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  Il problema dell'arte nell'Ortodossia anglofona: un saggio di recensione

di Richard Barrett

Orthodox Arts Journal, 24 gennaio 2015

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Recentemente, uno scambio on-line su iniziative di sensibilizzazione pubblica riguardo a vari aspetti di musica ortodossa e musica di compositori ortodossi ha portato al seguente commento di un partecipante:

Che cosa c'è esattamente di così "ortodosso" in qualsiasi tipo di musica in sé e per sé? [...] Associare un qualsiasi compositore alla Chiesa è un esercizio vuoto, dal momento che la musica ha solo un ruolo secondario nella nostra fede. Per lo stesso motivo non ha senso glorificare i grandi iconografi... I grandi compositori che per coincidenza sono ortodossi sono noti per le loro opere secolari, a differenza dei compositori occidentali che sono noti anche per le loro opere sacre. Questo perché "la musica sacra" è un concetto occidentale. La musica nella Chiesa orientale è senza arte... perché è secondaria e serve le preghiere e le lezioni, e anche quando Rachmaninov, Chajkovskj o Rimskij-Korsakov hanno scritto musica di chiesa, hanno seguito le rubriche della Chiesa, non i loro stili compositivi personali.

In una discussione diversa su un argomento correlato, un altro partecipante ha affermato che scrivere musica para-liturgica o extra-liturgica per concerti produce, dal punto di vista ortodosso, degli autentici "pezzi da museo" piuttosto che qualcosa di valore reale:

I musei funzionano come cimiteri culturali: luoghi belli e tranquilli forse per riprovare, o meglio re-immaginare, gli orrori, o la gloria, o il dolore del passato. Ma questo è un buon contesto per la Chiesa? Vogliamo che il nostro messaggio sia proclamato nel contesto di un obitorio? Questo è il problema. Dire che non c'è nulla di male a usare le nostre risorse per aiutare i curatori dei musei ci mette a un livello molto basso.

Sono del tutto favorevole a una risposta positiva e a fornire materiali al curatore del museo locale, ma quello che stiamo facendo sta aiutando la civiltà a costruire il suo museo su di noi, con nuovi manufatti, anch'essi creati da noi. Sarebbe come se i fabbricanti di aerei facessero nuovi modelli da usare solo nei musei del volo.

Per concludere: io vedo questo tipo di sforzi come indulgenza e distrazione.

In un altro dibattito in questo senso, un interlocutore ha detto molto chiaramente: "La musica da concerto non è ortodossa".

Io scrivo dal punto di vista di un musicista, perché questo è il mondo in cui vivo, ma sembra che si possano trovare affermazioni simili anche in altre aree – certamente nell'iconografia. Il cristianesimo ortodosso, sembrano insistere queste persone in modo piuttosto scontroso, non fa arte.

Ma è proprio così? Certamente l'affermazione riportata sopra, che "i grandi compositori che per coincidenza sono ortodossi sono noti per le loro opere secolari", non regge alla prova; vi è una lunga tradizione di noti compositori di musica sacra con composizioni distinte in entrambe le tradizioni bizantine e russe, che risale almeno a san Giovanni Koukouzelis e fino ai giorni nostri con compositori viventi quali Gennadij Lapaev. Inoltre, l'affermazione non è del tutto vera neppure per gli iconografi, considerando per lo meno sant'Andrej Rublev, e forse persone come George Kordis oggi. Inoltre, non è esattamente vero che compositori come Rachmaninov e Chajkovskij seguivano le rubriche piuttosto che impiegare il proprio stile; la versione della Divina Liturgia di Chajkovskij è stata ritenuta un "Konzert" da parte delle autorità ecclesiastiche russe e non è stata consentita per l'uso liturgico (anche se oggi viene utilizzata abbastanza comunemente in tal senso), e la Vigilia di tutta la notte di Rachmaninov è stata scritta come pezzo da concerto.

Per far luce su questi temi, un ottimo punto da cui iniziare è il nuovo libro di padre Ivan Moody, Modernism and Orthodox Spirituality in Contemporary Music (International Society for Orthodox Church Music, 2014). Padre Ivan affronta il rapporto tra cristianesimo ortodosso, la musica e l'arte al giorno d'oggi, guardando all'attività di compositori in diversi paesi storicamente ortodossi – Grecia, Bulgaria, Serbia, Russia e Finlandia, e quindi dedicando capitoli anche ad Aarvo Pärt e a John Tavener (+2013), innegabilmente i due nomi contemporanei che sono stabilmente collegati nella mente del pubblico come rappresentanti della "musica ortodossa". La portata geografica e musicale del libro, la sua volontà di affrontare il modernismo in modo intellettualmente onesto, e la capacità di padre Ivan di sintetizzare i punti più fini di teoria musicale e teologia ortodossa, fanno di questo libro una lettura obbligatoria per chiunque sia interessato alle questioni del rapporto del cristianesimo con l'arte nel mondo di oggi.

