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  L’Ortodossia in Indonesia: Intervista all’archimandrita Daniel (Byantoro)
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L’archimandrita Daniel (Bambang Dwi Byantoro) è il primo prete e missionario ortodosso nell’Indonesia contemporanea. Nel febbraio 2005, la missione di cui Padre Daniel è a capo è passata dal Patriarcato di Costantinopoli alla Diocesi di Australia e Nuova Zelanda della Chiesa Russa all’Estero. Nei suoi anni di servizio in Indonesia, padre Daniel è stato in grado di convertire circa 2000 persone all’Ortodossia.

L’Indonesia è per grandezza il quinto stato del mondo, con una popolazione di 220 milioni, ed è la prima per numero di musulmani (quasi il 90% degli indonesiani sono musulmani).

Nel VII-VIII secolo, I primi missionari cristiani da Antiochia (Siria) hanno predicato in Indonesia, ma dopo la morte dell’ultimo membro del clero, i residenti locali rimasero quasi senza conoscenze dell’Ortodossia, per l’isolamento politico e geografico. Nel secolo XI, un missionario cattolico vi scoprì discendenti di cristiani, che erano sopravvissuti nonostante circa tre secoli di isolamento. Di quel primo periodo non rimane un singolo documento scritto, ma la tradizione orale ha conservato i nomi di tre vescovi locali: Mar Yaballah, Mar Abdisho e Mar Dinkha.

Così, nonostante la popolazione musulmana maggioritaria, l’Indonesia possiede davvero delle radici cristiane, deboli ma profonde. La maggior parte degli indonesiani non conosce queste radici, L’archimandrita Daniele insiste a dire che è stata l’Ortodossia orientale ad arrivare prima di ogni altra confessione cristiana.

Ecco il testo dell’intervista rilasciata da Padre Daniele a Thomas Hulbert, pubblicato in Road to Emmaus, 6, estate 2001

 

Quando l’archimandrita Daniel, fondatore della missione ortodossa in Indonesia, è entrato nella piccola libreria di Amsterdam dove ci eravamo dati appuntamento, era appena sceso dall’aereo da Jakarta, un volo di molte ore. Anche se era stanco, non ho potuto convincerlo a sedersi; invece ha ispezionato tutto nella libreria, rallegrandosi visibilmente per le piccole cose. L’incredibile viaggio di padre Daniel dall’Islam all’Ortodossia lo ha portato dall’Indonesia alla Corea, al Monte Athos, agli Stati Uniti e in Europa. L’idea stessa del cristianesimo tradizionale in Indonesia, da lungo tempo un paese dominato dai musulmani, porta in primo piano immagini contrastanti – la colorata cultura del sud-est asiatico abbeverata per secoli con devote pratiche islamiche, e che ora alimenta il seme dell’Ortodossia che si sforza di crescere. Di fatto, la storia di p. Daniel è come una storia che esce dal Vangelo stesso, con i suoi elementi disparati che raggiungono l’armonia in Cristo.

Avevo immaginato che fosse un uomo alto, ascetico ed emaciato, con una preparazione universitaria e studi teologici che mi avrebbero fatto sforzare per seguire il suo pensiero. Invece è un tipo basso e rotonda, con un volto angelico sufficientemente ampio per contenere il suo sorriso quasi continuo e un filo di barba che mi ricordava un saggio orientale. Sono stato subito disarmato dai suoi modi accessibili e pratici, - si è tolto le scarpe e le ha lasciate alla porta, e ci siamo prontamente seduti a pranzo. Eravamo insieme a pochi istanti quando mi sono sentito come in compagnia di un buon amico venuto a visitarmi dopo un lungo viaggio. Presto è apparso un suo aspetto diverso: l’attività incessante di un missionario. Ha fatto telefonate in una varietà di lingue, ha preparato velocemente le valigie per la fase successiva del suo viaggio, e ha controllato la sua e-mail per la corrispondenza missionaria. Anche questa era varia: leader di vari gruppi cristiani che chiedono informazioni su dell’Ortodossia, incontri da concordare, richieste di consulenza pastorale, e, naturalmente, notizie sull’attuale spaventosa persecuzione di cristiani in Indonesia. Eppure non ha mai perso la sua luminosità infantile e i suoi modi rilassati.

