satana... sta combattendo una grande battaglia per le anime con la Madre di Dio, inviata dal Padre Eterno per ammonirle e rincuorarle: poiché, come Dio disse al serpente nella Genesi, la donna "ti schiaccerà la testa".

Ma se è così, questo perpetua la cattiva traduzione cattolica romana nella Bibbia di Douay, di Genesi, capitolo 3, versetto 15. Non è affatto la donna ma il seme della donna – Cristo – che schiaccerà la testa del serpente, con la sua passione e risurrezione.

I teologi latini più cauti e sobri si sono sempre sentiti a disagio con gli eccessi dei loro contemporanei; ma in molte occasioni la spinta dell'entusiasmo popolare è stata troppo forte per permettere a una sana teologia di prevalere. Louis-Marie Grignion de Montfort (+ 1716 ) – maestro di eccessi "mariani" – collegava strettamente la Vergine all'escatologia. Nel Secondo Avvento la Vergine dev'essere rivelata dallo Spirito Santo, così che Cristo possa essere conosciuto; e deve manifestare tutto il suo potere contro i nemici di Dio, poiché in qualche modo il diavolo teme più lei di Dio stesso. L'idea della Vergine come di colei che prepara sempre la strada per la venuta di Cristo – non solo il suo primo avvento nell'Incarnazione, ma la sua discesa nell'anima degli uomini, e il suo secondo avvento – si è protratta fino ai tempi moderni. "Come non ci sarebbe stato alcun avvento di Cristo nella carne, nella sua prima venuta, senza Maria, così non può esservi alcun avvento di Cristo nello spirito...senza che sia ancora una volta Maria a preparare la strada." "Come fu lei a preparare il corpo di Cristo, così adesso prepara le anime per il suo avvento" (Arcivescovo Fulton Sheen). A Zeitoun, "si percepisce in evidenza il ruolo salvifico della Beata Vergine, come nel 1917 a Fatima. Tale ruolo è essenzialmente quello di preparare la strada per il suo Figlio divino, aprendo l'anima degli uomini alla sua grazia redentrice". "...dopo aver preparato 2.000 anni fa la sua via fra il Suo popolo", la Vergine "prepara adesso la sua via nelle anime di milioni di gentili di tutte le fedi, e di atei, con una nuova e più grande Visitazione" (Francis Johnston: When Millions Saw Mary). Viene da chiedersi se lo Spirito Santo abbia ancora qualcosa da fare...

Questo modo di pensare ben si accorda con la fede corrente – prevalente in alcuni ambienti cattolici romani – in un'Età mariana che deve precedere il secondo avvento, e con il forte tono apocalittico della maggioranza delle apparizioni. Ma, poiché un simile ruolo della Madre di Dio non si può trovare attestato né dalle Scritture né dalla Tradizione, non ispira molti motivi per credere nell'autenticità delle apparizioni.

Una delle caratteristiche più inquietanti di queste apparizioni è che la Vergine appare come una figura autonoma, mentre Cristo è stranamente assente. E' lei che piange per lo stato di peccato dell'umanità, ed è sempre lei che decide chi sarà guarito ("alcuni li guarirò, non altri"). Qualsiasi cosa dicano i messaggi, è la Vergine, non Cristo, che si fa portavoce del Cielo. La Chiesa Ortodossa non separa mai la Madre dal Figlio; e un Cristo distante o assente sarebbe impossibile, poiché senza la vita nel Cristo Dio-uomo, vissuta nel potere dello Spirito Santo, la Chiesa cesserebbe di essere la Chiesa.

Fattori psicologici

Nella maggioranza delle apparizioni prese in esame, i soli o comunque i principali visionari sono bambini o adolescenti: è dunque probabile che in questi fenomeni sia presente qualche elemento di psicologia infantile. Per un'accurata valutazione delle visioni e dei messaggi, bisognerebbe avere maggiori informazioni riguardo ai bambini coinvolti: a quale tipo di arte religiosa sono stati esposti, quali sermoni hanno ascoltato, quali insegnamenti hanno ricevuto a scuola e nelle lezioni di catechismo, quali libri religiosi hanno letto.

Nel caso di Bernadette, per esempio, le sue visioni non vengono dal nulla, come spesso si pensa. Bernadette conosceva già la Medaglia Miracolosa (da suora, sembra che l'abbia sempre portata su di sé); e l'Immacolata Concezione era stata dichiarata dogma ufficiale nel 1854. Già da quattro anni la fanciulla doveva averne sentito parlare ripetutamente, sia in chiesa che nelle lezioni di catechismo, anche senza comprenderne appieno il significato.

C'è da dire altresì che nella zona di Lourdes le visioni erano fenomeni ricorrenti. Gli elementi essenziali della visione di Lourdes - una signora, una pastorella (Bernadette era stata una volta temporaneamente impegnata a badare alle pecore nel vicino villaggio di Bartrès), una cappella, processioni, e una sorgente dai poteri miracolosi - erano già presenti in alcuni santuari dei Pirenei, che nel medioevo si trovavano sulla strada per Compostella. Nel 1475, un giovane pastore di Bétharram aveva avuto la visione di una signora, che aveva chiesto ancora una volta di edificare una cappella. Oltre a Gavaison, altri santuari della Vergine nei dintorni erano Poeylanum, Heas e Pietat. C'erano anche Nostra Signora di Sarrance, di Bourisp, di Medous, di Nestes, di Buglose, nonché altri quattro centri di pellegrinaggio nella regione: in tutto, quattordici centri vicini a Lourdes. Genuina o no, la visione di Bernadette ben si adattava al modello locale. In passato, l'area era stata contaminata dall'eresia albigese. Nel corso di una crociata contro questa particolare eresia, promossa da Papa Innocenzo III, gli eretici erano stati passati a fil di spada, e c'era stato l'intervento diretto dell'Inquisizione. Furono usati gli usuali metodi dell'Inquisizione, che lasciavano dietro di sé un popolo ortodosso nella dottrina (latina), ma certamente non amante del clero. Perciò le visioni erano molto popolari, in quanto dispensavano dalla necessità di una mediazione clericale.

È ben noto che i fanciulli, a un determinato stadio di sviluppo mentale, che può variare considerevolmente a seconda dei soggetti, amano avere un mondo segreto, inaccessibile agli adulti, e spesso immaginano situazioni in cui possono sentirsi importanti. Vi sono numerose somiglianze fra La Salette e Fatima; e Lucia ammise che la madre gli aveva letto la storia di La Salette. In che misura le visioni di Bernadette potevano essere una forma inconscia di compensazione? La signora era piccola, non più alta della stessa Bernadette, e si rivolgeva alla fanciulla - malaticcia, poco sviluppata, che tutti chiamavano "la piccola idiota" - in modo molto cortese, dandole del vous. L'attenzione riservata ai giovani "veggenti", grazie alle loro visioni, sarebbe indubbiamente aumentata in virtù dei "segreti" loro concessi – elemento, questo, ricorrente nelle apparizioni ad adolescenti e bambini da La Salette in poi – accrescendone così l'importanza agli occhi degli adulti.

E' altresì ben noto che un piccolo numero di soggetti – quasi sempre bambini e adolescenti – dimostrano una considerevole capacità eidetica: cioè la facoltà di avere vivide immagini visive di specifici oggetti che non sono presenti nella realtà, ma nella loro immaginazione conscia o inconscia, e vengono "visti" dal soggetto stesso. Nel libro Mary–A History of Doctrine and Devotion, Hilda Graef menziona un esperimento molto interessante condotto da uno psicologo, C. M. Staehlin, in cui e' stata testata la suggestionabilità di sei ragazzi dai quindici ai diciotto anni, a cui è stata indotta per suggestione l'immagine di una battaglia fra guerrieri medievali oltre un albero. Due ragazzi non hanno visto niente, due hanno "visto" la battaglia ma non hanno udito nulla, e altri due hanno visto la scena e udito il rumore, perfino le grida dei singoli cavalieri. Nessuno dei ragazzi aveva potuto comunicare con gli altri; eppure, i due che avevano "visto" e "udito" concordavano su ogni dettaglio. Nelle apparizioni abbiamo lo stesso fenomeno: l'accordo fra i ragazzi, la loro apparente comunicazione telepatica, il fatto che solo alcuni "vedono", mentre altri "vedono" e "odono" le parole delle apparizioni.

Fino a che punto possono essere provate la suggestionabilità e le doti eidetiche del dodicenne Eugene Barbadette, quando nel cielo di Pontmain, in Francia, nel 1871, gli "apparve" una Signora vestita di un manto azzurro con stelle dorate? Il soffitto della sua chiesa parrocchiale era dipinto di azzurro con stelle dorate. I vicini adulti, riunitisi per osservare il fenomeno, non videro nulla; mentre altri bambini dichiararono di aver visto anch'essi l'apparizione. All'arrivo del prete locale sulla scena, la visione divenne più elaborata: una cornice ovale azzurra, con scritte al suo interno (echi della Medaglia Miracolosa), piccole croci bianche, una grande croce rossa, e quattro candele che si accesero da sole. Il parroco aveva precedentemente eretto croci bianche in tutta la parrocchia, guidava la piccola folla nella recitazione del "rosario rosso" in onore di ventisei martiri giapponesi (cosa che può aver suggerito l'immagine della croce rossa), ed era solito accendere quattro candele dopo i vespri della domenica davanti a una statua della Vergine dell'Immacolata Concezione.

Comunque, una capacità eidetica e ordinari fattori di sviluppo infantile non sono sufficienti, da soli, a spiegare l'attaccamento dei bambini alle loro storie, quando in alcuni casi essi furono ripetutamente interrogati, presi in giro, puniti fisicamente per aver "raccontato bugie", perfino imprigionati. Né spiegano gli stati di trance, talvolta di ore, durante i quali i giovani – per esempio a Garabandal – non reagirono a luci abbaglianti, a bruciature di sigarette e a punture di spillo. Un neurologo dell'accademia medica di Barcellona, che esaminò i visionari di Garabandal nel corso di almeno venti trance e dopo di esse, non riuscì a trovare una spiegazione, e dichiarò che i visionari erano ragazzi del tutto normali.

La trance è collegata dagli psicologi all'estasi religiosa e alle esperienze visionarie, ma anche alle capacità medianiche, in cui possono essere prodotti effetti fisici paranormali e materializzazioni. Gli stati di trance, naturalmente, sono ben noti agli sciamani ed agli "uomini di medicina" pagani.

Nelle occasioni in cui molti adulti hanno potuto vedere le apparizioni o i fenomeni solari, non tutti i presenti, in realtà, hanno visto qualcosa. Un esempio interessante della suscettibilità da parte di adulti alla suggestione telepatica o alle allucinazioni di massa è riportato nel libro Orthodoxy and the Religion of the Future di Padre Seraphim Rose. Alla fine del XIX secolo, alcuni passeggeri, soprattutto inglesi, si trovavano a bordo di una nave attraccata in un porto di Ceylon, sulla via per l'India. Avendo un po' di tempo libero, essi si recarono in visita ad un mago-fachiro locale che, fingendo di non averli neppure notati, fece svanire la chioma dell'albero sotto il quale stava seduto, facendo apparire al suo posto l'incredibile scena della loro nave che solcava l'oceano. Gli spettatori stupefatti potevano vedere, a volo d'uccello, il ponte dove essi stessi ridevano e conversavano, il Capitano che impartiva ordini, la ciurma che lavorava; e c'era perfino la scimmia della nave, Nelly, che mangiava una banana. La fonte dell'aneddoto, uno ieromonaco russo che aveva bazzicato nel mondo dell'occulto e sapeva da quale potere provengono le false visioni, pieno di paura si mise a recitare in silenzio la Preghiera di Gesù. Ai suoi occhi la scena scomparve, mentre gli altri continuarono a vederla ed a meravigliarsene.

Il ritorno della Dea

Perchè è sempre la Madre di Dio che sembra apparire in queste visioni? Forse il Canonico John di Satge, un anglicano evangelico, aveva ragione nel dire che il culto mariano (anche se qui un ortodosso farebbe una chiara distinzione fra la mariolatria e la venerazione ortodossa per la Madre di Dio...) aveva le sue radici in un più antico paganesimo, nella ricorrente tendenza dell'umanità ad adorare una dea madre.

L'attuale tendenza all'ordinazione delle donne e all'uso di un linguaggio vago e asessuato per Dio sono fenomeni chiaramente collegati allo gnosticismo, mentre le apparizioni mariane sembrano maggiormente correlate all'antica figura pagana della Dea. Gi eretici gnostici permettevano alle donne di esercitare, al pari dell'uomo, la funzione di sacerdote e vescovo, e adottarono alcune credenze cristiane, distorcendole impietosamente per adattarle al sistema filosofico-religioso gnostico; ma il loro interesse non era rivolto a Maria, la Madre di Dio, quanto piuttosto a Dio "Madre", cioè lo Spirito Santo. Alcuni gnostici elaborarono una figura dell'immortale Sophia, e talvolta considerarono la Vergine Maria come una delle sue incarnazioni; ma non sembra esserci stato alcun elemento tendente alla formazione di un culto cristiano di Maria come quello prevalso nella Chiesa Cattolica Romana.

L'unica Grande Madre dei pagani si manifestava nelle varie forme della natura, sulla terra e nel cielo. Non avendo forma umana, era adorata in luoghi sacri e santuari marcati da colonne. Più tardi fu rappresentata in forma umana, servita da colombe e serpenti, che simboleggiavano il suo potere nell'aria e sulla terra. La Dea era soprattutto colei che dava e sosteneva la vita, la portatrice di fertilità all'uomo e alla natura; e, nel suo più tardo ruolo di Musa, l'ispirazione che fa nascere la musica, l'arte e la poesia.

Con il fondersi e il reciproco influenzarsi delle società, la Dea si frammentò e fu identificata con divinità locali, assumendo le loro caratteristiche. Col nome di Neith, divinità portata in Egitto dalla Libia, era una vergine-madre cosmica, che "partorì il Sole, e divenne madre quando nessuno ancora aveva generato figli". Come Iside, rivela al supplicante che in molti luoghi diversi, lei, l'unica, è "adorata in molti aspetti, conosciuta sotto molti nomi": Madre degli dei, Artemide, Afrodite, madre del Grano, e Persefone, la Fanciulla per eccellenza. Allo stesso modo, la Signora delle apparizioni è venerata in molte località sotto una varietà di nomi e di aspetti: Nostra Signora del Rosario, Vergine dei Poveri, Madre Consolatrice, l'Immacolata Concezione, e così via.

Un inno babilonese a Ishtar la saluta come Regina di tutto, che nella sua pietà risuscita i morti, guarisce i malati e salva gli afflitti; ma possiede, tuttavia, un lato "oscuro", e nell'epopea di Gilgamesh decide capricciosamente di distruggere l'umanità. Robert Hugh Benson, scrittore cattolico del XIX secolo, individuò questo aspetto "oscuro" della Signora di Lourdes:

Maria mi è apparsa sotto una nuova luce da quando ho visitato Lourdes. In futuro non solo odierò il fatto di offenderla, ma anche ne avrò paura. E' terribile cadere nelle mani di questa Madre, che consente agli infermi di trascinarsi arrancando per tutta la Francia fino ai suoi piedi, per poi tornarsene via sempre strisciando. E' una delle Marie di Chartres che qui si rivela, oscura, potente, dominante e inesorabile: non la Maria di un negozio di articoli ecclesiastici, che dimora fra carta stagnola e tuberose.

Senza dubbio gli uomini pensavano cose simili a queste, tanto tempo fa, nei confronti della Magna Mater o di Artemide, piuttosto benigna ad Atene, ma oscura e terribile come Diana di Efeso. Geoffrey Ashe (Miracles, 1978), commentando il "miracolo del sole" a Fatima, scrive: "Accettare il fatto che questo sia un miracolo attribuibile a Maria, significa ammettere che la Vergine ha un aspetto minaccioso e imperscrutabile che mal si concilia con le idee cristiane su di lei."

Se la Dea c'entra in qualche modo nelle visioni mariane, la Francia sembra costituire un terreno naturalmente fertile per queste ultime, poiché in questa nazione la Dea, in genere, sembra essere stata particolarmente benigna e provvida. Era esistito un tempio di Iside a Soissons, un forte culto della Madre nella regione di Treves, mentre il culto della Madre Terra prevaleva nelle regioni di Seine, Oise e Tarn, e c'erano molti santuari dedicati a dee minori che proteggevano le sorgenti. Vi erano anche ninfe protettrici di fonti, rocce ed acque, ed una moltitudine di "bianche signore" discendenti della Madre Terra.

A Roma, Cibele, la Grande Madre degli dèi, una divinità importata dall'Asia Minore, fu ritenuta artefice della sconfitta di Annibale e acquisì un duraturo seguito di fedeli. Le statue di Cibele avevano la caratteristica di essere coronate e condotte di luogo in luogo. Allo stesso modo, un ulteriore sviluppo delle apparizioni è stata la solenne incoronazione di statue mariane, condotte poi in processione, soprattutto a Fatima, da un luogo all'altro. Nel 1864, la Vergine di Garaison fu incoronata con l'autorizzazione del Papa (Pio IX), seguita poi da quelle di La Salette (Leone XIII) e Fatima (Pio XII). Nel 1954 fu incoronata Nostra Signora di Knock, regina dell'Irlanda. Precedentemente, nel 1732, la Vergine di Svata Hora, in Slovacchia, fu incoronata col diadema del Sacro Romano Imperatore. E' fuori di dubbio che la Madre di Dio, che rappresenta l'umanità redenta, sia glorificata e regni con Cristo; ma queste incoronazioni terrene tendono ad allontanarla da noi e a nascondere il fatto che la sua corona celeste non è il "diadema", emblema regale della monarchia, bensì lo stephanos, la corona di alloro data ai vincitori nella battaglia della vita, il premio che si ottiene dopo aver lottato fedelmente, attraverso sofferenze e purificazioni: la corona con la quale tutti i cristiani sperano e pregano di essere incoronati.

Universalmente venerata, la Dea soddisfaceva il profondo bisogno della psiche umana per l'eterno femminino. Talvolta agiva autonomamente, come unica divinità superiore; altre volte con una divinità maschile, un partner di pari dignità; altre volte ancora in una relazione Dea-Sposo/Figlio. Solo fra gli ebrei, guidati dai loro profeti fieramente monoteistici e privi di compromessi, non vi fu mai posto per la Dea; e perfino loro, circondati da società politeistiche, ricadevano talora nell'adorazione di divinità pagane. Presso gli ebrei, i serpenti della Dea, simboli benigni di guarigione e saggezza, divennero la figura del malvagio tentatore, ed Eva, madre di tutti i viventi, divenne una figura simile a quella di Pandora, che scatenò il peccato e la morte sull'umanità. L'altra attendente della Dea, la colomba, non venne "degradata", molto probabilmente a causa dei suoi rapporti con Noè e l'arca. La Signora di Zeitoun ha il suo seguito di "colombe"; e il serpente appare come simbolo del male, nell'accezione giudeo-cristiana, sotto i piedi della signora della Medaglia Miracolosa, mentre la visione di Medjugorje è impegnata in una battaglia per schiacciare la testa al serpente.

Se un rapporto della Dea con le apparizioni sussiste realmente, come è accaduto che questa figura abbia potuto prendere piede nella Chiesa latina, rimanendovi in incognito?

I missionari apostolici si mossero da un contesto strettamente monoteistico per incontrare società permeate da un mondo di dei ed esseri umani semi-divini. Non vi è dubbio che, per molti convertiti al cristianesimo, i vecchi modi di pensare non sono stati cancellati facilmente, neppure dopo il battesimo.

Uno dei Padri della Chiesa, Epifanio, ci informa dell'esistenza di una setta, composta soprattutto da donne, soprannominata i Colliridiani. Originaria della Tracia, verso il IV secolo la setta si era diffusa nella Scizia Superiore (all’incirca a nord-ovest del Mar Nero) e in Arabia. Sembra che fosse ispirata dagli eventi del Vangelo, combinati con una leggenda, simile a quella di Elia, sulla purezza e "non-morte" di Maria. S.Epifanio afferma che le "sacerdotesse di Maria" la veneravano come una dea autonoma, la Regina del Cielo, con rituali ben più antichi del Cristianesimo, e "adornavano una sedia o un trono quadrato, lo coprivano con una stoffa e, in certe solenni occasioni, vi ponevano sopra del pane e lo offrivano nel nome di Maria". Ricordando l'esempio degli Ebrei, condannati dal Profeta Geremia, che avevano fatto offerte del genere alla "Regina del Cielo" - in questo caso, Astarte - Epifanio si scaglia contro l'adorazione della Vergine nella stessa misura in cui aveva criticato la mancanza di rispetto nei suoi confronti. Questa è la settantanovesima nella lunga lista delle eresie criticate da Epifanio; eppure sembra più un'altra religione, piuttosto che una deviazione della religione cristiana: è l'antica religione pagana della Dea, che si nasconde sotto la nuova manifestazione di "Maria". E' improbabile che i Colliridiani, come tali, abbiano influenzato la Chiesa; ma la loro esistenza dimostra come possono sorgere simili distorsioni della vera fede, ed è possibile che una versione più ortodossa di alcune delle loro idee si sia rivelata congeniale per alcuni neo-convertiti dal paganesimo, rimanendo così latente, finché la giusta combinazione di circostanze non l'ha ridestata. Nel corso del mio studio sulle apparizioni ho cominciato ad avvertire la presenza di un'altra religione, che sembra affiancare il cristianesimo. È stata una vera sorpresa, dunque, scoprire che anche il romanziere francese ottocentesco Emile Zola aveva avuto un simile presentimento, credendo di avere avvertito a Lourdes "quasi una nuova religione".

Nella Chiesa, Cristo è il Secondo Adamo; ma, una volta che la Vergine ha cominciato ad essere considerata, in un certo qual modo, come la seconda Eva (senza naturalmente la minima concessione al paganesimo), ciò probabilmente ha richiamato alla mente dei più deboli spiritualmente la relazione Dea-Figlio/Sposo; mentre la Theotokos, benché il suo titolo alludesse solo al fatto che Cristo è Dio, ha sicuramente evocato la memoria di Cibele, la Grande Madre degli dèi - eccetto che per il significato ben più elevato del titolo, che significa Madre di Dio. Allorché il paganesimo si estinse, e le divinità locali furono detronizzate, molto spesso fu la Madre di Dio a sostituirle come patrona delle sorgenti curative e delle montagne sacre, associate da secoli coi pellegrinaggi. In occidente, dove le basi liturgiche e teologiche erano forse più deboli, durante il Medioevo la "Nostra Signora" di una regione veniva ad assumere una personalità differente da quella della Vergine di un santuario rivale. Sir Thomas More, il martire cattolico romano dell'epoca Tudor, commentava: "faranno paragoni fra nostra signora di Ipswitch e nostra signora di Walsingham, come a intendere che un'immagine ha più potere di un'altra".

Niente di tutto ciò si è mai verificato in Oriente. Radicata sanamente e sobriamente nella solida teologia della Chiesa Ortodossa, e nutrita spiritualmente da una liturgia in lingua corrente, la figura della Madre di Dio ha assunto naturalmente il suo giusto posto in un insieme perfettamente equilibrato e armonioso. La distorsione occidentale della dottrina della Santa Trinità, derivante dal Filioque, con la sua (non intenzionale) "svalutazione" dello Spirito Santo, insieme agli eventi storici che sopraffecero l'Impero d'Occidente sotto forma di invasioni barbariche e delle relative conseguenze, isolarono sempre di più la Chiesa d'Occidente dalla pura Ortodossia di quella d'Oriente.

Con la restaurazione dell'ordine e di un governo stabile alla fine dei secoli bui, la Chiesa d'Occidente si ritrovò con un laicato largamente analfabeta e semi-barbaro. Gli ecclesiastici dovevano fare le veci dei quadri amministrativi e legislativi richiesti dai governanti laici. Di conseguenza, il Papato dovette basarsi per la sua esistenza su legali ecclesiastici; e ciò finì per dare alla Chiesa romana l'inquadramento legalistico e la filosofia sistematica che sono rimasti i suoi tratti distintivi. L'istituzione ecclesiastica acquisì un'autorità eccessiva; e, col celibato obbligatorio dei preti, "la Chiesa" divenne nel sentire comune sinonimo di "clero". Una teologia trinitaria manchevole, e un'indebita enfasi sugli insegnamenti agostiniani sul peccato originale e sulla redenzione, insieme ad una gerarchia composta di soli maschi, provocò la perdita dell'elemento femminile nella cristianità occidentale, e creò un "vuoto dalla forma di Dea": la Vergine Maria era la candidata più ovvia per riempire quel vuoto.

Nella Chiesa Orientale, invece, la tradizione fu trasmessa immutata, di generazione in generazione. Se si eccettua il tradimento della Quarta Crociata, l'Impero Romano d'Oriente rimase in piedi fino all'arrivo dei turchi. Vi fu sempre un laicato indipendente e di alta cultura. Con la presenza di un Imperatore nel pieno dei suoi poteri, non vi fu mai l'opportunità – né si avvertì la necessità o il desiderio – di assoggettare il potere laico all'autorità del Patriarca; e la "Chiesa" continuò a indicare l'intero corpo dei fedeli, passati e presenti, compresi gli angeli. I preti sposati fecero sì che la classe sacerdotale non diventasse mai una "casta" a parte (come al giorno d'oggi, il prete vive nello stesso tipo di casa dei suoi parrocchiani: un prete di villaggio a Cipro può essere benissimo il calzolaio di paese, e un papas greco, in tonaca e cappello cilindrico, può essere visto con un figlio o una figlia per mano, mentre con l'altra regge un paniere per la spesa). Nella Chiesa Ortodossa non vi è mai stato alcun "vuoto dalla forma di Dea"; e la santa Vergine, saldamente ancorata nella teologia e nell'innologia, più degna d'onore dei cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei serafini grazie alla sua divina maternità, restò una donna dotata di una natura umana, come la nostra, sotto tutti i punti di vista, completamente purificata dallo Spirito Santo al momento dell'Annunciazione per renderla capace di dare una natura umana al Logos eterno.

Nella Chiesa Latina, le esagerazioni mariane hanno raggiunto vette sempre più alte, interrotte solo brevemente dalla Riforma protestante. La Vergine, dandogli una natura umana, avrebbe "reso più perfetto il Creatore dell'universo" – un'idea perfettamente contraria a quella delle Scritture e dell'Ortodossia, in cui l'Incarnazione è vista come una kenosis, uno svuotamento di sé da parte di Cristo – "benché fosse ricco, per noi si è fatto povero". La più strana fantasia di Bernardino da Siena, la "seduzione di Dio", viene descritta in un linguaggio più appropriato a una leggenda greca di Zeus che al grande mistero dell'Incarnazione. La Vergine era più elevata della Chiesa... aveva autorità sul proprio Figlio nei cieli... placava la giustizia divina, e impediva a Dio di punire i peccatori... con lo Spirito Santo, faceva nascere Cristo nelle anime. "Perfino la lingua dello Spirito Santo" era "appena sufficiente a celebrare degnamente le sue lodi"! Sfortunatamente, gli autori e i predicatori di queste sciocchezze blasfeme venivano frequentemente canonizzati, cosa che era considerata come un segno di approvazione ufficiale. Tali distorsioni potrebbero benissimo essere il "materiale" di cui sono fatte le apparizioni mariane. La Dea, o almeno un essere semidivino, è tornata.