P. Ivan è schietto di fronte a ciò che vede come la fonte dei pareri, come quelli che ho citato in apertura: "... gli scrittori che trattano l'arte della Chiesa ortodossa sono stati generalmente sospettosi di tutto ciò che è al di fuori dei canoni dell'arte ecclesiastica come stabilita dalla tradizione, temendo contaminazione e decadenza. [Questa posizione] è comprensibile, e spesso [risulta] da una semplice mancanza di conoscenza" (Moody, p. 9). Quindi scende in maggior dettaglio circa la fonte di questa mancanza di conoscenza:

Nel contesto specifico dell'arte sacra... le interazioni e fertilizzazioni incrociate sono state generalmente viste con sospetto, soprattutto quando il phronema (o inquadramento filosofico) ortodosso sembrava essere minacciato dall'introduzione dell'estetica occidentale (cioè, in sostanza, dal punto di vista ortodosso, l'umanesimo e il modernismo, per quanto vagamente questi possano essere definiti), e con loro, il dogma ecclesiastico occidentale e l'eventuale possibilità di una visione antropocentrica, piuttosto che teocentrica, del mondo e della creazione (Moody, p. 17).

E mentre certamente in teoria la relazione del cristianesimo ortodosso con l'arte è radicata in un contesto liturgico, non è affatto limitata ad esso, né lo è mai stata. Qui, p. Ivan cita p. Aleksandr Men': "Cristo ha detto che ogni persona prende ciò che ha da offrire dal suo tesoro. E voi, pittori e maestri di altri generi, esprimete i tesori del vostro cuore, le vostre percezioni del mondo" (Moody, p. 21). La realtà concreta è che all'interno del cristianesimo ortodosso, si sono sviluppate l'arte e la pratica artistica, e sono la teologia e canoni che devono trovare una risposta appropriata e descrivere la corretta applicazione di tali sviluppi. Lungo linee simili, il modernismo stesso non deve essere visto come limitato a una prospettiva fondamentalmente atea; qui p. Ivan invoca l'immagine di Peter Gay del "ritorno psicologico di un modernista a una casa emozionale perduta" a sostegno dell'idea di una "ampiezza dello spettro spirituale del modernismo" (Moody, p. 23). L'arte, anche l'arte moderna, non deve essere vista come non cristiana o non ortodossa per definizione.

In Grecia, p. Ivan ripercorre la strada sulla quale i moderni compositori greci assorbono e ri-articolano, non solo la musica bizantina, ma anche la memoria culturale di un patrimonio culturale e religioso bizantino in opere per cori polifonici, orchestre d'archi, e così via, ma anche interagendo con sviluppi storici, come l'ascesa del nazionalismo. Mostra le opere di Hatzis, Adamis, e altri, sostenendo che "il riferimento ai repertori e agli stili della tradizione musicale bizantina, e al contenuto della teologia ortodossa, così come l'assenza di paura nell'affrontare il mondo (i mondi) della musica contemporanea, consente alla loro musica di parlare con una speciale forza e autorità" (Moody, 53). È importante capire questo anche nel contesto di una rinascita di interesse per la musica popolare greca e i canti bizantini (vedi Paradosiaká: Music, Meaning, and Identity in Modern Greece di Eleni Kallimopoulou, Ashgate, 2009 così come forse The Past is Always Present: The Revival of the Byzantine Musical Tradition at Mount Athos, di Tore Tvarnø Lind, Scarecrow Press, 2011), così come è importante capire che ci sono persone che si muovono avanti e indietro tra questi mondi, garantendo l'interazione anche tra questi poli. Per esempio, p. Ivan parla della Passione secondo san Luca di Calliope Tsoupaki, alla cui prima ha partecipato il dr. Ioannis Arvanitis con la conduzione di un coro bizantino; il dr. Arvanitis è anche una figura chiave in entrambi studi di Lind e di Kallimopoulou.

