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  Oggi e domani: principi d'addestramento dei futuri iconografi

di Aidan Hart

Orthodox Arts Journal

Parte I - 19 maggio 2016; Parte II - 26 maggio 2016

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1. INTRODUZIONE [1]

In questo articolo discuto della formazione degli iconografi, non in primo luogo dei modi pratici con cui si può giungere a questo scopo, ma della questione più fondamentale: di quale tipo di iconografi stiamo cercando di addestrare. O per porre la questione in un altro modo: Che cosa costituisce un'icona ben dipinta? Le scuole e gli insegnanti d'iconografia stanno lavorando alla cieca se prima non consideriamo a fondo le qualità che vogliamo coltivare nelle opere dei nostri studenti.

La formazione efficace degli iconografi è un problema pressante e pratico. Poiché il numero di chiese ortodosse aumenta, sia in Occidente sia nei paesi tradizionalmente ortodossi, sono necessarie più icone e più pitture murali. Inoltre, chiese e individui cattolici e anglicani/episcopali vogliono sempre più spesso icone.

Ma data questa richiesta, le chiese saranno piene di opere mediocri se la nostra formazione degli iconografi è mediocre. E necessaria una pianificazione a lungo termine. Ci vogliono molti anni per diventare un buon pittore. Secondo il maestro iconografo, l'archimandrita Zinon, sono necessarie 10.000 ore di pratica per diventare esperti.

l'archimandrita Zinon

Quindi, una buona icona è semplicemente una copia esatta di un capolavoro passato, o ci sono principi senza tempo nei quali non v'è spazio per la creatività e la variazione, sia da artista ad artista sia di epoca in epoca? O forse le qualità formali di un'icona hanno poco significato teologico ed è sufficiente che l'immagine porti semplicemente impresso il nome del suo soggetto?

Le icone svolgono molti ruoli, ma vorrei concentrarmi qui su due funzioni principali che si possono riassumere con le parole comunione e illuminazione. Darò particolare attenzione al ruolo dell'illuminazione, perché questo è il più importante per le qualità formali o stilistiche delle icone, e quindi sull'abilità e sull'addestramento del iconografo.

La maggior parte dell'articolo illustrerà varie qualità che ritengo fondamentali per le icone ben fatte. Alcune di queste sono teologiche, alcune estetiche, alcune pratiche.

Sono arrivato a questa "lista" attraverso una combinazione di un'attenta osservazione di icone vere e proprie nel corso degli ultimi trenta anni in cui sono stato un iconografo a tempo pieno, e del mio insegnamento – in particolare, il corso di diploma in iconografia che tengo alla Prince’s School of Traditional Arts. Cercherò di mettere in relazione questi principi con la teologia della Chiesa, espressa attraverso i suoi testi liturgici, le Scritture e gli scritti dei Padri, e anche con il dibattito in corso tra i pensatori ortodossi.

Per illustrare i miei punti ho scelto per lo più esempi da iconografi contemporanei, e in particolare da alcuni di coloro che hanno cercato di andare oltre la semplice copia.

Dibattito contemporaneo sulle icone

Inizierò delineando un dibattito tra alcuni scrittori ortodossi per quanto riguarda il motivo per cui le icone tendono ad essere dipinte come sono, che cosa le distingue stilisticamente dagli altri dipinti. Si tratta di un dibattito importante in quanto l'esito influenzerà il futuro dell'iconografia e la formazione degli iconografi. Padre Silouan Justiniano ha già coperto mirabilmente questo argomento nella sua serie di tre articoli in Orthodox Arts Journal, "La metafisica pittorica dell'icona". Qui offro solo una sintesi della questione in quanto si riferisce al nostro tema della formazione.

Per tutto il secolo scorso la visione più diffusa, guidata da Pavel Florenskij, Photis Kontoglou (1895-1865) e Leonid Ouspensky, è che le astrazioni stilistiche presenti nelle icone tradizionali esistono per indicare il mondo trasfigurato, e che questo stile è parte integrante di ciò che rende un'icona tradizionale ciò che è.

Pavel Florenskij (1882-1937)

Photis Kontoglou (1895-1865)

Leonid Ouspensky (1902-1987)

Anche se gli scritti patristici non si soffermano sulla qualità formale delle icone, ma sul fatto teologico che l'icona è sacra perché raffigura persone sante, questi scrittori hanno sostenuto con forza che le icone, per essere degne di questo nome, devono riflettere le realtà spirituali nel loro stile o forma. Gran parte dei loro scritti era quindi centrata sullo sviluppo di quella che potremmo chiamare una "mistagogia di stile". Come ha scritto Ouspensky:

La sola realtà storica, anche quando è molto precisa, non costituisce un'icona. Dal momento che la persona raffigurata è un portatore di grazia divina, l'icona deve rappresentare per noi la sua santità. In caso contrario, l'icona non avrebbe alcun significato. [2]

I critici ortodossi di questa nozione, per esempio Evan Freeman [3], Irina Gorbunova-Lomax [4], Julia Bridget-Hayes [5] e George Kordis [6] affermano che, poiché i resoconti patristici o storici non fanno alcun riferimento a una cosa simile, questa mistagogia di stile è un'innovazione non ortodossa. Come scrive Bridget-Hayes:

L'equazione dell'astrazione con la spiritualità non si trova da nessuna parte nelle fonti bizantine e patristiche, ma è piuttosto un fenomeno moderno. [7]

Essi ci ricordano che i Padri della Chiesa hanno difeso le icone esclusivamente sulla base del fatto che raffigurano la realtà visiva della persona e ne iscrivono il nome, e non hanno fatto riferimento a qualsiasi capacità delle icone di indicare lo stato spirituale interiore del loro oggetto. Come dichiarano gli Atti del VII Concilio Ecumenico:

Pertanto è in questa forma, vista dagli uomini, che la santa Chiesa di Dio raffigura Cristo, secondo la tradizione dei santi Apostoli e la Padri. La Chiesa non divide Cristo, così come con leggerezza l'accusano di fare. Infatti, come abbiamo detto più volte, ciò che l'icona condivide con il prototipo è solo il nome, non ciò che definisce il prototipo. [8]

L'icona manca di un'anima – qualcosa di impossibile da descrivere, perché è invisibile. Così, se è impossibile per qualcuno rappresentare l'anima - anche se l'anima è creata – quanto più è impossibile che qualcuno consideri che raffigura, in maniera sensibile, la divinità incomprensibile e insondabile del Figlio unigenito? – A meno di non essere completamente folle. [9]

Nel suo articolo, Freeman chiama l'iconologia di Florenskij, Kontoglou e Ouspensky un approccio "essenzialista", perché quest'ultimo afferma che le icone devono indicare l'essenza del soggetto e non solo l'aspetto visibile delle persone sante che raffigurano. Egli sostiene che questo approccio mistagogico contiene quindi l'errore degli iconoclasti, che hanno creduto che le icone condividessero l'essenza o la natura dei loro prototipi, mentre in realtà gli iconoduli affermavano che l'immagine è legata al suo soggetto attraverso la somiglianza con il soggetto e niente affatto attraverso l'identità di essenza. Un'icona è legno e pigmento, non carne e sangue.