E' interessante notare che il cardinale John Henry Newman non sopportava tutti questi eccessi. Egli accettava l'Immacolata Concezione, ma riteneva che le esagerazioni popolari e altre deviazioni dall'insegnamento patristico fossero "provocate ad arte, allo scopo di... destabilizzare le coscienze, provocare la blasfemia e portare le anime a perdizione". Con un tocco tipicamente nazionalistico, il Cardinale Newman notava che tutte queste devozioni e questi insegnamenti erano chiaramente l'opera di stranieri, non certo di inglesi!

Papa Giovanni XXIII ritenne necessario ricordare al suo gregge che "la Madonna non è affatto compiaciuta quando viene posta al di sopra di suo Figlio". E' inutile dire che tali eccessi sono disapprovati nell'attuale clima ecumenico. Non so cosa ci sia scritto nelle edizioni più recenti; ma la Guida ufficiale di Lourdes del 1980 si dichiarava contraria a "una devozione superflua alla Vergine, che si basa su chincaglieria, rosari e medaglie: la perversione di una religione autentica, che si avvicina alla superstizione". Ma, in qualche modo, non credo che la Dea si farà sloggiare così facilmente...

Politica, nazionalismo e coinvolgimento ecclesiastico

Com’è accaduto che queste apparizioni siano riuscite ad ottenere una fama nazionale, e perfino internazionale? Per esempio, com’è potuto accadere che le visioni – reali o immaginarie – di una fanciulla siano riuscite a trasformare Lourdes non solo in uno dei centri più importanti della Chiesa Cattolica Romana, ma anche in una colossale industria turistica, una “Disneyland religiosa” con più pellegrini della Terra Santa, più alberghi di ogni altra città francese, tranne Parigi e Nizza, una fabbrica che produce più di una tonnellata di candele al giorno, e negozi di souvenir in cui si possono acquistare Vergini in palle di vetro con la neve, o in apparecchi televisivi, e bottiglie di acqua santa in forma di Madonne alte un metro, dotate di corone d’oro estraibili per poterle riempire? Naturalmente, tutto questo deprecabile e pacchiano commercialismo non ha alcuna rilevanza sull’autenticità o meno delle visioni.

La politica e le manipolazioni ecclesiastiche (così come la costruzione della ferrovia) hanno avuto la loro parte in tutto ciò. In Francia si era sviluppato un cristianesimo “reazionario” per contrastare le posizioni anticlericali della rivoluzione francese e lo spirito del razionalismo. Le visioni mariane erano in sintonia con la richiesta popolare; e, incoraggiate dalle autorità ecclesiastiche, contribuirono notevolmente a dare nuova vita a un Cattolicesimo in declino. Infatti, Lourdes diede un tale impulso al marianismo nel XIX secolo da far nascere un movimento rivale che incoraggiava i pellegrinaggi a santuari direttamente connessi con la figura di Cristo. Qui, ancora, notiamo la separazione fra la Madre e il Figlio. Il fatto che la maestra delle novizie di Bernadette, Madre Vauzou, coltivasse una devozione cristocentrica, più che mariana, spiega forse perché non si convinse mai della genuinità delle visioni.

Padre Peyramale, il parroco di Lourdes, che aveva sostenuto Bernadette e aveva costruito una cappella alla grotta, fu rapidamente scavalcato dai Padri di Garaison, “revivalisti” di professione, inviati dal vescovo di Tarbes per coinvolgere Lourdes nella campagna di risveglio religioso. Il vescovo aveva riconosciuto fin dal principio le apparizioni, e aveva autorizzato il culto. Ai Padri di Garaison fu affidato il compito di gestire il flusso dei pellegrini, separatamente dalla chiesa parrocchiale, e apparentemente i loro rapporti con Padre Peyramale furono estremamente acrimoniosi e vendicativi. La guerra fra la parrocchia e la Grotta continuò dopo la morte di Padre Peyramale, con risvolti di denunce legali di “orribile complessità”. Quanto a Zola, la sua “selvaggia satira dei cani in colletto clericale che si sbranano a vicenda si basava su fatti accertati” (Alan Neame, The Happening at Lourdes).

La Terza Repubblica considerava le dimostrazioni religiose come filo-realiste; e scoppiarono rivolte anti-cattoliche, con assalti ai pellegrini. La risposta delle autorità ecclesiastiche fu di organizzare un raduno cattolico nazionale a Lourdes nel 1872, a cui parteciparono nove vescovi e ventimila fedeli, promuovendo così ulteriormente Lourdes come centro religioso.

Tutti i papi moderni sono stati marianisti. Giovanni Paolo II ha favorito ulteriormente Lourdes con il suo sostegno personale e con la sua visita al santuario, la prima compiuta da un Papa.

All’epoca delle visioni di Fatima, il Portogallo stava attraversando un periodo di forte anticlericalismo. Una repubblica di sinistra aveva sostituito la vecchia monarchia; e vi erano scioperi, criminalità, corruzione, attentati, inflazione e carestia, con in più la complicazione della Prima Guerra Mondiale. La Chiesa Cattolica Romana era considerata uno dei maggiori alleati della deposta monarchia, e al clero – cui era vietato indossare gli abiti talari – erano imposte restrizioni nella libertà di predicazione. Dopo il 1926, la Chiesa recuperò la sua influenza. Il Vaticano, incoraggiato dal successo di Lourdes, ebbe un ruolo chiave nel “lancio” di Fatima come santuario rivale per autorità e autenticità.

Il coinvolgimento papale con Fatima è sempre stato molto netto. Pio XII, sostenitore acceso di Fatima e violentemente anticomunista, nel 1942 consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria, e nel 1954 annunciò una speciale consacrazione della Russia, come richiesto da Lucia, la visionaria superstite. Paolo VI, che avrebbe dato alla Vergine un ulteriore titolo, “Madre della Chiesa”, visitò Fatima nel 1976. Papa Giovanni Paolo II, il cui motto è “Sono tutto tuo, Maria”, e che porta la lettera M ricamata sull’abito, è anch’egli un convinto sostenitore di Fatima; e, dopo il fallito attentato alla sua vita (in cui attribuì la sua salvezza a Nostra Signora di Lourdes), fece inserire il proiettile nella corona della Madonna di Fatima. Le presunte direttive riguardanti la Russia sono all’origine dell’attuale campagna – senza precedenti – di proselitismo vaticano in Russia.

Un risvolto politico in senso anticomunista si può riscontrarei anche a Turzovka in Slovacchia, a Medjugorje e a Hriushiw. Negli ultimi due casi era presente anche un forte elemento nazionalista e filo-vaticanista. Medjugorje è un’enclave croata nell’Erzegovina, a prevalenza ortodossa e musulmana. Il nazionalismo croato è sempre andato a braccetto col Cattolicesimo romano (“essere croato vuol dire essere cattolico”). Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, Pio XII, nella sua paranoica fobia anticomunista, non fece nulla per fermare il massacro di 750.000 ortodossi serbi da parte degli Ustascia, fascisti croati appartenenti al governo fantoccio dello “Stato indipendente di Croazia”, creato dai nazisti. Il Cardinale Stepinac di Zagabria considerava la Chiesa Ortodossa un male “quasi più grave del Protestantesimo”; e furono proprio i frati francescani a gestire il più noto fra i campi di concentramento. Nei pressi di Medjugorje, cinquanta fra uomini, donne e bambini vennero gettati da una rupe, e tutti i monaci di un vicino monastero ortodosso furono sepolti vivi. E’ interessante notare che, mentre il precedente vescovo cattolico romano di Mostar, Mons. Pavao Zanic, aveva denunciato le visioni come “frutto di frode, disobbedienza alla Chiesa e follia”, esse erano state invece accolte entusiasticamente dal parroco francescano di Medjugorje, che aveva udito una “voce” che gli diceva di proteggere i visionari. Se e quando l’ex-Yugoslavia uscirà dal periodo di lotte interne in cui adesso si trova, Medjugorje riprenderà il suo posto nel quadro dell’industria turistica (cattolica romana), come un grande centro di pellegrinaggi.

Per secoli vi sono state tensioni nell’attuale Ucraina fra la Chiesa Ortodossa e il Vaticano riguardo alle attività degli Uniati, che stanno ancora una volta conducendo una campagna militante ed aggressiva organizzata da estremisti nazionalisti e religiosi. Hriushiw rientra benissimo in questo quadro, con la sua eco di Fatima nel richiamo alla conversione della Russia e i messaggi da parte dell’apparizione, che indicano gli Ucraini come i prescelti per quest’opera.

Citiamo di sfuggita anche il mix religioso/nazionalista delle Vergini di Guadalupe, in Messico, e di Czestohowa, in Polonia. Nel 1531, una Vergine “nera”, o indiana, apparve a un contadino azteco e gli disse di chiedere al vescovo di edificare un santuario sul luogo dell’apparizione, che coincideva con un importante luogo sacro della religione indigena. L’immagine della Vergine fu miracolosamente impressa sul manto del contadino. Gli indiani ritrovarono così la loro dignità di fronte agli “uomini bianchi”, mentre le autorità ecclesiastiche gioirono per aver ricevuto un aiuto così decisivo nel convertire otto milioni di indiani al Cattolicesimo Romano nel giro di quattro anni. Nel 1910, il Papa Pio X proclamò la Vergine di Guadalupe “Imperatrice delle Americhe”.

La Vergine di Czestohowa, nel monastero di Jasna Gora, si identifica strettamente con il Cattolicesimo e il nazionalismo polacco. La cappella che ospita l’icona è al centro di “un gigantesco complesso, un centro di pellegrinaggi estremamente organizzato”, amministrato dai padri paolini. La Vergine viene svelata quattro volte al giorno, allorché una tenda d’argento si alza lentamente al suono di una fanfara. Sembra che tutti i grandi santuari mariani abbiano la tipica impronta dell’efficienza e del professionismo teatrale romano. Nel 1717, la “Regina di Polonia e Granduchessa di Lituania” fu solennemente incoronata su decreto formale del Parlamento polacco.

Simili titoli “secolari” sembrano stranamente incongrui se attribuiti a colei il cui sublime titolo, Madre di Dio, in nessun modo, e da nient’altro, può ricevere maggior gloria. Le parole di uno scrittore cattolico romano, riferite a Lourdes, potrebbero ugualmente applicarsi ad altri santuari mariani: “Un bastione del potere temporale di un papato infallibile”.

[Nota del curatore: E’ necessario tener presenti due cose. La prima è che a Czestohowa, l’icona stessa è, naturalmente, un’icona ortodossa, e ha il suo posto nel nostro calendario. Le obiezioni sollevate in questo articolo riguardano piuttosto il culto di cui l’icona è oggetto. La seconda è che c’è un santuario mariano, Knock in Irlanda, la cui “promozione” può essere stata originata da sentimenti non già nazionalistici, bensì anti-nazionalistici. E’ stato notato che gli inglesi consideravano la promozione del culto estremamente utile per distrarre l’attenzione dei nazionalisti in un periodo di notevoli tensioni. Ovviamente, all’epoca dell’“apparizione”, e fino a poco tempo fa, le autorità ecclesiastiche cattolico- romane, sostenitrici dell’"establishment," erano filo-britanniche, piuttosto che – come si crede generalmente – filo-nazionaliste.]

I fenomeni solari

I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento. (Salmo 18:2, numerazione della LXX).

Pur lasciando spazio all’auto-suggestione, agli scherzi di un’immaginazione esuberante, all’imitazione del comportamento di altre persone coinvolte, rimane tuttavia un numero sufficiente di testimonianze da far ritenere probabile l’effettiva occorrenza di fenomeni solari ai santuari. Si tratta di fenomeni naturali, segni celesti che accompagnano la presenza della Madre di Dio, o parte della campagna di “segni e falsi miracoli” che precede l’avvento dell’Anticristo?

Nell’Antico Testamento, il sole si ferma per Giosuè (Gesù, figlio di Nave) e torna indietro per Ezechia; mentre nei Vangeli abbiamo la stella di Betlemme e l’oscuramento del sole durante la crocifissione. Nella storia della Chiesa sappiamo della Croce di Costantino il Grande, di quella vista sopra Gerusalemme nel 357, e di quella su Atene del 1925.

Nel corso della storia sono sempre state avvistate strane cose nel cielo. All’inizio del X secolo, il Vescovo Radbod di Utrecht scrive di un cielo pieno di stelle che sembravano “infrangersi l’una sull’altra”, un segno che fu seguito da molti disastri naturali e storici. La Cometa di Halley, visibile in Inghilterra nel 1066, è raffigurata nell’Arazzo di Bayeux. Durante la Guerra delle Rose, un cronista contemporaneo scrive di “tre soli in uno” apparsi prima di una battaglia, che il capo degli Yorkisti, il futuro Edoardo IV, dichiarò essere un presagio favorevole, poiché simboleggiava la Trinità, riuscendo così a calmare le sue truppe atterrite. Shakespeare si servì di questo racconto quando fece menzione del segno celeste nell’Enrico VI. Nel 1646 venne pubblicato un libro intitolato Strani segni dal cielo, che registrava gli avvistamenti di numerosi fenomeni. Nel 1822 Walter Maunder, un astronomo di Greenwich, pubblicò un resoconto delle cosa più straordinaria da lui vista nel corso di molti anni trascorsi a scrutare il cielo. Insieme a centinaia di persone in tutta la Gran Bretagna, Maunder aveva visto un grande disco di luce verdastra che si era allungato fino ad assumere una forma a sigaro, a più di cento miglia di altezza, lungo almeno cinquanta miglia, che si muoveva molto rapidamente, a circa dieci miglia al secondo. Gli scienziati di oggi possono spiegare questo fenomeno nel contesto di un’aurora boreale. Vi era stata in quel tempo una violenta tempesta magnetica, e particelle solari cariche precipitate nell’atmosfera terrestre si erano accese come una luce al neon. Un raggio di particelle avrebbe potuto benissimo creare l’immagine di un oggetto solido che si muoveva ad alta velocità. Quando la fascia esaurì la sua forza, si dissolse semplicemente come una nube sull’Europa. Non vi è dubbio che molti “strani segni dal cielo” sono in realtà fenomeni naturali.

Un fenomeno naturale ben noto è l’ “alone”, che si verifica quando l’immagine del sole, rifratta attraverso cristalli di ghiaccio, forma una croce con il sole stesso al suo centro. Vi sono “falsi” soli e lune noti agli astronomi; e il pianeta Venere, osservato attraverso l’atmosfera inquinata vicino alla superficie terrestre, sembra cambiare colore e compiere movimenti erratici. In un programma televisivo sulla stella di Betlemme, andato in onda nel Natale del 1993, un astronomo disse che fenomeni naturali accadono ogni anno; e, se la Chiesa avesse potuto fornire una data esatta per la Natività, gli sarebbe stato possibile stabilire cos’era la “stella” osservata dai Magi, poiché alla scienza moderna sono note tutte le date dei movimenti planetari.

[Nota del curatore: Benché, come l’autrice senza dubbio intende, ciò dimostri quanti fenomeni naturali vi siano in realtà, lo scienziato aveva torto riguardo alla stella di Betlemme. Quest’ultima non era un fenomeno naturale, bensì spirituale (cfr. l’Omelia VI di San Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo). Inoltre, nonostante i frenetici preparativi dei seguaci di Mammona per celebrare il secondo millennio di un evento in cui sembrano non credere affatto (!), non ci è nota la data esatta della nascita del Salvatore.]

Alcuni dei fenomeni solari osservati nei numerosi santuari in tutto il mondo sono indubbiamente fenomeni naturali. Tuttavia, centinaia di persone che affermano di aver visto il sole “danzare” hanno potuto osservarlo a lungo senza danno per i loro nervi ottici. Ma non tutti i presenti hanno visto la stessa cosa: alcuni non hanno visto proprio niente; dunque il sole “danzante” non ha una causa naturale, e forse è frutto di quanche tipo di allucinazione di massa. E’ certo che il sole non può aver compiuto fisicamente quei movimenti di rotazione e a zig-zag, altrimenti sarebbe stata la fine del sistema solare.

Tutti i resoconti ben documentati del “miracolo del sole” a Fatima insistono sul terrore della folla: molti – ma non tutti – videro il sole girare in una spirale impazzita, poi staccarsi dal cielo, cadere girando verso terra come un’enorme massa infuocata, e infine tornare al suo posto. I movimenti si ripeterono due volte. Mentre alcuni non videro niente, altri, che si trovavano a cinquanta chilometri di distanza, videro lo spettacolo e credettero che fosse arrivata la fine del mondo. Il sole cambiava colore: rosso, poi giallo, poi porpora. Nel libro The Dancing Sun, Desmond Seward cita un passo di un resoconto inedito degli eventi di Turzovka. Nel 1958, la Madre di Dio sarebbe apparsa a un boscaiolo quarantaduenne, un “tiepido credente”, che vide una bella donna vestita di bianco, con un rosario in mano, sospesa nell’aria. Vi furono in tutto sette apparizioni, ogni settimana, nello stesso luogo ed alla stessa ora. La Vergine disse al boscaiolo di pregare per la riconciliazione e l’espiazione dei peccati del mondo; vi furono i soliti moniti apocalittici, e l’insistenza sulla preghiera con il rosario. Al monte accorsero folle da tutta la Slovacchia; una sorgente sgorgò dal luogo dell’apparizione; vi furono guarigioni. Le autorità comuniste chiusero il boscaiolo in un manicomio, ma poi lo liberarono. Furono osservate strane luci; e nel 1963 ebbe luogo il miracolo del sole. “Il disco infuocato... sembrava divampare, ardere, emettendo fiamme... più di 500 persone osservarono il fenomeno costernate, attonite. Dopo pochi attimi, un enorme cono di luce si allargò al di sopra e attorno a noi, come un’immane tenda fatta di lunghe strisce vividamente colorate. Vi erano tutti i colori dello spettro, dal rosso al violetto... Tutt’intorno, strisce colorate coprivano il cielo, gli alberi e i rami, la terra e la gente. Le strisce si irraggiavano da un solo punto focale, in cui vi era il sole. Vedevo accanto a me persone azzurre e gialle, che muovendosi cambiavano colore.” Tre bande musicali del luogo si unirono ai pellegrini per cantare a piena voce l’inno “Ti salutiamo mille volte, Maria”, poichè tutti credevano che il fenomeno fosse un segno della presenza della Madre di Dio. Leggendo questo resoconto, si ha piuttosto l’impressione di una specie di discoteca soprannaturale; ma allo scrivente tutto ciò era apparso “strano e profondamente commovente, sconvolgente... divino”.

Non avevo mai pensato che potesse esservi qualche legame fra gli UFO e i santuari, finché, per puro caso, in una libreria antiquaria mi cadde l’occhio su un libro di seconda mano che trattava dei “dischi volanti”. Scorrendo le sue pagine mi meravigliai di trovare, fra i molti avvistamenti riportati nel 1967 in Inghilterra, due che mi sembrarono subito familiari.

Il primo riguardava due vicine, che abitavano in un caseggiato a Stoke-on-Trent, le quali, insieme ad alcuni bambini che giocavano per strada, videro un “disco volante” atterrare in un campo non lontano, verso le nove di sera del 2 settembre 1967. Il campo “sembrava incendiato, come un falò”; “era come se qualcuno avesse acceso un grande falò”. Pochi minuti dopo arrivò la polizia, chiamata dalle donne: ma tutto era buio, e una successiva ricerca, condotta il giorno dopo, non portò a niente. A Medjugorje, nell’agosto 1981, assieme a un sole che girava su se stesso spandendo raggi multicolori, arcobaleni senza pioggia, e altri fenomeni, apparve un fuoco sulla collina delle apparizioni, ma all’arrivo dei pompieri non ne era rimasta traccia.

Il secondo riguardava invece la Croce volante. Fra il 1959 e il 1967, 808 indagini sugli avvistamenti di UFO furono condotte dal Ministero della Difesa, col supporto dell’Osservatorio Reale, dell’Ufficio Metereologico, della Royal Air Force, dell’aviazione americana stanziata in Gran Bretagna, delle stazioni radar, del Controllo del Traffico Aereo e della polizia, benché non sembra esservi stata alcuna indagine al più alto livello scientifico. Per la grande maggioranza degli avvistamenti furono trovate prove del tutto naturali: satelliti e frammenti, palloni meteorologici, corpi celesti (Venere, etc.), velivoli, fenomeni naturali come “falsi” soli e lune, riflessi di nuvole, nonché alcune inevitabili truffe. Dei rimanenti 84 fenomeni rimasti inspiegati, alcuni non potevano essere valutati adeguatamente per insufficienza di informazioni; ma la Croce volante era fra quelli rimasti, ben documentati, per i quali non poteva essere trovata alcuna spiegazione.

Nell’ottobre del 1967 una dozzina di testimoni affidabili, fra cui alcuni poliziotti e ingegneri della BBC, avvistarono luci che volavano lentamente, si fermavano fluttuando nell’aria, formavano una croce e si allontanavano a tremenda velocità. La luce era “non penetrante, ma molto splendente. Era raggiante, come se venisse osservata attraverso un vetro umido.” La “cosa” appariva sempre di notte, o nelle prime ore del mattino. Una notte d’ottobre, nello Hampshire, un generale in pensione della RAF stava viaggiando in auto con la moglie quando vide sette luci volanti che non emettevano alcun suono, sette luci brillanti in formazione nel cielo. All’inizio le luci formavano una perfetta “V”, ma poi assunsero la forma di una croce. “Sembravano controllate da qualcuno: la formazione era perfetta”, disse il generale.

Ciò suonava stranamente simile, a volte identico, alle descrizioni fatte dai testimoni delle apparizioni sulla Chiesa Copta di Santa Maria di Zeitoun, al Cairo, avvenute sei mesi dopo. Un Vescovo copto, Gregorio, responsabile di studi superiori, cultura copta e ricerca scientifica, più volte testimone delle apparizioni, afferma: “Prima delle apparizioni, alcuni uccelli simili a colombi – ma non so bene cosa siano – appaiono in diverse formazioni... Non sbattono le ali, ma scivolano nell’aria... Qualsiasi formazione assumano, la conservano. Talvolta fino a sette di essi volano in una formazione a forma di croce. Volano molto velocemente. Sono... completamente illuminati. Non si vedono piume, solo qualcosa di lucente. Sono creature radianti, più grandi di una colomba o di un piccione”. Uno speciale comitato del clero copto, nominato dal Papa copto, scrive nel rapporto ufficiale: “...Un’altra notte abbiamo visto colombe color argento splendente, radianti di luce. Le colombe volavano direttamente dalla cupola al cielo. Rendemmo allora gloria a Dio, che ha permesso ai terrestri di vedere la gloria dei celesti...”. Nella sua dichiarazione di conferma dell’autenticità delle apparizioni, il Papa copto Cirillo VI scrive che l’apparizione splendente era “preceduta da alcune forme spirituali, simili a colombe, che si muovevano a grande velocità”.

Ho letto e riletto i resoconti degli avvistamenti degli UFO e quelli delle apparizioni di Zeitoun. E’possibile che la “cosa” avvistata fuggevolmente in Inghilterra nell’ottobre del 1967 si sia trasformata, sei mesi dopo, nelle apparizioni egiziane, durate tre anni, in cui il clero copto vide gli “esseri celestiali” e il Papa copto le “forme spirituali”?

Per una strana coincidenza, mentre stavo scrivendo questo articolo, una sera all’inizio di giugno, mio marito mi chiamò a vedere un insolito effetto solare nel tramonto. Illuminate da un glorioso splendore rosa ed oro, le nubi disegnavano meravigliose formazioni di colline e vallate purpuree e di un rosa profondo. “E’ il deserto di Giudea!”, esclamò mio marito. Accanto ad esso c’era una “mappa” del Mediterraneo, con la forma a stivale dell’Italia ben in mostra, insieme a tutta la linea costiera mediterranea. Dalle nubi color rosa profondo, che circondavano la scena, provenivano potenti raggi di luce dorata. Nessuno di noi aveva mai visto niente di simile, e restammo a guardare finché svanì. Era incredibilmente bello, e ispirava un senso di timore; e, in un certo senso, era un’esperienza spirituale, poiché il pensiero dominante, in quei momenti, era “gloria a Dio”: eppure, si trattava di un fenomeno del tutto naturale.

Pensai poi all’insegnante inglese di matematica che nel 1974, a Garabandal, vide il sole che danzava, un Cristo sfigurato nel cielo, “mappe” di vari paesi insieme a potenti raggi di luce che, per lei, indicavano la presenza di un “essere Onnipotente”, il “Padre Eterno”, che inviava “raggi di terribile ira” sulla Londra della “mappa” celeste. Mi chiesi cosa avrebbe fatto del “mio” tramonto se l’avesse visto a Garabandal, o in qualche altro santuario.

Se si escludono i fenomeni naturali, e a meno di credere che le “colombe” e i soli danzanti siano veri segni mandati dal Cielo per confermare nella fede, indicare la graziosa presenza della Vergine e annunciare disastri che possono essere evitati solo col pentimento, ci resta solo la possibilità che i fenomeni siano una qualche specie di allucinazione di massa, o una parte della campagna di quei “segni e prodigi menzogneri” che preannunciano l’Anticristo.

Secondo il Vangelo di San Luca, negli ultimi tempi vi saranno “terrori e grandi segni dal cielo”. Sant’Ignazio Brianchaninov scriveva, più di cent’anni fa, che si sta avvicinando un tempo in cui vi saranno numerosi ed eclatanti falsi miracoli: “...i miracoli dell’Anticristo si manifesteranno soprattutto nel reame aereo, dove satana ha il suo dominio. Questi segni agiranno soprattutto sul senso della vista, affascinandolo e traendolo in inganno. San Giovanni il Teologo, osservando gli eventi che devono precedere la fine del mondo, dice che l’Anticristo compirà miracoli, e opererà perfino “grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini” (Ap 13,13). Questo è indicato dalle Scritture come il più grande dei segni dell’Anticristo, e il luogo di questo segno è nell’aria”. Molte apparizioni hanno preannunciato la futura manifestazione di un grande segno.

Delusioni

Perché mai queste apparizioni sono accettate così prontamente dai visionari stessi e da innumerevoli pellegrini? I Cristiani eterodossi ben poco sanno di uno dei concetti chiave degli insegnamenti ascetici ortodossi: il prelest – l’inganno spirituale – in cui un miraggio è erroneamente preso per vero. Si trovano molti esempi, nelle Vite dei santi, in cui monaci e asceti, molti dei quali giunsero poi a realizzare una genuina santità, caddero in uno stato di delusione, accogliendo demoni in forma di angeli, o addirittura di Cristo stesso, ricevendo “rivelazioni”, vedendo “luce” nelle loro celle e udendo “il Signore” parlare loro. A volte “Cristo” offriva loro il dono della “profezia” e poteri straordinari. San Diadoco di Foticea avverte di non accettare l’inganno del maligno sotto forma di luce o di fuoco; e San Simeone il Nuovo Teologo mette in guardia contro gli spiriti maligni che provocano vari e numerosi inganni nell’aria.

La preghiera senza immagini, com’è insegnata dagli asceti e dagli anziani della Chiesa Ortodossa, è in diretto contrasto con quella, per esempio, di una persona che cerca aiuto presso una congregazione di “guarigione” protestante, a cui può venir detto, alla sessione di preghiera che precede il “servizio di guarigione”, di immaginare una luce dorata che scende su di lui dal cielo; e alle pratiche di meditazione comuni da secoli in Occidente, in cui si è incoraggiati a immaginare una certa scena ed a provare a visualizzare il bambino nella mangiatoia o il Cristo crocifisso. San Marco l’Asceta avverte che “quando i nostri pensieri sono accompagnati da immagini, abbiamo già dato loro il nostro assenso”. Questa facoltà di produrre immagini può essere usata creativamente da coloro che sono già avanzati sul cammino spirituale, come nell’iconografia di Sant’Andrej Rublev e dei devoti iconografi in generale; ma siamo continuamente avvertiti che chi non possiede già doti di discernimento spirituale dovrebbe evitare di cedere agli allettamenti, e di cadere nella trappola delle apparenze illusorie.