 

Thomas: Come ti avvicini alle anime che vengono da te? Se sono musulmani come fai a lavorare con loro e come fai a spiegare la differenza tra cristianesimo e islam? Come fai ad attrarli?

P. Daniel: Penso che in ogni lavoro missionario devi prima di tutto capire la cultura del popolo e devi essere in grado di parlare entro i limiti di quel linguaggio culturale, perché altrimenti la tua parola non può essere ascoltata o capita. Quindi, quando parli con un musulmano, devi comprendere la mentalità musulmana. Non cercare solo di gettare nel discorso parole e frasi familiari ai cristiani, agli ortodossi, perché non saranno capite da un musulmano. Prima di tutto, quando parli a un musulmano, devi sottolineare che Dio è Uno.

Thomas: Perché loro ci credono già?

P. Daniel: Non solo perché loro ci credono già, ma perché accusano noi [i cristiani] di avere tre dèi. Questo è il problema. Quindi, devi chiarire l’equivoco che noi adoriamo tre dèi. Non cercare di usare il nostro linguaggio tradizionale, come Padre, Figlio e Spirito Santo – perché per loro, questi sono tre dèi! Nelle loro menti, il Padre è diverso, il Figlio è diverso, lo Spirito Santo è diverso. Per quanto mi riguarda, sottolineo che Dio è Uno, che questo unico Dio è anche il Dio vivente, ed essendo il Dio vivente ha una mente. Perché se Dio non ha una mente, mi dispiace dirlo, sarebbe come un idiota. Dio deve avere una mente. Entro la mente di Dio c’è la Parola.

Così, la Parola di Dio è contenuta all’interno di Dio stesso. Così, Dio nella sua Parola non è due, ma uno. Dio è completo con la sua stessa Parola, è pregno della Parola. E quella Parola di Dio è stata poi rivelata all’uomo. La cosa che è contenuta all’interno – come essere pregno di se stesso – quando si rivela, si dice che è generata da quella persona. Questo è il motivo per cui la Parola di Dio è chiamata il Figlio: è il bambino nato dall’interno di Dio, ma fuori del tempo. Quindi, è per questo che questo unico Dio è chiamato Padre, perché ha la sua stessa Parola che è generata da Lui, e si chiama il Figlio. Così, Padre e il Figlio non sono due dèi. Il Padre è un solo Dio, il Figlio è la Parola di Dio. Il musulmano crede che Dio ha creato il mondo per mezzo della Parola. Così ciò che il musulmano crede come Parola, è ciò che i cristiani chiamano il Figlio! In questo modo, siamo in grado di spiegare loro che Dio non ha un figlio separato da se stesso.

Così i musulmani vedono la nostra idea di Figlio di Dio in termini di discendenza fisica.

Sì, certo. E Dio non ha un figlio in quel senso, è vero. Egli non genera nel senso di un essere umano che partorisce. È chiamato Padre perché produce da se stesso la sua stessa Parola, e quella Parola è il Figlio.

Quindi, perché Dio è il Dio vivente, deve avere il principio della vita in se stesso. Nell’uomo, questo principio di vita è lo spirito dell’uomo. Dio è lo stesso. Il principio della vita in Dio è lo Spirito di Dio. Si chiama lo Spirito Santo. Ma lo Spirito Santo non è il nome di Gabriele, come ritengono i musulmani. Lo Spirito Santo è il principio vivente, il principio della vita e del potere all’interno di Dio stesso. Questo  Dio unico è chiamato Padre perché egli stesso genera da se stesso la sua Parola, che si chiama il Figlio, e la Parola di Dio è chiamata Figlio, perché è generata dal Padre in modo eterno, senza inizio, senza fine. Questo unico Dio vivente ha anche in sé lo Spirito. Così, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è un solo Dio. Questo è il nostro modo di spiegare ai musulmani la Trinità, e non dovremmo cercare di utilizzare la nostra lingua di “Padre e Figlio, co-eguali, co-...” qualcosa del genere. Anche se è la nostra terminologia cristiana, non la capiranno. Lo scopo non è fare loro lezione di teologia, ma spiegare la realtà del Vangelo in un modo che sia comprensibile a loro. Questo è il punto numero uno: bisogna essere chiari sulla Trinità.