Per i capitoli che trattano di altri paesi come la Bulgaria, la Serbia, la Finlandia e la Russia, p. Ivan segue grosso modo lo stesso modello, anche se oltre al nazionalismo, ovviamente rimangono pesanti il comunismo e l'eredità dell'ex URSS. Dato che la situazione politica in Europa centro-orientale, dopo la prima guerra mondiale, ha portato a un riallineamento intorno alla Russia piuttosto che all'Austria e alla Germania, è stato necessario trovare un linguaggio musicale che esprimesse l'Ortodossia in accordo con le flessioni di identità nazionale. Il modernismo qui fu forse un vantaggio, suggerisce p. Ican, in particolare in luoghi come la Serbia; il fascino del modernismo per i "nuovi linguaggi tonali" ha permesso di riempire i vuoti lasciati dai cambiamenti politici.

La Finlandia è un caso particolarmente interessante, essendo uno spazio stranamente di frontiera e contestato, come lo è per molti aspetti; la lingua locale, ovviamente, non è indo-europea, ma piuttosto ugro-finnica, ed si trova proprio nel mezzo tra la Russia e la Scandinavia, tra le quali ci sono storie controverse, così come problemi di identità controverse. I finlandesi decisamente non sono né scandinavi né russi, ma vi è stato un contatto culturale, e si trovano impronte di entrambi in Finlandia. Non sono russi, non sono scandinavi (e neppure germanici) – sono finlandesi. Ecco un'identità musicale ortodossa costruita interamente all'interno di un contesto storico del modernismo, ma tuttavia una tradizione vivente e in crescita.

capitoli conclusivi su Arvo Pärt e John Tavener fanno molto per esaminare come la teologia ortodossa influenza ciò che è, forse ironicamente, in gran parte musica da concerto suonata nelle chiese occidentali, se mai viene eseguita liturgicamente (di questo parlerò poco più avanti), e che tuttavia viene assorbita dal pubblico occidentale come "musica ortodossa". Il capitolo su Pärt, con 15 pagine, è il più corto del libro, ma la discussione di p. Ivan di come la sua musica è "spirituale" in un senso molto reale, in cui la struttura formale, la melodia e il ritmo sono infatti profondamente informati da concetti teologici ortodossi, è forse il più grande messaggio rivolto a coloro che potrebbero chiedere, come ha fatto il mio interlocutore, "Che cosa c'è esattamente di così 'ortodosso' in qualsiasi tipo di musica in sé e per sé?"

Qui c'è un punto importante da sottolineare... relativo alla percezione popolare della musica di Pärt come "spirituale". "Spirituale" è una parola spesso usata come sinonimo di "insipido ed etereo", un'idea che non ha nulla a che vedere con quello che la maggior parte degli ascoltatori di musica potrebbe concepire come "spirituale". Questo a sua volta porta a constatare che, da un punto di vista cristiano, lo spirituale è da trovare nell'incarnato. La musica soddisfa – o, comunque, è in grado di soddisfare – foneticamente la stessa funzione che l'icona ricopre visivamente. San Giovanni Damasceno ... ha scritto che "Utilizziamo tutti i nostri sensi per produrre immagini degne di lui, e santifichiamo il più nobile dei sensi, che è quello della vista. Infatti, come le parole edificano l'orecchio, nello stesso modo anche l'immagine stimola l'occhio".

È ovvio da queste parole che l'icona non è qualcosa di vagamente o sentimentalmente 'religioso', ma, al contrario, qualcosa di molto saldamente incarnato. Uno dei problemi a parlare di religione e di arte, e soprattutto di misticismo religioso e di arte, forse soprattutto in questa epoca "postmoderna", è che si è costantemente sottoposti a una confusione tra una vera aspirazione verso il sacro e qualcosa che spesso non è nulla di più di un sentimentalismo romantico. Tenendo conto, poi, della concezione incarnata del misticismo religioso, come proposta da san Giovanni Damasceno, uno potrebbe chiedersi se la musica [potrebbe] essere anche un veicolo di "spiritualità" o "misticismo" in un simile modo incarnato. Nel caso di Pärt, non sembra esserci dubbio che la questione possa essere risolta positivamente (Moody, p. 182-183).

Il capitolo su Tavener è simile nei suoi obiettivi, ma il parallelo di strutture sottolinea soltanto quanto Tavener e Pärt siano davvero completamente diversi. A livello macro, Tavener è su un cammino di ricerca spirituale da artista, da persona mai del tutto soddisfatta; inoltre, essendo in ultima analisi un perennialista, si occupa di portare avanti l'idea della Tradizione stessa quanto più possibile in fondo a un vicolo cieco, e il cristianesimo ortodosso non è che un mezzo funzionale a tal fine, e poi scartabile. (In un certo senso, questa non è una del tutto problematica o senza precedenti, ma vi voglio ritornare). A livello micro, volendo essere un musicista fedele al servizio della Chiesa, Tavener sta cercando di scrivere musica che si adatta a una storia immaginata di una "Ortodossia inglese" - vale a dire, la musica che si inserisce in un contesto culturale di cattedrali inglesi e ragazzi soprani mentre si adorna anche con quelli che Tavener vede come segni distintivi ortodossi, e anche se può essere musica da concerto o da cattedrale anglicana piuttosto che musica liturgica ortodossa, sta cercando almeno di trovare i parametri in cui una "musica ortodossa inglese" potrebbe andare bene.

