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  La cosa più difficile nell'Ortodossia è vivere in un paese non ortodosso

La storia dell'indonesiano ortodosso Sergij Gefaldo

Orthochristian.com, 11 giugno 2021

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Geraldio Lau Gefaldo

È sabato. La grande casa in via Kartajaya nella città indonesiana di Surabaya a Giava è affollata. Tutti si sono radunati in cucina, la parte più orientale dell'edificio. Nel giro di poche ore la sala da pranzo si trasformerà provvisoriamente nel sancta sanctorum di ogni chiesa ortodossa: l'altare/santuario. Il sacerdote allestisce con cura un tavolo speciale, lo copre con un endytion, o tovaglia d’altare, vi depone un'antimensio e il libro del Vangelo, vi mette sopra una croce di legno e accende delle candele. A sinistra del Vangelo c'è un'icona della Madre di Dio, a destra c'è un'icona del Salvatore. Questa è la parte principale del santuario: la santa mensa dell'altare. Un accolito ventenne di nome Sergij Gefaldo assiste il sacerdote, prepara l'incensiere, piega i paramenti liturgici e passa un panno sulle icone. Qui, tra poche ore, celebreranno la radiosa Risurrezione di Cristo!

Geraldio Lau Gefaldo è nato e cresciuto nella città di Surabaya, in Indonesia, in una famiglia protestante. All'età di sedici anni è stato battezzato nell'Ortodossia con il nome di Sergij, in onore di san Sergio di Radonezh. Per lui l'Ortodossia è divenuta il punto finale della sua ricerca spirituale. Da scolaro, si definiva un occultista, un buddista, un indù...

Ora Sergij Gefaldo ha vent'anni, ed è accolito presso la chiesa domestica di san Giona della Manciuria, vescovo di Hankou, nella città indonesiana di Surabaya. La sua storia parla di come gli ortodossi indonesiani celebrano la festa cristiana più importante: la risurrezione di Cristo.

La moderna missione ortodossa nella città di Surabaya è iniziata nel 2007. Questa città portuale si trova sulla costa orientale di Giava. È un importante centro economico; più di tre milioni di persone vivono qui. La popolazione è prevalentemente musulmana (al novanta per cento); il resto è composto da cattolici, protestanti, buddisti e indù. È molto difficile costruire una chiesa ortodossa nel nostro paese. Primo, la terra è costosa. In secondo luogo, è necessario raccogliere molti documenti e ottenere le firme di almeno sessanta persone che vivono nella zona, il che non è realistico. Pertanto, tutte le chiese ortodosse sono chiese domestiche e, purtroppo, poche persone le conoscono.

La parrocchia di San Giona di Manciuria è l'unica parrocchia ortodossa della città di Surabaya. E in questi giorni stiamo attraversando momenti difficili. In precedenza, le funzioni erano celebrate in una chiesa domestica: era situata in una grande stanza, che era stata messa a disposizione gratuitamente da uno dei nostri parrocchiani. Lì avevamo tutto ciò di cui una chiesa ortodossa ha bisogno: un'iconostasi, un santuario, le porte regali, un ambone, un coro, una solea e un ampio spazio per i parrocchiani. Sfortunatamente, la pandemia ha colpito le nostre vite e lo scorso aprile abbiamo dovuto trasferirci. Il rettore della chiesa, padre Kirill, ha offerto la sua casa per le funzioni. Ora la nostra comunità si riunisce solo una volta alla settimana per la Liturgia domenicale. E ogni volta trasformiamo in chiesa la sala da pranzo: prima riordiniamo accuratamente la stanza, laviamo il pavimento, spolveriamo e togliamo tutto ciò che non è necessario. Quindi assembliamo la tavola dell'altare e vi posiamo sopra le icone e le candele. Al centro del presbiterio poniamo la mensa dell'altare: una mensa quadrangolare, consacrata e ricoperta da un endytion (tovaglia d’altare, ndt). Padre Kirill monta sempre lui stesso la tavola dell'altare. Questo è il luogo più sacro di ogni chiesa, luogo della speciale presenza della divina gloria.