Il secondo punto è questo: la differenza fondamentale tra islam e cristianesimo riguarda la rivelazione. Nell’islam, Dio non si rivela. Dio manda solo la sua parola. “Rivelazione” nell’islam significa “l’invio dall’alto della parola di Dio” per mezzo dei profeti. E quella parola viene scritta in basso e diventa scrittura. Quindi, nell’islam, rivelazione significa “scritturizzazione” della parola di Dio, mentre nel cristianesimo non è la stessa cosa. Il Verbo è disceso nel grembo della Vergine Maria, si è incarnato e si è fatto uomo. Vale a dire, Gesù Cristo. Così, le due religioni credono che Dio si è comunicato all’uomo per mezzo della Parola, ma la differenza è il modo in cui la Parola si manifesta nel mondo. Nel cristianesimo si manifesta nella persona di Gesù Cristo e nell’islam si manifesta nella forma di un libro, il Corano. Così, il posto di Mohammed nell’islam è parallelo al posto della Vergine Maria nel cristianesimo ortodosso. Ecco perché nell’islam i musulmani rispettano Mohammed, non come un dio, ma come portatore di rivelazioni. Proprio come la Chiesa ortodossa rispetta la Vergine Maria non come una dea, ma come portatrice della Parola di Dio, colei che ha dato alla luce la Parola di Dio. Per coincidenza le due religioni rivolgono entrambe forme di saluto, a Mohammed per i musulmani e alla Vergine Maria per i cristiani. I musulmani hanno anche una sorta di acatisto o paraclisi, ma a Mohammed! Si chiama depa abarjanji – in termini ortodossi sarebbe un “canone” a Mohammed, perché egli è il portatore della rivelazione.

Thomas: E quindi Mohammed è venerato come un santo?

P. Daniel: Sì, è venerato. Molto. Ma ci sono anche i musulmani sufi, che a volte credono che Mohammed fosse “già presente”, come l’equivoco ariano su Cristo. A loro avviso, Mohammed fu la “prima anima creata,” per la quale fu creato il mondo. Questo è chiamato il Nor-Mohammed. Quindi, lo scopo dei mistici islamici è quello di essere come Mohammed, di imitarlo.

Thomas: Per essere portatori della Parola?

P. Daniel: Come lo fu Mohammed.

Thomas: Quindi, è per questo che i mistici sufi non sono così legalisti?

P. Daniel: Sì, sono più mistici.

E così, per noi, l’immagine della Chiesa è la Vergine Maria. Siamo chiamati ad essere come la Vergine Maria nella nostra sottomissione a Dio. La Vergine Maria è il quadro, l’immagine, o forse dovrei dire, l’icona della Chiesa. Mohammed è “ l’icona” dell’uomo ideale musulmano, e per questo il nostro modo di adorazione diverge. Nel cristianesimo, perché il Verbo si è fatto uomo, si è fatto carne, affinché noi siamo uniti con quella Parola dobbiamo essere uniti con il contenuto di quella rivelazione. Qual è il contenuto? L’incarnazione, crocifissione, morte e risurrezione di quella Persona. Per essere uniti con il contenuto di questa rivelazione, dobbiamo essere uniti in quella Persona, vale a dire la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Come? Attraverso il battesimo. E dobbiamo anche essere uniti con la vita della risurrezione del Verbo incarnato. Come? Con lo Spirito Santo, attraverso la Cresima. Così, i sacramenti sono molto importanti per noi, perché Dio si è fatto uomo. Ha santificato il mondo fisico in modo che gli elementi fisici della natura possano essere usati come mezzo con cui ci uniamo con la persona di Cristo nei sacramenti.