La musica di Pärt riflette un insieme molto meno caotico di obiettivi; lui non è su un cammino di ricerca di una visione in quanto tale, per quanto posso dire da ciò che p. Ivan presenta. La sua musica è, come lui stesso sottolinea, "attivamente" contemplativa; a differenza di Tavener, le cui preoccupazioni sembrano essere diventate sempre più esoteriche e disincarnate, per così dire, quella di Pärt è una spiritualità che "[procede] dall'incorporeo al corporeo" (Moody, p. 185). Si potrebbe cercare di dare una spiegazione dicendo che, nella misura in cui impiegano un'idea di silenzio come sostegno spirituale della loro musica, Tavener è teso verso il silenzio con la sua anima; Pärt sceglie attivamente di essere tranquillo con il suo corpo.

Il libro di p. Ivan è immensamente utile sui temi del cristianesimo ortodosso nei rapporti con l'arte e la musica, sintetizza una grande quantità di bibliografia per il lettore anglofono, e sembra sfatare i possibili sentimenti che potrebbero marginalizzare, se non opporvisi, ogni nozione di "arte ortodossa". Si ha un'impressione piuttosto chiara che, sì, esiste una cosa del genere, una contorcimento di mani "piuttosto ansioso e nordamericano" ​​(per prendere in prestito una frase dell'attuale vescovo anglicano di Ebbsfleet, Jonathan Goodall) da parte. Così, accettando che questa ansia nordamericana esista, almeno in una certa misura, che ci possiamo fare, e come facciamo ad andare avanti?

Un tentativo di mostrare un percorso si può trovare nel libro The Mystery of Art: Becoming an Artist in the Image of God (Ancient Faith Publishing, 2014), scritto dall'attore pluripremiato dei Daytime Emmy, Jonathan Jackson (che sta attualmente girando il programma Nashville della ABC). Jackson si è convertito al cristianesimo ortodosso nel 2012, ed è stato ispirato dalla sua esperienza di conversione a scrivere una meditazione sull'Ortodossia e la vita dell'artista. Il libro è molte cose: è un saggio di conversazione che riferisce le riflessioni personali di Jackson sull'impatto del cristianesimo sul suo lavoro di attore e di musicista, è una raccolta di sue poesie, e si presenta anche come a volte una sorta di libro devozionale.

Jackson è totalmente sincero nella sua visione dell'artista cristiano:

Ogni volta che un artista porta qualcuno alla presenza di un significato, in quel momento il suo lavoro diventa incarnato anziché ideologico. L'artista è il sale e la luce; risveglia il cuore a un significato più profondo. Il significato è tutto intorno a noi. Il significato riposa nella creazione. La bellezza sussiste nell'eterno presente. Siamo fatti per portare la luce, la luce della Trasfigurazione di Cristo.

È una cosa incredibile scoprire che il cristianesimo è una esperienza di dire sì a ciò che è veramente bello... [e che] proclama che Dio è bello! La creazione è piena della sua gloria, e ama tanto il mondo da morire per ripristinare la sua bellezza... Cristo e le arti sono destinati l'uno alle altre... La vita di Cristo è profondamente ricca di significato per la vocazione di un artista. In questo lavoro, la mia preghiera è che l'artista diventi più cristiano e il cristiano più artistico. Queste realtà non si oppongono l'una all'altra. È un mistero che vale la pena contemplare: diventare un artista a immagine di Dio (Jackson, pp. 19-20).

Sincerità e calore a parte, però, è difficile non percepire una comprensione fondamentalmente romantica del termine "artista", e che il progetto di Jackson, alla base, sta cercando di conciliare il romanticismo con il cristianesimo usando il vocabolario dell'Ortodossia orientale. Quest'impressione è rafforzata altrove:

L'uomo è al tempo glorioso e spezzato – magnificamente radioso e profondamente ferito. È ferito, ma non del tutto depravato... Non si può sfuggire la domanda di Amleto, "Essere o non essere", che appartiene a ciascuno di noi. L'artista non può cessare di sottoporsi le domande eterne. Deve trovare uno scopo trascendente per la vita...