I critici sostengono che l'essenzialismo in iconologia non deriva dalla teologia ortodossa, ma dall'estetica e dalla filosofia modernista occidentale. Florenskij, Ouspensky e Kontoglou non riflettevano affatto una tradizione ortodossa, dicono, ma in realtà dovevano il loro approccio a quella mente occidentale che criticavano con tanta veemenza. Un pioniere di questa concezione essenzialista dell'astrazione è stato lo storico dell'arte tedesco Wilhelm Worringer, il cui lavoro Abstraktion und Einfühlung ("Astrazione e empatia") era stato pubblicato nel 1908. Worringer sosteneva che l'astrazione nell'arte si propone di:

...strappare l'oggetto del mondo esterno fuori dal suo contesto naturale, fuori dal flusso senza fine dell'essere, per purificarlo di tutta la sua dipendenza dalla vita, vale a dire di tutto ciò che in esso è arbitrario, di renderlo necessario e inconfutabile, per approssimarlo al suo valore assoluto. [10]

Mentre la maggior parte di questi critici riconosce che le icone hanno e devono avere parametri stilistici e non devono essere naturalistiche, danno motivi diversi da quello essenzialista. Juliet Bridget-Hayes scrive per esempio:

Ci sono ragioni per l'astrazione utilizzata nell'iconografia bizantina, ma, come vedremo, non ha nulla a che fare con il fatto di simboleggiare la divinità di Cristo e la deificazione dei santi. Piuttosto è ciò che aiuta l'icona a realizzare la sua funzione di rendere persone rappresentate presenti nello stesso tempo e spazio di chi le guarda. [11]

E più tardi nello stesso testo:

L'icona, per i Padri, mostra la realtà storica. Mostra le persone e gli eventi ( "talenti e prodezze") che hanno avuto luogo, non descrive il loro stato spirituale.

Secondo Irina Gorbunova-Lomax, lei stessa iconografa e insegnante, un risultato pratico di quello che considera la pseudo-spiritualizzazione dello stile è che tende a ostacolare gli iconografi dallo studio della forma e di altri principi estetici, e, quindi, diventa un mantello inconsapevole per l'inettitudine artistica.

I tre articoli di padre Silouan Justiniano su Orthodox Arts Journal presentano, penso, un caso molto ben argomentato per trovare il meglio in entrambe queste scuole di pensiero. Argomentando contro coloro che sostengono che le icone bizantine non erano stilisticamente diverse dale opere secolari, egli mostra con esempi che i bizantini erano di fatto selettivi su ciò che prendevano dalla loro eredità classica ed ellenistica, lasciando da parte le sue tendenze apertamente naturalistiche, pur conservando il suo rispetto per le leggi di base di forma e di drappeggio.

Padre Silouan affronta anche il fatto curioso che i pochi passi bizantini che commentano gli aspetti stilistici delle icone in realtà le lodano per la loro verosimiglianza. Non fanno commenti su alcuna dipartita dal naturalismo ellenistico, nel modo in cui Florenskij, Ouspensky e Kontoglou hanno fatto in seguito, per non parlare di dare a tutto ciò una spiegazione spirituale. Padre Silouan sostiene, penso in modo convincente, che il concetto bizantino di essere "realistico" non può essere identificato con le sue attuali associazioni di verosimiglianza fotografica. Un certo grado di astrazione è, di fatto, necessario per rendere giustizia alla vita del soggetto, che non è naturalmente solo un corpo, ma è una unione di materia e spirito. Come egli scrive:

...la realtà stessa è costituita da un regno intelligibile (noetos) e uno sensibile (aisthetos). Queste sfere di esistenza sono simbolicamente convogliate rispettivamente dall'astrazione e dal naturalismo. [12]

Vorrei aggiungere che, secondo un amico grecista, una migliore traduzione del greco originale sarebbe in realtà non "realistico", ma "vivente", "pieno di vita", "come vivo". In tal caso, l'enfasi nei testi bizantini non è sulla somiglianza dell'immagine al santo, ma su come l'immagine riesca ad animare il santo per l'osservatore devoto.

Così, mentre a prima vista il silenzio degli scritti patristici sembra schierarsi con i critici dell'approccio mistagogico, la testimonianza effettiva delle icone ci dice che esse hanno sempre favorito un notevole grado di astrazione. La domanda è perché.

Poiché quest'astrazione stilistica è stata una caratteristica costante del genere di immagini liturgiche nei paesi ortodossi, la ragione ci dice che questo sicuramente deve essere legato in qualche modo al loro uso liturgico e al loro soggetto. È in discussione proprio la vera ragione per cui ciò è così. E non credo che questa sia una discussione solo per accademici dalle dita pulite. Ci si devono confrontare anche gli iconografi attivi sporchi di vernice, se vogliono compiere il loro ministero con intelligenza e comprensione.

L'icona come agente di unione e di trasformazione

La mia opinione personale è che questi critici di Florenskij, Ouspensky e Kontoglou hanno le loro ragioni, e devono essere ascoltati. Sono un correttivo a una spiritualizzazione acritica di ogni aspetto stilistico delle icone, e spesso di una sola scuola particolare.

Ma credo anche che in alcuni aspetti i critici, con una reazione eccessiva, siano andati troppo nella direzione opposta, in particolare nel trascurare la capacità dello stile di influenzare il modo in cui vediamo le cose.

Credo che l'icona agisca in due modi. In primo luogo, come somiglianza ci aiuta a entrare in relazione con le persone sante dipinte. Questo è il ruolo primario dell'icona. Ma in secondo luogo, attraverso le sue qualità formali o stilistiche, un'icona può essere anche un mezzo per trasformare il nostro modo di vedere le cose.

Mentre la citazione del Settimo Consiglio Ecumenico riportata sopra mette in chiaro che le icone non possono rappresentare le realtà divine invisibili in quanto tali, l'antica testimonianza delle icone stesse mostra che le icone attraverso il simbolismo indicano davvero l'esistenza di tali realtà. Tutte le icone della Trasfigurazione, per esempio, indicano la gloria di Cristo dipingendo un alone intorno a Cristo.

Dopo tutto, i Padri della Chiesa non hanno esitato a scrivere di cose divine, anche se in modo molto cauto e provvisorio.

san Gregorio di Nazianzo e la Trasfigurazione (icone dell'autore). I Padri della Chiesa hanno scritto sulle realtà invisibili divine senza disonorarle, e così nello stesso modo le icone possono indicare la loro esistenza senza la pretesa di incapsularle (come la mandorla intorno a Cristo nele icone della Trasfigurazione, che indica la luce increata)

Mentre hanno preferito la terminologia apofatica a quella catafatica – descrivendo ciò che Dio non è, piuttosto che ciò che è – dobbiamo ricordare che le parole sono di per sé una forma di immagine, che indica le cose senza la pretesa di esserle. Quindi, se i Padri della Chiesa credevano che avrebbero potuto indicare realtà divine in parole senza in tal modo limitare o svilire quelle realtà, allora sicuramente un'immagine dipinta può fare lo stesso. Proprio come i grandi predicatori e scrittori della Chiesa hanno aperto il cuore delle persone per il loro messaggio attraverso una retorica elevata, nello stesso modo può farlo l'immagine dipinta attraverso la sua forma elevata.