Nell’islam, tuttavia, perché la parola diventa un libro, il contenuto del libro è scrittura. Non è carne. Quindi, è per questo che, affinché un musulmano si unisca con il contenuto della duplice rivelazione (che Dio è uno e che Mohammed è il suo profeta) si deve recitare la fonte della rivelazione – perché è un libro. Ma non si può essere unito con un libro o immerso in esso, si può solo memorizzare il contenuto del libro nella forma originale, vale a dire in arabo. Quindi, la scrittura araba è la forma di quella rivelazione. Il Dio-Uomo Gesù è la forma di tale rivelazione nel cristianesimo. Perché una persona sia iniziata alla rivelazione islamica, si deve confessare il credo: “Confesso che non c’è altro Dio all’infuori di Allah, e che Mohammed è l’Apostolo di Allah.” Quando confessi questo, diventi musulmano. Non c’è il battesimo, non sei unito alla morte di nessuno, sei unito solo alla forma della rivelazione. Per rimanere unito alla rivelazione, devi mantenere le preghiere. Nella preghiera reciti il Corano, quindi preghi cinque volte al giorno, cinque volte al giorno ti immergi nel mare della rivelazione divina, che è il Corano. La preghiera è di per sé il sacramento dell’islam. Perché noi cristiani siamo immersi nella forma della rivelazione, che è Gesù Cristo, dobbiamo partecipare continuamente al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo. In questo modo siamo uniti a Gesù Cristo, mentre nell’islam la recitazione del Corano è la cosa più importante, perché si tratta di una forma di sacramento per i musulmani.

Quindi, queste sono le differenze di base. Questo è un modo per capire la mente musulmana invece di limitarsi a discutere contro di loro.

Thomas: Vuoi dire che i musulmani sono per la maggior parte consapevoli di questo aspetto teologico di Dio e del rapporto dell’uomo con lui?

P. Daniel: Sì, certo, attraverso il Corano, attraverso i profeti.

Thomas: Nell’islam, il modo di vita di una persona è di secondaria importanza rispetto alla corretta comprensione della forma della rivelazione?

P. Daniel: Quanto al modo di vita, l’islam fa nuovamente riferimento alla forma della rivelazione, che è un libro. Il contenuto del libro è scrittura, la scrittura è legge, e così la legge deve essere obbedita. Se abbiamo l’imitazione di Cristo e dei suoi insegnamenti, loro hanno l’imitazione di Mohammed e del Corano. È per questo che la vita di un musulmano è dettata e regolata dalla legge del Corano, mentre la nostra vita è dettata dalla legge di Cristo nello Spirito Santo.

Thomas: Qual è allora la differenza tra seguire queste due leggi?

P. Daniel: Nell’islam, non vi è alcuna nuova nascita, solo un ritorno a Dio, che significa pentimento. Questo si chiama sottomissione a Dio.

Thomas: E questo è il significato della parola islam, “sottomissione?”

P. Daniel: Sì. islam significa sottomissione a Dio. Questo è il nostro modo per capire la differenza tra il modo di vita dell’islam e quello del cristianesimo ortodosso. Ci sono alcuni modi paralleli di pensare, ma un contenuto molto diverso. La differenza principale è che nel cristianesimo ortodosso il Verbo si è fatto carne e per l’islam la parola è diventata un libro. Questa è la principale differenza.

Thomas: Come fanno i musulmani convertiti all’Ortodossia a sostenere la loro fede nella società a maggioranza musulmana dell’Indonesia? Avete comunità di cristiani ortodossi che vivono insieme e si sostengono a vicenda in un ambiente religioso ostile, o la parrocchia è il modo di vita più comune?

P. Daniel: No, in realtà non abbiamo alcun particolare tipo di comunità in cui viviamo insieme. Siamo distribuiti geograficamente come gli altri cristiani, e veniamo in chiesa per le funzioni. Ma per quanto riguarda il modo in cui resistiamo all’ambiente – il modo in cui lo faccio io è insegnare robuste classi sulla Bibbia in lingua indonesiana. Ogni giorno c’è uno studio biblico prima della Comunione. Tra l’Orthros [il Mattutino] e la Liturgia c’è sempre lo studio della Bibbia. E nel mio studio della Bibbia, c’è sempre un confronto tra cristianesimo e islam, ogni volta. Questo ricorda alla gente che questo è il cristianesimo, e quell’altro è l’islam. Per esempio, pongo domande come: in natura, che cosa è più alto, un essere umano o un libro?

Essendo formati da una cultura musulmana, alcuni di loro dicono “un libro”. Allora io chiedo, “Qual è più alta, dunque, la rivelazione di Dio nella forma di un essere umano o nella forma di un libro?” Naturalmente, la rivelazione è superiore nella forma di un essere umano. Lo si può vedere da Dio stesso. Così, il Verbo di Dio fatto carne, il Verbo fatto uomo, è superiore alla parola che è diventata un libro. Questo è il numero uno.