Diventare una vera icona significa essere ricreati a sua immagine e somiglianza ... l'artista non è chiamato solo a imitare Cristo, ma a diventare simile a lui nel suo intimo, per la grazia dello Spirito Santo... Come ha detto san Giovanni Crisostomo, "Se gli artisti che fanno statue e dipingono ritratti di re sono tenuti in grande considerazione, Dio non benedirà diecimila volte di più coloro che rivelano e abbelliscono la sua immagine reale (perché l'uomo è immagine di Dio)?"

L'artista è chiamato non solo a imitare meramente, ma a diventare... Solo allora la sua arte diventerà trascendente e rifletterà qualcosa della bellezza eterna e del valore eterno (Jackson, pp. 46-47).

Qui Jackson sta prendendo l'ideale romantico dell'artista come eroe, e sta tentando di riformularlo in uno stampo cristiano e di rafforzarlo citando Crisostomo, ma non è del tutto chiaro se questo funziona, soprattutto perché Crisostomo qui non sta parlando affatto di arte – sta parlando del dovere dei genitori di plasmare i propri figli (si veda Vigen Guroian, "The Image of God, Original Sin, and the Divine Model of Parenthood" in The Child in Christian Thought, ed Marcia Bunge, Eerdmans, 2001).

Il progetto di Jackson di un romanticismo cristiano è mostrato appieno nella sua conclusione, qui incorniciata in un'imitazione del linguaggio mistico dell'Ortodossia:

L'artista è una persona di gioia e forza soprannaturale. Tutto ciò che fa su questa terra viene da questo luogo di gioia: questa magnanima unione con Dio attraverso il Cristo risorto. La gioia della risurrezione inonda l'anima dell'artista di energia mistica per farlo abitare nelle profondità dell'umanità. Quando l'artista abbraccia il mistero di Dio, la bellezza della vita aumenta e la pazzia dell'amore abbonda. La compassione inonda il corpo, la sapienza invade i sensi, la gioia cresce nello spirito, e la pace si irradia all'interno del cuore. Questo prepara l'artista a incontrare la bellezza straziante del Divino e a creare realmente nello Spirito (Jackson, P158).

Ancora una volta, questo è l'artista del XIX secolo come vagabondo eroico, dipinto solo con parole neo-platoniche piuttosto che con i pennelli di Caspar David Friedrich. La lucentezza si scontra con la base, a dir poco.

Il guaio è, che altro c'è? Non molto, anche se c'è un chiaro precedente al libro di Jackson in The Music of Silence: A Composer's Testament di John Tavener (Faber and Faber, 1999), e penso che non sia troppo forzato dire che il linguaggio visivo con cui Jackson è presentato sulla copertina del suo libro è molto in dialogo con la consolidata "iconografia" di Tavener come "serio compositore ortodosso".

Il libro di Tavener ha un certo numero di vantaggi rispetto a quello di Jackson in termini di livello del discorso, non ultimo dei quali è un senso dell'umorismo alla base dell'intero procedimento, per esempio quando spiega il motivo per cui è diventato ortodosso invece che cattolico:

Anche al suo meglio, la varietà ultramontana del cattolicesimo non mi piaceva per la scolastica ... diffidavo profondamente dell'atteggiamento del proselitismo. Ricordo il sacerdote che diceva: "Penso che sia arrivato per te il momento di entrare, penso che dovresti farlo, il Signore ti vuole". Gli ortodossi sono tutto il contrario: cercano di spingere via. Questo mi attirava verso la Chiesa ortodossa. (pp. 33-34)

Nella sostanza, The Music of Silence è un avvincente autoritratto; Tavener disseziona se stesso, la sua fede e la sua voce musicale per spiegare al lettore in più grande dettaglio ciò che fa battere il suo cuore – e, come sottolineato in precedenza, Tavener era impegnato in una ricerca della visione di prim'ordine. La ricerca di una vera e propria esperienza di Dio era ciò che lo motivava come artista, né più né meno:

Se guardate le grandi icone del periodo bizantino, vedete gli angeli come bloccati con lo sguardo su Dio. Ho spesso pensato: è possibile produrre quel tipo di silenzio estatico, pietrificato, congelato nella musica? Ho certamente provato a farlo in vari pezzi... è il desiderio di Dio ...il desiderio di Dio che, come nelle icone, è in qualche modo pietrificato e silenzioso (Tavener, p. 157).