L'immagine dipinta ci invita a vedere con l'occhio interiore, così come con l'occhio esterno. L'astrazione ci può scuotere, risvegliarci dal torpore della familiarità con il mondo materiale come lo si è visto solo attraverso la retina, e aiutarci a vedere in modo noetico. Ma di questo parleremo più tardi.

Pionieri o corruttori? Apologeti o conciliatori?

Se la forma o lo stile delle icone possono essere trasformativi, perché questo non è scritto su nei testi bizantini? A dire il vero, non lo sappiamo di sicuro. Ma forse i bizantini non sentivano la necessità di scrivere molto su questo tema perché era dato per scontato. La tradizione delle icone era sana e non minacciata. La maggior parte degli scritti patristici è dopo tutto una risposta all'eresia o all'errore piuttosto che un tentativo di codificare la teologia per se stessa. Scrivere gli elementi formali dell'iconografia non era stato un requisito in epoca bizantina in quanto, a parte i 120 anni dell'iconoclastia, la tradizione dell'icona era rimasta effettivamente incontrastata e solo tangenzialmente in contatto con l'arte occidentale post medievale. L'iconografia è stata il primo linguaggio di Bisanzio, la sua lingua madre, e ne usciva in modo naturale.

Allora perché gente come Pavel Florenskij, e poi Photis Kontoglou, ha iniziato a scrivere sul modo in cui le icone sono dipinte? Quando la pittura delle icone tornava a uno stile più tradizionale, nei primi decenni del XX secolo, era necessario che i pensatori discernessero le differenze teologiche che stanno dietro queste icone tradizionali e quelle dei precedenti tre secoli fortemente influenzati dall'arte occidentale. Parte di quest'analisi era la necessità di sviluppare una risposta ortodossa all'arte post medievale dell'Occidente. l'iconografia nella Grecia ottomana, e in Russia dopo Pietro il Grande, era stata influenzata dall'arte occidentale, in misura maggiore o minore, la maggior parte direbbe per il peggio.

Madre di Dio di Kazan'. Mosca, fine del XIX secolo. Un esempio dello stile un po' sentimentale che era comune nel XVIII e nel XIX secolo in Russia.

Madre di Dio di Vladimir, dipinta a Costantinopoli c.1120, pulita nel 1918/1919. È stata la pulizia delle icone russe medievali come questa e l'ospitalità di Abramo di Andrej Rublev nel secondo decennio del XX secolo che ha contribuito a rilanciare l'iconografia tradizionale

Madre di Dio che contempla un crocifisso, Grecia, XVIII secolo. Opera di influenza italiana tipico delle icone dipinte in Grecia dal XVII all'inizio del XX secolo.

Vergine Glykofilousa, di Photios Kontoglou, 1955. Le icone e gli scritti di Kontoglou sono stati un fattore chiave per il rilancio dell'iconografia tradizionale in Grecia.

Così, in un senso molto reale, pionieri come Florenskij, Ouspensky e Kontoglou erano innovatori nel senso che calpestavano un terreno nuovo. E questo era vero per due aspetti. Da un lato si trovavano in una posizione simile a quella dei primi pensatori cristiani – gli apologeti come Giustino Martire – in quanto stavano cercando di discernere ciò che era utilizzabile nella loro cultura circostante, solo che naturalmente la loro cultura era l'epoca moderna e non quella ellenistica degli apologeti. Percorrevano nuove vie, perché la modernità era nuova.

Giustino Martire, 100-165 d.C., icona dell'autore

D'altra parte, mentre gli apologeti avevano a che fare con filosofie chiaramente descritte in forma scritta, gli iconologi del nostro tempo stanno cercando di capire la visione del mondo dietro lo stile delle icone e dell'altra arte. Questa interpretazione dell'estetica da un punto di vista teologico è una nuova disciplina e, pertanto, richiede pensiero creativo, dibattito, e inevitabilmente uno scontro con alcuni eccessi e disaccordi. Si tratta di un work in progress e, pertanto, richiede sia onestà sia spirito di sopportazione.

Forse inevitabilmente, questi pionieri a volte hanno reagito in modo troppo forte per l'arte non-iconografica e sono divenuti, almeno a mio parere, inutilmente anti-occidentali nella loro polemica. I loro scritti fanno spesso eco al grido di Tertulliano, "Cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme? Che concordia c'è tra l'Accademia [dei filosofi] e la Chiesa?" [13]

Potevano anche essere a volte un po' di parte. Kontoglou affermava che le icone bizantine erano su un piano superiore rispetto a quelle russe, e Ouspensky che la scuola di Mosca è stata il vertice dell'iconografia.

Torniamo ora al nostro tema della formazione degli iconografi e in che cosa consiste l'icona ben dipinta. con tutte le grandi cose che sono venute fuori dagli studi sull'iconologia nel secolo scorso, ci sono stati anche due effetti sfavorevoli. In primo luogo, per reazione contro le innovazioni non tradizionali, c'è stata una tendenza ad associare la tradizione alla copiatura di vecchie icone.

In secondo luogo, la forte reazione contro il naturalismo dell'arte occidentale ha troppo spesso fatto sì che non sia ritenuto necessario che gli iconografi ottengano una buona comprensione di forma, anatomia, decorazioni, proporzione e teoria del colore. Come lo scultore romeno Constantin Brâncuși ha detto, "La semplicità è la complessità risolta". L'autentica astrazione nell'iconografia deve nascere da una profonda comprensione della forma che essa mira a semplificare.

A mio avviso la risposta alla questione della forma iconografica deve centrarsi sul fatto che Cristo trasfigura la materia, non la smaterializza.

La Trasfigurazione, di Federico Jose Xamist, un iconografo cileno. La Trasfigurazione di Cristo esprime tutta la teologia fondamentale per l'icona: l'incarnazione di Dio; la trasfigurazione del mondo creato; la comunione dei santi.

Così da una parte le icone devono affermare la materialità delle cose. Le icone possono e devono affermare forma e materia, perche ciò fa parte della creazione divina. Noi non siamo ritagli di cartone. Ogni iconografo degno di questo nome deve quindi studiare e comprendere la forma e il colore del mondo materiale.

D'altra parte, le icone ci mostrano anche un mondo in cui questa materia risplende come la veste di Cristo sul monte Tabor, trasformata da mera materia in ornamento radiante. Quindi, oltre a comprendere ciò che è visibile a occhio nudo – sotto forma di creazione e di colore – l'iconografo deve anche imparare a rendere astratta questa realtà visibile in modo da indicare la sua trasfigurazione.

2. DUE RUOLI PRINCIPALI DELLE ICONE

Passiamo ora a una descrizione sommaria dei due ruoli principali delle icone. Ricordiamo, inoltre, che l'iconografia non può limitarsi a icone su tavola dipinta, perché anche la pittura a parete, il bassorilievo, il mosaico, il ricamo e così via sono supporti utilizzati per creare immagini sacre. La maggior parte dei principi descritti di seguito si applica anche a questi altri mezzi di comunicazione.