In secondo luogo, se in passato Dio ha fatto scendere la sua parola per mezzo dei profeti sotto forma di un libro, cioè l’Antico Testamento, e l’Antico Testamento è stato adempiuto completamente nella forma di un uomo, Gesù Cristo, è possibile, dopo che la Parola di Dio si è compiuta nell’uomo, che Dio ritorni al vecchio modo, inviando di nuovo un libro? Certo che no! Quando il Verbo si è fatto uomo, era già completo. E quell’uomo, Gesù Cristo, è ancora vivo! Quindi, è impossibile che Dio ci mandi un’altra rivelazione sotto forma di un libro. Dal nostro punto di comprensione, non è possibile. Per noi, il profeta più perfetto e l’ultima rivelazione di Dio è Gesù Cristo. Non vi è alcuna necessità di un’altra rivelazione. Questo è il punto che io sottolineo ancora e ancora. E lo capiscono abbastanza bene. Quindi questo è il modo in cui continuiamo a mantenerci sulla via di Cristo, a dispetto di tanti attacchi dai musulmani.

Thomas: I musulmani fanno dunque pressioni sui cristiani, sapendo di poterli tentare con queste idee culturali profondamente radicate?

P. Daniel: Sì.

Thomas: Forse puoi dirci qualcosa di più su questo. Quali sono le difficoltà che incontrano i cristiani in un ambiente musulmano?

P. Daniel: Sai, quando vivi in mezzo una maggioranza di musulmani, a volte hai paura che ti facciano domande sulla tua fede. Il popolo cristiano che si è formato in un ambiente musulmano non sa sempre spiegarsi, e i musulmani, temendo che le “eresie” cristiane si diffondano sono sempre pronti ad attaccare – circa i “tre dèi”, circa “l’adorazione di un essere umano”, la croce, e tutte le credenze fondamentali del cristianesimo. I cristiani spesso non sono pronti a rispondere a queste cose. Inoltre, quasi tutte le mattine tutti i canali TV indonesiani fanno trasmissioni sull’islam. Non vi è alcun’altra religione in onda. Tutti sono bombardati dall’islam, le moschee sono intonacate di altoparlanti e ci sono sempre persone che parlano contro il cristianesimo. La polizia non fa nulla. In tal modo, siamo stati psicologicamente sconfitti. Si scrivono molti libri che attaccano il cristianesimo e non c’è modo di rispondere loro, perché quando un cristiano cerca di rispondere sulla sua fede deve criticare l’islam, e questo è molto difficile. Ci sarà una manifestazione di reazione contro di lui. Nella città di Solo, c’è un uomo di nome di Ahmed Wilson, che si è convertito al cristianesimo. Ora è sotto processo in tribunale, perché gli è stato chiesto in un programma di domande e risposte alla radio quello che pensava su Mohammed, e lui ha risposto che credeva come cristiano. Quindi, questo è ora un grande problema per lui. Cose come questa sono molto comuni.

Thomas: Quindi non c’è una reale libertà religiosa?

P. Daniel: No. Non ci pensare nemmeno. È molto difficile quando vivi in una società simile. Hai il permesso di criticare l’idea di Dio, perché Dio è un termine generico. I buddisti credono in un dio, gli indù credono in un dio, i cristiani credono in un dio, ma non criticare Mohammed, perché questo è decisamente islamico. Puoi criticare l’idea di Dio, puoi diventare ateo, ma non dire nulla su Mohammed o sarai nei guai.

Thomas: Com’è che gli ex-musulmani che si convertono all’Ortodossia fanno fronte alle situazioni familiari? Sono in grado di continuare a vivere con i membri non cristiani della famiglia? Sono accettati?