Tavener sottolinea anche in modo molto chiaro che sta parlando rigorosamente dal suo punto di vista, e non ha quindi alcuna particolare necessità di correzione di bozze (che lo salva da bozze improprie, come per esempio la citazione di Crisostomo fatta da Jackson). Racconta semplicemente la sua storia come compositore che si trovava alla ricerca di qualcosa: quello che ha trovato è stato il cristianesimo ortodosso, e si è sentito in dovere di servire l'oggetto della sua ricerca con i suoi sforzi musicali. Sotto molti aspetti, Tavener fa sentire la sua storia più universalmente applicabile per non aver tentato di ampliare il campo di applicazione al di là di se stesso; Il lavoro di Jackson, al contrario, parla troppo particolarmente di lui quanto più egli cerca di generalizzare.

Certo, non è proprio così semplice; La conversione e la produzione musicale di Tavener come "compositore ortodosso" si è verificata in un momento e in un contesto culturale molto diverso da quelli di Jackson, come chiarisce il racconto che egli fa degli inizi della sua vita. Come si assorbe il cristianesimo ortodosso, e ciò che si assorbe da esso, dipenderà probabilmente dalla cultura fino a una certa misura; per Tavener, che era cresciuto in una cultura in cui sono conservate almeno certe esteriorità del culto pubblico liturgico, ciò si riflette in dettagli come il suo ricordo d'infanzia di aver assistito a una rappresentazione della Passione secondo Matteo di Bach a Londra in un'occasione quaresimale, e ciò si manifesta in modo probabilmente molto diverso da quello di Jackson. La funzione artistica di Tavener era anche una che aveva un contesto ecclesiale pronto; è più difficile viverlo come attore, forse, che come compositore (anche se la formazione teatrale ha certamente beneficiato alcuni sacerdoti che potrei citare).

Ci sono però cose preoccupanti circa il libro di Tavener. Gli assunti fondamentali di Jackson possono essere romantici in natura, ma il perennialismo di Tavener è altrettanto in mostra – anzi, non fa che renderlo obbligatorio come necessità artistica:

Ho letto molte opere di persone che hanno scritto di tradizione, come René Guénon, Philip Sherrard, A. K. Coomaraswamy, Frithjof Schuon, ecc. Si può studiare Machaut, Bach, Stravinskij e Messiaen ma questo non è sufficiente. Se si vuole veramente riscoprire il sacro nella musica, si deve andare al di fuori della musica e tornare ai Vangeli, ai Padri, e anche ai detti dei Sufi, per capire questo approccio alla musica non scolastico, non di sviluppo. Alla fine, la gloria della musica è inseparabile dalla sovrabbondanza della vita... Credo che entrambe [la metafisica e la tradizione] ci portino a Dio, a meno che non ci limitiamo a fare giochi intellettuali onanistici con la tradizione (Tavener, P120).

C'è anche il relativo problema del linguaggio eccessivamente mistico sulla musica che rischia quasi di trasformarla in magia. In tutto il libro, Tavener si riferisce a concetti come l'ison come "la nota dell'eternità" e al canto, "che si tratti di quello indiano o quello bizantino o qualunque altro, è il punto più vicino a cui si può arrivare alla musica che fu soffiata nell'uomo quando Dio ha creato il mondo "(Tavener, pp. 135-36).

In tutta onestà, il perennialismo potrebbe comprensibilmente essere visto dall'artista cristiano come soluzione alla spiritualità nell'arte con quelle che sembrano essere qualità comuni, praticamente universali, attraverso le culture e secoli. Quello che produciamo non può non essere influenzato fortemente da ciò che sperimentiamo e da come trattiamo quelle esperienze, e se siamo in grado di vedere qualcosa di buono e santo in una tradizione non cristiana, ciò avrà un certo impatto sul nostro modo di esprimerci in un contesto cristiano. Tutto molto bello, per quanto riguarda l'istinto umano, ma se Cristo non trasforma quell'istinto in modo che noi subordiniamo a lui le nostre espressioni di tale istinto, allora il cristianesimo, e di certo il cristianesimo ortodosso, diventa poco più di colori sulla tavolozza, e una certa forma di perennialismo o sincretismo sarà il risultato. Tavener stesso sconfessa questa soluzione: "Se prendete da una tradizione... dovete venerare la tradizione nel suo complesso, non utilizzarne pezzi come questioni di convenienza estetica" (Tavener, p. 88). Eppure, questo è esattamente quello che sembra riconoscere di fare egli stesso, solo che non lo definisce in questo modo:

Al momento sto lavorando su [un pezzo], Zoë, che si riferisce alla vita eterna. La musica per Cristo è basata sui ritmi altamente complessi del canto samavedico ... In [un altro pezzo,] L'ultimo discorso [,] uso una linea melodica severamente micro-tonale di dipo dhrupad, per la musica di Cristo ... spero che [queste scelte] sapranno trasmettere questo tono oscuro, piuttosto impressionante, ai detti di Cristo (Tavener, p. 127).