Ciò di cui molti entusiasti di apparizioni mariane non si rendono conto è che al giorno d’oggi i “fenomeni spirituali” sono assai comuni. I gruppi pentecostali/carismatici identificano con estrema facilità le loro esperienze con lo Spirito Santo, così come, negli anni ’70, i revivalisti protestanti in Indonesia accettavano ciecamente come genuine le loro “voci”, gli “angeli” (che citavano invariabilmente le Scritture con tanto di capitolo e versetto), le visioni di “Cristo”, le guarigioni, le luci miracolose che accompagnavano gli evangelizzatori, e i misteriosi fuochi celesti che consumavano le statue cattoliche romane. Chi porta idee “cristiane” nelle proprie esperienze spesso presume, senza riflettere, che queste siano realmente esperienze cristiane, opera dello Spirito Santo; e di rado si ferma a chiedersi se tali esperienze non possano, invece, provenire da uno spirito di ben altra specie.

Anche quando queste esperienze sono genuinamente cristiane, le parole di un santo della Chiesa Cattolica Romana, Giovanni della Croce, suonano come un tempestivo monito: “Tutte le visioni, le rivelazioni e le impressioni celesti, per quanto l’uomo spirituale possa tenerle in conto, non valgono il più picolo atto di umiltà; perché quest’ultimo porta con sé i frutti della carità, che mai si stima o pensa bene di sé, ma solo degli altri”.

Il Curato di Ars non accettava le visioni di La Salette; le autorità ecclesiastiche di Garabandal non mostrarono il minimo entusiasmo; e l’ex-vescovo cattolico romano di Mostar denunciò le apparizioni di Medjugorje. Sicuramente alcune delle visioni potevano essere, all’inizio, provocate da fattori psicologici. La maggior parte di noi non possiede un senso molto sviluppato di auto-consapevolezza. Sappiamo ben poco di noi stessi, e abbiamo una scarsa conoscenza dei processi misteriosi, ma del tutto naturali, che operano nella mente subconscia, e degli effetti che possono produrre. Al di là dell’auto-inganno, inoltre, vi è la possibilità di un’inconscia partecipazione medianica, o perfino di una più diretta illusione diabolica.

Se Bernadette, che mostrava il rosario ad “Aquero”, e i giovani di Medjugorje con le loro bottiglie di acqua santa e le loro minacce alla “Gospa” (“Se sei Satana, vai via!”), avessero realmente sospettato la presenza di un demone, avrebbero con ciò dimostrato di sottovalutare il potere col quale avevano a che fare: "Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?" (Atti 19:15). Quando all’Anziano Padre Sabba del Monte Athos (+ 1908), confessore e teoforo, fu chiesto di liberare un monaco posseduto da un demonio, egli pregò e osservò un digiuno completo per una settimana prima di compiere l’esorcismo; e liberò un altro monaco che era stato ingannato da un falso “angelo custode”, che aveva pregato e parlato con lui quotidianamente per due anni, prosternandosi come se “con dolore e lacrime pregasse il Signore di aver misericordia del suo servo, e di cacciare i demoni maligni”.

Lo Staretz Amvrosij di Optina, che era spesso interpellato, come grande guida monastica e spirituale, su fenomeni di visioni e voci, si basava sugli insegnamenti fondamentali dei Padri; e ammoniva coloro che cercavano la sua guida di non fidarsi delle voci udite durante la preghiera, o delle trasformazioni delle icone – profumi o fiamme provenienti da esse –, che potevano apparire segni positivi, ma a cui non doveva essere attribuito alcun significato, poiché cose del genere possono anche essere inganni del nemico.

In una seduta di domande e risposte con un francescano, ad una delle “veggenti” di Medjugorje fu chiesto perché Ivanka, la ragazza che aveva visto per prima l’apparizione, aveva detto: “E’ la Beata Vergine”. La risposta fu: “A chi altri avrebbe potuto pensare? Una meravigliosa giovane madre con un bambino e una corona sul capo. Era chiaro.” L’apparizione fu accettata senz’alcun dubbio come la Vergine, e le fu rivolta la parola prima di averla aspersa con acqua santa (come consigliarono poi le donne più anziane del villaggio). I “miei angeli” – come l’apparizione ripetutamente chiamava i giovani – chiesero un segno, e la visione gentilmente fece girare le lancette dell’orologio di uno dei visionari.

In occasione dell’ultima visione di Ivanka, il 7 maggio 1985, la Gospa, in risposta alla richiesta di Ivanka, fece apparire la madre della ragazza, morta qualche mese prima dell’inizio delle apparizioni. “Nostra Signora mi chiese cosa desideravo, e io chiesi di vedere la mia madre terrena. Allora Nostra Signora sorrise, annuì col capo e, all’istante, mia madre apparve. Sorrideva. Nostra Signora disse di alzarmi. Mi alzai, mia madre mi abbracciò e mi baciò...” Poi parlò a Ivanka e scomparve.

I ragazzi si fidarono ciecamente dell’apparizione di Medjugorje: fiducia che fu incoraggiata dai francescani, i quali si comportarono come i loro confidenti e direttori spirituali. Non vi era alcun concetto di prelest, non sembrava esserci alcuna considerazione della temibile oscurità della mente umana decaduta. Lo stesso argomento usato per sostenere l’autenticità di Medjugorje – “l’albero lo riconoscerete dai frutti” – , cioè la fervente preghiera, le conversioni, le guarigioni, il senso di pace e gioia, era stato usato da “carismatici” e revivalisti protestanti, dagli evangelici indonesiani e da vari movimeti eretici nel corso della storia. Hindu e buddhisti dicono senza dubbio la stessa cosa, quando sottolineano l’intensa devozione dei loro seguaci, durante i pellegrinaggi di massa ai templi, e le guarigioni avvenute ai santuari dei loro maestri spirituali.

Sant’Ignazio Brianchaninov, nei suoi ammonimenti ai cristiani ortodossi, ci ricorda il terribile pericolo di essere ingannati da spiriti maligni: “Se i santi stessi non hanno sempre saputo riconoscere i demoni che erano loro apparsi con l’aspetto di santi e dello stesso Cristo, com’è possibile per noi illuderci di riconoscerli senza errore! ...I santi maestri della lotta cristiana... ci ordinano di non fidarci di alcuna immagine o visione... se dovessero apparire all’improvviso, di non conversare con loro...”, ma, risolutamente consapevoli della nostra “indegnità e incapacità di vedere santi spiriti, pregare Dio di proteggerci dalle trappole e dagli inganni astutamente disposti dagli spiriti maligni”... “L’unica via per entrare rettamente nel mondo degli spiriti è la dottrina e la pratica del combattimento cristiano. L’unica via per entrare rettamente nella percezione sensoriale degli spiriti è l’avanzamento e la perfezione cristiana.”

L’aspetto curativo

Alcuni ritengono che le apparizioni debbano essere genuine poiché presso i santuari i malati vengono guariti; ma non vi è necessariamente alcuna reale connessione fra i due fenomeni. Il numero delle guarigioni è davvero minimo, considerate le moltitudini di malati che si recano ai santuari. A Lourdes, durante i centoventidue anni trascorsi dal 1858 al 1980, solo sessantaquattro guarigioni sono state dichiarate miracolose – cioè non attribuibili ad alcuna causa naturale o medica – fra le cinquemila possibili. Mentre le autorità mediche devono necessariamente essere caute, sembra alquanto artificioso e arrogante, da parte di un gruppo di esseri umani, dichiarare solennemente che Dio non solo ha compiuto un miracolo, ma lo ha compiuto correttamente, in modo per loro soddisfacente.

Presso numerosi santuari la Vergine sembra aver detto che avrebbe guarito solo alcuni, ma non altri; e leggere che “il dito di Dio si estenderà senza preavviso” introduce un fastidioso elemento di capriccioso arbitrio, per quanto ci si possa rallegrare delle guarigioni in se stesse. Ma i santuari mariani, benché tendano a monopolizzare l’attenzione, non sono i soli a pretendere di poter guarire persone di tutte le fedi, o anche atei. L’Anglican London Healing Mission riporta ogni mese una quantità di guarigioni sorpendenti; anche i gruppi pentecostali/carismatici affermano di averne al loro attivo, così come gli spiritisti (la National Federation of Spiritual Healers); e, nei suoi giorni migliori, il movimento della Scienza Cristiana aveva un impressionante bilancio di guarigioni.

Si dice che nessuno viene contagiato facendo il bagno a Lourdes, ma c’è da dire che non viene tenuto il conto di eventuali infezioni; e, in ogni caso, nell’Inghilterra del XVII e XVIII secolo coloro che si bagnavano nelle fonti curative “alla moda” erano esposti agli stessi rischi (Samuel Pepys a Bath aveva gravi dubbi circa la saggezza di usare le acque), eppure non furono riportate epidemie di febbre tifoidea o di colera. Le autorità a Lourdes sanno di non poter rischiare un’epidemia, altrimenti i bagni dovrebbero essere chiusi; e i pellegrini sani sono incoraggiati a lavarsi ai rubinetti invece di fare il bagno. E’ interessante notare che la stessa Bernadette non fece uso dell’acqua di Lourdes per guarire dai suoi mali, ma cercò sollievo nella vicina sorgente curativa.

Dio opera in modi diversi, come ritiene più opportuno, e sarebbe stupido cercare di imporre limiti alla sua misericordia; ma i cristiani ortodossi non hanno alcun bisogno di cercare la guarigione al di fuori della Chiesa. Abbiamo sempre avuto taumaturghi e guaritori. Lo Staretz Amvrosij, già menzionato, era un guaritore, così come innumerevoli altri; e innumerevoli guarigioni continuano a verificarsi per l’intercessione della Madre di Dio, ad esempio attraverso le sue icone di Tinos e di Malevi, e per l’intercessione di Santa Xenia di Pietroburgo e di San Giovanni (Maximovich) di Shanghai e San Francisco.

Molti non-ortodossi sarebbero davvero sorpresi se sapessero quante volte la guarigione del corpo è menzionata nelle preghiere della Chiesa accanto a quella dell’anima. Nelle preghiere di preparazione e di ringraziamento per la Santa Comunione, in particolare, preghiamo ripetutamente per “la guarigione, la purificazione, l’illuminazione, la protezione, la salvezza e la santificazione dell’anima e del corpo”, e perché la Grazia divina ricolmi i nostri cinque sensi, le giunture e le ossa, così come la mente, l’anima e i sentimenti. Allo stesso modo, l’officio della Santa Unzione non è riservato ai morenti, ma viene eseguito anche alla vigilia di Natale e del Giovedi santo, allorché tutti i fedeli vengono unti. Ognuno, infine, può richiedere un’unzione in qualsiasi momento, in caso di necessità.

Alcuni sottolineano la grande compassione dimostrata a Lourdes per i malati, e il tempo e l’energia impiegati a loro beneficio, anno dopo anno, da devoti che si accollano questo compito; e pensano che le visioni debbano essere vere, se ne deriva tanto bene. Ma la compassione non è una prerogativa del solo cristianesimo. La compassione per ogni creatura vivente è il fondamento del buddhismo; e persone di tutte le fedi, o di nessuna, prestano in silenzio, senza alcuna pubblicità, la loro opera di volontariato negli ospedali o fra i disabili mentali o fisici del loro vicinato. Le guarigioni e la compassione non provano affatto l’autenticità delle apparizioni. Che si verifichino guarigioni è indubbio; ma l’esatta natura di una guarigione può variare da un caso all’altro, e, poiché sia i protestanti che gli spiritisti mostrano risultati tangibili, sarebbe incauto accettare senza riserve le implicazioni religiose delle cure presso i santuari mariani, attribuendo loro un’interpretazione che, logicamente, non ne consegue.

Ecumenismo, sincretismo e l’Anticristo

Così come le apparizioni sono state manipolate per gli scopi della propaganda cattolica romana, o per motivi di proselitismo, nazionalismo e commercialismo, allo stesso modo esse vengono usate volenteri dai sostenitori dell’ecumenismo. Anglicani, luterani, perfino ortodossi visitano i santuari. “La Madonna è per tutti”. Oppure qui potrebbe valere il motto: “Vieni in camera mia, disse il ragno alla mosca”...? Proprio come il Papa ha parlato della “conversione della Russia” sotto un solo pastore, “il successore di San Pietro”, così anche il piano – immutato – del Vaticano per “riunirci tutti” non è affatto un segreto: la soggezione al pontefice romano.

Nello stesso tempo, l’ecumenismo al di là dei confini stessi del Cristianesimo continua a prender piede nel “dialogo con le religioni non-cristiane”; anche se non senmbra che sia proprio un onesto dialogo ciò che il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha in mente. “Le grandi comunità religiose non scompariranno... Gli ebrei rimarranno ebrei, i musulmani rimarranno musulmani, e coloro che appartengono alle grandi religioni orientali rimarranno hindu, buddhisti e taoisti”. Eppure, in qualche modo, tutti, benché attaccati ai loro errori e continuando a negare Cristo, “dimoreranno nel regno di Dio senza... essere diventati cristiani come noi”.

Dio non può essere contenuto da alcunché: è la fonte di qualsiasi verità presente anche in altre fedi. Ma, come notava C. S. Lewis, essere un cristiano significa pensare che, laddove il cristianesimo differisce dalle altre religioni, il primo ha ragione, e le altre hanno torto. Lewis usava l’esempio di una somma: c’è un solo risultato esatto per una somma, e tutti gli altri sono sbagliati; ma alcuni dei risultati errati sono più vicini alla verità degli altri.

Gli ecumenisti mariani credono che la Vergine stia comunicando un messaggio ecumenico a Zeitoun e a Medjugorje, e che, come madre dell’intera famiglia umana, abbia un ruolo particolare come centro di unità e di riconciliazione, per così dire, per i suoi litigiosi figli. Essi sottolineano che a Zeitoun la Madre di Dio è rimasta in silenzio. Ciò viene interpretato come un gesto di sensibilità materna, e un invito “a ciascuno dei presenti, indipendentemente dalle loro credenze, a unirsi in Dio nella preghiera” (che oggi è prassi normale negli incontri per il “dialogo con le religioni non-cristiane”, e in accordo con le idee del Consiglio Ecumenico delle Chiese). Se si fosse qualificata come la Madre di Dio, i musulmani avrebbero rifiutato la visione; se si fosse identificata con l’Immacolata Concezione, l’avrebbero rifiutata i copti. Gli ecumenisti sottolineano che la Vergine è menzionata nel Corano come la prescelta di Allah, e vengono lodate la sua purezza e la sua virtù; ma non dicono che, sempre nel Corano, Cristo stesso è considerato un semplice profeta fra i tanti – ed inferiore a Maometto –, e che la sua crocifissione e risurrezione sono decisamente negate.

Un corrispondente anglicano della Eastern Churches Review descrive la sua visita a Zeitoun nel numero di primavera del 1970, riportando la storia di un leader musulmano che viveva vicino alla chiesa ed era solito gettare pietre ai pellegrini. La Vergine gli apparve, chiedendogli di smetterla, e gli ordinò di dipingere una croce sulla sua casa. Convinto dell’autenticità della visione, il musulmano dipinse quaranta grandi croci bianche su tutte le mura della sua abitazione. Ma in un certo modo tutto questo sembra piuttosto privo di senso, se si considera il fatto che egli rimase un musulmano praticante e non si convertì a Cristo, che sembra non essere stato affatto menzionato, e che, come al solito, sembra stranamente assente dalla scena dei fatti.

A Medjugorje la Vergine annunciò di essere venuta a “convertire e riconciliare”. Il santuario è considerato come una possibile chiave per la pace nella regione, e solo la “Gospa” può riconciliare cattolici, ortodossi e musulmani, poiché tutti la onorano. Ancora una volta troviamo questa idea incredibile di una riconciliazione e di un’unità senza Cristo. La Gospa rimprovera i cattolici della regione per la loro ostilità contro i vicini ortodossi e musulmani, benché in alcuni libri sull’apparizione di Medjugorje non siano cessati alcuni tratti palesi di propaganda anti-serba.

L’apparizione di Medjugorje dichiara che “fondamentalmente, le religioni sono simili”: il che ricorda da vicino l’insegnamento di Swami Vivekananda, celebre missionario hindu in occidente a cavallo fra il XIX e il XX secolo, che affermava che tutte le religioni sono unite nel loro nucleo. Il fondamento e il cuore del cristianesimo è la Santa Trinità e la risurrezione del Dio-uomo Gesù Cristo. Il giudaismo e l’islam credono anch’essi in un Dio che chiede agli uomini di vivere in un modo “buono”, opposto a un modo “malvagio” di essere; mentre l’induismo, per quanto riesco a capire, crede che Dio sia al di là del “bene” e del “male”, che tutto in questo mondo sia parte di Dio, e che, se solo potessimo vedere le cose dal punto di vista divino, ci accorgeremmo che anche ciò che chiamiamo “male” dalla nostra limitata prospettiva umana è, in realtà, “Dio”. Swami Vivekananda, parlando della dea Kali, la Madre Terribile, che unisce in lei gli opposti – vita e morte, creazione e distruzione, misericordia e terrore – scrive: “Chi può dire che Dio non si manifesti solo come bene, ma anche come male? Solo gli hindu osano adorarlo come il male”. Tutte le religioni hanno qualcosa in comune, ma ci sono differenze fondamentali.

La Gospa ha anche detto che il Papa dev’essere un padre per tutti gli uomini, non solo per i cattolici. Papa Giovanni Paolo II, che a quanto si dice crede alle apparizioni, sembra aver fatto sue queste parole, e si sia ispirato a loro per ulteriori iniziative ecumeniche. Oltre alla sua Giornata Mondiale di Preghiera ad Assisi, il Papa definisce gli ebrei come “fratelli maggiori” dei cristiani; e, nel suo discorso ai giovani musulmani del Marocco, ha nominato Dio Padre sessantasei volte. A ciò si deve aggiungere la “campagna missionaria” del Vaticano in Russia e in Ucraina, e le ingerenze vatcane nei Balcani, in Croazia, in Bosnia e a Skopje. Il Papa, evidentemente, considera il terzo millennio come una nuova epoca per le missioni, una nuova era di fede; e ha dato il suo sostegno a “Evangelizzazione 2000”, che ha progetti di attività evangelizzatrice a livello mondiale, soprattutto nell’Europa occidentale e orientale. Tutti questi sono “segni che indicano non solo la riunione dei cristiani, ma l’accoglimento di tutte le fedi e di tutte le culture nella comune identità umana dinanzi a Dio (Dudley Plunkett, Queen of Prophets). L’Arcivescovo Frane Franic di Split scrive: "...considero particolarmente importante il ruolo di Medjugorje nell’opera ecumenica della Chiesa”.

E’ possibile che i visionari di Medjugorje vengano usati (benché inconsciamente) nel quadro di un più ampio disegno di preparazione di una “religione mondiale”, con lo scopo di aprire la strada alla venuta dell’Anticristo? E’ tipico dell’inganno sottile dei demoni far apparire le loro illusioni “buone” e “cristiane”, e presentare il regno di satana come se fosse il Regno di Cristo. Samuel Horsley, dotto anglicano del XVIII secolo, sarebbe addolorato a vedere le sue parole avverarsi ai nostri giorni: “La Chiesa di Dio sulla terra sarà grandemente ridotta... al tempo dell’Anticristo, per l’aperta diserzione dei poteri mondani. Questa diserzione inizierà come una dichiarata indifferenza nei confronti di ogni particolare forma di cristianesimo, sotto forma di tolleranza universale... dalla tolleranza nei confronti delle più pestilenziali eresie, si procederà a tollerare il maomettanismo e l’ateismo, e infine alla vera persecuzione della verità del cristianesimo.”

Il quattrocentesco Cardinale Nicolò Cusano, al contrario, si rallegrerebbe alla prospettiva di veder realizzato il suo sogno di “riconciliare per sempre le sette che combattono fra loro in un vasto sistema di unità religiosa”, in cui “pagani e cristiani sono fusi in un notevole ordine... un greco, un italiano, un indù, un arabo, un caldeo, un ebreo, uno scita, un persiano, un siriano, uno spagnolo, un tartaro, un tedesco, un boemo, e infine un inglese”; perché “ogni sistema possiede un certo grado di verità”, e “solo attraverso uno studio dei vari sistemi si può avere una vaga intuizione dell’ ‘unità della verità inattingibile’ “.

Se vi è un aspetto “anticristico” a Medjugorje, esso ben s’inquadra nel crescente interesse per i segni e i prodigi. Il soprannaturale è stato da tempo rimosso dalla vita quotidiana per opera del razionalismo, del materialismo e dell’intimidazione della scienza e della tecnologia. Un numero crescente di persone che avvertono questa mancanza hanno provato a riempire il vuoto con gli UFO, i soli danzanti, le droghe, le guarigioni “per fede”, il revivalismo carismatico, lo spiritismo, il paganesimo New Age, perfino il satanismo — e le apparizioni. La superstizione continua a fiorire. Una statua della Vergine piange sangue da un occhio, e i vicini si precipitano a recitare il rosario davanti ad essa (secondo il parere dei fabbricanti, la resina usata per gli occhi dell’immagine si era probabilmente liquefatta: caso, questo, abbastanza frequente). Una donna messicana frigge una tortilla per cena al marito, vede nella pasta una somiglianza col volto di Cristo coronato di spine, ed ecco il miracolo! Nei successivi dodici mesi, 8.000 persone si sono recate a venerare la tortilla, incorniciata nel vetro e circondata da fiori e candele, mentre un imbarazzato Arcivescovo tentava invano di fermare il culto della “sacra pagnotta”.

Migliaia di persone affermano, discretamente, che le loro vite sono state trasformate spiritualmente dai santuari. Certi cattolici tradizionalisti, soprattutto se mariani, considerano i santuari come una conferma della loro fede. Gli incerti, scossi dai moderni cambiamenti in senso liberale del Cattolicesimo, vi cercano – e trovano – rassicurazione. Gli innovatori liturgici si sentono liberi di indulgere in servizi religiosi con “accresciuta spontaneità e informalità”, come la Messa-Party per i bambini malati a Lourdes, in cui, dopo la consacrazione, furono lanciati in aria palloni e festoni colorati, e i celebranti unirono le mani e saltellarono lungo la navata cantando “Signore della danza” (che in realtà è Shiva, il dio Hindu). Alcune suore continuano a vivere la vita di sempre; ma la maggior parte delle Sorelle della Carità di Nevers (l’ordine di Bernadette) hanno dismesso l’abito religioso e si sono integrate con il mondo moderno. La stessa Bernadette è stata manipolata da gruppi diversi, che l’acclamano come la loro eroina: i “rivoluzionari” di Cristo Operaio, perché era povera, apparteneva alla classe lavoratrice e partiva da una posizione sociale svantaggiata; i “carismatici”, perché aveva avuto visioni e aveva udito direttamente la voce del cielo, senza mediazioni da parte della gerarchia ufficiale.

Case di potere spirituale, luoghi di speranza e guarigione: un ricettacolo di superstizione, un paradiso per ladruncoli (secondo Patrick Marnham, a Lourdes, in alta stagione, è necessaria la presenza di un buon numero di poliziotti in borghese) e per sfruttatori commerciali, un grande incentivo per il turismo, una scusa per il nazionalismo ed il proselitismo, un modo di soddisfare la ricorrente domanda popolare per la Dea sotto una veste rispettabilmente cristiana – i santuari sembrano essere molte cose, per molte persone diverse.

Troppo di tutto

Concludo come ho cominciato, sottolineando che il mio è soltanto un punto di vista puramente personale sugli eventi delle apparizioni. Non ho dubbi che uno o più dei fattori presi in considerazione abbiano giocato qualche ruolo in ciascuno dei casi; ma più di questo non mi azzardo a dire. Ognuno è libero di farsi la propria opinione in merito, di accettare o rifiutare le apparizioni, di visitare i santuari o di starne alla larga; ma ogni ortodosso cui potrebbe venire in mente di cercare guarigione presso questi santuari, o di recarvisi in pellegrinaggio per rendere onore alla Madre di Dio, dovrebbe – credo – considerare attentamente a cosa, in realtà, sono dedicati questi luoghi.

Padre Sergio Bulgakov, prete ortodosso russo, dopo il suo pellegrinaggio a Lourdes scriveva: “Il ricordo di questo luogo, profumato dalla presenza invisibile ai nostri occhi, ma chiaramente percettibile alle nostre anime, della santissima Madre di Dio, ... rimarrà fra le più care memorie della nostra vita. Almeno nei nostri cuori, il muro interiore che ci separa dalla Chiesa romana ha perduto molta della sua opacità”. Ognuno ha la sua esperienza; ma questa dovrebbe essere soppesata a fianco di quella del cattolico romano Robert Hugh Benson, già citato, che avvertì il “lato oscuro” della Signora della Grotta. Si deve forse tenere presente che la sofiologia di Padre Sergio, condannata dalla gerarchia della Chiesa Ortodossa, può aver influenzato la sua esperienza: “lo Spirito Santo si manifesta attraverso la Vergine Maria, che è una creatura, ma nello stesso tempo non è più una creatura.” Contrariamente a ciò che alcuni ortodossi, inclusi alcuni preti, sono stati indotti a credere, non vi è alcuna cappella ortodossa a Lourdes.

Per i cattolici romani non è obbligatorio accettare le apparizioni, anche quando la loro Chiesa le ha approvate. Ma alcuni marianisti vorrebbero cambiare questo stato di cose, affermando che l’approvazione ufficiale va al di là del “permesso di credere” e implica l’infallibilità.

Dopo una lunga e seria riflessione, non riesco ad accettare l’origine divina di alcuna delle apparizioni (benché alcune possano avere un’origine soprannaturale), o a credere che Dio parli al mondo attraverso di loro. Come ortodossa, questi fenomeni mi sembrano superflui. Abbiamo come guida le Scritture, l’insegnamento della Chiesa e la sapienza spirituale accumulata in 2.000 anni. Soprattutto abbiamo lo Spirito Santo, Nocchiero e Guida della Chiesa; e il Signore Gesù Cristo come solo e sempre presente Capo della Chiesa. Ad eccezione di Zeitoun, le apparizioni si sono tutte manifestate in una Chiesa che ha relegato il Dio-uomo nei cieli ed ha nominato un uomo come suo infallibile vicario sulla terra: un uomo la cui posizione e il cui potere sono rafforzati e promossi da queste visioni. Il grande teologo serbo, l’Archimandrita Iustin Popovich di beata memoria, commenta: “Vicarius Christi: che tragica illogicità nominare un vicario, un rappresentante del Dio e Signore onnipresente...”

A mio parere, ci sono semplicemente troppe visioni. Lo psicologo Staehlin, di cui abbiamo fatto menzione, fra il 1930 e il 1950 ha indagato su oltre trenta serie di apparizioni della Vergine, comprendenti trecento apparizioni. A parte il caso della Medaglia Miracolosa, che sembra aver dato l’avvio a tutti gli altri, e le apparizioni già menzionate, ci sono stati altri casi: Akita, in Giappone (dove una suora ha visto fasci di luce nella sua cella, e ha avuto più di cento visioni in cui una statua della Vergine parlava, piangeva e sanguinava), Ruanda, Argentina, Nicaragua, Venezuela, Corea, Ungheria, Belgio, Olanda, USA, Cina, Siria, Filippine, Italia e Irlanda. Altri quarantasette visionari sono apparsi, fuori di Medjugorje, in altre parrocchie della diocesi di Mostar.