Icona come immagine

La venerazione delle icone è valida a prescindere qualità estetiche dell'icona.

Un'immagine che porta il nome e la somiglianza con il soggetto ci aiuta a collegarci con il soggetto stesso – Cristo, la Madre di Dio, i santi o gli angeli. Come dicono gli Atti del Settimo Concilio Ecumenico:

Infatti l'onore che è tributato all'immagine passa a ciò che l'immagine rappresenta, e chi venera l'immagine venera in essa il soggetto rappresentato.

Questa comunione con il prototipo è possibile indipendentemente da quanto sia dipinta bene l'icona; anche un'icona dipinta senza maestria dovrebbe essere venerata, perché noi non veneriamo l'icona in se stessa, ma la persona santa raffigurata. Quindi questo ruolo liturgico dell'icona come oggetto di venerazione dipende in primo luogo da ciò che descrive, non da come è raffigurato.

Icona come aiuto per l'illuminazione

Ma credo che l'icona abbia anche un secondo ruolo, che è quello di aiutarci a vedere il mondo non solo come un roveto, ma come un roveto che ardente della gloria di Dio, senza essere consumato.

Mosè e il roveto ardente. Uno dei compiti del iconografo è quello di vedere e di aiutare gli altri a vedere l'intera creazione trasfigurata, come il roveto che arde della presenza divina.

Questo ruolo dell'illuminazione ha più a che fare con il modo in cui le icone raffigurano il loro soggetto sacro, con le loro qualità formali o stilistiche. Anche se la gloria divina non può essere rappresentata nella sua forma nuda, la sua esistenza può essere accennata attraverso il colore e la linea, attraverso la sua incarnazione nella materia e nelle persone sante. Dopo tutto, la luce stessa diventa visibile a noi solo attraverso la sua riflessione sulle superfici. Sarebbe una contraddizione con la teologia patristica se dovessimo rappresentare solo l'aspetto esteriore delle cose. Come ha scritto san Massimo il Confessore:

...una visione del mondo sensibile che si basa esclusivamente sulla percezione dei sensi non è altro che una serie di scaglie, che accecano la facoltà della visione dell'anima e impediscono l'accesso al puro Logos della verità. [14]

san Massimo il Confessore, dipinto dall'archimandrita Zinon, uno dei grandi iconografi del nostro tempo

Un'icona tradizionale si astrae leggermente dal mondo fisico al fine di aiutarci a vedere più a fondo, a vedere il fuoco sacro dentro tutte le cose, a risvegliarci. Come vedremo in seguito, il modo insolito dell'icona di rappresentare le cose ci toglie l'equilibrio, al fine di cercare una spiegazione più profonda. Noi riconosciamo quello che stiamo guardando nell'immagine – san Pietro, san Paolo, un albero, una scena storica o qualsiasi altra cosa – eppure l'immagine è comunque diversa. I colori, la prospettiva, la composizione astratta suggeriscono tutti un modo più profondo di vedere oltre ciò che possono da soli vedere i nostri occhi e il nostro cervello. Suggeriscono l'esistenza del 'puro Logos della Verità' all'interno. L'icona afferma come reale ciò che vediamo e tocchiamo, ma afferma anche come reale la grazia increata di Dio che crea, sostiene e guida ciò che vediamo e tocchiamo.

i santi Simeone e Daniele gli Stiliti, di Toma Chituc, Romania. Chituc è parte di una nuova generazione di iconografi in Romania che sta aiutando a ripristinare freschezza e visione nell'iconografia tradizionale

Anche a livello puramente biologico assimiliamo quello che vediamo in modi diversi. In effetti, come ci dicono gli scienziati, in realtà non vediamo affatto con i nostri occhi, ma con il nostro cervello. Gli impulsi elettrici passano dalla nostra retina nei nostri cervelli, ed è lì che l'immagine è costruita, non nei nostri occhi. Le nozioni, le aspettative e le esperienze già registrati nel nostro cervello influenzano il modo in cui questo organizza i dati elettrici inviati dai nostri occhi. Il cervello è un sintetizzatore e non una tabula rasa.

Ricordiamo che i Padri delineano tre fasi della vita spirituale: la purificazione; poi l'illuminazione, in cui percepiamo i logoi o parole di Cristo in ogni cosa; quindi l'unione, dove siamo deificati o entriamo unione con il Logos stesso.

Il modo in cui le icone sono dipinte suggerisce tutte e tre queste fasi, ma vorrei suggerire che gli elementi formali delle icone sono particolarmente rilevanti per la seconda fase: l'illuminazione. La parola 'astrarre' significa 'tirare fuori', e l'astrazione di una buona icona tira fuori e manifesta i loghi interni e unici del suo soggetto, sia che si tratti di una montagna, un albero, un animale o un santo. Sono perfettamente d'accordo con Bridget-Hayes e altri che sono contro l'essenzialismo, ma questo non vuol dire che l'esistenza dei loghi interni o essenze non possa essere accennata con mezzi visivi.

Come i Padri iconoduli sottolinevano con enfasi, l'icona non è della stessa essenza delle persone raffigurate, ma si collega con loro attraverso la somiglianza con la loro persona e la raffigurazione del loro nome. Tuttavia, questa somiglianza non può essere una mera questione di avere due occhi e un naso, ma deve anche essere una somiglianza che suggerisce le particolari virtù e il ministero del soggetto.

Potremmo quindi dire che l'icona non è naturalistica, ma è profondamente realistica. Essa afferma sia la materialità del mondo sia il fatto che questo è creato, animato e diretto dal Logos. L'icona raffigura il mondo come una tenda di convegno, su cui la gloria del Signore si libra e attraverso la quale egli parla. Ricordiamo le parole di san Massimo il Confessore sopra citate: "una visione del mondo sensibile che si basa esclusivamente sulla percezione dei sensi non è altro che una serie di scaglie, che accecano la facoltà della visione dell'anima e impediscono l'accesso al puro Logos della verità".

Le icone sono innanzitutto visive, e sono quindi collegate con l'occhio del cuore, ciò che i Padri chiamano il nous. Le parole sono utili a istruire e spiegare, a descrivere i dettagli, mentre le immagini sono utili a iniziarci a un modo diverso di vedere, e a darci una visione unitaria del tutto. Infatti, san Giovanni Damasceno esalta la vista come "il più nobile dei sensi":

Utilizziamo tutti i nostri sensi per produrre immagini degne di lui, e santifichiamo il più nobile dei sensi, che è quello della vista. Infatti, come parole edificano l'orecchio, nello stesso modo anche l'immagine stimola l'occhio. [15]

La frazione del pane sulla strada per Emmaus. Intaglio in legno dell'autore.

Questo primato della vista è sicuramente collegata con il primato della più alta delle facoltà umane, il nous. Ricordiamo la descrizione della Scrittura di incontro dei discepoli con Cristo sulla strada per Emmaus:

Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro; ma erano incapaci di riconoscerlo ... Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero, e lui sparì dalla loro vista. (Luca 24: 15,16, 31)

Le parole pronunciate tra Gesù e i discepoli li prepararono, ma il rapporto non fu completo fino a quando "si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero".