Ora, come ho detto sopra, vi è un modo in cui Tavener è solo uno di una lunga serie di musicisti ortodossi che hanno trovato bellezza in altre tradizioni. Il grande compositore di musica bizantina, Petros Peloponnesios, era anche un esperto di idiomi musicali sufi, armeni e turchi, ha incorporato elementi di tali culture musicali nelle sue composizioni, e vi è una storia famosa su di lui che canta la selak dal minareto di una moschea. Il contatto culturale esiste, e non deve essere inteso come "corruzione" o "sincretismo" o cose simili, né è necessario che avvenga secondo i dettami di un impulso perennialista.

Allo stesso tempo, non dobbiamo essere confusi dalle odierne divisioni nette di categorie musicali, ma piuttosto storicizzarle. Anzi, forse questo è l'errore di Tavener; il suo impulso a classificare la musica "orientale" come "mistica", e quanto più a est tanto più mistica, forse dice di più sul nostro stesso bisogno in Occidente di separare la "musica occidentale" (un corpo di repertorio relativamente piccolo che comprende opere di "seri" compositori dal Rinascimento in poi) dalla "musica del mondo". La "musica occidentale" è una categoria troppo piccola per essere generale, la "musica del mondo" è una categoria troppo grande per essere precisa, e questa divisione subordina troppo facilmente la musica all'orientalismo.

Così, da un lato, abbiamo un tentativo di battezzare il romanticismo, una preoccupazione per la persona dell'artista cristiano; dall'altro, il perennialismo o sincretismo, una preoccupazione di misticismo e "purezza" della tradizione come astrazioni piuttosto che come parte dell'esperienza vissuta del cristianesimo. Sicuramente esisterà un altro modo?

Parte del problema di come parliamo di arte negli ambienti ortodossi anglofoni, in particolare nel contesto americano, è che la teoria non sta seguendo la pratica. Per dirla in un altro modo, non c'è davvero una cultura dell'arte nell'Ortodossia anglofona che Tavener e Jackson stanno descrivendo, con modelli stabiliti e con un vocabolario per farlo; devono importare le proprie sensibilità e trovare un modo di applicare il linguaggio ortodosso al loro lavoro. Questo è dove il libro di p. Ivan riesce meravigliosamente, visto che è in grado di analizzare le culture artistiche che sono già in atto e funzionanti.

C'è un altro aspetto del problema, però: in un contesto di Ortodossia americana – come si è visto dagli interlocutori piuttosto scontrosi all'inizio di questo saggio – non abbiamo davvero un accordo tra di noi sul fatto che valga la pena fare arte, per non parlare di farla bene, e anche se potremmo concordare su una parte di questo aspetto, certamente non siamo d'accordo su che cosa significa fare buona arte. Le realtà pastorali e parrocchiali spesso indicano che dobbiamo, diciamo, spiritualizzare il concetto di qualità, piuttosto avere aspettative di qualità che possano essere realizzate. Alcune di queste, senza mezzi termini, si riducono a questioni d'economia; l'arte fatta bene costa denaro, e ai nostri giorni, per alcuni, rappresenta un cattivo ritorno di investimenti. C'è il desiderio in alcuni ambienti di una sorta di idioma "americano" auto-consapevole di espressione artistica ortodossa –musica ortodossa"americana", iconografia "americana", architettura "americana", e così via, e la convinzione che questa emergerà solo quando spoglieremo in qualche modo l'Ortodossia dalle influenze "straniere". (Questo significa che un'autentica identità americana emergerà quando toglieremo le influenze "straniere" dall'America?) Ci sono anche altri fattori culturali in gioco, tutti radicati nelle radici puritane dell'America – un disgusto per quella che è visto come professionalità, una credenza, per così dire, che "l'arte" non abbia posto nell'Ortodossia, e un disaccordo globale sull'arte nella mentalità popolare americana. La verità è che abbiamo un certo numero di problemi pratici nel nostro contesto che rendono difficile esprimere quello che stiamo facendo senza ricorrere a qualcosa di simile al romanticismo per conforto – quanti di noi si sentono come se fossero soli contro il mondo? – o al perennialismo come modo di capire perché queste cose sono importanti in una società pluralistica.