Quest'anno abbiamo iniziato i preparativi per la funzione pasquale festiva il sabato mattina. Quando non è rimasta più traccia della cucina (tranne un frigorifero nell'angolo più lontano), ci siamo vestiti. Il sacerdote ha recitato un'esclamazione, che segna l'inizio della funzione. C'erano molte persone, una trentina, e circa la metà erano catecumeni. Questi sono giovani, studenti appena laureati all'università. È consuetudine nella nostra parrocchia che coloro che sono venuti di recente in chiesa facciano la catechesi per un anno, partecipando attivamente alle funzioni, e solo a quel punto sono battezzati.

Durante la funzione pasquale, non possiamo avere una vera e propria processione religiosa poiché non ci è permesso attirare l'attenzione di altre persone per strada. Pertanto, camminiamo simbolicamente e solennemente in cerchio nella stanza. Sfortunatamente, non cantiamo nemmeno il Canone di Pasqua. Non ne abbiamo ancora una traduzione indonesiana.

Cantiamo tre volte il Tropario pasquale: in indonesiano, in slavonico ecclesiastico e in greco. Abbiamo anche una versione giavanese. Ci sono molti dialetti in Indonesia: la lingua ufficiale è l'indonesiano, ma sull'isola di Madura si parla la lingua madurese, a Bali il balinese, a Giacarta il betawi, a Banten (la provincia più occidentale di Giava) il sundanese. Il giavanese è parlato nella parte orientale dell'isola dove viviamo noi . Abbiamo cantato per la prima volta quest'anno il Tropario pasquale in giavanese. Mi sono preparato in anticipo: ho trovato il testo su Internet, l'ho tradotto, ho stampato lo spartito e l'ho mostrato a tutti. E il nostro coro sono i nostri parrocchiani. Leggiamo il Vangelo in sette lingue: indonesiano, giavanese, slavonico ecclesiastico, greco, latino, francese e olandese.

I nostri parrocchiani indossano abiti festivi per la Pasqua: gli uomini indossano sempre camicie batik. Il batik è un tessuto dipinto a mano con vernici e composizioni speciali. In indonesiano "batik" significa letteralmente "goccia di cera". Questa è una tecnica pittorica speciale che è stata inventata dagli indonesiani. Nel 2009, il batik è stato aggiunto all'elenco del patrimonio culturale dell'umanità dall'UNESCO.

Le donne indossano molto raramente abiti lunghi e gonne, anche quando vanno in chiesa. Molto spesso i loro vestiti sono una camicia o una camicetta fatta di batik, pantaloni e una sciarpa in testa.

Abbiamo anche la tradizione di dipingere le uova per la Pasqua. Usiamo due colori: rosso e verde, o semplicemente le lasciamo bianche. Disegniamo una croce e scriviamo "XB" (un'abbreviazione di "Cristo è risorto" in slavonico ecclesiastico). E prepariamo anche i dolci pasquali. Abbiamo tutti gli ingredienti necessari qui in Indonesia.

La Pasqua è un'opportunità per le persone di riunirsi. A Pasqua arriva un sentimento di quieta pace, che ci porta la gioia della radiosa Risurrezione di Cristo!

un tè  dopo la Liturgia

Dopo la Liturgia pasquale di san Giovanni Crisostomo ci riuniamo per un pasto. Quest'anno non ha fatto eccezione. Abbiamo concordato in anticipo quale cibo ciascuno di noi avrebbe portato. Abbiamo un proverbio giavanese: "Se non mangiamo riso, allora non mangiamo proprio niente". Usiamo il riso con tutti i piatti e amiamo gli spiedini di pesce e di montone.

Rispetto alle chiese in Russia, qui le nostre funzioni sono ancora incomplete. Mancano le traduzioni indonesiane dei testi. Per me la cosa più difficile nell'Ortodossia è vivere in un paese non ortodosso. Ci sono sei religioni riconosciute in Indonesia: Islam, Protestantesimo, Cattolicesimo, Induismo, Buddismo e Confucianesimo. Credo che se avremo una grande chiesa a Surabaya, il numero dei fedeli crescerà rapidamente. Allora l'Ortodossia diventerà una religione ufficiale. Lo voglio davvero!

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