Nel corso dei secoli l'iconografia ortodossa ha sviluppato molti modi di aiutare questo processo di iniziazione o di illuminazione. È compito di un iconografo imparare questi principi, perché sono il suo vocabolario. Una delle opere più importanti per iconografi e studiosi nel secolo scorso è stata quella di riscoprire e diffondere sia le finalità teologiche senza tempo delle icone, sia tanti modi tecnici ed estetici che gli iconografi possono utilizzare per realizzare questi obiettivi. Tra questi "esploratori" vi è il dottor George Kordis, un influente iconografo, scrittore e insegnante che è attualmente professore assistente d'iconografia (teoria e pratica) presso l'Università di Atene. Di questi principi senza tempo ha scritto:

L'immutabilità della tecnica bizantina significa che ci deve essere un sistema artistico con regole e principi che regolano l'esecuzione delle icone per tutti i periodi di specifiche correnti artistiche; e, poiché esiste un tale sistema, deve essere possibile scoprire e presentare i propri principi. Questi principi obbediscono a una logica interna, e descriverli è la prima tappa di un percorso per imparare l'arte dell'iconografia. Essi possono essere descritti senza mettere in pericolo lo stile iconografico bizantino, perché sono costanti e quindi immutabili. [16]

santo profeta Elia, di George Kordis

3. ALCUNI PRINCIPI ALLA BASE DELLE QUALITÀ FORMALI DELLE ICONE

Affermazione di materia e forma

Ci sono stati alcuni scritti erronei sull'iconografia, che associano la trasfigurazione con la smaterializzazione. Questa è un'eresia docetista. Le icone raffigurano un mondo materiale trasfigurato, non smaterializzato. Le icone devono quindi mostrare una profonda comprensione e rispetto per la forma del mondo materiale come Dio l'ha creato. Anche se siamo in un mondo decaduto, i lineamenti di questo mondo, tuttavia, rimangono incredibilmente belli e divinamente ispirati.

Per affermare questo aspetto duplice del mondo trasfigurato – la sua forma materiale e la grazia spirituale che lo trasforma – la tradizione iconografica di bizantina sembra aver tratto ispirazione da epoche precedenti. Secondo George Kordis, che ha studiato questo campo molto più di me stesso, la tradizione bizantina utilizza tecniche del periodo ellenistico per ottenere plasticità, movimento e ritmo, e dal più espressivo periodo tardo antico ha appreso l'uso della linea e del colore per la costruzione delle forme, la prospettiva verticale, il linearismo e il metodo compositivo.

un esempio di arte ellenistica, che mostra la sua modellazione sviluppata di forma e movimento. I secolo a. C., copia di un mosaico ellenistico, prodotto da Dioscuride di Samo nei pressi di Pompei (Villa di Cicerone)

un esempio di arte tardo-antica, che mostra una disposizione più astratta di forme, come la prospettiva verticale. Dall'Arco di Costantino, c. 320 d.C., Roma

Nelle sue parole:

Gli iconografi bizantini ... invece di elaborare le proprie soluzioni, si sono rivolti alla grande eredità dell'arte classica ed ellenistica, nonché a quella della tarda antichità. È stata l'arte di questi periodi che ha fornito loro le risposte di cui avevano bisogno. Togliere la profondità, e utilizzare linee e colori locali per la costruzione di una forma nella scultura o la pittura, era una tecnica già prevalente nel II secolo d.C. (...) Fu da questo importante periodo, l'espressionismo della tarda antichità, che hanno preso in prestito il sistema della prospettiva verticale, il linearismo, e naturalmente il metodo compositivo. Tuttavia, gli iconografi bizantini hanno cercato di esprimere nella loro arte anche il movimento e il ritmo. Per questo hanno osservato la tradizione naturalistica classica, dalla quale hanno preso in prestito... la plasticità, la maniera dinamica di disegnare figure sulla superficie, e la filosofia del ritmo. Hanno preso i loro principi artistici fondamentali da queste due fonti principali e li hanno usati per costruire un proprio sistema artistico. [17]

Ascetismo

San Giovanni Maximovich ha scritto:

Il compito dell'iconografo è proprio quello di rendere, per quanto possibile, e nella maggior misura possibile, quelle qualità spirituali con cui la persona raffigurata ha acquisito il regno dei cieli. [18]

Un'icona dovrebbe quindi inculcare una sobrietà che conduce lo spettatore al pentimento. Un'icona ben dipinta non impartisce piacere estetico senza offrire anche i mezzi con cui chi la vebera possa diventare egli stesso bello. Questo è il motivo per cui i volti possiedono la loro caratteristica tristezza luminosa, un misto di gioia e di dolore, una pace compassionevole. Un sopracciglio è spesso più morbido nella sua curva, mentre l'altro è più arcuato. Uno zigomo è più infossato o pronunciato, mentre l'altro è più delicato nelle sue curve. L'aspettto del viso è attento senza essere teso.

san Simeone di Chilandar. Pittura murale a Simonopetra, Monte Athos, dell'archimandrita Zinon. Il viso mostra una unione di serenità, lotta ascetica, gioia e triste compassione

Ascesi significa formazione, la spoliazione di peso superfluo, in modo che possiamo eseguire la buona gara. Un'icona spoglia quindi via la decorazione e i dettagli superflui al fine di concentrarsi sul contenuto e di coinvolgere lo spettatore con il santo. Anche se c'è movimento, non c'è movimento agitato, sprecato. Il santo si concentra su di noi, si focalizza, è in uno stato di preghiera e di ascolto.

Eventuali abbellimenti – siano essi decorazioni, edifici, mobili o paesaggio – devono agire come un trono per sostenere tutte le figure importanti rappresentate, e anche per cristallizzare o articolare le dinamiche spirituali dell'evento. Le montagne in molte icone della Teofania, per esempio, sembrano separarsi come le onde del Mar Rosso, o la struttura dietro Maria nell'icona dell'Annunciazione potrebbe indicare il suo ruolo di tempio, porta, trono o velo. Questi tipi sono menzionati nei testi liturgici, in modo che l'immagine e la parola sono in sinergia.

feste della Vergine, di Phil Davydov e Olga Shalamova. Quest'icona mostra una riduzione al minimo molto moderna del dettaglio e della decorazione dello sfondo, pur mantenendo gli elementi simbolici essenziali

Prospettiva

Negli scritti sulle icone si parla molto della cosiddetta prospettiva inversa. Di fatto si utilizzano anche numerose altre tecniche. A parte la prospettiva inversa abbiamo: planarità; multi-visualità; isometria (in cui le linee rimangono parallele); gerarchia (le figure più importanti sono allargate); enigmi deliberati (un po' come le famose illustrazioni di M. C. Escher): e, talvolta, anche, prospettiva matematica, in cui il punto di fuga si trova sull'orizzonte. Quest'ultimo metodo non è mai stato applicato con rigore e in tutta l'immagine, così come è stato fatto nel periodo rinascimentale e dopo.

dettaglio da un dipinto murale, che mostra alcune delle forme di prospettiva utilizzate nell'iconografia: multi-visuale, inversa (il tetto), enigmatica (le scale). Monastero Simonopetra, Monte Athos, dell'archimandrita Zenon

In linea di massima ci sono tre scuole di pensiero (non necessariamente si escludono a vicenda) che offrono spiegazioni perché vengono utilizzati questi diversi sistemi di prospettiva nelle icone.