Non sono le esperienze in sé ad essere messe in dubbio, ma la loro origine, poiché le visioni possono essere causate da vari fattori psicologici, capacità psichiche e medianiche, o inganni demoniaci. I demoni non esitano a riempire il nostro intelletto decaduto di false idee, di orgoglio spirituale e di psichismi illusori. Per tale motivo la Chiesa ci avverte, attraverso le parole degli asceti e dei grandi padri spirituali, di essere spiritualmente sobri e costantemente all’erta, perché l’auto-inganno non si trasformi in inganno diabolico.

Vi sono troppi segni solari. Da Fatima in poi, i fenomeni solari sono stati una costante nella maggior parte dei santuari: luci, fuochi, arcobaleni, soli danzanti, piogge di petali, croci di fuoco, con una profusione particolarmente scenica a Zeitoun. Quando a questi fenomeni si aggiungono i “segni” dei revivalisti protestanti – colonne di fuoco, “Cristo” nel cielo, nubi che seguono gli evangelizzatori e li proteggono dal caldo, e tutti i segni simili a quelli degli UFO – non si può fare a meno di chiedersi se vi sia un vero e proprio programma in corso, con lo scopo di soddisfare una generazione che cerca segni: i demoni cortesemente offrono ciò che siamo pronti a ricevere. Una o due visioni e segni possono essere convincenti, ma non – letteralmente – centinaia.

Le apparizioni sono troppo pubbliche. Le relazioni private sono una cosa; ma la maggior parte di queste apparizioni hanno avuto luogo in un tripudio di pubblicità. La visitatrice “celeste” viene con un messaggio globale, e le visioni spesso hanno luogo davanti a folle di spettatori. I visionari si sono trovati frequentemente al centro di un interesse morboso e di una malsana adulazione. La Grotta di Lourdes era piena di gente: agenti di polizia, il commissario, il sindaco, il vicesindaco, e una folla di 20.000 persone. Bernadette era costantemente portata via dalla scuola per gli interrogatori, assalita per strada e disturbata dalla folla che assediava la sua casa, ansiosa di vederla e di chiederle consigli e preghiere. Folle del genere seguivano i bambini di Fatima, si inginocchiavano davanti a loro e li pregavano di entrare nelle loro case e di pregare per qualche parente ammalato. Cacciatori di reliquie giunsero perfino a tagliare ciocche di capelli a Lucia nel pigia-pigia della folla. Le visioni di Zeltoun furono viste da milioni di persone, credenti e non credenti.

Grazie ai mezzi della moderna pubblicità, i visionari di Medjugorje divennero ben presto il centro dell’attenzione mondiale, offrendo consigli a coloro che si affollavano nelle loro case e riportando le parole dalla Signora di Medjugorje in risposta alle domande della folla. I ragazzi sono stati intervistati infinite volte, ed esaminati da medici e psicologi. Gli eventi di Medjugorje sono stati promossi da un’efficiente e aggressiva campagna propagandistica che si è servita di ogni possibile mezzo: riviste dedicate esclusivamente all’evento, numeri di telefono internazionali per coloro che desideravano ricevere il messaggio mensile della Gospa, programmi radio e televisivi diffusi in tutto il mondo, video, cassette e numerosi libri (il mariologo René Laurentin, da solo, ne ha scritti almeno una decina). Uno dei visionari è co-autore di un libro, Mille incontri con Nostra Signora a Medjugorje; un altro, tramite l’Ambasciatore americano presso la Comunità Europea, ha scritto a Ronald Reagan e a Mikhail Gorbachev (Reagan ha risposto). Vi sono speciali Centri Medjugorje in tutto il mondo. E tutto ciò prima che fosse presa alcuna decisione ufficiale sulle apparizioni da parte delle autorità ecclesiastiche competenti. Sembra poco probabile che possa essere nominata una commissione per dare un verdetto negativo, visto il successo incredibile della propaganda e il livello dell’entusiasmo religioso popolare. Il Papa, soprattutto, ha detto che secondo lui non c’è niente di meno che buono a Medjugorje.

Medjugorje, il movimento carismatico e il caso dell’Erzegovina

Mentre raccoglievo informazioni circa i fatti di Medjugorje, fui colpita da certe somiglianze con il Movimento carismatico, soprattutto nei messaggi e nell’attitudine dei sostenitori. Non fui sorpresa, dunque, nello scoprire che, fin dall’inizio, gli eventi di Medjugorje erano stati gestiti da personaggi di tendenze carismatiche (Padre Jozo Zovko, Padre Tomislav Vlasic e altri), o nell’apprendere che “nel maggio 1981, a Roma, si tenne una conferenza internazionale per i leader del Movimento carismatico. Uno dei rappresentanti della Yugoslavia era Padre Tomislav Vlasic.... Una dei leader che pregava con lui, Sorella Briege McKenna, ebbe una visione mentale di Padre Vlasic seduto, circondato da una gran folla: un fiotto d’acqua scorreva dalla sedia. Emile Tardif, O.P, pronunciò come una profezia: ‘Non temete, vi mando mia Madre.' Così, Padre Vlasic tornò in Yugoslavia. Due settimane dopo il suo ritorno, Nostra Signora cominciò ad apparire ad un gruppo di ragazzi e ragazze nella parrocchia francescana di Medjugorje. Una nuova vita cominciava a scorrere.”

Il citato Padre Vlasic fu per tre anni la guida spirituale, l’interprete e il protettore dei visionari. A detta di alcuni, egli è “un uomo di irreprensibile santità”; per altri, un “mago carismatico”.

L’incredibile facilità con la quale i visionari accettano le loro apparizioni è del tutto simile a quella con cui i carismatici accettano, come provenienti da Dio, i loro “doni dello Spirito”. Qualcosa che non è una semplice allucinazione, ma è al di là dei limiti della conoscenza e dell’esperienza umana, non è necessariamente una visione genuina, ricevuta per grazia di Dio. Può semplicemente trattarsi della fiducia in una piacevole esperienza psichica: nei messaggi c’è sempre la stessa enfasi su “amore”, “pace” e “gioia”.

In ciò sembra che vi siano precise somiglianze con un altro fenomeno: lo spiritismo. I medium non esitano ad accettare i loro spiriti-guida come messaggeri di luce; e i loro messaggi sono anch’essi, invariabilmente, amorevoli e consolatori, reverenti nel modo di esprimersi, con frequenti riferimenti a una divinità e a insegnamenti morali. I medium affermano di comunicare messaggi da un mondo più elevato; e i visionari, in effetti, hanno comunicato messaggi della Gospa a coloro che avevano posto delle domande. Anche l’Arcivescovo di Split ha chiesto a uno dei visionari se la Gospa aveva qualche messaggio per lui.

Una carismatica, parlando di profezie nel corso di un suo incontro in America, afferma: “I messaggi sono sempre stati pieni di grande consolazione e gioia dal Signore”. Un sostenitore di Medjugorje, parlando dei messaggi della Gospa, dice che “i messaggi sono una miniera di meravigliosi consigli e rassicurazioni”.

"Ti tendo la mano. Devi solo prenderla, ed io ti guiderò” (carismatico). “Oggi voglio avvolgervi nel mio mantello, e condurvi tutti sulla strada della conversione” (Gospa). “Siate come un albero, che oscilla al vento della Sua volontà, con le radici nella Sua forza, che si tende in alto verso il Suo amore e la Sua luce” (carismatico). “Aprite i vostri cuori a Dio, come i fiori in primavera cercano il sole” (Gospa).

Naturalmente, le già citate funzioni di guarigione presso la chiesa di Padre Jozo Zovko avevano un carattere nettamente carismatico; il che spiega come mai la gente era portata ad abbracciarsi, piangere e svenire. Il ministero di Padre Jozo ora comprende il Riposo nello Spirito – una versione meno drammatica della carismatica Uccisione nello Spirito –, a cui è stato introdotto da un americano, e che sembra aver causato “qualche imbarazzo” nella parrocchia.

I conflitti con i francescani in Erzegovina risalgono all’epoca dei Turchi, quando i frati continuavano a celebrare per i cattolici locali in assenza di un vescovo. Nel 1881 fu ristabilita una regolare gerarchia, e l’intenzione della Santa Sede era che il clero secolare sostituisse gradualmente i francescani nella cura delle parrocchie. Ciò causò gravi risentimenti e tensioni tra i frati e il popolo da una parte, e le autorità diocesane dall’altra. Medjugorje rimase una parrocchia francescana. Il Dr. Zanic, Vescovo di Mostar all’epoca dell’inizio delle apparizioni, continuò su questa linea a dispetto della forte opposizione. Due frati si ribellarono apertamente e furono sospesi dal vescovo, nonché espulsi dal proprio ordine dai loro superiori. I due frati chiesero subito aiuto ai visionari, che parlarono della faccenda con la Signora di Medjugorje in non meno di tredici occasioni. La Signora si pronunciò apertamente in difesa dei due frati, definendoli “innocenti, privi di colpa alcuna, e puniti ingiustamente!... Il vescovo non si comporta secondo la volontà di Dio... Il vescovo è stato troppo sbrigativo... Il vescovo è colpevole”. “Lei (la Gospa) ha parlato di questo caso (dell’Erzegovina), si è messa a ridere e ha detto che lei, da sola, avrebbe messo tutto a posto. Poi ha cominciato a ridere. Poi anche Jakov e io scoppiammo a ridere...” “Se lui (il vescovo) non accetterà questi eventi (l’autenticità delle apparizioni) e non si comporterà bene, allora dovrà udire il mio giudizio e quello del mio Figlio”.

Il Vescovo (assieme ad altri) rimase scettico, definì l’intera faccenda una montatura e una frode, e affermò che un gruppo di frati, guidati da Padre Tomislav Vlasic, sfruttava i “visionari” per i loro fini.

"Dai loro frutti "

I sostenitori vedono in Medjugorje una grande occasione di rinnovamento religioso e ne sono apertamente entusiasti; mentre altri, sia fra il clero che fra i laici, perfino intere famiglie del villaggio, si mostrano indifferenti od ostili.

I sostenitori usano il solito argomento che si sente ripetere in tutti i santuari, e che è stato fatto proprio dagli eretici del passato, nonché dai carismatici – sia cattolici che protestanti – di oggi: “Dai loro frutti li riconoscerete”. Com’è possibile che tutto ciò sia opera di Satana, quando la visione invita alla preghiera e al digiuno, e vi sono conversioni e guarigioni?

Il Dr. Franic, Arcivescovo di Split, usa proprio questo argomento in una lettera a Roma del 1985, in cui scrive: “Negli ultimi tre anni e mezzo, più di tre milioni di pellegrini sono venuti a Medjugorje da tutti e cinque i continenti; e tutti, dopo il pellegrinaggio, sono tornati a casa convertiti, o sono stati ricondotti a una vita cristiana da una condizione di indifferenza religiosa o di assoluto ateismo, rinnovando il loro contatto con la preghiera e con pratiche religiose come il digiuno, generalmente il venerdi, e in alcune case anche il mercoledi, cibandosi solo di pane ed acqua: in una parola, completamente riconciliati con Dio e con gli uomini”.

E’ molto probabile che la maggior parte dei pellegrini sia tornata a casa in uno stato di temporanea euforia; è anche possibile che alcuni, forse molti, abbiano cominciato a vivere una vita cristiana più seria, o che abbiano incontrato Cristo per la prima volta; ma che tutti i tre milioni di pellegrini – se davvero sono stati tre milioni – si siano completamente riconciliati con Dio e con gli uomini, questo sì che sarebbe stato un vero miracolo, il miracolo di Medjugorje... ma è molto più probabile che questa sia solo un pio desiderio dell’arcivescovo. Dobbiamo solo ricordare la parabola del fariseo e del pubblicano per comprendere che la preghiera e il digiuno, o qualsiasi altra “pratica religiosa”, non sono in sé sufficienti per riconciliarci con Dio e con gli uomini.

Le guarigioni, come sappiamo, si verificano non solo presso i santuari mariani, ma anche presso le religioni non-cristiane. Le guarigioni, così come il numero dei pellegrini, sono state causa di dissensi: i detrattori delle apparizioni affermavano che non vi era alcuna prova a sostegno di molte guarigioni, che l’Ufficio Medico di Lourdes aveva dato una risposta negativa, e che alcuni di coloro che si erano dichiarati “guariti” erano in realtà morti. In occasione di un pellegrinaggio, il Vescovo di Mostar ha affermato che vi erano stati soltanto 30.000 pellegrini, contro i 200.000 dichiarati da Padre Vlasic. I visionari chiesero il numero esatto a “Nostra Signora di Medjugorje”, che fornì la cifra di 110.000.

Vi sono anche frutti guasti: il disaccordo con i devoti di altri santuari mariani (echi di Nostra Signora di Walsingham contro Nostra Signora di Ipswich), e altre tristi storie di dispute feroci, ancora con acrimoniosi scambi di invettive ad alti livelli. Su un tono più leggero, Desmond Seward (The Dancing Sun) riporta il divertente resoconto del lungo sermone a una Messa in inglese di un prete del Kentucky, che include il commovente racconto delle pene da lui patite per disassuefarsi dalla Coca-Cola in risposta alle richieste di penitenza da parte della Vergine.

I visionari

Ma quanto sono convincenti i visionari stessi, tutti convinti di aver visto la Madre di Dio? E’ molto preoccupante la loro straordinaria mancanza di cautela spirituale, che li ha spinti ad attribuire incondizionatamente le loro visioni alla Beata Vergine. Ricordate le parole di uno dei visionari di Medjugorje: “Chi altri poteva essere? Era ovvio!”.

Zeitoun è diversa dalle altre apparizioni perché, come abbiamo visto, la figura è stata osservata per più di tre anni da membri anziani del clero copto, e da cattolici, protestanti, musulmani, ebrei e atei. Se non fosse stato per le forti somiglianze fra le descrizioni dei fenomeni solari di Zeitoun e i precedenti avvistamenti di UFO, avrei trovato questo gruppo di testimonianze solido e impressionante; benché sia pur sempre difficile comprendere perché mai la Vergine abbia dovuto apparire in questo modo eccessivamente pubblico e plateale, quando lo stesso Cristo non ha affatto tentato di convincere i non credenti con una sua apparizione sopra Gerusalemme – dove avrebbe potuto essere visto da Pilato, Erode, Caifa e tutto il popolo – a prova della sua risurrezione.

Catherine Labouré, che vide la Medaglia Miracolosa, amava molto le visioni; e tentava sempre (cosa che, da un punto di vista ortodosso, è estremamente pericolosa) di averne di nuove. Sapendo in quali modi i demoni possono ingannarci, gli asceti hanno sempre rifiutato le visioni, affermando di essere indegni di vedere gli angeli. La preghiera della Medaglia Miracolosa risultò essere un’eccellente propaganda per il dogma dell’Immacolata Concezione, e Catherine morì sapendo che milioni di medaglie erano state distribuite in tutto il mondo. La sua stessa identità, che avrebbe dovuto essere tenuta segreta, fu in qualche modo scoperta, e la Labouré fu canonizzata dalla Chiesa romana.

Massimino e Melania di La Salette sembrano essere stati una coppia di bambini indisponenti, e neppure le loro vite da adulti furono molto rassicuranti. Il Vescovo Doupanloup trovava Massimino “assolutamente disgustoso”; e il Curato d’Ars, che lo intervistò, affermò che “se ciò che il ragazzo mi dice è vero, non è possibile crederci”. Tuttavia, la voce dell’entusiasmo popolare prevalse e la conclusione ufficiale fu a favore dell’apparizione.

Bernadette ci offre invece l’esempio rinfrescante di una persona normale, dotata di una rustica saggezza e di buon senso contadino. Dopo il suo ingresso in convento non ebbe più visioni, e non fece nulla per attirare l’attenzione su di sé o per sfruttare la celebrità che avrebbe acquisito. Sopportò dignitosamente e con coraggio le sue infermità. Credeva di non aver mai voluto fare niente di male nella sua vita, e di non aver mai udito prima le parole “Immacolata Concezione”. Quest’ultima affermazione è quasi impossibile da accettare, poiché gli abitanti dei Pirenei avevano celebrato la festa dell’Immacolata Concezione come giorno di precetto nei centocinquant’anni precedenti, vale a dire dal decreto di Clemente XI nel 1708 (Pio IX si limitò a definire il dogma e a imporlo come articolo di fede). In tutta la sua infanzia, vissuta interamente in una cultura cattolica, Bernadette era stata sicuramente portata in chiesa l’8 dicembre, proprio come a Natale, a Pasqua e il giorno dell’Assunzione. Dopo la definizione del dogma nel 1854, e in connessione con la popolare Medaglia Miracolosa, con la sua preghiera a “Maria concepita senza peccato”, le parole “Immacolata Concezione” devono esserle giunte all’orecchio innumerevoli volte.

I piccoli veggenti di Fatima, secondo Sorella Lucia, la visionaria superstite, erano modelli di virtù, caratterizzati una devozione inquietante e innaturale. Portavano il cilicio, finché la Signora non disse che Dio non voleva che essi dormissero con la corda, ma che la portassero solo durante il giorno. Si mortificavano in ogni modo possibile, a volte rifiutando cibo e bevande, pungendosi deliberatamente con spine, e facendo sacrifici in tutto, ripetendo ogni volta le parole insegnate loro dalla Signora: “O Gesù, è per amor tuo, per la conversione dei peccatori, e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”. I due veggenti più piccoli morirono in giovanissima età; Lucia, fattasi suora, continuò a ricevere visioni e rivelazioni.

Marlette Beco, una ragazza belga, fu visitata otto volte nel 1933 da un’apparizione stranamente simile alla Signora di Lourdes, che chiese anch’essa una cappella, fece sgorgare una sorgente e affidò alla fanciulla un segreto. Marlette aveva undici anni, quindi era in un’età pre-adolescenziale e alquanto emotiva, e spesso piangeva al racconto delle apparizioni, scoppiava in lacrime durante alcune delle visioni, “piangeva incontrollabilmente quando la sua Signora non appariva”, in serate in cui nulla accadeva, e si sentiva malata, stanca e debolissima, benché il medico dichiarasse che la sua salute era buona. Alla fine dell’ultima apparizione, quando la “Vergine dei Poveri” la lasciò, la ragazza “si lasciò cadere sulla terra umida, dove giacque scompostamente, singhiozzando e piangendo convulsamente, mentre tentava di dire le sue preghiere”. Le autorità ecclesiastiche riconobbero come autentiche le visioni di Marlette Beco, e Banneux divenne un centro di pellegrinaggi con il solito spiazzo per la benedizione dei malati, un ospedale e un’area di campeggio. Una società di Banneux organizza pellegrinaggi e diffonde informazioni.

I giovani di Medjugorje sono descritti come immersi in un mondo di esaltazione spirituale, fulgidi esempi che vivono “vite esemplari di preghiera, digiuno, distacco dal male del loro tempo e dei loro coetanei, manifestando amore sincero per la Chiesa ed il Papa”. Ma sono stati definiti anche “piccoli bugiardi”, “pedine inconsapevoli di un gioco che non comprendono”, dotati di “ego dilatati” e simili, nel comportamento, a “robot addomesticati”. Mirjana, una di loro, non vede più le apparizioni, ma ode una voce interiore. Altre due ragazze (non facenti parte del nucleo dei visionari), Jelena e Marijana, inizialmente sotto la direzione di Padre Tomislav Vlasic — il leader carismatico che era stato direttore spirituale dei visionari — odono anch’esse una voce interiore, attribuita alla Vergine, che affida loro messaggi personali, messaggi per il gruppo locale di preghiera, per la parrocchia e per il mondo intero. Sono state distribuite gratuitamente più di un milione di copie di libri dello stesso Padre Vlasic, contenenti meditazioni sui messaggi, e che includono “formule di consacrazione al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria, dettate da Nostra Signora a Jelena”. Altri sacerdoti collegati con Medjugorje e con il Movimento carismatico ricevono anch’essi “locuzioni interiori”, definite come l’esplicita consapevolezza interiore di un messaggio, diversa da qualsiasi altra forma di comunicazione umana.

Anche se qualcuno può esitare ad accettate le apparizioni a causa dei propri dubbi sui visionari, niente paura: Roma ha la risposta. E’ stata definita una speciale categoria di favori divini che coprono anche i visionari insoddisfacenti: “gratiae gratis datae”, favori concessi da Dio senza alcun rapporto con lo stato spirituale del visionario.

La Madre di Dio o la Dea?

Chi è questa Signora apparsa migliaia di volte e acclamata da milioni di persone? È la stessa Madre di Dio che nell’Ortodossia conosciamo dalle Scritture, dalle funzioni e dagli insegnamenti della Chiesa? Sembra quasi che il culto delle apparizioni mariane abbia una vita e un ethos propri, come se si trattasse di una religione separata: una specie di Cristanesimo sovrapposto al culto della Dea e allo spiritismo. La Vergine, non il Cristo, è la figura centrale. Il Cielo parla attraverso di lei, non di lui. Nonostante l’insegnamento ufficiale di Roma, che ancora vieta di porre Maria allo stesso livello di suo Figlio, è lei che predomina. Geoffrey Ashe sembra aver colto nel segno quando afferma che “la vitalità della Chiesa di Cristo (la Chiesa Cattolica Romana!) sembra spesso essere dipesa da lei, più che da lui”.

La mia sensazione di una Vergine autonoma, che agisce indipendentemente, è stata confermata da Padre Michael O'Carroll, secondo cui Dio ha scelto di affidare la sua missione di misericordia e di rinnovamento alla Beata Vergine Maria. Parlando di Medjugorje, O’Carroll afferma che “non è stato Dio Padre, né Dio Figlio incarnato, né Dio Spirito Santo a prendere l’iniziativa a Medjugorje. E’ stata Nostra Signora.” E prosegue dicendo che la caratteristica principale di Medjugorje è la manifestazione del “ruolo dominante, perpetuo, totalmente autonomo dato a Nostra Signora”.

Padre O’Carroll cerca di rassicurare coloro che pensano che Dio sia stato messo in ombra a Medjugorje ricordando la “ricorrente menzione dello Spirito Santo” nelle parole della Gospa. Nei 203 messaggi che ho letto, lo Spirito Santo è menzionato solo sei volte, e in due di esse in modo da farlo sembrare un semplice testimone della Gospa: “Vi invito, cari figli, a pregare per i doni dello Spirito Santo, di cui avete bisogno per testimoniare la mia presenza e tutto ciò che vi offro... Lo Spirito di verità vi è necessario per riferire i messaggi proprio come ve li detto”.

Le “rassicurazioni” di Padre O'Carroll sono espresse in termini che suonano alquanto strani all’orecchio otodosso. “La ricorrente menzione dello Spirito Santo è degna di nota, e ben si accorda con la rinascita, nel’ultima generazione, della dottrina e della devozione al suo riguardo. Egli ha sempre fatto parte del credo cristiano, è riconosciuto dai fedeli e onorato in alcune preghiere comuni”. E aggiunge, significativamente: “Ma poco tempo fa è apparsa un’opera spirituale su di lui, intitolata Il Paracleto dimenticato; e non è molto che un grande maestro di vita spirituale, Dom Columba Marmion, ha potuto asserire che, per alcuni, valgono le parole degli Atti degli Apostoli: ‘Non abbiamo nemmeno sentito dire che c’è uno Spirito Santo’”. Ciò conferma il mio precedente riferimento al filioque latino, con la sua conseguente svalutazione dello Spirito Santo, e il ruolo importante che, a mio parere, questa distorsione della dottrina trinitaria ha giocato nelle apparizioni mariane. Il bisogno dell’eterno femminino giace nelle profondità della psiche umana. Questo bisogno trova piena soddisfazione nella Santa Trinità, il cuore dell’Ortodossia. Laddove l’insegnamento trinitario è privo di equilibrio, e lo Spirito Santo è trascurato, è facile assistere al “ritorno della Dea”, sia sotto forma di eccessi mariani che dell’apparizione di correnti gnostiche, con le loro richieste di donne sacerdoti e i loro termini privi di riferimenti al genere quando si parla di Dio.

Nel Nuovo Testamento possiamo vedere tutta l’incomparabile bellezza spirituale della Madre del Signore. Nella sua rifulgente umiltà la Vergine non si mette mai in mostra, ma indica sempre altrove. Madre del Messia, chiama umilmente se stessa “serva di Dio”. La lode di Elisabetta in suo onore è immediatamente indirizzata a Dio, che si è degnato di posare gli occhi sulla sua piccolezza. Non ha la presunzione di rivolgere direttamente i suoi ordini ai servi di Cana, ma quietamente li esorta a ubbidire ai comandi di suo figlio. Gli Atti non ce la dipingono impegnata in qualche iniziativa privata, bensì in attesa di preghiera con l’intera comunità dei credenti.

La signora di tutte le apparizioni, invece, sta fermamente al centro del palcoscenico, con i riflettori sempre puntati su di sé. Decreta nuovi titoli per se stessa: Immacolata Concezione, Nostra Signora del Rosario, Madre di Consolazione, Vergine dei Poveri, Regina della Pace. Cerca riparazione e consolazione per le ingiurie a lei rivolte: “Asciugate le lacrime del mio volto, che verso guardando ciò che fate” (Medjugorje), “Guardate il mio cuore, coronato delle spine con le quali gli uomini ingrati mi feriscono in ogni momento, per le loro blasfemie e la loro ingratitudine. Vi sono così tante anime condannate dalla giustizia di Dio per i peccati commessi contro di me, che sono dovuta venire a chiedere riparazione: sacrificatevi per questa intenzione” (Fatima).

Nel linguaggio tipico della Dea, la Signora di Medjugorje dice: “Sono instancabile, vi chiamo anche quando siete lontani dal mio cuore. Io sono la Madre, e, benché provi dolore per tutti coloro che si sviano, concedo facilmente il perdono e mi rallegro per ogni figlio che torna a me”. Nel 1986 apparve sul monte con cinque angeli, dichiarando ai visionari che ciò che essi stavano sperimentando era “simile alla Trasfigurazione sul Monte Tabor”. Avrebbe concesso alla gente tutte le grazie di cui avevano bisogno. Li benedisse e disse loro di “discendere dal Tabor e portare la benedizione agli altri”. “Ovunque vado, mio Figlio è con me”. La verità è, invece, che ovunque si trova il Dio-uomo, vi è anche, in lui, la Madre, i suoi santi, i suoi angeli e i suoi giusti. In lui – e in lui solo – possiamo comunicare con loro e chiedere il loro aiuto. La Madre del Signore è veramente la Madre di noi tutti nella Chiesa, dove occupa il posto più elevato, il più vicino a Cristo; ma non agisce indipendentemente da lui. Non è la Madre della Chiesa, né la mediatrice di tutte le grazie, e neppure la corredentrice (questi due ultimi titoli sono impliciti nei messaggi di Medjugorje).

 “Avulsa dalla sua immagine evangelica, ed evolvendosi dalle fantasie subconsce dell’uomo, può diventare qualsiasi cosa, da un sogno sentimentale a un essere oscuro, imperscrutabile, inesorabile, simile alla spaventosa dea del pensiero pagano” (Newbolt, The Blessed Virgin).

I messaggi

Alla fine dev’essere però il contenuto dei messaggi stessi a ispirare l’accettazione o il rifiuto delle visioni. Come si è detto, questo è il motivo per cui non abbiamo incluso Walsingham fra i santuari mariani: il messaggio, rivelato a Richeldis in una visione privata o in un sogno, era la semplice richiesta di una cappella in onore dell’Incarnazione.

A Zeitoun, e prima ancora a Knock, non è stato comunicato alcun messaggio; lo scopo di queste visioni è dunque materia di congettura. Vi sono differenze di enfasi, ma una sostanziale unità, nei messaggi dei vari santuari; benché Lourdes sembri, per molti versi, “eccentrico”.