P. Daniel: Alcuni di loro sono accettati e alcuni non lo sono. Ci sono casi in cui ritornano alle loro credenze precedenti, alle loro famiglie, e confessano l’islam di nuovo, anche se quando mi incontrano continuano a dire che credono in Cristo. Credono e pregano segretamente nelle loro case, ma non possono venire in chiesa. Molti della nostra gente sono così. Alcune famiglie sono migliori. Sono più aperte e lasciano i loro bambini progredire nella loro fede cristiana, senza disturbarli. Ci sono differenze tra ogni persona, da zona a zona, e anche da un gruppo etnico all’altro. Alcuni gruppi etnici sono più fanatici di altri.

Thomas: Come fai a incoraggiare i cristiani ortodossi a comportarsi in pubblico in questo ambiente pericoloso? Noi qui in Europa leggiamo spesso di persecuzione e martirio in Indonesia.

P. Daniel: Insegno loro sempre che, se non vi è alcun modo possibile per sfuggire (anche se abbiamo cercato di essere buoni e di obbedire alle leggi della società), se diveniamo noti come credenti, se ci stigmatizzano come miscredenti o come eretici o qualunque cosa, allora è ovvio che non c’è altra via – se il martirio arriva, allora dobbiamo accettarlo. Se non puoi evitare di essere un martire, fallo! Accettalo! Io insegno questo in chiesa, e dico, anche a me stesso, che non c’è altra via. Ma ancora, non cerchiamo di provocare altre persone. Anche se evangelizziamo, evangelizziamo in modo garbato, spiegando la nostra fede in questi termini: “questa è la vostra fede, e questa è la nostra fede”. Noi non degradiamo le credenze degli altri.

Thomas: Come incoraggeresti i cristiani a vedere i musulmani? Ci sono due tendenze in Occidente: di accettare in modo indifferente i popoli islamici e le loro idee, indipendentemente dal loro crescente numero e dalla loro influenza culturale e religiosa; oppure di vederli come oggetti di paura responsabili di molti degli attuali problemi politici del mondo. Naturalmente, sappiamo come individui che ci sono molte persone musulmane meravigliose, caritatevoli e generose verso il prossimo senza distinzione di fede, ma per molti di noi l’influenza generale dell’islam moderno, in particolare sulle popolazioni cristiane, è un interrogativo. Noi non vogliamo essere ingenui, da un lato, né dall’altro poco caritatevoli. Hai qualche idea in merito?

P. Daniel: È un problema davvero difficile, anche per noi, perché c’è sempre un rapporto dialettico tra noi e loro. In Indonesia, perché sono la maggioranza, dobbiamo fare amicizia con loro, non vi è altra scelta. Individualmente, dobbiamo trattarli come tutti dovrebbero essere trattati – con amore. Ma teologicamente dobbiamo stare fermi su quello che riteniamo essere vero, non ci può essere alcun compromesso.

Cerchiamo il più possibile di introdurre elementi di cultura indonesiana nella Chiesa: il ciclo giornaliero dei servizi è suddiviso in diverse funzioni separate. Questo viene fatto per garantire una sorta di continuità “riabilitativa” per le persone che si sono convertite dall’islam – perché nella tradizione musulmana sono abituati a pregare cinque volte al giorno. (Nelle funzioni ortodosse, secondo il typikon, un giorno contiene i seguenti servizi: Vespri, Compieta, Officio di Mezzanotte, Mattutino, il Ore Prima, Terza, Sesta e Nona, Divina Liturgia, che ai tempi antichi erano anche divisi in base all’orario, n.d.r.). Anche l’iconografia e l’architettura delle chiese hanno scelto con successo elementi di cultura indonesiana.

Thomas: Essendo un popolo con un orientamento semitico e con una minore esposizione ai santi dei paesi ortodossi tradizionali, diresti che un ortodosso indonesiano si sente più attratto dai santi dell’Antico Testamento?

P. Daniel: Il profeta Daniele è stato una mia scelta, non è per gli indonesiani in generale. Io incoraggiare le persone a essere vicini ai propri santi particolari. Per il momento, l’orientamento spirituale del popolo indonesiano non è tanto nella direzione dei santi quanto della Sacra Scrittura stessa. È ancora questa il fondamento.

Thomas: L’orientamento tradizionale riflette uno schema più islamico con una sostanza cristiana?