La scuola che insegna la mistagogia di stile (come discusso sopra) dice che queste tecniche ci aiutano a vedere il mondo in un modo più divino.

La scuola 'psicologica' nega la necessità di qualsiasi spiegazione spirituale, e dice che questi mezzi astratti si correlano con il modo in cui in realtà sperimentiamo ciò che vediamo, e non solo come la nostra retina li riceve. Per esempio, sappiamo che un edificio ha i lati e un fronte, quindi, anche se i nostri occhi non vedono i lati, la nostra mente, tuttavia, li registra come presenti. La prospettiva multi-visuale rappresenta quindi la nostra esperienza soggettiva con maggiore precisione rispetto al sistema del punto di fuga matematico.

La scuola liturgica afferma che le spiegazioni mistagogiche sono troppo esoteriche, non sono ortodosse, e non figurano in alcun scritto patristico. Questa scuola afferma che lo scopo della prospettiva iconografica è di garantire che l'icona attiri lo spettatore devoto a partecipare alla realtà rappresentata e a garantire che l'immagine sia partecipe della vita liturgica che è il suo ambiente naturale e previsto.

Questa scuola fa notare che il simbolo nel contesto tradizionale cristiano non significa un promemoria mentale di alcune realtà, ma piuttosto un mezzo di partecipare a tale realtà. Significa, come implicano le sue radici greche, una riunione (sym – bolis) di due parti. Questo è certamente vero, ma utilizzare questo per criticare la scuola essenzialista significa ipotizzare – in modo sbagliato, credo – che tale scuola comprena le astrazioni iconografiche solo come segni da leggere mentalmente e consapevolmente. La mia opinione è che le varie forme astratte – o almeno alcune di loro – che si trovano nelle icone agiscono direttamente sull'anima per contribuire a creare uno stato più ricettivo allo Spirito. Questi costrutti stilistici possono agire un po' come le modalità del canto tradizionale bizantino, russo o gregoriano, che sono progettate per aiutare a portare le parole più in profondità nell'anima, così come per sostenere il culto liturgico.

La prospettiva enigmatica per esempio, come nella scala priva di senso nell'opera sopra illustrata di padre Zinon, è difficile da spiegare solo in termini di partecipazione liturgica. Una spiegazione più naturale sarebbe che la sua natura imperscrutabile è progettata per confondere la nostra facoltà razionale e, quindi, aiutarci ad accettare che ci sono alcune cose al di là della nostra comprensione.

Il fatto che alcune di queste tecniche di astrazione siano state adottate e adattate da forme d'arte non cristiane non fa alcuna differenza. La Chiesa ha sempre cercato e affermato la verità dovunque essa si trovi. Uno studioso, per esempio, [19] elenca 28 casi in cui Paolo sta citando, o facendo dichiarazioni chiaramente analoghe alle loro, filosofi e greci e scrittori romani, tra cui Euripide, Seneca e altri stoici, Arato, Aristotele e Platone.

Personalmente, penso che tutte e tre le spiegazioni per l'astrazione in icone hanno una ragione e non si escludono a vicenda. Sono valide dal momento che tutte e tre sono radicate nella realtà del mondo di Dio. Un'interpretazione non esclude l'altra. In entrambi i casi, l'iconografo deve conoscere questi sistemi di prospettiva e sapere come usarli.

La visualizzazione non-centrica

Alcuni dei sistemi prospettici utilizzati nelle icone ci incoraggiano ad andare oltre la nostra visione auto-centrica del mondo e vedere il mondo più come Dio lo vede. La prospettiva multi-visuale è un sistema di tal genere. Un oggetto, come un edificio, è mostrato come visto da tre o più punti di vista contemporaneamente, piuttosto che da un unico punto di vista.

Inoltre, nulla è lontano da Dio, e perciò quelli che sono più lontani nel campo di profondità sono mostrati vicini a noi. Le icone tendono quindi a esprimere profondità sull'asse dell'altezza; qualcuno più lontano viene semplicemente messo più in alto nel pannello, ma della stessa dimensione di quelli più in basso nel pannello.

Con questa tecnica l'iconografo è anche in grado di preservare la plattezza, o campo compresso di profondità, che è così caratteristico delle icone. Questa piattezza a sua volta permette alle figure e alle caratteristiche di essere disposte in modo teologicamente più significativo, spesso utilizzando la geometria.

Geometria interna

Come abbiamo visto, l'icona di una festa può essere un commento ai testi liturgici. Un modo in cui può esserlo è possedere una geometria di base che chiarisce la teologia dell'evento. I singoli elementi della scena possono essere disposti all'interno di questa struttura e quindi creano un tutto unico, la cui disposizione e il cui movimento interpretano la teologia dominante dell'evento.

L'icona un po' complessa della Natività è un buon esempio.

geometria sottostante alcune icone della Natività del Signore. Il quadrato inferiore contiene i partecipanti terreni, il semicerchio quelli celesti, mentre Cristo il divino bambino è al centro del cerchio che comprende i rappresentanti di tutta la creazione: ricchi, poveri, angeli ed esseri umani, uomini e donne, animali, alberi e rocce

La si può affrontare in molti modi, ma nell'icona illustrata ho organizzato gli elementi chiave in un cerchio il cui centro è il Cristo bambino. Questo cerchio è poi combinato con un quadrato. Tutti gli elementi terrestri sono contenuti in questo quadrato, mentre i soggetti celesti (gli angeli e la stella) sono contenuti nella parte superiore del cerchio. Queste due forme si combinano per suggerire una chiesa a cupola. La cupola rappresenta il cielo e il quadrato rappresenta la terra. L'intera icona è quindi una immagine della Chiesa, corpo di Cristo, Dio e la creazione uniti.

Comunione

L'icona esiste soprattutto per aiutare la comunione, la comunione tra la persona raffigurata e lo spettatore in preghiera.

san Gregorio Palamas, di Gabriel Toma Chituc

Il volto del santo è quindi di solito verso lo spettatore, o se in una scena o Deisis, non più che a tre quarti. Talora i volti guardano noi, talora un po' al di là di noi, come se contemplassero qualcosa, vedendo con il cuore e non solo con l'occhio: "Lei meditava queste cose nel suo cuore", come le Scritture ci dicono della Vergine Maria.

Luce

Possiamo identificare quattro fonti di luce nelle icone: quella che risplende dall'interno del santo; quella che circonda il santo; la luce per la forma di modellazione; e talvolta, anche se più raramente, la luce direzionale da una singola fonte esterna. Un buon esempio per illustrare tutti e quattro queste fonti è il famoso mosaico di Cristo nella galleria di Santa Sofia.

mosaici in situ ad Agia Sophia, che mostrano la direzione della luce dalla finestra vicina

particolare che mostra l'illuminazione direzionale sul collo

1. L'aureola suggerisce una luce che si irradia da dentro la persona. Nelle icone di Cristo egli stesso è questa luce. Nelle icone dei santi, la luce viene dallo Spirito Santo che dimora in loro.