C’è anzitutto l’aria di gentilezza e cortesia: “Venite più vicini, figli miei, non abbiate paura: sono qui per portarvi grandi notizie” (La Salette); “Per favore, venite qui per due settimane” (Lourdes). La Signora di Zeitoun si inchina per salutare la folla riunita. La Gospa di Medjugorje ripete il suo ritornello pappagallesco alla fine di ogni messaggio: “Grazie per aver risposto alla mia chiamata”.

C’è sempre la stessa assenza di Cristo, o almeno la sua marginalizzazione come una lontana figura vendicativa, la cui giusta ira è trattenuta dalla Vergine. Anche a Medjugorje Cristo è lontano, benché non temibile; e siamo invitati a “pensare di più a Gesù” il giorno di Natale, e a “fare qualcosa di concreto per Gesù Cristo”: cioè, a “portare un fiore come segno di abbandono a Gesù. Voglio che ogni membro della famiglia abbia un fiore vicino alla mangiatoia, così che Gesù possa vedere voi e la vostra devozione per lui”.

Ci sono sempre gli stessi segreti, gli stessi moniti apocalittici, gli stessi buoni consigli di andare in chiesa e di comportarsi bene, con esortazioni ad “amare”, a “fare penitenza” ed a “pregare”. Il messaggio di Banneux era, letteralmente: “Pregate molto”. Per “preghiera” si intende il rosario, che è costantemente menzionato. Benché i sostenitori di Medjugorje affermino che è la Messa il momento centrale di preghiera, il rosario ha la preminenza. È “la forma di preghiera preferita da Maria” (O'Carroll). “Il rosario è un’arma potente contro Satana... Dobbiamo sconfiggere Satana con il rosario in mano...” (Medjugorje). A Fatima viene promessa l’assistenza nell’ora della morte a coloro che si confessano, ricevono la Comunione il primo sabato di cinque mesi consecutivi e recitano un certo numero di rosari per un certo numero di volte, con la giusta intenzione. Tutti i visionari hanno recitato il rosario, e l’apparizione di Medjugorje compariva regolarmente durante la sua recitazione pubblica. Al piccolo veggente di Fatima fu fatta la promessa che sarebbe andato Paradiso, ma avrebbe dovuto “recitare molti rosari”. Uno dei visionari di Medjugorje ricevette personalmente un rosario dalla Signora (non è chiaro se si sia trattato di una materializzazione); e al Papa ne fu donato uno benedetto appositamente per lui dalla Gospa.

C’è sempre lo stesso insegnamento sul purgatorio e sulla supremazia papale, e la stessa enfasi sul Sacro Cuore di Gesù e sul Cuore Immacolato di Maria. Anche Papa Giovanni Paolo II sostiene il culto del Cuore Immacolato, associandolo con quello del Sacro Cuore. A Fatima si offre la salvezza a coloro che abbracciano il Cuore Immacolato e provvedono alla riparazione dei peccati con i quali è stato offeso il Cuore di Gesù.

C’è sempre lo stesso mercanteggiamento, le stesse promesse e minacce, gli stessi inviti a compiere buone azioni per interesse personale. Se tu fai questo, ti prometto che farò quello: se manchi di fare questo e quello, ti accadrà – o non ti accadrà – così e cosà. “Coloro che indossano la medaglia riceveranno grandi favori, specialmente se la porteranno intorno al collo”. “Se solo i peccatori si pentissero, le pietre e le rocce si trasformerebbero in covoni di grano” (La Salette). “Se la gente farà come dico, molte anime si salveranno e ci sarà la pace” (Fatima). “Se non cambiamo, la punizione sarà terribile” (Garabandal).

Lourdes è, per molti versi, in netto contrasto con quanto sopra. Il rosario è sì prevalente; l’apparizione tiene in mano un rosario e fa scorrere i grani fra le sue dita mentre Bernadette si inginocchia e recita le sue preghiere. Ma, mentre non si fa alcuna menzione di Cristo, non c’è neppure alcuna menzione dei Cuori, del purgatorio, delle minacce apocalittiche e di contrattazioni. Le parole sono poche e concise, per lo più brevi esortazioni: “Andate e baciate la terra per la conversione dei peccatori; Andate e bevete alla sorgente...; Andate e dite ai preti di costruire una cappella su questo luogo”. Il contrasto con la loquacità della Gospa di Medjugorje non potrebbe essere più marcato.

La breve affermazione della visione, “Io sono l’Immacolata Concezione”, ha avuto un impatto maggiore rispetto a qualsiasi altro messaggio dei santuari. I protestanti sono inclini a vedere in tutto ciò nient’altro che un riflesso dell’abilità mentale di Bernadette e della povertà della sua grammatica. Alcuni teologi cattolici, all’epoca, si scervellarono su questa frase e si sentirono a disagio, perché era simile, in modo davvero inquietante, a frasi pronunciate da Dio e da Cristo nel Vecchio e Nuovo Testamento, e sembrava rispecchiare “Io sono la risurrezione”, “Io sono la via, la verità e la vita”. I massimalisti mariani gioirono nel vedere quali onori erano attribuiti alla Vergine in cielo, e si misero ad aspettare peranzosamente ulteriori rivelazioni da parte di future apparizioni, come: “Io sono la mediazione di tutte le grazie”, e “Io sono la corredenzione”. Ma, con loro sommo dispiacere, rimasero delusi, e dovettero accontentarsi di “Io sono la Signora del Rosario” e “Io sono la Vergine dei Poveri”. I minimalisti mariani, invece, insisterono sul fatto che la Vergine limitava volutamente i suoi privilegi a quello dell’Immacolata Concezione, implicando con ciò di non essere la mediatrice di tutte le grazie o la corredentrice. Alcuni ortodossi, nel tentativo di giustificare la loro accettazione dell’apparizione di Lourdes, cercano di sottolineare la data in cui venne fatta la celebre affermazione, vale a dire il il 25 marzo, e affermano che la Vergine non si riferiva alla propria concezione da parte di Sant’Anna, ma alla (sola) Immacolata Concezione del Signore Gesù Cristo il giorno dell’Annunciazione.

>[Nota del curatore: Non è un argomento molto convincente, perché al tempo dell’apparizione (1858) tutti i cristiani ortodossi seguivano il Vecchio Calendario, che allora si trovava dodici giorni indietro rispetto a quello del computo papale.]

L’affermazione dell’apparizione era enigmatica come quelle dell’oracolo delfico; ed ebbe come effetto di affrettare e confermare il dogma dell’Infallibilità papale. Imponendo nel 1854 il dogma dell’Immacolata Concezione, il Papa agì di propria autorità, senza il consenso di un Concilio generale. Per questo fatto fu fortemente criticato in alcune cerchie ecclesiastiche. Quando la Signora di Lourdes annunciò per privilegio il suo nnome dicendo “io sono l’Immacolata Concezione”, non solo provò che il Papa aveva avuto ragione a proclamare il dogma, ma confermò anche la sua capacità di agire da solo: in altre parole, sottintese che la suprema autorità apparteneva soltanto al Papa. L’Infallibilità papale divenne dogma ufficiale nel 1870. Come afferma Alan Neame, Nostra Signora di Lourdes fu in qualche modo la madre dell’Infallibilità papale, e la nonna dei Vecchi Cattolici che, per non accettarla, causarono uno scisma.

Se qualcuno poi dovesse ricordare a sproposito che a Santa Caterina da Siena (XIV secolo), durante la sua visione, Nostra Signora disse di non essere stata concepita in modo immacolato, Roma ha la risposta: anche i santi possono interpretare male le loro rivelazioni, e Caterina era così influenzata dai suoi maestri domenicani, contrari alla dottrina dell’Immacolata Concezione, che “anche nel suo rapimento mistico questa santa donna non poté immergersi sufficientemente in Dio da superare tale suggestione” (Arcivescovo di Split).

I messaggi insoddisfacenti, dunque, sono scartati con la stessa facilità con cui si scartano i visionari insoddisfacenti. Secondo il Dr. Franic, Arcivescovo di Split, nei messaggi si possono facilmente insinuare non solo illusioni umane, ma anche spiriti maligni: ogni messaggio, dunque, deve essere considerato separatamente. In effetti, i messaggi sconvenienti possono essere cancellati, passando così la rivelazione “in lavanderia”. Insomma: fra visionari di dubbia affidabilità che possono essere depositari di autentiche rivelazioni divine, messaggi divini che possono essere male interpretati da visionari santi, o addirittura alterati da spiriti maligni, e cause parapsicologiche che possono essere talvolta l’unica vera origine delle visioni, ci si trova davvero sulle sabbie mobili, e sembra che non ci sia niente di solido su cui potersi basare.

Il nuovo elemento dei messaggi di Medjugorje è quello ecumenico. Il secolo di prove per la Chiesa sta finendo, e la Gospa profetizza, in particolare, un rinnovamento della fede in Russia, “dove Dio sarà glorificato più che in ogni altro luogo”. Se colleghiamo questo messaggio con quello di Fatima relativo alla Russia, con l’appello di Hriushiw agli uniati per una rinnovata attività missionaria in Russia, con il profondo interesse del Papa per la Russia e il suo sostegno a Evangelizzazione 2000, con la sua enfasi sull’ “Europa d’Occidente e d’Oriente”, non possiamo proprio dire di non essere stati avvisati!

La Gospa ha detto che le divisioni fra le religioni sono create dall’uomo; e sembra che abbia anche dichiarato che Dio comanda su tutte le religioni come un re sul suo regno – benché non sia riuscita a trovare questa frase nei libri che ho letto, il che non è affatto sorprendente, poiché le apparizioni sono andate avanti così a lungo, con centinaia di messaggi, che sarebbe impossibile includere tutto ciò che è stato detto. Inoltre, come Padre René Laurentin ha notato in uno dei suoi articoli, Roma ha mostrato preoccupazione riguardo al fatto che alcuni dei messaggi sembrano implicare una certa indifferenza religiosa; perciò è assai probabile che una frase così controversa sia stata soppressa in ogni pubblicazione favorevole alle apparizioni, in quanto una posizione così radicalmente ecumenica non è (ancora) generalmente accettabile. Ho scritto al London Medjugorje Centre per avere chiarimenti su questo punto, ma non ho ricevuto risposta. Sembra che per le religioni non-cristiane sia concepita una sorta di unità senza Cristo. Sembra che gli ecumenisti occidentali abbiano iniziato a discutere sulla necessità di una possibile revisione o modifica della tradizionale concezione incarnazionista, in cui Cristo è l’unica e ultima rivelazione di Dio all’uomo, poiché tale concezione sarebbe incompatibile col dialogo interreligioso. Sia quel che sia, studiando i messaggi di alcuni santuari (Fatima, Zeitoun, Hriushiw, Medjugorje) e i commenti di diversi scrittori, la mia impressione è che il Papa venga considerato il simbolo dell’unità fra i cristiani, che saranno riuniti nonostante le loro differenze dottrinali (soggezione al Papato senza l’unità nella fede), e il padre dei popoli di ogni credo e cultura (la nuova religione mondiale).

La mia reazione iniziale alla lettura dei messaggi dei santuari è stata di profonda delusione. Questi messaggi non sembrano proprio giustificare una visitazione celeste: soprattutto quelli di Medjugorje, che sono scialbi, banali e monotoni – e troppi. Se Dio stesse realmente cercando di parlare, sarebbe impossibile udirlo per l’incessante chiacchierio della Signora. Con un senso di gratitudine, ammirazione, immensa gioia e sollievo sono tornata alla ricchezza e alla profondità delle nostre preghiere ortodosse.

Vi sono ben pochi passi nel Vangelo in cui si riferiscono le parole della Madre di Dio; ma ciascuno di loro è altamente significativo. Si potrebbe passare la vita intera a meditare sulle sue parole, senza esaurirne il significato. La Vergine, altrimenti, è silenziosa, affinché il Figlio – la Parola – possa parlare. Niente può superare i due sublimi titoli della santa Vergine: uno scelto da lei stessa, “serva del Signore”, e l’altro datole dalla Chiesa, Theotokos, Madre di Dio. Né si può aggiungere qualcosa di più importante alle ultime parole che di lei ci sono state riferite, un messaggio che rimane eternamente vero, significativo e universale: “Tutto ciò che vi dirà, fatelo”.

 


Bibliografia

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2) Chapman, Robert—UFO, 1976

3) Condamin, Rev'd A.—The Religion of Ancient Babylonia and Assyria

4) Eysenck, H.J., Arnold, W, Meili, R.,—Encyclopaedia of Psychology, 1972

5) Graef, Hilda—Mary, A History of Doctrine and Devotion, 1963/65

6) Hadas, Moses and Time Life—Imperial Rome, 1966

7) Johnston, Francis—When Millions Saw Mary, 1980

8) Karambelas, Archimandrite Cherubim—Contemporary Ascetics of Mt Athos, 1992

9) Kerr, Lady Cecil—The Miraculous Medal, 1990

10) Khan, Muhammad Zafrulla—The Quran, 1981

11) Kondor, Fr Louis, ed.—Fatima in Lucia's Own Words, 1989

12) Laurentin, Fr Rene—Medjugorje: Thirteen Years Later, 1994

13) Lewis, C. S.—Mere Christianity, 1958

14) Mallon, Rev'd A.,—The Religion of Ancient Egypt

15) Marnham, Patrick—Lourdes: A Modern Pilgrimage, 1980

16) Martindale, Rev'd C.C.,—Bernadette of Lourdes

17) Mascall, E. L. and Box S., ed.—The Blessed Virgin Mary, 1963

18) Maximovitch, Rev'd J [Saint John]—Orthodox Veneration of the Mother of God, 1978

19) Neame, Alan—The Happening at Lourdes, 1968

20) New Larousse—Encyclopaedia of Mythology

21) Newbolt, Rev'd M. R.,—The Blessed Virgin Mary, 1926

22) O'Carroll, Fr Michael—Medjugorje: Facts, Documents, Theology, 1989

23) Plunkett, Dudley—Queen of Prophets, 1990

24) Rose, Fr Seraphim—Orthodoxy and the Religion of the Future, 1983

25) Seward, Desmond—The Dancing Sun, 1993

26) Walne, Damien and Flory, Joan—The Virgin of the Poor, 1983

27) Wiles, Maurice—Christian Theology and Inter-religious Dialogue, 1992

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  Una metafora sul ministero papale

Di Janet Bear

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Questa riflessione, tratta da un gruppo di discussione in Internet, è di Janet Bear, una nostra corrispondente di Portland (Oregon), scrittrice e giornalista, membro della Chiesa Ortodossa in America.

 

Penso che una grande fonte di disunione tra gli ortodossi e i cattolici romani non sia tanto il "ministero petrino" o il "primato del Papa", come se ciò fosse un dato positivo che gli ortodossi abbiano scelto di negare. Piuttosto, si tratta di un senso di conciliarità (sobornost) che viene rigettata dal primato papale.

Considerate come metafora un coro "a cappella". Tentiamo di cantare in armonia, ma tranne la nota di apertura, non c'è uno strumento "esterno" che ci mantiene in tono. Non c'è un organo che sommerge le voci o un pianoforte che dice a tutti noi esattamente su che nota dobbiamo intonarci: dobbiamo ascoltarci gli uni con gli altri.

Quando Chomjakov scrisse che tutti i protestanti sono cripto-papisti e tutti i papisti sono cripto-protestanti, stava affermando che la cristianità occidentale ha molti più punti in comune che punti di differenza. Il processo dell'autorità esterna (quale che sia l'organo, il Papa o la Bibbia) è differente dal processo della conciliarità nell'Ortodossia.

Per noi, per essere autentici nella nostra teologia, la Verità si trova nella pienezza della comunità.

Il prezzo della conciliarità è che richiede tempo; è disorganizzata, e sembra sempre che stiano vincendo i prepotenti. La sua forza è che, quando la risposta giunge veramente dalla pienezza della comunità, questa risposta rimane. Il vescovo locale (anche se in Occidente potrebbe essere più "locale" di quanto sia ora) ha un migliore senso della situazione locale di quanto lo abbia qualcuno in capo al mondo. Nonostante la nostra diversità di espressione, abbiamo una profonda unità di fede.

L'unità del ministero petrino, come si è giunti a definirla, è l'unità dell'organo in relazione al coro.

Janet Bear (Portland, OR - USA)

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  Come trovare un terreno comune tra ortodossi e protestanti

Risoluzione parziale delle difficoltà protestanti con la teologia ortodossa

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L'autore di questo testo, Daniel Lieuwen, lettore della Chiesa Ortodossa Russa all'Estero, è un convertito all'Ortodossia dal Protestantesimo. Di professione ricercatore informatico nel campo dei sistemi operativi, è autore di uno studio storico sulla nascita del Canone del Nuovo Testamento, che esamina molte pratiche a cui i protestanti muovono obiezioni, mostrando come tali pratiche siano anteriori all'accettazione comune del Libro dell'Apocalisse e alla rimozione di altri libri (come Il Pastore di Erma) dal Canone. In questo saggio si occupa di due tipiche obiezioni protestanti all'Ortodossia: la natura della fede e il valore delle icone.

Il testo originale inglese appare sul sito della Chiesa Ortodossa di San Nicola, www.orthodox.net; la traduzione italiana è stata riveduta dall'autore.

 

La questione del Protestantesimo classico e dell'Ortodossia sulla fede:

Qual è la relazione tra fede e opere? Mentre vi sono forti differenze teoriche tra gli ortodossi e i protestanti classici sulla fede, esistenzialmente, il divario è meno severo. (Abbrevierò talvolta i "protestanti classici" come "protestanti" in questo brano: vi sono molti protestanti non classici di cui non considererò le idee. Coloro che pensano di poter avere Cristo come Salvatore ma non come Signore, mostrano uno spirito antinomico così estremo che è difficile considerarli cristiani anche nel senso più nominale della parola. I musulmani e gli ebrei ortodossi, con la loro riverenza per la legge di Dio sembrano più vicini allo spirito del cristianesimo di quanto lo siano questi "cristiani"). Sia gli ortodossi che i protestanti sono teoricamente d'accordo che senza l'azione di Dio nell'Incarnazione, l'uomo non può lasciare il proprio stato innaturale e peccaminoso, e giungere a Dio: ha bisogno della grazia. Avendo concordato su questo punto, essi sono in disaccordo sulla funzione delle opere. Parte del problema è che gli ortodossi sono ben più reticenti dei protestanti a parlare della salvezza come di un evento singolo. Piuttosto, la nostra salvezza e la nostra santificazione sono viste come parte di un processo continuo, cosicché per essere tecnicamente corretti non si potrebbe parlare di essere stati salvati senza parlare di essere nel processo della propria salvezza, e sperando infine di essere salvati al Giudizio Finale in modo conclusivo e decisivo.

È chiaro sia ai protestanti che agli ortodossi che le buone opere sono essenziali nel processo di santificazione. Esistenzialmente, i protestanti riconoscono che la vera fede deve necessariamente produrre buone opere. Se la fede di una persona non produce opere, essi avvertirebbero tale persona di considerare che potrebbe non avere una vera fede. Ciò a cui muovono obiezioni è il dire che queste buone azioni ci salvano. È pericoloso essere troppo precisi in queste materie. Sappiamo che Cristo dice che se lo amiamo gli obbediremo. Dobbiamo amarlo per entrare nel suo regno. Non possiamo amarlo senza fede. Non possiamo essere salvati senza la sua salvifica Passione e Risurrezione. Sappiamo che senza le opere la fede è morta. In tutti questi punti, protestanti e ortodossi sono d'accordo.

Le due posizioni sull'elezione dei protestanti partono con la stessa premessa di "Sola Fide'' (per fede sola). Tuttavia, in pratica, per strade molto differenti, entrambi rendono questa dichiarazione molto meno estrema di quanto sembri a prima vista agli ortodossi.

Quei protestanti che credono (così come gli ortodossi) nella possibilità di perdere la propria salvezza, riconoscono che il peccato ripetuto e impenitente causerà la perdita della propria salvezza, perché coloro che vi indulgono alla fine si ritroveranno con una coscienza così indurita che la fede morirà. Pertanto, in tale posizione, le opere sono necessarie per la salvezza. (Giungeremo in seguito al caso speciale delle conversioni sul letto di morte.) Quelli che credono che non si possa perdere la propria salvezza usano un espediente differente. È chiaro che molte persone che vivono inizialmente in modo molto devoto finiscono per voltare le spalle a Dio. Coloro che credono nella sicurezza eterna di solito affrontano questi casi dicendo che chi si trova in queste circostanze non aveva mai avuto una vera fede. Tuttavia, sul piano esistenziale, tale persona è indistinguibile, nel proprio periodo pio, da chi di fatto persevererà sino alla fine. Uno non può sapere se si sta meramente ingannando o se ha una vera fede. Solo la perseveranza sino alla fine, che comporta buone opere compiute per gratitudine a Dio, dimostra la genuinità della fede in tale posizione. Tuttavia, ciò non è lungi da dire che le opere sono necessarie alla salvezza, per lo meno esistenzialmente.

Inoltre, gli ortodossi sono d'accordo nel dire che la fede è la più grande delle opere. Perciò, la persona che si converte sul proprio letto di morte o sulla croce, benché non abbia opere materiali, ha di fatto l'opera della fede. Ciò non è distante, nel concetto se non nella terminologia, dalla posizione sostenuta in materia da entrambe le scuole del protestantesimo.

Non ne derivo alcuna grande teoria riguardo a ciò che avviene nei progetti eterni di Dio. Certamente, le briciole di opere della nostra vedova non aggiungono niente all'infinita riserva di bontà di Dio. E tuttavia, Egli le onora. Sulla terra, vediamo la necessità per noi stessi delle buone opere per appropriarci del libero dono di Dio che è la salvezza. Inoltrarci in speculazioni sulla funzione esatta della grazia e delle opere sembra ricondurci alla fine a questa conclusione.

 

La questione del valore delle icone nella vita cristiana

Com'è che le icone sono di beneficio al vostro cammino con Dio? Potrei procedere parlando della teologia dell'Incarnazione e di come l'apparizione di Cristo nella carne santifichi tutta la materia. Potrei raccontare di come certe parti del giudaismo nell'era del Nuovo Testamento usassero le icone, e come l'uso cristiano possa essere considerato un proseguimento della pratica ebraica della Chiesa, molto simile all'uso dei Salmi nel culto pubblico e nelle ore di preghiera (Atti 3:1), continuato fino a oggi nella Chiesa ortodossa e nei monasteri cattolici romani, e reintrodotto nel protestantesimo al Taizé, in Francia. Potrei parlare dell'importanza dell'obbedienza alla Chiesa. Tuttavia, temo che questi punti non vi impressionerebbero molto, cosicché userò un approccio differente. Le icone ci rimandano alla "grande nube di testimoni" che ci circonda. Vedere le icone ci ricorda vite cristiane eroiche e ci stimola a emularle. Per esempio, io possiedo icone dei due grandi santi missionari, i Santi Innocenzo d'Alaska e Nicola del Giappone. Questi uomini diedero tutto di se stessi al Vangelo, soffrendo molte privazioni, benché in modi differenti. le loro tecniche missionarie sono studiate ancor oggi anche dai missiologi protestanti. Vedere le loro icone dovrebbe ricordarmi (e talora mi ricorda) dell'importanza dell'opera missionaria e di dare tutto di se stessi al Regno. Ho un'icona dell'Apostolo Sila, il compagno dei viaggi di San Paolo. È il patrono del Ministero Ortodosso delle Prigioni e delle Strade, e nell'icona indossa catene di ferro. La sua icona mi ricorda di pregare per i prigionieri. Ho un'icona di San Serafino di Sarov, donatami al convento che ho visitato a San Francisco. Mi ricorda il convento. Mi ricorda pure il detto di San Serafino: "Acquisisci lo Spirito Santo, e migliaia intorno a te acquisiranno la salvezza." Potrei espandere questi esempi all'infinito. In breve, le icone fanno la stessa cosa delle Feste della Chiesa (il Natale, la Pasqua, l'Epifania che celebra il battesimo di Cristo): ci richiamano le parti importanti della storia della salvezza, una storia che continua fino a oggi. Ci ricordano che altri hanno fatto cose meravigliose per Dio, e ci incoraggiano a farle a nostra volta, sapendo da questi esempi che ne abbiamo la possibilità, se vorremo sforzarci a tal fine con l'aiuto di Dio, ma solo se siamo disposti a dare in cambio non meno di tutto. In più, le icone servono alla funzione di ritratti di famiglia. Così come ho i ritratti della mia famiglia a casa mia, e i miei genitori hanno i quadri dei loro antenati, così le icone sono i ritratti dei nostri progenitori spirituali. Le custodiamo perché amiamo e rispettiamo e abbiamo un grande debito nei confronti di coloro che ci hanno aiutato a giungere alla fede, anche se molto indirettamente, convertendo qualcuno che ha convertito qualcun altro... che ha convertito (o aiutato a rafforzare nella fede o accrescere nella propria convinzione) qualcuno che ci è stato di beneficio spirituale. Siamo tutti una famiglia, sia in cielo che in terra. I membri di una famiglia amano avere i ritratti degli altri membri della famiglia, perché vogliono loro bene. La conoscenza del mio debito mi rende molto interessato a San Bonifacio, missionario in Frisia, da dove proviene mia madre. Egli fu martirizzato là. Pertanto, ho comprato libri che parlavano di lui. I miei genitori hanno trovato del materiale che parlava di lui a Dokkum (dove fu martirizzato) mentre visitavano i Paesi Bassi. Ho nei suoi confronti un grande debito, perché fu la figura di punta della conversione dei miei antenati. Anche se non ho ancora acquistato una sua icona (la sto cercando), ho trovato alcune belle litografie nei libri che ho comprato. Vorrei acquistare un'icona, ma non ne ho ancora trovata una. Potrei commissionarne una, così come qualcuno potrebbe commissionare un ritratto di un distinto antenato, poiché si tratta del mio antenato spirituale. Tuttavia, le icone non sono solo i simboli del nostro amore. Non si limitano a richiamarci la "grande nube di testimoni", ma ci aiutano a sperimentarla. La grande nube di testimoni è là sia che ne siamo consapevoli o no. La sua presenza ci è di beneficio sia che lo comprendiamo o no, poiché la Chiesa militante e la Chiesa trionfante sono una Chiesa sola, e le preghiere in cielo ci aiutano. Tuttavia, la nostra consapevolezza della "grande nube di testimoni" ci aiuta in altri modi. Ci dà coraggio, poiché ci sono intorno a noi coloro che ci amano e che vogliono ciò che è meglio per noi. Scoraggia il vizio, poiché un ricordo che siamo circondati da coloro che ci amano ci fa desiderare di evitare di fare cose che potrebbero deluderli. Sperimentare la presenza dei santi ci richiama la presenza di Dio: una cosa che dovremmo sempre avere in mente, ma che frequentemente dimentichiamo.

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  Qual è la Bibbia della Chiesa Ortodossa?
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La Chiesa Ortodossa usa come base dell'Antico Testamento la versione detta dei Settanta (indicata con la sigla del numerale romano, LXX), ovvero il testo alessandrino in greco, risalente al terzo secolo prima dell'era cristiana. Questa, assieme al Nuovo Testamento greco (il textus receptus che è rimasto immutato - per lo meno nella versione greca - fino a oggi), è la Bibbia che gli ortodossi ritengono ispirata.