P. Daniel: Sì. Qui sto parlando non della fede, ma dello schema generale. Si devono introdurre le cose con calma. C’è meno enfasi sui santi, anche se gli ortodossi, naturalmente, credono in loro e loro hanno i loro nomi. Nelle nostre tradizioni culturali abbiamo anche una comprensione di luoghi sacri, in particolare i cimiteri, i luoghi di sepoltura di figure di santi locali. Questo non è strano per noi, non è una novità per la nostra cultura. Ma ho paura che i nuovi convertiti guardino ai santi secondo il loro vecchio modo di capire – i morti del loro passato, il culto degli antenati. Qui c’è un problema, come in molte culture native. Così, cerco di sottolineare di più la comprensione della Scrittura alla luce della fede ortodossa.

Thomas: Chi sono i santi che ti hanno aiutato, quelli a cui ti senti più vicino?

P. Daniel: Il mio santo patrono, san Daniele il Profeta. Ho scelto questo nome perché credo che lui avesse un cuore forte. Ha avuto coraggio contro il re e i leoni, e io sto vivendo in mezzo ai leoni, lasciate che ve lo dica. Voglio avere il suo coraggio.

Thomas: Come persona che ha viaggiato molto e visto l’Ortodossia in molti luoghi, hai una parola per le persone in Occidente? Cosa possiamo fare per approfondire la nostra fede?

P. Daniel: Come occidentali, per approfondire la vostra fede dovete tornare indietro ed esplorare la cultura  occidentale originale che è stata santificata dall’Ortodossia, la società cristiana che era orientata verso Dio. Queste sono le vostre radici. Da lì, cercate di santificare la cultura in cui vi trovate. Non lasciatevi erodere dalla cultura occidentale contemporanea, che è molto superficiale. Inoltre, cercate di essere fedeli alla fede in quanto tale, non cercate di “revisionarla” secondo le mode del tempo. Se non mantenete la fede così com’è, verrà annullata dall’ambiente circostante. Cercate di interpretare la vostra vita nel contesto della vostra fede. Quando le persone non hanno cultura, non hanno radici – quando non hanno radici, sono poco profonde. Se Ortodossia è capita solo superficialmente, al di fuori del contesto del suo radicamento storico, anche noi diventiamo superficiali – si tratta solo di una moda, come ogni “nuova” religione. Dobbiamo essere in grado di identificare noi stessi con tutto il flusso della storia all’interno della Chiesa. Penso che questo sia molto importante per acquisire la nostra identità nella Chiesa.

Thomas: Quindi questo significa andare “contro corrente” perché le culture occidentali stanno per la maggior parte perdendo la loro visione cristiana del mondo.

P. Daniel: Certo. È difficile, ma il Signore è andato contro corrente, non è vero? Sì, lo ha fatto.

Thomas: Cosa vedi per il futuro dell’Ortodossia in Indonesia?

P. Daniel: Non posso vedere nel futuro, ma credo che l’Ortodossia continuerà a crescere. Dipende da un maggior numero di persone che ricevono un’educazione ortodossa – più sono, tanto meglio. In questo momento in Indonesia, l’Ortodossia è ancora identificata con me. Quando la gente pensa all’Ortodossia pensa a me. Abbiamo bisogno di avere più giovani istruiti. A volte la gente non lo capisce – ma faccio del mio meglio. Cerco di mandare quanta più gente possibile in Russia, in Grecia, ma non sono un vescovo e non ho il potere di organizzare le cose così facilmente. Se divento un vescovo, manderò quante più persone possibili all’estero per acquisire esperienza e formazione nell’Ortodossia, in modo che quando morirò, qualcuno potrà continuare il lavoro. Questo è il punto principale.

Thomas: Pensi che sia probabile che gli ortodossi in Indonesia ottengano il loro vescovo?

P. Daniel: non lo so. Non posso dire nulla di questo.

Thomas: Com’è strutturata la comunità ortodossa indonesiana?

P. Daniel: Abbiamo due livelli di struttura, in realtà, perché la Chiesa ortodossa è riconosciuta esteriormente come un ente sottoposto al Dipartimento di Stato per le religioni, e come parte del contingente protestante. Questo è perché ci sono cinque religioni riconosciute in Indonesia: cattolica romana, protestante, islam, ovviamente, indù e buddista. Dobbiamo figurare in qualche parte all’interno di queste cinque categorie, e così ricadiamo sotto i protestanti. Per quanto riguarda il nostro rapporto con il governo, abbiamo il nostro leader. Io nomino un laico che è responsabile per me. A livello parrocchiale, abbiamo un consiglio con un presidente. Abbiamo anche organizzato l’istruzione religiosa, e un’organizzazione giovanile. Abbiamo un’associazione femminile chiamata Santa Sofia, un’associazione di sacerdoti, e altre cose del genere.