2. L'oro nello sfondo, come in questo mosaico, oppure un colore radiante come il vermiglio, afferma le parole di san Paolo: "In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (At 17:28). Questa luce, pertanto, non è tanto uno sfondo quanto una onnicomprensiva "atmosfera" divina all'interno del quale tutte le cose sono sostenute e dirette.

3. La luce di modellazione, per creare un senso di regola generale per l'iconografia, è che ciò che è più vicino è più leggero, mentre ciò che è più lontano è più scuro. O molto spesso non è tanto che l'ombreggiatura sia più scura, ma che sia dipinta con un colore freddo, come il verde o il blu. Anche se le icone non utilizzano contrasti estremi di luce e buio creati da una sola fonte di luce forte (una tecnica chiamata chiaroscuro), Leonid Ouspensky non aveva ragione ad affermare che le icone non hanno ombre. Ci sono chiaramente aree più scure di altre. Questo contrasto di luce e buio è usato per suggerire la materialità del soggetto. È pericoloso associare la spiritualità nell'arte alla smaterializzazione.

4. Ciò che è insolito nel mosaico di Agia Sophia è la fusione di un'ombra sul collo che può essere creata solo da una singola sorgente di luce, sopra e a sinistra della figura. Questo è raro nelle icone, ma non è al di fuori della tradizione. Il punto in questo mosaico è che la direzione della luce nel mosaico che crea l'ombra sul collo è identica a quella che attraversa una finestra alla sinistra del mosaico. L'ombra sul collo di Cristo è esattamente dove sarebbe stata se fosse stato in piedi dove si trova il mosaico. Il creatore del mosaico ci mostra sicuramente che Cristo è presente qui, in questa galleria, in questo luogo. L'illuminazione direzionale "naturalistica" è quindi ancora usata liturgicamente, e in combinazione con le altre tre tecniche sopra descritte.

Il modo di vita dell'iconografo

Tutti i cristiani sono chiamati a vivere la vita sacramentale della Chiesa, a digiunare, a pregare, a vivere secondo i comandamenti dell'amore di Cristo. Questo spetta anche agli iconografi: se devono rappresentare Cristo, i santi e gli angeli, oltre a conoscere la tradizione ricevuta delle loro icone devono anche aspirare a conoscerli personalmente. In caso contrario, starebbero semplicemente dipingendo un quadro piuttosto che dipingere una persona.

Nel mondo dell'arte secolare è facile distinguere un ritratto fatto solo da una foto da un ritratto dipinto dal vivo. L'incontro con il soggetto aiuta l'artista a scoprire e indicare il carattere di chi sta in posa, a discernere ciò che è essenziale e ciò che è secondario. Durante la realizzazione di un'icona vengono prese molte piccole decisioni – dove mettere una linea, quale colore o tono usare, e così via. A meno di non avere la musica del cielo dentro di noi non si può rilevare nella propria pittura le cose che sono disarmoniche.

Armonia con l'innografia

L'icona è liturgica, progettata per essere parte della più grande vita liturgica della Chiesa. Il suo contenuto e la sua forma devono quindi mettere in relazione con l'innografia della Chiesa e con le letture bibliche designate per la commemorazione del soggetto. Questo è particolarmente vero per le icone delle feste. L'una dovrebbe essere un commento dell'altra. È quindi essenziale che un iconografo conosce i testi liturgici delle feste.

Un buon esempio è l'icona della Trasfigurazione, dove, tra le altre cose, spesso vediamo una grotta raffigurata sotto Elia e sotto Mosè.

la Trasfigurazione, che mostra le grotte cui si fa riferimento nei testi biblici e liturgici. Dell'autore

Questo stimola lo spettatore a chiedersi perché non ci sono. Le letture bibliche al Vespro ci ricordano che sia Mosè sia Elia ebbero teofanie parziali in relazione a grotte. Mosè si nascose nella fenditura di una roccia e vide solo le parti posteriori di Dio. Elia sentì solo una piccola voce mentre si trovava all'ingresso della sua caverna. Ma qui sul Tabor, grazie all'incarnazione di Dio, si levano in piedi fuori dalle loro grotte di conoscenza parziale, ed ecco il Signore faccia a faccia. Questo contrasto è testimoniato dagli inni della festa:

Mosè ed Elia, quando conversavano con Cristo, hanno testimoniato che egli era il Signore dei vivi e dei morti, e che era il Dio di cui parlavano l'antica legge e i profeti. (Grande Vespro)

Un opportuno spazio architettonico

Che si tratti di icona su tavola, pittura murale o mosaico, un'icona dovrebbe adattarsi allo spazio architettonico e all'illuminazione per i quali è fatta.

Cappella memoriale dell'arcivescovo Dimitri, Cattedrale di san Serafino, Dallas. Di Vladimir Grigorenko. Un eccellente esempio di dipinto murale ben progettato per lo spazio architettonico e la sua funzione liturgica. Il suo tema è la seconda venuta, poiché, come scrive l'artista, sarà "il luogo di riposo eterno per l'arcivescovo Dmitri – il luogo dove egli attenderà fino alla seconda venuta"

Tutta la vita liturgica di una parrocchia o di un monastero può essere considerata come una singola icona, e così ogni aggiunta dovrebbe integrare e completare ciò che è già presente. Una certa comprensione della liturgia, dell'architettura ecclesiastica e della storia dell'arte è quindi richiesta a un iconografo. Un'icona in un angolo buio, per esempio, potrebbe essere dipinta in toni più leggeri di quella in uno spazio altamente illuminato. Oppure, quando si dipinge una chiesa ortodossa inglese, per esempio, si potrebbe trarre ispirazione da opere romaniche, celtiche o anglosassoni.

Unicità delle persone

Ognuno di noi è unico, un profondo mistero, con il proprio nome e volto. Quest'unicità è il presupposto della comunione, per l'unità non è possibile senza distinzioni. Le icone spesso non riescono a valorizzare questa unicità. Le icone di donne sante in particolare soffrono di questo, e la stessa faccia è utilizzata all'infinito con variazioni solo nell'iscrizione e negli abiti.

L'unicità delle persone è molto evidente nell'iconografia dei primi otto secoli della chiesa, come per esempio nei mosaici della Rotonda (san Giorgio) a Salonicco. Ma tale unicità sembra aver sofferto dopo l'iconoclastia. I volti sono diventati più standardizzati.