Nel mondo protestante (e più recentemente in certe tendenze esegetiche all'interno del cattolicesimo romano) si è venuta a radicare l'idea che il testo ispirato dell'Antico Testamento sia quello originale ebraico, che oggi si vuole ravvisare nel Testo Masoretico (T.M.). La conseguenza è quella di ridurre la LXX a una mera creazione umana.

La Bibbia dei Settanta, indubbiamente opera di ebrei (per quanto commissionata da un'autorità statale pagana), rivela non solo i pensieri dei traduttori, ma anche il loro sforzo di esprimere le Scritture in una lingua che fino a quel punto non aveva parole appropriate per molte idee religiose del popolo ebraico. È proprio a causa di queste difficoltà di traduzione che si fa strada - a partire dalle parole nel prologo del libro del Siracide fino alle teorie di san Girolamo - l'idea che il testo ebraico vada conservato come base di ogni futura traduzione dell'Antico Testamento. Purtroppo, questa soluzione crea più problemi di quanti ne risolva.

Innanzitutto, la versione dei Settanta possiede una serie di libri (soprattutto sapienziali) che non si trovano nelle precedenti versioni in ebraico (il cosiddetto canone palestinese) dell'Antico Testamento. Questi testi, detti deuterocanonici, ovvero del solo "secondo canone" (alessandrino) delle Scritture, sono espunti da ogni Bibbia cristiana che pretenda di rifarsi al solo testo originale ebraico. In questo modo, però, non si tiene conto che i testi deuterocanonici facevano davvero parte delle Sacre Scritture per una consistente parte del popolo ebraico, e che vengono citati come tali anche nel Nuovo Testamento. La loro esautorazione è frutto di decisioni prese nel mondo ebraico dopo la nascita della Chiesa cristiana, e tali decisioni non furono immuni da intenti polemici con i cristiani.

Al tempo della nascita del Signore, la LXX era la versione comunemente diffusa dell'Antico Testamento, anche in Palestina, dove nessuno metteva in dubbio la sua autorità. Non è pertanto una sorpresa che, al momento della stesura dei propri scritti, gli Apostoli l'abbiano usata di frequente per fare le citazioni (circa l'80% di quelle presenti nel Nuovo Testamento). Questo stesso fatto - assieme alla maggiore aderenza teologica (se non testuale) delle traduzioni della LXX ai fondamenti della fede cristiana - richiama il valore dell'ispirazione dell'Antico Testamento greco alla luce dell'ispirazione del Nuovo Testamento.

La LXX ha una evidente connessione con il Nuovo Testamento quanto a fraseologia generale: un punto che deve essere considerato per chi desidera fare una valutazione adeguata del linguaggio biblico. In molti passi neotestamentari, anche se non vi sono dirette citazioni, si ritrova l'uso di catene di espressioni prese da parole e frasi della LXX.

Bisogna tenere altresì presente la crescente avversione degli ebrei, che fino ai tempi di Cristo avevano trattato la LXX con grande venerazione (come testimoniano gli scritti di Filone e Giuseppe Flavio), quando si accorsero il testo poteva essere usato contro di loro nelle argomentazioni teologiche. Il loro tentativo di privare il testo di ogni autorità segnò un ulteriore distacco dai cristiani provenienti dal paganesimo, che generalmente non avevano familiarità con la lingua ebraica. Allo stesso modo, il rigetto della LXX da parte degli ebrei veniva visto dai cristiani come prova di irriverenza e di cecità.

Un altro punto da considerare è la datazione storica dei testi giunti fino a noi: la LXX, per quanto molto posteriore al testo ebraico nella sua stesura iniziale, è oggi attestata in manoscritti (come il Codice Vaticano a Roma, i Codici Alessandrino e Sinaitico al British Museum, e i frammenti Washington e Chester Beatty) che precedono di oltre sei secoli la versione più antica del Testo Masoretico (il Codice di San Pietroburgo) oggi conservata.

La scoperta dei rotoli del Mar Morto a Qumran, da alcuni salutata come il trionfo dell'autorevolezza del Testo Masoretico, ha di fatto riproposto il problema dell'importanza della LXX presso gli ebrei ai tempi di Cristo: infatti, circa il 5% dei testi biblici in ebraico di Qumran segue la versione della LXX, con una sorprendente aderenza testuale. Questo potrebbe indicare che l'autorità della LXX era tale da giustificare una sua ri-traduzione letterale nella lingua di origine.

Una delle ragioni per un ritorno all'uso della LXX è la comprensione dei Padri della Chiesa. Molte allusioni nei loro scritti sono totalmente incomprensibili al di fuori di una familiarità con il testo dei Settanta, e senza questa base di partenza non si riesce più a seguire importanti discussioni dottrinali (come quelle relative alla controversia ariana).

Sul cammino ecumenico, bisogna ragionare attentamente sul fatto che gli sforzi di introdurre versioni dell'Antico Testamento basati sulla versione ebraica hanno incontrato presso i cristiani d'Oriente un completo fallimento. Una delle ragioni portate da San Girolamo per la preferenza al testo ebraico dell'Antico Testamento (che egli usò per la sua Vulgata latina) era la necessità di mantenere una continuità di dialogo con gli ebrei. Sarebbe quanto meno deludente che le stesse ragioni portassero a un'impasse nel dialogo tra i cristiani.

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  Sola Scriptura - "Nella vanità delle loro menti"

Un esame ortodosso dell'insegnamento protestante

di Padre John Whiteford

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Da The Christian Activist - A Journal of Orthodox Opinion

Nostra traduzione italiana, pubblicata con il cortese permesso dell’autore

Padre John Whiteford è il rettore della Chiesa di San Giona della Manciuria a Houston, Texas (http://www.saintjonah.org/); prima di convertirsi alla Fede ortodossa, era un Pastore associato della Chiesa Evangelica del Nazareno, poco dopo avere completato il suo baccalaureato in scienze religiose alla Southern Nazarene University di Bethany, Oklahoma. Il suo primo incontro con l'Ortodossia fu un risultato del suo coinvolgimento con il locale Movimento per la Vita, che includeva anche Padre Anthony Nelson e diversi dei suoi parrocchiani. Dopo oltre un anno di ricerche nelle Sacre Scritture e negli scritti della Chiesa primitiva, e attraverso l'amore, le preghiere e la pazienza di Padre Anthony e dei parrocchiani di San Benedetto, John Whiteford fu ricevuto nella Santa Chiesa Ortodossa. Quando scrisse questo articolo era in servizio come Lettore alla Parrocchia di San Vladimir a Houston, Texas, e stava continuando i suoi studi.

Nella foto: Padre John Whiteford

Un esame ortodosso dell'insegnamento protestante  

Introduzione: I protestanti sono al di là di ogni speranza?

Dalla mia conversione dal protestantesimo evangelico alla Fede ortodossa, ho notato uno stupore generale, tra molti di quelli che erano cresciuti come ortodossi, che un protestante potesse convertirsi. Questo non è perché essi siano incerti della propria fede, di solito sono soltanto stupiti che qualcosa possa fare breccia nell'ostinata insistenza di un protestante a essere nel torto! Sono giunto a comprendere che la maggior parte degli ortodossi hanno una comprensione confusa e limitata di ciò che è il protestantesimo, e di dove vengono i suoi aderenti. Così quando i fedeli ortodossi "etnici" hanno i loro incontri con i protestanti, anche se spesso usano le stesse parole, generalmente non comunicano, perché non parlano lo stesso linguaggio teologico e, in altre parole, non hanno basi teologiche comuni per discutere le loro differenze. Naturalmente, quando si considerano i circa ventimila o più differenti gruppi di protestanti oggi esistenti (con la sola e unica costante che ogni gruppo sostiene di comprendere rettamente la Bibbia), uno può sentirsi certamente solidale con coloro che ne sono un po' confusi.

Nonostante tutti gli ostacoli sul loro cammino, c'è decisamente speranza per i protestanti. I protestanti in cerca di sanità teologica, di vero culto, e dell'antica Fede cristiana stanno praticamente battendo alla porta della nostra Chiesa (naturalmente questa può sembrare una strana asserzione a quanti non vi prestano attenzione). Non sono più soddisfatti delle contraddizioni e della mutevolezza dell'America protestante contemporanea, ma quando apriamo le porte a questi ricercatori dobbiamo essere preparati. Questa gente ha domande da fare! Molti tra questi ricercatori sono ministri protestanti, o sono tra i laici meglio informati; sono sinceri ricercatori della Verità, ma hanno molto da disimparare, e ci vogliono cristiani ortodossi informati per aiutarli a districarsi in tali questioni; cristiani ortodossi che sanno da dove vengono i protestanti, ma, cosa anche più importante, che sanno ciò in cui credono essi stessi!

Ironicamente (o provvidenzialmente) questa crescita di interesse per l'Ortodossia tra gli americani di ceppo protestante è arrivata allo stesso tempo in cui l'apertura delle porte del ex-blocco comunista ha portato sui suoi popoli ortodossi una invasione senza precedenti da parte di ogni setta o gruppo religioso. All'avanguardia, gli evangelici e pentecostali americani sono entrati inciampandosi gli uni sugli altri e su ciascuno dei propri scismi, cercando di vantare la prestigiosa pretesa di essersi attestati anch'essi tra i russi senza Dio! Così a noi ortodossi si presenta una doppia urgenza: da un lato, c'è l'impegno missionario di presentare la nostra fede ai protestanti qui in Occidente; ma dall'altro lato, dobbiamo combattere con zelo la diffusione delle eresie tra gli ortodossi, sia qui che nei paesi tradizionalmente ortodossi. In entrambi i casi, il primo compito è di equipaggiarsi con una sufficiente conoscenza e comprensione delle questioni che ci confrontano.

Forse l'aspetto più scoraggiante del protestantesimo - quello che gli ha dato una reputazione di ostinata elasticità - sono le sue numerose differenze e contraddizioni. Come la mitica idra, le sue teste non fanno che moltiplicarsi, e benché sia un degno compito quello di cercare di comprendere e di confrontare individualmente tali eresie, questa non è la chiave alla loro sconfitta. Per comprendere le credenze particolari di ogni singolo gruppo, ci vuole una conoscenza della storia e dello sviluppo del protestantesimo in generale, un grande sforzo di ricerca in ciascun filone principale della teologia protestante, del culto, e via dicendo, oltre a molte letture di attualità per comprendere alcune delle più importanti tendenze oggi all'opera (quali il liberalismo, o l'emozionalismo). E anche con tutto ciò, non si può sperare di restare al corrente dei nuovi gruppi che nascono quasi quotidianamente. Eppure, per tutte le loro differenze, c'è un solo assunto di base che unisce la massa amorfa di queste migliaia di gruppi disparati nella categoria generale dei "protestanti." Tutti i gruppi protestanti (con qualche qualificazione minore) ritengono che il proprio gruppo abbia rettamente compreso la Bibbia, e anche se nessuno è d'accordo su quanto la Bibbia dice, sono generalmente d'accordo su come uno debba interpretare la Bibbia: da sé, e non tramite la Tradizione della Chiesa. Se si può arrivare a capire questa credenza, il perché è sbagliata, e come sia un corretto approccio alle Scritture, allora si può chiamare alla comprensione ogni protestante, di qualsiasi sfumatura. Anche gruppi tanto differenti tra loro come i battisti e i testimoni di Geova non sono in realtà tanto diversi quanto appaiono esteriormente, una volta che si sia compreso questo punto essenziale, e per la verità se avrete mai un'opportunità di vedere un battista e un testimone di Geova argomentare sulla Bibbia, noterete in ultima analisi che finiscono per citare passi differenti delle Scritture avanti e indietro l'uno all'altro. Se sono di pari calibro intellettuale, nessuno dei due otterrà risultati dalla discussione; poiché entrambi concordano essenzialmente sul loro approccio alla Bibbia, e poiché nessuno dei due mette in questione questa assunzione comune di base, nessuno può vedere che il vero problema è il loro approccio mutuamente erroneo alle Scritture. Qui sta il cuore dell'idra delle eresie: colpite il suo cuore, e le sue molte teste cadranno subito senza vita al suolo.  

Perché la Scrittura da sola?

Se dobbiamo comprendere ciò che pensano i protestanti, dobbiamo prima sapere perché credono quello che credono. Di fatto dobbiamo metterci al posto di quei primi riformatori, come Martin Lutero, e dobbiamo certamente avere un certo apprezzamento per le loro ragioni di sostenere la dottrina della Sola Scriptura. Quando si considera la corruzione nella chiesa romana del tempo, gli insegnamenti degenerati da questa promossi, e la comprensione distorta della tradizione che usava per difendere se stessa - oltre al fatto che l'Occidente era da diversi secoli rimosso da qualunque contatto significativo con il proprio retaggio ortodosso - è difficile immaginare come uno quale Lutero avesse potuto rispondere, entro tali limitazioni, con risultati significativamente migliori. Come avrebbe potuto Lutero appellarsi alla tradizione per combattere questi abusi, quando la tradizione (come tutti nell'Occidente romano erano indotti a pensare) era personificata da quello stesso papato che era responsabile di tali abusi? Per Lutero, era la tradizione che aveva sbagliato, e dovendo riformare la Chiesa avrebbe dovuto farlo con il sostegno sicuro delle Scritture. E tuttavia, Lutero non cercò mai veramente di eliminare del tutto la tradizione, né mai usò le Scritture realmente "da sole"; ciò che cercò davvero di fare fu di usare la Scrittura per sbarazzarsi delle parti corrotte della tradizione romana. Sfortunatamente la sua retorica superò di gran lunga la sua pratica, e riformatori più radicali portarono l'idea della Sola Scriptura alle sue logiche conclusioni.  

Problemi con la dottrina della Sola Scriptura  

A. È una dottrina basata su di un numero di falsi assunti

Un assunto è qualcosa che diamo per scontato fin dall'inizio, di solito in modo piuttosto inconsapevole. Fintanto che un assunto è valido, tutto va bene; ma un falso assunto inevitabilmente conduce a false conclusioni. Si potrebbe sperare che, quando uno è partito da un falso assunto inconscio, al momento in cui le sue conclusioni vengono provate false, si chieda a quel punto dove fosse il suo errore di partenza. I protestanti che hanno voglia di valutare onestamente lo stato attuale del mondo protestante, devono chiedersi il perché, se il protestantesimo e il suo insegnamento basilare della Sola Scriptura vengono da Dio, ciò ha dato per risultato oltre ventimila gruppi differenti che non riescono a essere d'accordo su aspetti di base di quanto la Bibbia dice, o persino su che cosa mai significhi essere cristiano. Perché (se la Bibbia è sufficiente, e distinta dalla Santa Tradizione) un battista, un testimone di Geova, un pentecostale e un metodista possono tutti sostenere di credere a quello che la Bibbia dice, eppure non riuscire a essere d'accordo tra loro su che cosa sia quello che la Bibbia dice? Ovviamente, questa situazione in cui i protestanti si sono trovati è sbagliata sotto ogni punto di vista. Sfortunatamente, la maggior parte dei protestanti è disposta a dare la colpa di questo triste stato di cose a pressoché qualsiasi causa, tranne il problema di fondo. L'idea della Sola Scriptura è tanto basilare per il protestantesimo, che per loro metterla in discussione è pari a negare Dio, ma come disse il nostro Signore, "ogni albero buono produce frutti buoni; ma l'albero cattivo produce frutti cattivi." (Matteo 7:17). Se giudichiamo la Sola Scriptura dal suo frutto, non ci resta altra conclusione che questo albero deve essere "tagliato, e gettato nel fuoco." (Matteo 7:19).  

Falso assunto # 1:  

La Bibbia doveva essere l'ultima parola su fede, pietà e culto.

a) La Scrittura insegna che essa stessa è "sufficiente in tutto?"

L'assunto più ovvio alla base della dottrina della Sola Scrittura è che la Bibbia abbia in sé tutto quanto è necessario per tutto quanto concerne la vita del cristiano, e tutto quanto sarebbe necessario per la vera fede, pratica, pietà e culto. Il passo scritturale più usualmente citato per sostenere questa nozione è:

"...sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l'uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera." (II Timoteo 3:15-17).

Coloro che vorrebbero usare questo passo per suffragare la Sola Scriptura argomentano che il passo insegna la "totale sufficienza" della Scrittura - poiché, "se, in verità, le Sacre Scritture sono in grado di rendere perfetto l'uomo pio... allora, invero per ottenere completezza e perfezione, non c'è bisogno di tradizione."(1) Ma che cosa si può dire di reale su questo passo?

Per iniziare, dovremmo chiederci di che cosa stia parlando Paolo quando parla delle Scritture che Timoteo ha conosciuto sin da bambino. Possiamo essere sicuri che Paolo non si riferisca al Nuovo Testamento, poiché il Nuovo Testamento non era ancora stato scritto quando Timoteo era un bambino - di fatto non era neppure stato completato mentre Paolo scriveva questa epistola a Timoteo, né tanto meno raccolto assieme nel Canone del Nuovo Testamento così come lo conosciamo. Ovviamente qui, e nella maggior parte dei riferimenti alle "Scritture" che troviamo nel Nuovo Testamento, Paolo sta parlando dell'Antico Testamento; così, se il passo deve essere usato per fissare i limiti dell'autorità ispirata, non ne verrebbe esclusa solo la Tradizione, ma questo passo stesso e l'intero Nuovo Testamento.

In secondo luogo, se Paolo intendeva escludere la tradizione come una cosa non profittevole, allora dovremmo chiederci perché Paolo usa tradizione orale non-biblica in questo stesso capitolo. I nomi Ianne e Iambre non si trovano nell'Antico Testamento, eppure in II Timoteo 3:8 Paolo riferisce che si opposero a Mosè. Paolo sta traendo dalla tradizione orale che i nomi dei due più prominenti maghi egiziani del racconto dell'Esodo (cap. 7-8) fossero "Ianne" e "Iambre."(2) E questa non è in alcun modo l'unica volta in cui una fonte non-biblica è usata nel Nuovo Testamento: l'istanza più nota è nell'Epistola di San Giuda, che cita dal Libro di Enoch (Giuda 14,15 cf. Enoch 1:9).

Quando la Chiesa canonizzò ufficialmente i libri della Scrittura, il proposito principale per stabilire una lista autorevole di libri da ricevere come Sacra Scrittura era quello di proteggere la Chiesa da libri spurii che vantavano un'autorità apostolica, ma che erano di fatto opera di eretici (per esempio, il Vangelo di Tommaso). I gruppi eretici non potevano basare i loro insegnamenti sulla Santa Tradizione, poiché i loro insegnamenti avevano origine dal di fuori della Chiesa, cosicché l'unico modo di vantare una base di autorità per le loro eresie era di distorcere il significato delle scritture e di fabbricare nuovi libri a nome di apostoli o di santi dell'Antico Testamento. La Chiesa si difese contro gli insegnamenti eretici appellandosi alle origini apostoliche della Santa Tradizione (provata dalla Successione Apostolica, ovvero il fatto che i vescovi e i dottori della Chiesa possono dimostrare storicamente la loro discendenza diretta dagli Apostoli), e appellandosi alla universalità della Fede ortodossa (e cioè che la fede ortodossa sia la stessa fede che i cristiani ortodossi hanno sempre accettato attraverso tutta la storia e in tutto il mondo). La Chiesa si difese da libri spurii ed eretici stabilendo una lista autorevole di libri sacri, che furono ricevuti dalla Chiesa come divinamente ispirati e di genuina provenienza dall'Antico Testamento o dagli apostoli.

Stabilendo la lista canonica delle Sacre Scritture, la Chiesa non intendeva implicare che tutta la Fede cristiana e tutte le informazioni necessarie al culto e al buon ordine nella Chiesa vi fossero contenute.(3) Un dato al di là di seri dubbi è che al tempo in cui la Chiesa stabilì il Canone delle Scritture, essa era essenzialmente nella propria fede e culto indistinguibile dalla Chiesa dei periodi successivi: questa è una certezza storica. Per quanto riguarda la struttura dell'autorità della Chiesa, la questione del Canone fu risolta da vescovi ortodossi, riuniti in vari concili - e questo è fino a oggi il modo in cui nella Chiesa ortodossa si risolve qualsiasi questione di dottrina o disciplina.  

b) Qual'era il proposito degli scritti del Nuovo Testamento?

Negli studi biblici protestanti si insegna (e in questo caso penso che sia un insegnamento corretto) che quando studi la Bibbia, tra molte altre considerazioni, devi considerare il genere (o tipo letterario) della letteratura che stai leggendo in un passo particolare, poiché generi differenti hanno usi differenti. Un’altra considerazione, naturalmente, è il soggetto e proposito del libro o passo di cui stai trattando. Nel Nuovo Testamento abbiamo quattro ampie categorie di generi letterari: vangelo, narrazione storica (Atti), epistola, e il libro apocalittico/profetico, la Rivelazione. I Vangeli furono scritti per testimoniare la vita, morte e risurrezione di Cristo. Le narrazioni storiche bibliche raccontano la storia del popolo di Dio e anche le vite di figure significative in tale storia, mostrando la provvidenza di Dio in mezzo a tutto ciò. Le Epistole furono scritte soprattutto per rispondere a problemi specifici sorti in varie Chiese; pertanto, le cose che erano date per scontate e capite da tutti, e non erano considerate problemi, non venivano generalmente trattate in dettaglio. Le questioni dottrinali che venivano trattate erano di solito dottrine discusse o mal comprese.(4) Le questioni di culto venivano trattate solo quando c’erano problemi ad esse legati (per esempio, I Corinzi 11-14). Gli scritti apocalittici (come la Rivelazione) furono scritti per mostrare il trionfo ultimo di Dio nella storia.

Prima di tutto, notiamo che nessuno di questi generi letterari presenti nel Nuovo Testamento hanno il culto come oggetto principale, e che essi non avevano lo scopo di offrire dettagli sul culto nella Chiesa. Nell’Antico Testamento vi sono trattati dettagliati (anche se non del tutti esaustivi) sul culto del popolo di Israele (e.g. Levitico, Salmi) e nel Nuovo Testamento vi sono solo magri cenni al culto dei primi cristiani. E perché? Certamente non perché mancassero di una regola nei propri servizi: gli storici della liturgia hanno accertato che i primi cristiani continuavano a compiere atti di culto rigidamente basati sullo schema del culto ebraico ereditato dagli Apostoli.(5) Tuttavia, anche i pochi riferimenti al culto della Chiesa primitiva nel Nuovo Testamento mostrano che, lungi dall’essere un gruppo selvaggio di "pentecostali" di libero spirito, i cristiani nel Nuovo Testamento avevano lo stesso culto liturgico dei loro antenati: osservavano le ore di preghiera (Atti 3:1); partecipavano al culto del tempio (Atti 2:46, 3:1, 21:26); e nelle sinagoghe (Atti 18:4).

Dobbiamo anche notare che nessuno dei tipi di letteratura presenti nel Nuovo Testamento ha come proprio scopo l’istruzione dottrinale completa, e che non vi si trovano un catechismo o una teologia sistematica. Se tutto ciò di cui abbiamo bisogno come cristiani è la Bibbia da sola, perché non vi si trova qualche dichiarazione dottrinale completa? Immaginate quanto facilmente tutte le varie controversie si sarebbero risolte se la Bibbia avesse dato una risposta chiara alle domande dottrinali. Ma per convenienti che fossero, queste cose non si trovano tra i libri della Bibbia.

Che nessuno fraintenda il ragionamento che stiamo facendo: niente di quanto diciamo è inteso a minimizzare l’importanza delle Sacre Scritture: che Dio ce ne scampi! Nella Chiesa Ortodossa le Scritture sono ritenute pienamente ispirate, inerranti e autorevoli; ma il fatto è che la Bibbia non contiene in sé un insegnamento su ogni punto di importanza per la Chiesa. Come già detto, il Nuovo Testamento dà pochi dettagli sul culto: ma questa non è certo una questione minore. Inoltre, la Chiesa che ci ha tramandato le Sacre Scritture, e le ha conservate, è la stessa Chiesa dalla quale abbiamo ricevuto i nostri modelli di culto. Se mettiamo in discussione questa fedeltà della Chiesa nel conservare il culto apostolico, allora dobbiamo mettere anche in discussione la sua fedeltà nel conservare le Scritture.(6)  

c) La Bibbia, in pratica, è davvero "sufficiente a tutto" per i protestanti?

I protestanti sostengono spesso di credere "soltanto alla Bibbia," ma quando uno esamina il loro uso di fatto della Bibbia sorgono un numero di domande. Per esempio, perché i protestanti scrivono tanti libri di dottrina e di vita cristiana in generale, se in verità tutto ciò che è necessario è la Bibbia? Se Bibbia è da sola sufficiente allora perché i protestanti non si limitano a distribuire Bibbie? E se è "sufficiente a tutto," perché non produce risultati coerenti, vale a dire, perché i protestanti non credono tutti le stesse cose? A che scopo le tante Bibbie di studio annotate dei protestanti, se tutto quanto è necessario è la Bibbia stessa? Perché distribuiscono trattati e altro materiale? Perché, in fin dei conti, insegnano o predicano, e non si limitano a leggere la Bibbia alla gente? La risposta è questa: anche se di solito non sono disposti ad ammetterlo, i protestanti sanno istintivamente che la Bibbia non può essere compresa da sola. E di fatto ogni denominazione protestante ha il suo corpo di tradizioni, anche se di solito non verranno chiamate così. Non è un caso fortuito che tutti i testimoni di Geova credono le stesse cose, e che i battisti del Sud generalmente credono le stesse cose, ma decisamente i testimoni di Geova non credono le stesse cose dei battisti del Sud. Né i testimoni di Geova né i battisti del Sud pervengono individualmente alle loro conclusioni partendo da uno studio indipendente della Bibbia; piuttosto, a tutti i membri di ciascun gruppo viene insegnato a credere in un certo modo e partendo da una tradizione comune. Così la questione non è realmente se crediamo solo alla Bibbia o se usiamo anche la tradizione. La vera questione è: quale tradizione usiamo per interpretare la Bibbia? A quale tradizione possiamo dare fiducia: alla tradizione apostolica della chiesa ortodossa, o alle tradizioni confuse, e moderne, del protestantesimo, che non hanno radici al di là dell’avvento della riforma protestante?  

Falso assunto # 2:  

Le Scritture erano la base della Chiesa antica, mentre la Tradizione è semplicemente una "corruzione umana" che venne molto dopo.