Thomas: Com’è che l’Ortodossia in Indonesia si differenzia in stile o costumi dall’Occidente? Che cosa si fa nelle vostre chiese?

P. Daniel: Certo che è diversa, prima di tutto perché non siamo occidentali, siamo asiatici. Quindi, esprimiamo la nostra fede in modo asiatico. Non ci sediamo su sedie, ci sediamo per terra su una stuoia. Ci togliamo le scarpe quando entriamo in chiesa, le donne indossano il kafer [tradizionale abito indonesiano] e un velo. Abbiamo adattato alcune altre espressioni culturali, come nella cerimonia di nozze in cui usiamo il nostro abbigliamento tradizionale indonesiano. Non usiamo la koliva per i defunti, per esempio, perché non mangiamo grano – è difficile da trovare! Usiamo il riso. Facciamo uso di quello che abbiamo. È molto indonesiano, molto asiatico. Così, la Chiesa ortodossa in Indonesia è più orientale che in Grecia o in Russia o in Europa! Non possiamo avere paura che l’Ortodossia assuma forme locali.

Thomas: Possiamo usare queste cose come una misura della profondità di penetrazione dell’Ortodossia in una cultura?

P. Daniel: Sì. Il contenuto è visibile nella forma. Questo vale anche per le persone convertite all’Ortodossia nelle tradizioni greche o russe e che non siano essi stessi greci o russi.

Thomas: La comunità ortodossa indonesiana ha le funzioni in indonesiano o in greco?

P. Daniel: Naturalmente, in indonesiano.

Thomas: Che dire delle altre lingue?

P. Daniel: A volte, se abbiamo ospiti, qua e là facciamo qualcosa in greco o in inglese. A volte anche in russo.

Thomas: La lingua liturgica principale rimane allora l’indonesiano, quello che parlano tutti i diversi gruppi etnici in Indonesia?

P. Daniel: Sì. Ho tradotto per questo scopo i servizi in indonesiano.

Thomas: In generale, non credo che gli occidentali sappiano quanto sono varie le lingue e le culture in Indonesia.

P. Daniel: Abbiamo 350 lingue e dialetti diversi in Indonesia, con una lingua nazionale. Ho tradotto i libri delle funzioni in indonesiano, e ora sto cominciando a tradurli in giavanese, che è la mia lingua etnica. Ci sono anche funzioni in lingua Patlak, che è parlata a Sumatra e ci sono piani per la traduzione in lingua balinese, che è parlata sull’isola di Bali. È un lavoro che sta procedendo lentamente.

Thomas: Così le parrocchie locali saranno in grado di celebrare nella propria lingua?

P. Daniel: Sì. E se c’è bisogno, possono sempre celebrare in indonesiano.

Thomas: Una domanda più personale. Quali sono le più grandi tentazioni nella tua opera?

P. Daniel: (ride) Abbandonarla perché è troppo difficile. So che ho il mio talento, e che posso sempre insegnare. Talvolta vorrei solo andare a fare il professore all’università. Ancora e ancora, Dio mi ha aiutato a stare dove sono, a ricordare la mia vocazione. È difficile perché ho tante responsabilità di pagare per questo o per quello, d aiutare i giovani a iniziare gli studi teologici all’università. Queste cose le devo pagare ogni mese. Penso di avere più responsabilità di quelli che hanno i propri figli!

Thomas: Qual è la tua più grande tristezza?

P. Daniel: La mia più grande tristezza… è quando cerco di fare del mio meglio, e sono accusato di cose che non ho fatto.

Thomas: E la tua più grande gioia?

P. Daniel: La più grande gioia è quando qualcuno si converte all’Ortodossia.

 

Ulteriori informazioni su padre Daniel (incluso un racconto autobiografico in formato pdf) si possono trovare in lingua inglese sul sito Friends of Indonesia

 

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