Quello che vorrei suggerire come possibile primo passo in avanti, qualcosa che dobbiamo fare prima di fare qualsiasi altra cosa, proviene da un'altra fonte non ortodossa; poiché io sostengo che alla base i nostri problemi sono pratici, tuttavia, è uno dei migliori consigli pratici che conosco. Proviene dal discorso di Neil Gaiman del 2012 alla classe di laurea della University of the Arts a Philadelphia (ampiamente disponibile online e pubblicato come libro con il titolo Fantastic Mistakes (Morrow, 2013). È molto semplice: Fate buona arte.

Fate buona arte, sia essa musica, architettura, iconografia, paramenti, metallurgia, quel che volete. Fatela perché amate Dio e la sua creazione, e desiderate utilizzare le abilità che vi ha dato come parte di quella creazione per glorificarlo. Non ho intenzione di entrare qui nei vari modelli teorici di "sub-creazione" o "ri-creazione" o "scoperta" – non sono così intelligente. Fate quello che sapete fare nel modo in cui sapete farlo. Fatelo perché è così che potete servire, e perché questo consentirà di ispirare gli altri a servire.

Fate buona arte, arte che segue i modelli che abbiamo per l'arte sacra, cominciando a copiare se dovete, ma sappiate anche che Dio vi ha dato una voce, e quella voce non sarà mai identica a un'altra. Gli iconografi firmano il loro lavoro; i compositori firmano la loro musica; conosciamo i nomi degli architetti delle chiese almeno fin da Santa Sofia nel sesto secolo. È un errore dire che il cristianesimo ortodosso non consente la creatività, e se lo fa questa deve essere anonima. Sì, è vero che ci sono modelli e regole che si deve seguire, che nessuno ha carta bianca per fare tutto ciò che vuole, e che in qualunque mestiere in cui si opera c'è bisogno di imparare come farlo, prima di fanno, ma i requisiti formali non significano che non si può essere creativi, non più di quanto i requisiti formali di un sonetto significano che scrivere sonetti è fondamentalmente un'impresa non creativa. Dio ha fatto l'universo dal caos, dando forma alla mancanza di forma; noi dobbiamo fare lo stesso.

Fate buona arte e accettatene i rischi. Il vostro coro parrocchiale sarà in grado di cantare la vostra composizione? Beh, di certo non sarà in grado di cantarla, se voi non la scrivete. Le persone impareranno. Possono imparare lentamente, ma impareranno.

Fate buona arte e fatela anche per la sala dei concerti e per la galleria d'arte, non solo per l'edificio della chiesa. Non vi è alcuna ragione per cui non possiate fare entrambe le cose, come dimostra il libro di p. Ivan (e come dimostrano le composizioni di p. Ivan) – in effetti, quello che il libro di p. Ivan dimostra è che, nei paesi storicamente ortodossi, la linea tra l'arte ecclesiastica e secolare è praticamente inesistente. Se siete compositori, scrivete per tutti i contesti, e fatelo al meglio delle vostre capacità. Se siete pittori, siete in grado di produrre un'icona così come la copertina di un libro (il quadro sulla copertina del libro di p. Ivan è un lavoro del genere, dell'iconografo George Kordis). "Non liturgico" non significa "non sacro" o "non ortodosso".

Allo stesso tempo, fate buona arte anche per l'edificio della chiesa. "Troppo bello per la chiesa" è la risposta sbagliata, soprattutto se avete imparato con la dovuta diligenza ciò che hanno fatto i maestri e siete in grado di lavorare all'interno di requisiti formali, liturgici e tradizionali.

Fate buona arte e valorizzatela; prendete il vostro mestiere abbastanza sul serio per fare in modo che anche altre persone lo valorizzino. Fatela per amore di Dio, ma non lasciate che gli altri vi dicano che se amate la Chiesa la farete senza alcun compenso. Nella misura in cui la Chiesa è incarnata, la produzione creativa è parte di ciò che la Chiesa dovrebbe sostenere materialmente. L'addestramento per la produzione delle arti liturgiche della Chiesa non è economico, e se il nostro cuore è dove sta il nostro tesoro, allora ciò che non è valutato non sarà apprezzato.

Fate buona arte e non abbiate paura di farla bene. Quando Dio ebbe finito di fare il cielo e la terra, li guardò e vide che era cosa buona; fate lo stesso.

In altre parole – cerchiamo prima di capire come fare tutto questo. E poi facciamolo. Quindi cerchiamo di capire come parlarne. Se siamo in grado di fare così, allora forse si potrà sostenere molto meno che, in qualche modo, l'arte sia un'indulgenza e una distrazione nel cristianesimo ortodosso.

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