Soprattutto tra evangelici e pentecostali troverete che la parola "tradizione" è un termine negativo, ed etichettare qualcosa come una "tradizione" è più o meno equivalente a dire che è "carnale," "spiritualmente morta," "distruttiva," e/o "legalistica." Così come i protestanti leggono il Nuovo Testamento, sembra loro chiaro che la Bibbia condanna decisamente la tradizione come qualcosa di opposto alla Scrittura. La loro tipica immagine dei primi cristiani è essenzialmente che i primi cristiani fossero molto simili agli evangelici o pentecostali del ventesimo secolo! Il fatto che i cristiani del primo secolo avessero un culto liturgico, o che aderissero a qualche tradizione, è inconcepibile: solo più tardi, “quando la Chiesa divenne corrotta,” ci si immagina che tali cose siano entrate nella Chiesa. È un brutto colpo per tali protestanti (come lo fu per me) mettersi a studiare la Chiesa primitiva e gli scritti dei primi Padri, e iniziare a vedere un quadro nettamente distinto da quello che si è sempre stati portati a considerare. Si trova, per esempio, che i primi cristiani non portavano con sé le proprie Bibbie ogni domenica per uno studio biblico: di fatto, era tanto difficile acquisire una copia o persino una porzione della Scrittura, a causa del tempo e delle risorse che ci volevano per farne delle copie, che ben pochi individui ne possedevano una copia personale. Invece, le copie delle Scritture erano custodite da membri designati della Chiesa, o tenute nel luogo in cui la Chiesa si riuniva per il culto. Per di più, molte chiese non avevano copie complete di tutti i libri dell’Antico Testamento, e tanto meno del Nuovo Testamento (che non fu completato prima della fine del primo secolo, e non trovò la sua forma canonica finale prima del quarto secolo). Ciò non significa che i primi cristiani non studiassero le Scritture: lo facevano con zelo, ma come gruppo, non individualmente. E per la maggior parte del primo secolo, i cristiani erano limitati allo studio dell’Antico Testamento. E così, com'è che conoscevano il Vangelo, la vita e gli insegnamenti di Cristo, la vita di culto, che cosa credere sulla natura di cristo, e così via? Avevano solo la Tradizione orale tramandata dagli Apostoli. Di sicuro, molti nella Chiesa primitiva udirono queste cose direttamente dagli Apostoli stessi, ma molti di più erano quelli che non lo avevano fatto, soprattutto con il passare del primo secolo e la morte degli Apostoli. Le generazioni successive avevano accesso agli scritti degli Apostoli attraverso il Nuovo Testamento, ma la Chiesa primitiva dipendeva quasi interamente per la propria conoscenza della fede cristiana dalla Tradizione orale.
Questa dipendenza dalla tradizione è evidente negli scritti stessi del Nuovo Testamento. per esempio, San Paolo esorta i tessalonicesi:

Perciò, fratelli, state saldi e ritenete le tradizioni che avete imparato tramite la parola [i.e. tradizione orale] o la nostra epistola (II Tessalonicesi 2:15).

La parola qui tradotta con "tradizione" è la parola greca paradosis: anche se viene tradotta in modo differente in certe versioni protestanti, è la stessa parola che gli ortodossi greci usano quando parlano della Tradizione, e pochi studiosi biblici competenti metterebbero in discussione questo significato. La parola stessa significa letteralmente "ciò che è trasmesso." È la stessa parola usata quando ci si riferisce in negativo ai falsi insegnamenti dei farisei (Marco 7:3, 5, 8), e anche quando ci si riferisce all’insegnamento cristiano autorevole (I Corinzi 11:2, II Tessalonicesi 2:15). E così che cos'è che rende falsa la tradizione dei farisei, e vera quella della Chiesa? La fonte! Cristo disse chiaramente qual'era la fonte delle tradizioni dei farisei quando le chiamò "tradizione degli uomini" (Marco 7:8). San Paolo, d'altra parte, riferendosi alla Tradizione cristiana dichiara, "vi lodo, fratelli, perché vi ricordate di tutte le cose che provengono da me, e perché ritenete le tradizioni [paradoseis] come ve le ho trasmesse [paredoka, una forma verbale di paradosis]" (I Corinzi 11:2): ma dove ricevette queste tradizioni in primo luogo? "Ho ricevuto dal Signore ciò che vi ho anche trasmesso [paredoka]" (I Corinzi 11:23). È a questo che si riferisce la Chiesa ortodossa quando parla della Tradizione Apostolica: "la fede che è stata trasmessa [paradotheise] una volta per sempre ai santi" (Giuda 3). La sua fonte è Cristo, e fu consegnata personalmente da lui agli Apostoli attraverso tutto quanto Egli disse e fece, cosa che se fosse scritta tutta, "non basterebbe il mondo intero a contenere tutti i libri che si potrebbero scrivere" (Giovanni 21:25). Gli Apostoli consegnarono questa conoscenza alla Chiesa intera, e la Chiesa, essendo il ricettacolo di questo tesoro, divenne così "colonna e sostegno della verità" (I Timoteo 3:15).

La testimonianza del Nuovo Testamento è chiara su questo punto: i primi cristiani avevano tradizioni sia orali che scritte, che avevano ricevuto da Cristo attraverso gli Apostoli.

Per tradizione scritta essi avevano all'inizio solo dei frammenti: una chiesa locale aveva un’epistola, un’altra forse un vangelo. Gradualmente questi scritti furono messi assieme in raccolte, e alla fine divennero il Nuovo Testamento. E com’è che questi primi cristiani sapevano quali libri erano autentici e quali non lo erano - dato che (come si è già notato) c’erano numerose epistole e vangeli spurii che gli eretici sostenevano essere stati scritti dagli Apostoli? Fu la Tradizione apostolica orale che aiutò la Chiesa a compiere questa determinazione.

I protestanti reagiscono violentemente all’idea della Santa Tradizione semplicemente perché l’unica forma che hanno generalmente incontrato è il concetto di Tradizione che si trova nel cattolicesimo romano. Al contrario della visione romana della Tradizione, che è personificata dal papato, e che sviluppa nuovi dogmi prima sconosciuti alla Chiesa (come l’infallibilità papale, per citare solo uno degli esempi più odiosi) gli ortodossi non credono che la Tradizione cresca o cambi. Certamente la Chiesa, quando si trova di fronte a un’eresia, è forzata a definire con maggior precisione la differenza tra la verità e l’errore, ma la Verità non cambia. Si può dire che la Tradizione si espande nel senso in cui, muovendosi attraverso la storia, la Chiesa non dimentica le proprie esperienze, ricorda i santi che sono sorti nel suo grembo, e custodisce gli scritti di quanti hanno accuratamente dichiarato la sua fede; ma la Fede in sé fu “trasmessa ai santi una volta per sempre”. (Giuda 3).

Ma noi come possiamo sapere che la Chiesa ha conservato la Tradizione apostolica nella sua purezza? La risposta breve è che Dio ha conservato la Tradizione nella Chiesa perché aveva promesso di farlo. Cristo disse che avrebbe costruito la sua Chiesa e che le porte degli inferi non avrebbero prevalso su di essa (Matteo 16:18). Cristo stesso è il capo della Chiesa (Efesini 4:16), e la Chiesa è il suo Corpo (Efesini 1:22-23). Se la Chiesa avesse perso la pura Tradizione Apostolica, allora la Verità avrebbe dovuto cessare di essere la Verità: la Chiesa è infatti la colonna e sostegno della verità (I Timoteo 3:15). La concezione comune che hanno i protestanti della storia della Chiesa, e cioè che la Chiesa sia caduta nell’apostasia dal tempo di Costantino fino alla Riforma, certamente rende privi di significato questi e molti altri passi delle Scritture. Se la Chiesa ha cessato di essere, anche per un solo giorno, allora le porte degli inferi hanno prevalso in quel giorno su di essa. E se così fosse, quando Cristo ha descritto la crescita della Chiesa nella sua parabola del seme di senapa (Matteo 13:31-32), avrebbe parlato di una pianta che dopo una crescita iniziale veniva calpestata, e di un nuovo seme germogliato al suo posto: al contrario, usò l’immagine di un seme di senapa che all’inizio è piccolo, ma cresce fino a diventare il più grande degli alberi.

Quanto a coloro che suppongono che vi sia stato qualche gruppo di veri credenti protestanti vissuto in qualche caverna per un migliaio di anni, dove sono le prove? I Valdesi, che ogni setta dai pentecostali ai testimoni di Geova vanta come propri progenitori, non esistevano prima del XII secolo.(7) Per dire il meno, è un po’ azzardato ritenere che questi veri credenti abbiano sofferto coraggiosamente sotto le feroci persecuzioni dei romani, e che se ne siano fuggiti sui colli appena il cristianesimo divenne una religione legale. Eppure anche questo sembra plausibile, a paragone della nozione che tele gruppo abbia potuto sopravvivere per mille anni senza lasciare una singola traccia di prova storica della sua stessa esistenza.

A questo punto si può obiettare che vi furono di fatto esempi di persone nella storia della Chiesa che insegnarono cose diverse da quelle insegnate da altri, e così chi può dire quale sia la Tradizione Apostolica? E per di più, che succede qualora sia sorta una pratica corrotta: come avrebbe potuto in seguito essere distinta dalla Tradizione Apostolica? I protestanti fanno queste domande, dato nella Chiesa cattolica romana sorsero per davvero "tradizioni" nuove e corrotte, ma ciò avvenne perché l’Occidente latino aveva già corrotto la sua comprensione della Tradizione. La comprensione ortodossa, dapprima prevalente in Occidente e mantenuta nella Chiesa ortodossa, è basata sul fatto che la Tradizione è in essenza immutabile, ed è nota per la propria universalità o cattolicità. La vera Tradizione Apostolica si trova nel consenso storico dell’insegnamento della Chiesa. Trova ciò che la Chiesa ha sempre creduto, attraverso tutta la storia, e ovunque nella Chiesa, e avrai trovato la Verità. Se si può dimostrare che qualche credenza non è stata ricevuta dalla Chiesa nella sua storia, allora questa è eresia. Attenzione, però, stiamo parlando della Chiesa, non di gruppi scismatici. Vi furono scismatici ed eretici che si staccarono dalla Chiesa nel periodo del Nuovo Testamento, e ve ne è stata fin da allora una continua scorta, poiché come dice l’Apostolo, "è necessario che ci siano tra voi anche delle eresie, perché quelli che sono approvati siano riconosciuti tali in mezzo a voi." (I Corinzi 11:19)  

Falso assunto # 3:  

Chiunque può interpretare da sé le Scritture senza l'aiuto della Chiesa.

Anche se molti protestanti obietterebbero al modo in cui è formulato questo assunto, questa è essenzialmente l’opinione che prevaleva quando i riformatori sostennero per la prima volta la dottrina della Sola Scriptura. La linea di ragionamento era essenzialmente che il significato della Scrittura è abbastanza chiaro perché chiunque possa capirlo semplicemente leggendola da sé; in tal modo rigettarono l’idea che il processo avesse bisogno dell’aiuto della Chiesa. Questa posizione è affermata con chiarezza dagli studiosi luterani di Tubinga nel loro scambio di lettere con il Patriarca Geremia II di Costantinopoli circa trent’anni dopo la morte di Lutero:

"Forse qualcuno dirà che da una parte le Scritture sono assolutamente prive di errore; ma d’altra parte, esse sono state nascoste da molta oscurità, così che senza l’interpretazione dei Padri portatori di Spirito esse non possono essere comprese con chiarezza.... Ma allo stesso tempo è verissimo che ciò che è stato detto in modo scarsamente percettibile in alcuni punti delle Scritture, in altri punti è stato dichiarato in modo quanto mai esplicito e chiaro, così che anche la persona più semplice può comprenderle."(8)

Benché questi studiosi luterani si vantassero di usare gli scritti dei Santi Padri, sostenevano che questi non erano necessari, e che, laddove essi ritenevano che le Scritture e i Santi Padri fossero in conflitto, i Padri dovevano essere scartati. Ciò che di fatto sostenevano, tuttavia, era che quando gli scritti dei Santi Padri erano in conflitto con le loro opinioni private delle Scritture, le loro opinioni private dovevano essere considerate più autorevoli dei Padri della Chiesa. Piuttosto che ascoltare i Padri, che si erano dimostrati retti e santi, la priorità doveva essere accordata ai ragionamenti umani di un individuo. La stessa ragione umana che ha condotto la maggioranza degli studiosi luterani moderni a respingere quasi tutti gli insegnamenti della Scrittura (inclusa la divinità di Cristo, la Risurrezione, etc.), e persino a respingere l’ispirazione delle stesse Scritture, è la ragione sulla quale i primi luterani sostenevano di basare tutta la loro fede. Nella sua risposta, il Patriarca Geremia II mise chiaramente in mostra il vero carattere degli insegnamenti luterani:

Accettiamo, pertanto, le tradizioni della Chiesa con un cuore sincero, e non con una moltitudine di razionalizzazioni. Dio infatti ha creato l’uomo per la rettitudine; questi invece ha cercato molti sotterfugi (Ecclesiaste 7:29). Non permettiamoci di imparare un nuovo tipo di fede condannato dalla tradizione dei Santi Padri. Il divino apostolo infatti dice, "Se qualcuno vi annunzia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema " (Galati 1:9).(9)  

B. La dottrina della Sola Scriptura non incontra i propri stessi criteri

Potete immaginarvi che un sistema di fede come il protestantesimo, che ha come cardine la dottrina che la sola Scrittura è autorevole in questioni di fede, voglia prima cercare di provare che questa dottrina cardinale incontri i propri stessi criteri. Ci si aspetta probabilmente che i protestanti possano brandire centinaia di testi-prova dalle Scritture per sostenere questa dottrina, sulla quale essi ritengono che sia basato tutto il resto. Quanto meno si spera di trovare due o tre testi solidi che insegnino chiaramente questa dottrina, dato che le stesse Scritture dicono, "Ogni parola sarà confermata dalla bocca di due o tre testimoni" (II Corinzi 13:1). Eppure, come il bambino della fiaba che dovette far notare che l’imperatore non aveva vestiti addosso, devo far notare che non esiste in tutta la Sacra Scrittura un singolo verso che insegni la dottrina della Sola Scriptura. Non ce n’è neppure uno che vi vada vicino. Oh sì, vi sono innumerevoli passi nella Bibbia che parlano della sua ispirazione, della sua autorità e della sua utilità: ma non esiste un passo nella Bibbia che insegni che sono la Scrittura abbia autorità per i fedeli. Se un tale insegnamento fosse anche solo implicito, allora di sicuro i primi Padri della Chiesa avrebbero insegnato anche questa dottrina, ma quale tra i Santi Padri ha mai insegnato una cosa simile? Così il più basilare insegnamento del Protestantesimo si autodistrugge, in quanto contrario a se stesso. Ma non solo la dottrina protestante della Sola Scriptura non è insegnata nelle Scritture: di fatto, è specificamente contraddetta dalle Scritture (che abbiamo discusso sopra), che insegnano che anche la Santa Tradizione è normativa per i Cristiani (II Tessalonicesi 2:15; I Corinzi 11:2).  

C. Approcci interpretativi protestanti che non funzionano

Già dai primi giorni della Riforma, i protestanti sono stati forzati alla conclusione che, con la sola Bibbia e la sola ragione dell’individuo, la gente non riesce ad andare d’accordo sul significato di molte delle questioni più basilari della dottrina. Nel corso della stessa vita di Martin Lutero erano sorte dozzine di gruppi in competizione, tutti che pretendevano di "credere solo alla Bibbia," ma nessuno dei quali era d’accordo su quanto la Bibbia diceva. Lutero si era coraggiosamente presentato alla Dieta di Worms dicendo che, a meno di non essere persuaso dalla Scrittura, o dalla semplice ragione, non avrebbe ritrattato alcun suo insegnamento; tuttavia, quando in seguito gli anabattisti, che erano in disaccordo con i luterani su un numero di punti, chiesero semplicemente la stessa misura di indulgenza, i luterani li macellarono a migliaia: tanto valeva la retorica del "diritto di un individuo a leggere da se stesso le Scritture." Nonostante gli ovvii problemi che la rapida frammentazione del Protestantesimo presentava alla dottrina della Sola Scriptura, per non voler ammettere di essere stati sconfitti dal Papa, i protestanti conclusero invece che il vero problema doveva essere che quelli in disaccordo con loro, in altre parole tutte le sette al di fuori della propria, dovevano leggere la Bibbia in modo non corretto. E così è stato proposto un certo numero di approcci come soluzioni a questo problema. Ovviamente si deve ancora trovare l’approccio che metta fine all’illimitata moltiplicazione di scismi, eppure i protestanti sono ancora alla ricerca dell’elusiva “chiave” metodologica che risolverà il loro problema. Esaminiamo ora gli approcci più popolari che sono stati tentati finora, e ciascuno dei quali è ancora proposto da un gruppo o da un altro.  

Approccio # 1  

Prendi soltanto la Bibbia letteralmente, e il significato è chiaro.

Questo fu senza dubbio il primo approccio usato dai riformatori, anche se ben presto essi giunsero a comprendere che da solo era una soluzione insufficiente ai problemi presentati dalla dottrina della Sola Scriptura. Anche se si trattò di un fallimento fin dal principio, questo approccio è ancora quello che si trova più comunemente tra i fondamentalisti, evangelici e pentecostali meno istruiti: "La Bibbia dice ciò che intende e intende ciò che dice" è una frase che si sente spesso. Ma quando si giunge a testi scritturali con cui i protestanti generalmente non sono d'accordo, come quando Cristo diede agli Apostoli il potere di perdonare i peccati (Giovanni 20:23), o quando disse dell'Eucaristia "questo è il mio corpo... questo è il mio sangue" (Matteo 26:26,28), o quando Paolo insegnò che le donne dovevano coprirsi il capo in chiesa (I Corinzi 11:1-16), allora tutto d'un tratto la Bibbia non dice più quello che intende, e "Naturalmente, questi versi non sono letterali..."  

Approccio # 2  

Lo Spirito Santo fornisce la corretta interpretazione.

Di fronte ai numerosi gruppi sorti sotto lo stendardo della Riforma, che non potevano andare d’accordo nelle loro interpretazioni delle Scritture, senza dubbio la seconda soluzione al problema fu l’asserzione che lo Spirito Santo avrebbe guidato il pio protestante a interpretare rettamente le Scritture. Naturalmente, chiunque dissentiva da te non poteva essere guidato dallo stesso Spirito. Il risultato fu che tutti i gruppi protestanti scristianizzavano quelli che differivano da loro. Ora, se questo approccio fosse valido, la storia ci avrebbe lasciato un singolo gruppo di protestanti che avevano rettamente interpretato le Scritture. Ma quale delle migliaia di denominazioni poteva essere? Ovviamente la risposta dipende da quale protestante avete come interlocutore. Di una cosa possiamo essere sicuri: ciascuno ritiene che probabilmente il proprio gruppo sia nel giusto.

Oggi, tuttavia (a seconda della sfumatura di protestante con cui si viene in contatto) c’è più probabilità di imbattersi in protestanti che hanno relativizzato a un certo livello la Verità, piuttosto che trovare coloro che ancora credono che la loro setta o gruppo distaccato sia il "solo" a essere "nel giusto." Con l‘accatastarsi di sempre nuove denominazioni divenne sempre più difficile per ciascuna di esse di dire, a viso aperto, di essere la sola ad avere rettamente compreso le Scritture, anche se ve ne sono ancora alcune che lo fanno. È divenuto sempre più comune per ogni gruppo protestante minimizzare le differenze tra le denominazioni e concludere semplicemente che "nel nome dell’amore" tali differenze "non contano." Forse ogni gruppo ha "un pezzo della Verità," ma nessuno ha la Verità intera (così conclude il ragionamento). E così ha avuto origine la pan-eresia dell’ecumenismo. Ora molti "cristiani" non fermeranno i loro sforzi ecumenici a permettere ai soli gruppi cristiani di avere un pezzo della Verità. Molti "cristiani" ora credono anche che tutte le religioni hanno "pezzi della Verità." L’ovvia conclusione a cui devono arrivare i moderni protestanti è che per trovare la Verità completa ogni gruppo dovrà eliminare le proprie "differenze," gettare nel calderone il loro "pezzo di Verità", e presto fatto, si scoprirà alla fine la piena Verità!  

Approccio # 3  

Lasciate che i passi chiari interpretino quelli oscuri.

Questa dev’essere sembrata la soluzione perfetta al problema di come interpretare la Bibbia da se stessa: lasciate che i passi che si comprendono facilmente "interpretino" quelli che non sono chiari. La logica di questo approccio è semplice: anche se un passo può affermare una verità in modo oscuro, sicuramente la stessa verità sarà affermata chiaramente in qualche altro punto della Scrittura. Non si dovrà far altro che usare questi "passi chiari" come chiave, e si dischiuderà il significato dei "passi oscuri." Come argomentavano gli studiosi luterani di Tubinga nel loro primo scambio di lettere con il Patriarca Geremia II:

"Pertanto, non si potrebbe mai trovare un modo migliore di interpretare le Scritture, che non lasciare che la Scrittura sia interpretata dalla Scrittura, vale a dire, da se stessa. L’intera Scrittura è stata infatti dettata dallo stesso e unico Spirito, che è colui che meglio comprende la propria volontà, ed è il più capace di dichiarare il proprio significato."(10)

Per quanto promettente sembrasse questo metodo, si rivelò presto una soluzione insufficiente al problema del caos e delle divisioni dei protestanti. Il punto in cui questo approccio si disintegra è la determinazione di quali passi siano "chiari" e quali siano "oscuri." I battisti, che credono che sia impossibile che un cristiano perda la propria salvezza una volta "salvato," vedono un numero di passi che, a loro detta, insegnano piuttosto chiaramente la loro dottrina di "eterna sicurezza": per esempio, "perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili" (Romani 11:29), e "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; e io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano" (Giovanni 10:27-28). Ma quando i battisti incappano in versi che sembrano insegnare che la salvezza può essere perduta, come "La giustizia del giusto non lo salverà nel giorno della sua trasgressione" (Ezechiele 33:12), allora usano i passi per loro "chiari" per risolvere i passi "oscuri." I metodisti, che ritengono che i credenti possano perdere la propria salvezza se voltano le spalle a Dio, non trovano in questi passi alcuna oscurità, e al contrario, vedono i summenzionati "testi-prova" dei battisti alla luce dei passi che essi ritengono "chiari." E così metodisti e battisti si scagliano addosso a vicenda versetti della Bibbia, meravigliandosi entrambi che gli altri non riescano a "vedere" ciò che a loro sembra così "chiaro."  

Approccio # 4  

Esegesi storico-critica

Annegando in un mare di opinioni soggettive e di divisioni, i protestanti iniziarono rapidamente a cercare un qualsiasi metodo intellettuale dotato di una foglia di fico di obiettività. Con il passare del tempo e il moltiplicarsi delle divisioni, la scienza e la ragione divennero sempre più la base sulla quale i teologi protestanti speravano di creare coerenza nelle loro interpretazioni bibliche. Questo approccio "scientifico", che ha ottenuto il predominio tra gli studiosi protestanti, e in questo secolo ha iniziato a predominare perfino tra gli studiosi cattolici romani, è generalmente chiamato "esegesi storico-critica." All’alba del cosiddetto “illuminismo,” la scienza sembrava capace di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli studiosi protestanti iniziarono ad applicare la filosofia e la metodologia delle scienze alla teologia e alla Bibbia. Dai tempi dell’illuminismo, gli studiosi protestanti hanno analizzato ogni aspetto della Bibbia: la sua storia, i suoi manoscritti, i linguaggi biblici, etc. Come se le Sacre Scritture fossero state un sito archeologico, questi studiosi tentarono di analizzare ogni frammento e osso con i metodi migliori e più recenti che la scienza aveva da offrire. Per essere onesti, bisogna ammettere che tale ricerca ha prodotto molte conoscenze utili. Sfortunatamente questa metodologia ha anche prodotto sbagli, gravi e fondamentali, ma è stata presentata con una tale aura di obiettività scientifica da tenere molti incantati.

Come tutti gli altri approcci usati dai protestanti, anche questo metodo cerca di comprendere la Bibbia ignorando la Tradizione della Chiesa. Anche se non esiste alcun metodo esegetico tipico dei protestanti, tutti questi metodi hanno come scopo presunto quello di "lasciare che la Bibbia parli da se stessa." Naturalmente, nessuno che sostenga di essere cristiano potrebbe essere contrario a quanto la Scrittura "dice" se questa stesse davvero "parlando da se stessa" attraverso questi metodi. Il problema è che coloro che si propongono come lingue per la Scrittura la filtrano attraverso i propri assunti protestanti. Mentre sostengono di essere obiettivi, essi piuttosto interpretano le Scritture secondo i loro schemi di tradizioni e dogmi (siano essi fondamentalisti o razionalisti liberali). Ciò che gli studiosi protestanti hanno fatto (se posso prendere liberamente a prestito una frase di Albert Schweitzer) è di guardare nel pozzo della storia per trovarvi il significato della Bibbia. Hanno scritto volumi su volumi in materia, ma purtroppo hanno visto soltanto il proprio riflesso.

Gli studiosi protestanti (sia "liberali" che "conservatori") hanno errato nell’applicazione delle metodologie empiriche al regno della teologia e degli studi biblici. Uso il termine "empirismo" per descrivere questi sforzi e, in senso lato, la visione razionalista e materialista che ha preso possesso della mentalità occidentale, continuando a spandersi in tutto il mondo. I sistemi di pensiero positivisti (uno dei quli è l’empirismo) tentano di ancorarsi su qualche base di conoscenza "certa".(11) L’empirismo, in senso stretto, è la credenza che tutta la conoscenza sia basata sull’esperienza, e che solo le cose che possono essere stabilite per mezzo di osservazione scientifica possano essere conosciute con certezza. Di pari passo con i metodi di osservaione empirica, venne il principio del dubbio metodologico, il cui primo esempio fu la filosofia di Rene Descartes. Questi iniziò la sua discussione della filosofia mostrando come di tutto nell’universo si può dubitare, eccetto della propria esistenza, ecosì, sulla salda base di questa singola verità indubitabile ("penso, dunque sono") tentò di costruire il proprio sistema filosofico. Ora i riformatori, al principio, si accontentavano dell’assunto che la Bibbia fosse la base di certezza su cui la teologia e la filosofia potevano riposare. Ma quando lo spirito umanistico dell’illuminismo conquistò un ascendente, gli studiosi protestanti convertirono i propri metodi razionalisti alla Bibbia stessa, tentando di scoprire ciò che di essa poteva essere conosciuto con "certezza". Gli studiosi protestanti liberali hanno già terminato questo sforzo, e dopo avere terminato di "pelare la cipolla" sono ora rimasti con null’altro che le loro opinioni e sentimentalismi come base per quel poco di fede che è loro rimasto.

I protestanti conservatori sono stati molto meno coerenti nel loro approccio razionalista. Così hanno mantenuto tra loro una riverenza per le Scritture e una fede nella loro ispirazione. Nondimeno, il loro approccio (anche tra i più biechi fondamentalisti) è ancora essenzialmente radicato nello stesso spirito di razionalismo dei liberali. Un primo esempio si può trovare tra i cosiddetti fondamentalisti dispensazionali, la cui elaborata teoria suppone che Dio, nelle varie fasi della storia, abbia trattato gli uomini secondo differenti "dispensazioni," come quella "adamica," quella "noachita," quella "mosaica," quella "davidica," e così via. Si può notare un certo grado di verità in questa teoria, ma al di là di queste dispensazioni dell’Antico Testamento essi insegnano che noi ora siamo sotto una "dispensazione" diversa da quella dei cristiani del primo secolo. Anche se i miracoli continuarono lungo il "periodo del Nuovo Testamento," oggi non accadono più. Ciò è molto interessante, poiché (oltre a mancare di qualsiasi base scritturale) tale teoria permette a questi fondamentalisti di affermare i miracoli della Bibbia, e allo stesso tempo di essere empiristi nella loro vita quotidiana. Pertanto, anche se la discussione di questo approccio può sembrare a prima vista di interesse meramente accademico, e molto distante dalla realtà di vita del tipico protestante, di fatto anche il laico protestante medio, piamente "conservatore," non è immune da questa sorta di razionalismo.

La grande fallacia in questo cosiddetto approccio "scientifico" alle Scritture sta nell’applicazione erronea di assunti empirici allo studio della storia, della Scrittura, e della teologia. I metodi empirici funzionano ragionevolmente bene quando sono correttamente applicati alle scienze naturali, ma quando sono applicati laddove non riescono a funzionare, come nei momenti unici della storia (che non possono essere ricreati o sperimentati) non possono produrre risultati coerenti o accurati.(12) Gli scienziati devono ancora inventare un telescopio capace di scrutare nel mondo spirituale, e tuttavia molti studiosi protestanti asseriscono che alla luce della scienza l’idea dell’esistenza dei demoni o del Diavolo è stata provata falsa. Se il Diavolo apparisse di fronte a un empirista con il forcone in mano e vestito di una brillante calzamaglia rossa, verrebbe spiegato in qualche modo che si possa facilmente adattare alla visione teoretica dello scienziato. Anche se alcuni empiristi si gloriano della propria "apertura," essi sono accecati dai propri assunti a tal modo da non poter vedere ciò che non si adatta alla loro visione della realtà. Se i metodi dell’empirismo fossero coerentemente applicati, screditerebbero ogni conoscenza (inclusi se stessi), ma all’empirismo è convenientemente permesso essere incoerente da parte dei propri sostenitori "poiché la sua spietata mutilazione dell’esperienza umana gli offre una tale fama di severità scientifica che il suo prestigio supera i difetti dei sui fondamenti."(13)

Le connessioni tra le conclusioni più estreme raggiunte dai moderni protestanti liberali, e i protestanti più conservatori o fondamentalisti, sembreranno oscure a molti, e soprattutto agli stessi conservatori o fondamentalisti! Anche se questi ultimi si considerano in opposizione quasi completa al liberalismo protestante, nondimeno essi usano nel loro studio delle Scritture essenzialmente lo stesso tipo di metodi dei liberali, e assieme a queste metodologie vengono i loro principi filosofici sottostanti. Perciò la differenza tra i "liberali" e i "conservatori" non è in realtà una differenza di principi di base, ma piuttosto una differenza nel modo in cui questi principi sono stati portati alle loro inerenti conclusioni.

Se l’esegesi protestante fosse davvero "scientifica," così come si presenta, i suoi risultati mostrerebbero coerenza. Se i suoi metodi fossero mere e neutrali "tecnologie" (come molti li considerano), allora non importerebbe chi li usa, e "funzionerebbero" allo stesso modo per chiunque. Ma che cosa troviamo, quando esaminiamo lo stato corrente degli studi biblici protestanti? Secondo la stima degli stessi "esperti," il mondo accademico biblico protestante è in crisi.(13) Di fatto tale crisi è forse illustrata nel modo migliore dall’ammissione di un celebre studioso protestante dell’Antico Testamento, Gerhad Hasel [nella sua rassegna della storia e dello status attuale delle discipline di teologia dell’Antico Testamento, Old Testament Theology: Issues in the Current Debate], che durante gli anni '70 sono state prodotte cinque nuove teologie dell’Antico Testamento "ma nessuna, per approccio e metodo, è in accordo con una delle altre."(15) Di fatto è sorprendente, considerato il sedicente alto standard accademico negli studi biblici protestanti, che uno possa fare la propria scelta di conclusioni illimitate su quasi tutti i temi, e trovare "buoni studiosi" a proprio sostegno. In altre parole, potresti arrivare più o meno a qualsiasi conclusione che ti piaccia in un giorno particolare su una questione particolare, e potrai trovare un accademico che ti asseconderà. Questa non è certamente scienza nello stesso senso della matematica o della chimica! Ciò di cui trattiamo è un campo del sapere che si presenta come "scienza obiettiva," ma che è di fatto una pseudo-scienza, che nasconde una varietà di prospettive teologiche e filosofiche in competizione. È una pseudo-scienza perché, finché gli scienziati non svilupperanno strumenti capaci di esaminare e comprendere Dio, una teologia o interpretazione biblica scientificamente obiettiva sarà un’impossibilità. Ciò non vuol dire che non vi sia nulla di genuinamente scientifico o di utile al suo interno; ma vuol dire che, camuffati con questi legittimi aspetti di apprendimento storico e linguistico, e nascosti dagli specchi e cortine fumogene della pseudo-scienza, scopriamo in realtà come i metodi protestanti di interpretazione biblica sono sia il prodotto che servitore degli assunti teologici e filosofici protestanti.(16)

Con una soggettività che sorpassa quella dei più speculativi psicoanalisti freudiani, gli studiosi protestanti scelgono selettivamente i "fatti" e le "prove" che si adattano al oro programma, e quindi procedono, con conclusioni essenzialmente predeterminate dai loro assunti di base, ad applicare i loro metodi alle Sacre Scritture. E intanto, gli studiosi sia "liberali" che "conservatori," si descrivono come spassionati "scienziati."(17) Poiché le università moderne non elargiscono dottorati a coloro che si limitano a tramandare la Verità incorrotta, questi studiosi cercano di sopraffarsi a vicenda ideando nuove teorie "creative." Questa è l’essenza stessa dell’eresia: novità, arroganti opinioni personali, e auto-inganno. 

L'approccio ortodosso alla verità

Quando, per la misericordia di Dio, trovai la Fede ortodossa, non avevo alcun desiderio di dare al Protestantesimo e a i suoi "metodi" biblici un altro sguardo. Sfortunatamente, ho trovato che i metodi e gli assunti protestanti sono riusciti a infettare anche alcuni circoli all’interno della Chiesa ortodossa. La ragione, come ho detto sopra, è che l’approccio protestante alla Scrittura è stato presentato come "scienza." Alcuni nella Chiesa ortodossa sentono di fare alla Chiesa un grande favore introducendo questo errore nei nostri seminari e parrocchie. Ma in questo non c’è nulla di nuovo: è il modo con cui l’eresia ha sempre cercato di ingannare i fedeli. Come dice Sant’Ireneo, iniziando ad attaccare gli eretici del suo tempo:

"Per mezzo di parole speciose e plausibili, essi invitano con astuzia i semplici a indagare nel loro sistema; ma nondimeno li distruggono rozzamente, quando li iniziano alle loro blasfeme opinioni...."(18)

L’errore, in verità, non viene mai presentato nella sua nuda deformità, per non essere subito scoperto. Ma è rivestito ad arte in vesti eleganti, così da renderlo nella sua forma esteriore agli occhi dell’inesperto (per ridicola che l’espressione possa sembrare) più vero della verità stessa.

Perché nessuno venga fuorviato o confuso, lasciatemi chiarire: l'approccio ortodosso alle Scritture non è basto sulla ricerca "scientifica" nelle Sacre Scritture. La sua pretesa di comprendere le Scritture non risiede nel possesso di dati archeologici superiori, ma piuttosto nella sua relazione unica con l’Autore delle Scritture. La Chiesa Ortodossa è il corpo di Cristo, la colonna e fondamento della Verità, ed è sia il mezzo tramite il quale Dio ha dato le Scritture (attraverso i suoi membri), sia il mezzo tramite il quale Dio le ha conservate. La Chiesa Ortodossa comprende la Bibbia poiché è l’erede di una tradizione vivente che inizia con Adamo e si estende attraverso il tempo a tutti i suoi membri di oggi. Non si può "provare" in laboratorio che ciò sia vero. Uno deve esserne convinto dallo Spirito Santo e sperimentare la vita di Dio nella Chiesa.

La domanda che i protestanti porranno a questo punto è: chi ci dice che la tradizione ortodossa sia quella corretta, o persino che esista una tradizione corretta? In primo luogo, i protestanti hanno bisogno di studiare la storia della Chiesa. Vi troveranno che esiste una sola Chiesa. Questa è sempre stata la posizione della Chiesa dai suoi inizi. Il Credo di Nicea lo puntualizza chiaramente, "Credo in... una Chiesa, santa cattolica e apostolica." Questa dichiarazione, che quasi tutte le denominazioni protestanti tuttora sostengono di accettare come vera, non fu mai interpretata nel senso di qualche confusa, pluralistica "chiesa" invisibile che non riesce ad andare dottrinalmente d'accordo in nulla. I concili che canonizzarono il Credo (così come le Scritture) lanciarono anche anatemi contro coloro che erano al di fuori della Chiesa, sia che fossero eretici, come i montanisti, o scismatici come i donatisti. E non dissero, "ebbene, non possiamo andar d’accordo con i montanisti dottrinalmente, ma essi sono parte della Chiesa tanto quanto noi." Piuttosto, essi venivano esclusi dalla comunione della Chiesa fino al loro rientro, in cui venivano ricevuti nella Chiesa attraverso il Santo Battesimo e la Cresima (nel caso degli eretici) o semplicemente con la Cresima (nel caso degli scismatici) [Secondo Concilio Ecumenico, Canone VII]. Anche unirsi nella preghiera con coloro che sono al di fuori della Chiesa era, ed è tuttora, proibito [Canoni dei Santi Apostoli, XLV, XLVI]. A differenza dei protestanti, che trattano come eroi coloro che si staccano da un gruppo per formarne uno proprio, nella Chiesa primitiva questo era considerato un peccato dei più condannabili. Come avvertiva Sant’Ignazio di Antiochia [un discepolo dell’Apostolo Giovanni], "Non ingannatevi, fratelli, nessuno di quanti seguono altri in uno scisma erediterà il Regno di Dio, nessuno di quanti seguono dottrine eretiche è dalla parte della passione" [Lettera agli abitanti di Filadelfia, 5:3].

La ragione stessa della nascita di un movimento protestante era la protesta contro gli abusi papali, ma prima della rottura dell’Occidente romano dall’Oriente ortodosso questi abusi non esistevano. Molti teologi protestanti moderni hanno recentemente preso a rivedere questo primo millennio di cristianità indivisa, e stanno iniziando a riscoprire il grande tesoro che l’Occidente ha perduto (e non pochi stanno diventando ortodossi come risultato).(19)

Ovviamente, solo una di queste tre dichiarazioni può essere vera: o (1) non esiste alcuna corretta Tradizione e le porte dell’inferno hanno prevalso sulla Chiesa, e perciò sia i Vangeli che il Credo di Nicea sono in errore; o (2) la vera fede si trova nel papismo, con i suoi dogmi sempre crescenti e mutevoli emanati dall’infallibile "vicario di Cristo;" o (3) la Chiesa ortodossa è la Chiesa fondata da Cristo e ha mantenuto fedelmente la Tradizione apostolica. E così la scelta per i protestanti è chiara: il relativismo, il Romanismo, o l’Ortodossia.

La maggior parte dei protestanti, siccome la loro base teologica della Sola Scriptura può produrre solo disunione e litigi, ha abbandonato da lungo tempo l’idea della vera unità cristiana, e ha considerato come ipotesi ridicola l’esistenza di un’unica Fede. Di fronte ad affermazioni tanto forti sull’unità della Chiesa come quella sopra citata, reagiscono spesso con orrore, sostenendo che tali attitudini sono contrarie all’amore cristiano. Trovandosi privi di una vera unità si sono sforzati di crearne una falsa, sviluppando la filosofia relativistica dell’ecumenismo, in cui la sola fede da condannare è quella che avanza pretese esclusive alla Verità. Però questo non è l’amore della Chiesa storica, ma sentimentalismo umanistico. L’amore è l’essenza della Chiesa. Cristo non venne a mettere le basi di una nuova scuola di pensiero, ma piuttosto disse Egli stesso di essere venuto a edificare la sua Chiesa, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno (Matteo 16:17). Questa nuova comunità della Chiesa creava "un’unità organica, piuttosto che un’unificazione meccanica di persone internamente divise."(20) Quest’unità è possibile solo tramite la nuova vita portata dallo Spirito Santo, e misticamente sperimentata nella vita della Chiesa.

La fede cristiana unisce il fedele a Cristo, componendo così un corpo armonioso da individui separati. Cristo costituisce il corpo comunicandosi a ogni membro e donando loro lo Spirito della Grazia in un modo efficace e tangibile.... Se il legame con il corpo della Chiesa viene reciso, allora la personalità che viene in tal modo isolata e racchiusa nel proprio egoismo sarà privata della benefica e abbondante influenza dello Spirito Santo che dimora nella Chiesa.(21)

La Chiesa è una poiché è il Corpo di Cristo, ed è un’impossibilità ontologica che si possa dividere. La Chiesa è una, così come Cristo e il Padre sono uno. Anche se questo concetto di unità può sembrare incredibile, così non sembra a quanti sono andati al di là del concetto e sono entrati nella sua realtà. Anche se questa può essere una di quelle "parole dure" che non tanti sanno accettare, è una realtà nella Chiesa ortodossa, per quanto richieda a tutti molto diniego di sé, umiltà e amore.(22)

La nostra fede nell’unità della Chiesa ha due aspetti: è un’unità al tempo stesso storica e presente. ciò significa che quando gli Apostoli, per esempio, lasciarono questa vita, non lasciarono l’unità della Chiesa. Essi sono parte della Chiesa ora tanto quanto lo erano quando vi erano presenti nella carne. Quando celebriamo l’Eucaristia in qualsiasi Chiesa locale, non la celebriamo da soli, ma con l’intera Chiesa, sia in terra che in cielo. I Santi del cielo ci sono perfino più vicini di coloro che possiamo vedere e toccare. Così, nella Chiesa Ortodossa non abbiamo come insegnanti solo quelle persone che Dio ci ha messo accanto nella carne, ma tutti gli insegnanti della Chiesa in cielo e in terra. Siamo oggi alla scuola di San Giovanni Crisostomo allo stesso modo che a quella del nostro vescovo. Tutto ciò fa sì che il nostro approccio alla Scrittura non sia di interpretazione privata (II Pietro 1:20), ma come Chiesa. Questo approccio alla Scrittura ebbe la sua definizione classica per mano di San Vincenzo di Lerino:

"Qui, forse, qualcuno può chiedere: Poiché il canone della Scrittura è completo e più che sufficiente in sé, perché è necessario aggiungervi l’autorità dell’interpretazione ecclesiastica? Di fatto, [dobbiamo rispondere,] la Sacra Scrittura, a causa della sua profondità, non è universalmente accettata nello stesso senso. Lo stesso testo è interpretato in modo differente da persone differenti, cosicché può quasi venire l’impressione che vi siano tante interpretazioni diverse quanti sono gli uomini.... Così, è a causa delle molte e grandi distorsioni causate da vari errori, che è invero necessario che l’interpretazione degli scritti profetici e apostolici sia diretta in accordo con la regola del significato ecclesiastico e cattolico.

Nella stessa Chiesa Cattolica, bisogna preoccuparsi con ogni cura di mantenere ciò che è stato creduto sempre, ovunque e da tutti. Ciò è veramente e propriamente 'cattolico,' come indicano la forza e l'etimologia del nome stesso, che comprende tutto ciò che è veramente universale. Questa regola generale verrà realmente applicata se seguiamo i principi di universalità, antichità e consenso. Seguiamo il principio di universalità se confessiamo vera solo quella fede che l’intera Chiesa confessa in tutto il mondo. Seguiamo il principio di antichità se non deviamo in alcun modo da quelle interpretazioni che i nostri antenati e padri hanno manifestamente dichiarato inviolabili. Seguiamo il principio di consenso se, in questa stessa antichità, adottiamo le definizioni e proposte di tutti, o quasi tutti, i vescovi."(23)

In questo approccio alle Scritture, non è compito dell’individuo sforzarsi di essere originale, ma piuttosto di comprendere quanto è già presente nelle tradizioni della Chiesa. Noi siamo obbligati a non andare al di là dei limiti posti dai Padri della Chiesa, ma a tramandare fedelmente la tradizione che abbiamo ricevuto. Fare ciò richiede molto studio e pensiero, ma ancor più, se vogliamo davvero comprendere le Scritture, dobbiamo entrare profondamente nella vita mistica della Chiesa. Ecco perché, quando Sant’Agostino spiega come si dovrebbero interpretare le Scritture [La Dottrina Cristiana, Libri i-iv], passa più tempo a parlare del tipo di persona che ci vuole per studiare la Scrittura, che sulla conoscenza intellettuale che questa persona dovrebbe possedere:(24)

1. Uno che ama Dio con tutto il suo cuore, e che è privo di orgoglio,

2. Che è motivato alla ricerca della conoscenza della volontà di Dio da fede e riverenza, piuttosto che da orgoglio o avidità,

3. Che ha un cuore soggiogato dalla pietà, una mente purificata, e morta al mondo; e che non teme gli uomini, né cerca di compiacerli,

4. Che non cerca altro che conoscenza e unione con Cristo,

5. Che ha fame e sete di giustizia,

6. E che si adopera con diligenza in opere di misericordia e di amore.

Con requisiti così alti, dovremmo tanto più umilmente appoggiarci alla guida dei santi Padri che hanno evidenziato tali virtù, e non deluderci pensando di essere più capaci di loro in un’acuta interpretazione della Santa Parola di Dio.

Ma che fare dell’opera degli studiosi biblici protestanti? Finché ci aiuta a comprendere il contesto storico e il significato dei punti oscuri, in questo è in linea con la Santa Tradizione e può essere usata.

Come dice San Gregorio Nazianzeno quando parla di letteratura pagana: "Così come abbiamo preparato medicine salutari dal veleno di certi rettili, così abbiamo ricevuto dalla letteratura secolare i principi di ricerca e di ragionamento, mentre ne abbiamo respinto l’idolatria..."(25) Così, finché evitiamo di adorare i falsi dei dell’individualismo, della modernità e della vanagloria accademica, e finché riconosciamo gli assunti che vengono utilizzati in tale lavoro e usiamo ciò che davvero getta luce storica o linguistica sulle Scritture, allora comprenderemo la Tradizione in modo più completo. Ma fintanto che gli studiosi protestanti fanno speculazioni al di là dei testi canonici, e proiettano idee estranee sulle Scritture, obiettando alla Santa Tradizione, la fede del "sempre e ovunque" della Chiesa, essi si sbagliano.

Se i protestanti dovessero ritenere ciò arrogante o ingenuo, che considerino dapprima l’arroganza e l’ingenuità di quegli studiosi che pensano di essere qualificati a trascurare (o più solitamente, a ignorare del tutto) due millenni di insegnamento cristiano. Forse l’acquisizione di un dottorato biblico offre una sapienza dei misteri di Dio superiore a quella di milioni su milioni di fedeli credenti e Padri e Madri della Chiesa che servirono Dio con fede, sopportando orribili torture e martirio, derisione e prigioni, per la fede? Il cristianesimo si apprende nella tranquillità dello studio personale, o portando la croce sulla quale si sarà uccisi? L’arroganza sta in quanti, senza prendere neppure il tempo di imparare che cosa sia davvero la Santa Tradizione, decidono di saperne di più, ora che è finalmente arrivato qualcuno che ha rettamente compreso ciò che vogliono davvero dire le Scritture.  

Conclusione

Le Sacre Scritture sono forse il vertice della Santa Tradizione della Chiesa, ma la grandezza delle vette a cui le Scritture ascendono è dovuta alla grande montagna su cui risiedono. Tolta dal suo contesto entro la Santa Tradizione, la solida roccia della Scrittura diviene una mera palla di creta, che può essere modellata in qualsiasi forma desiderino i suoi manipolatori. Abusare delle Scritture e distorcerle non è un modo di onorarle, anche se ciò è fatto con l'intento di esaltarne l'autorità. Dobbiamo leggere la Bibbia; è la santa Parola di Dio. Ma per comprendere il suo messaggio, sediamoci umilmente ai piedi dei santi che si sono mostrati "facitori della Parola e non uditori soltanto" (Giacomo 1:22), e sono stati provati per le loro vite come degni interpreti delle Scritture. Andiamo da coloro che conobbero gli Apostoli, come i Santi Ignazio di Antiochia e Policarpo, se abbiamo una domanda sugli scritti degli Apostoli. Ascoltiamo dalla Chiesa, e non cadiamo nell'arroganza dell'auto-delusione.  

Note

1. George Mastrantonis, trad., Augsburg and Constantinople: the Correspondence between the Tubingen Theologians and Patriarch Jeremiah II of Constantinople on the Augsburg Confession (Brookline, Mass.: Holy Cross Orthodox Press, 1982), 114.

2. The Illustrated Bible Dictionary, vol. 2 (Wheaton: Tyndale House Publishers, 1980), "Jannes and Jambres," di A. F. Walls, 733 -734.

3. Invero questa lista non intendeva nemmeno comprendere tutti i libri che la Chiesa ha mantenuto dall’antichità, considerandoli parte della più ampia Tradizione. Per esempio, il libro di Enoch, anche se è citato nei libri canonici, non fu incluso esso stesso nel canone. Non pretenderò di sapere il perché, ma per qualche ragione la Chiesa ha scelto di conservare questo libro, eppure non lo ha assegnato a essere letto in chiesa, né lo ha posto a fianco dei libri canonici.

4. Per esempio, non c’è alcun passo in cui si parli in dettaglio della questione dell’inerranza delle Scritture, precisamente perché questa non era una questione disputata. Oggi, col sorgere dello scetticismo religioso, di questo si discute molto, e se l’epistola fosse scritta oggi, si parlerebbe di sicuro di questo argomento da qualche parte. Sarebbe sciocco concludere che, dato che non se ne parla specificamente, allora i primi cristiani non pensavano che l’inerranza delle Scritture fosse importante, o che non vi credevano.

5. Alexander Schmemann, Introduction to Liturgical Theology (Crestwood NY: St Vladimir's Seminary Press, 1986), 51 n.

6. E di fatto, questo è ciò che ha fatto il mondo accademico protestante. Anche se il protestantesimo fu fondato sulla base della credenza che la Bibbia sia l’unica autorità di fede e pratica, il moderno mondo accademico protestante è ora dominato da modernisti che non credono più nell’ispirazione o inerranza delle Scritture. Ora essi si sentono al di sopra della Bibbia e scelgono di usarne solo quelle parti che ritengono adatte, scartando il resto come " mitologia primitiva e leggende." La sola autorità che ancora riconoscono sono se stessi.

7. I valdesi erano una setta fondata nel dodicesimo secolo da Pietro Valdo, e che in alcuni modi anticipava la Riforma protestante. A causa di persecuzioni da parte della Chiesa cattolica romana, questa setta sopravvisse soprattutto nelle aree di montagna dell’Italia nord-occidentale. Con l’avvento della Riforma protestante, i valdesi entrarono sotto l’influenza del movimento della riforma, ed essenzialmente vi si allearono. Molti tra i primi storici protestanti sostennero che i valdesi rappresentavano un resto dei “veri” cristiani esistiti fin da prima di Costantino. Anche se oggi nessuno storico credibile farebbe una simile asserzione senza prove, molti fondamentalisti e sette come i testimoni di Geova continuano a vantare una discendenza dalla chiesa primitiva attraverso i valdesi - nonostante il fatto che i valdesi esistono ancora oggi, e che certamente non riconoscono come propria discendenza i testimoni di Geova.

8. Mastrantonis, 115.

9. Ibid., 198.

10. Ibid., 115.

11. Il temine 'positivismo' viene dal francese positif, vale a dire 'sicuro,' o 'certo.' Questo termine fu usato per la prima volta da Auguste Comte. I sistemi positivisti sono costruiti sull'assunto che qualche fatto o istituzione sia la base ultima della conoscenza - nella filosofia di Comte, l'esperienza o la percezione sensoriale costituiva tale base, e pertanto egli fu il precursore dell'empirismo moderno [Cfr. Encyclopaedia of Religion and Ethics, 1914 ed., s.v. "Positivism," di S.H. Swinny; e Wolfhart Pannenburg, Theology and Philosophy of Science, trad. Francis McDonagh (Philadelphia: Westminster Press, 1976), p. 29].

12. Per esempio, un metodo per determinare la realtà degli eventi passati, tra gli studiosi di indirizzo empirico, è il principio di analogia. Poiché la conoscenza è basata sull'esperienza, allora il modo in cui uno capisce ciò che non gli è familiare è di metterlo in relazione a ciò che gli è familiare. Sotto la maschera di analisi storica essi giudicano la probabilità di un presunto evento passato (e.g. la risurrezione di Gesù) basandola su ciò che sappiamo avere luogo nella nostra esperienza. E poiché questi storici non hanno mai osservato alcunché che siano disposti a considerare soprannaturale, allora determinano che quando la Bibbia parla di un evento miracoloso, sta soltanto narrando un mito o una leggenda. Ma poiché per l'empirista un 'miracolo' comporta una violazione di una legge naturale, allora non possono esistere miracoli (per definizione) poiché le leggi naturali sono determinate dalla nostra osservazione di quanto sperimentiamo; pertanto, se tale empirista fosse coinvolto nella moderna analogia di un miracolo, questo non sarebbe più considerato un miracolo, poiché non costituirebbe più una violazione della legge naturale. E così gli empiristi non producono risultati che negano la realtà trascendente o i miracoli; sono piuttosto i loro presupposti, fin dal principio, a negare la possibilità di tali cose. [cfr. G. E. Michalson, Jr., "Pannenburg on the Resurrection and Historical Method," Scottish Journal of Theology 33 (April 1980): 345-359.]

13. Rev. Robert T. Osborn, "Faith as Personal Knowledge," Scottish Journal of Theology 28 (February 1975): 101-126.

14. Gerhard Hasel, Old Testament Theology: Basic Issues in the Current Debate (Grand Rapids: Eerdman's Publishing Company, 1982), p. 9.

15. Ibid., p. 7.

16. Ho discusso il Protestantesimo liberale solo per dimostrare la fallacia dell'esegesi "storica". Un cristiano ortodosso verrà molto più facilmente a confronto con un fondamentalista conservatore o un pentecostale, per il semplice motivo che questi prendono la loro fede abbastanza sul serio da cercare di convertire a essa altre persone. Le denominazioni protestanti liberali hanno già abbastanza da fare per cercare di conservare i propri fedeli, e non brillano per zelo di evangelismo.

17. Per una critica più profonda degli eccessi del metodo storico-critico, cfr. Thomas Oden, Agenda for Theology: After Modernity What? (Grand Rapids: Zondervan, 1990) pp 103-147.

18. Cleveland Coxe, trans., Ante-Nicene Fathers, vol. i, The Apostolic Fathers with Justin Martyr and Irenaeus (Grand Rapids: Eerdmans Publishing Company, 1989), p 315.

19. Di fatto una recente opera di teologia sistematica in tre volumi, di Thomas Oden, è basata sul presupposto che il "consenso ecumenico" del primo millennio debba essere normativo per la teologia [cfr. The Living God: Systematic Theology Volume One, (New York: Harper & Row, 1987), pp ix & xiv.]. Se solo Oden porta la propria metodologia alle sue logiche conseguenze, anche lui diventerà ortodosso.

20. Santo neo-martire Arcivescovo Hilarion (Troitsky), Christianity or the Church? (Jordanville: Holy Trinity Monastery, 1985), p. 11.

21. Ibid., p. 16.

22. Ibid., p. 40.

23. "In ipsa item Catholica Ecclesia magnopere curandum est ut id teneamus quod semper, quod ubique, quod ab omnibs creditum est. Hoc est etenim vere proprieque catholicum, quod ipsa vis nominis ratioque declarat, quae omnia fere universaliter comprehendit. Sed hoc ita demum fiet, si sequamur universitatem, antiquitatem, consensionem. Sequemur autem universitatem hoc modo, si hanc unam fidem vera esse fateamur quam tota per orbem terrarum confitetur Ecclesia; antiquitatem vero ita, si ab his sensibus nullatenus recedamus quos sanctos majores ac patres nostros celebrasse manifestum est; consensionem quoque itidem si, in ipsa vetustate, omnium vel certe pene omnium sacerdotum pariter et magistrorum definitiones sententiasque sectemur." San Vincenzo di Lerino, trad. Rudolph Morris, The Fathers of the Church vol.7, (Washington D.C.: Catholic University of America Press, 1949), pp. 269-271.

24. Sant'Agostino, "Sulla dottrina cristiana," A Selected Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers. series 1, vol. ii, eds. Henry Wace and Philip Schaff, (New York: Christian, 1887-1900), pp. 534-537.

25. San Gregorio Nazianzeno, "Orazione 43, panegirico su San Basilio," A Selected Library of the Nicene and Post-Nicene Fathers of the Christian Church, series 2, vol. vii, eds. Henry Wace and Philip Schaff (New York: Christian, 18871900), p. 398n.

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