Rotonda di san Giorgio, Salonicco. Ogni volto in questo insieme di mosaici, risalente dalla fine del IV alla metà del V secolo, rivela un notevole carattere distintivo

La verosimiglianza è una sfida particolare quando raffiguriamo santi noti a memoria d'uomo per i quali abbiamo ritratti o fotografie, come san Paissio del Monte Santo o la nuova martire Elisabetta. Abbiamo bisogno di affermare la loro somiglianza fisica senza diventare naturalistici.

una foto del contemporaneo san Paissio del Monte Santo, 1924-1994

un dipinto murale del recentemente canonizzato san Paissio. Almeno quelli di noi che lo hanno conosciuto vorrebbero che le sue icone, pur non diventando naturalistiche, riflettano qualcosa della sua personalità unica

Armonia

Noi siamo unici, ma il nostro volto e la nostra personalità unici si completano nella relazione. La nostra unità viene anche dalla nostra singola natura umana condivisa. Ci sono molte persone, ma una sola natura. Un'icona dovrebbe quindi organizzare le sue figure in modo che siano in armonia, in particolare in armonia con le opere di Dio espresse in quella particolare festa.

Gioacchino e Anna, della monaca Olga, Romania. Un eccellente esempio di un'icona armoniosa. I colori sono ricchi ma armonici, il dettaglio è istruttivo ma non distrae, e il disegno è equilibrato senza essere rigido

George Kordis ha una teoria insolita in questo campo. Egli suggerisce che le icone possono utilizzare il colore per affermare l'unità della natura, mentre la linea (il disegno e la forma dell'icona) può sostenere l'unicità delle persone.

san Giovanni Battista, di George Kordis. Questo lavoro illustra il punto di cui sopra, che il colore può creare l'unità, mentre il disegno distingue ogni elemento dal suo vicino

L'icona raffigura un mondo redento, un mondo in cui vediamo la mano di Dio in tutte le cose. In questo senso è profetica, e svela negli eventi il proposito nascosto di Dio. Un'icona è quindi un microcosmo in cui gli opposti sono riconciliati. Dovrebbe pertanto avere una profonda armonia, con gli elementi disposti in relazione ai confini del pannello e niente di arbitrariamente tagliato. Un'icona è dunque non tanto una finestra con una vista arbitraria, ma una porta attraverso cui tutti i personaggi devono passare.

Un altro motivo per il bisogno di armonia estetica nelle icone è che il mondo è l'immagine del Dio trinitario. Una buona icona riflette quindi un mondo in cui c'è la distinzione, come nelle tre Persone della Trinità, e altrettanto l'unità, perché Dio è uno.

I colori dovrebbero essere armoniosi, quindi l'iconografo deve conoscere la teoria del colore: come funzionano i colori complementari, l'azione dei colori caldi, freddi e neutri l'uno sull'altro, e così via.

Come molti scrittori ci ricordano, essere un oggetto liturgico significa che l'icona non è solo un oggetto d'arte. Ma io vorrei affermare che è almeno arte. Deve contenere tutto ciò che contiene un buon dipinto, e altro ancora. Un iconografo deve quindi sforzarsi di conoscere di più il proprio mestiere rispetto a un artista laico, e non di meno. Gli scrittori patristici erano in maggior parte altamente specializzati nell'erudizione retorica e pagana, e hanno trasformato quest'abilità al servizio della Chiesa. Un iconografo non dovrebbe fare lo stesso, avvalendosi di qualsiasi conoscenza disponibile, a prescindere dalla sua fonte?

Autenticità e innovazione

Mentre impara dai maestri del passato, un iconografo maturo va oltre l'imitazione. La mera copia dà il falso senso che seguire la tradizione Chiesa significhi vivere una vita senza cervello, robotica, e timorosa. Se i Vangeli e gli Atti degli Apostoli sono qualcosa da seguire, la vita con Cristo è un'avventura piuttosto audace e imprevedibile!

La Romania è un buon leader nell'iconografia creativa contemporanea. Situata com'è geograficamente tra la Russia e la Grecia, la Romania è in una buona posizione per prendere il meglio di entrambe le tradizioni. Sono anche una cultura latina, e così si sentono a proprio agio con certe tradizioni occidentali. Indichiamo al lettore uno splendido articolo di Orthodox Arts Journal su questo argomento: I nuovi maestri romeni: iconografia innovativa nella matrice della tradizione.

Quando si opera in modo creativo la sfida è come lavorare all'interno del linguaggio ricevuto dell'iconografia senza cambiarlo così tanto da renderlo inutilizzabile per l'uso liturgico. Una soluzione è quella di sperimentare inizialmente non con le icone, ma con l'arte non liturgica, che potremmo chiamare "arte da galleria". Dopo questo periodo di prova, l'iconografo importa poi nelle proprie icone quegli elementi che sembrano opportuni in un contesto liturgico. Nell'opera illustrata qui di seguito, ho voluto esplorare come avrei potuto dipingere un ritratto naturalistico che, pur non essendo un'icona liturgica, assorbisse comunque una parte dell'ethos di un'icona. Sono stato anche influenzato dai ritratti romano-egiziani dipinti a encausto (cera fusa e pigmento), che sono stati la base per molte delle prime icone su tavola.

ritratto, dell'autore, tempera all'uovo

Questo ritratto mi ha aiutato in un secondo momento a fare le icone di sante che non fossero generiche come prima, come quella qui illustrata di santa Eteldreda.

santa Eteldreda di Hexham, dell'autore. In questa icona ho cercato di importare alcuni elementi dal ritratto di cui sopra, e dall'antica iconografia, come i mosaici del IV/V secolo alla Rotonda di Salonicco

L'iconografo, stampatore e pittore greco contemporaneo, Markos Kampanis, è un buon esempio di uno che lavora comodamente sia in arte liturgica sia in arte da galleria, e l'una alimenta l'altra.

pannello d'affresco, di Markos Kampanis, 2012

'Kavafis', di Markos Kampanis, 2012, carboncino

affresco, di Markos Kampanis

torre di Milopotamos, Athos, di Markos Kampanis, stampa a linoleografia, 1988

pitture murali a kornofolia di Markos Kampanis

L'icona illustrata di seguito è uno splendido esempio di uno stile di icona che è inventivo, ma ancora riconoscibilmente iconico.

Ioan Popa, chiesa di Alba Iulia

D'altra parte, l'opera illustrata di Sorin Dumitrescu, Il modello iconico dei martiri Brancoveni, pur essendo un dipinto potente, è a mio avviso troppo riduttivo per operare con successo come icona.

Sorin Dumitrescu, 'Il modello iconico dei martiri Brancoveni'

Logica nel drappeggio

Un difetto comune agli iconografi alle prime armi è il loro disegno, in particolare del drappeggio. Le icone vanno oltre il naturalismo, nel senso che non sono naturalistico, ma dovrebbero almeno essere razionali. Un'icona ben disegnata è sovra-razionale, non irrazionale. Il drappeggio deve avere una logica interna, con linee che indicano gli orizzonti o i confini delle forme reali. Una volta che questo linguaggio razionale è capito, allora la direzione, il volume e il dettaglio dei drappeggi possono essere semplificati e adattati.

È per gran parte per questo motivo che io sono passato dalla tecnica a proplasmos all'utilizzo principale (ma non esclusivo) della tecnica a membrana, sia nel mio lavoro sia nel mio insegnamento.

Nella tecnica a membrana si modellano le principali forme in monocromia prima di posare il colore in smalti semi-trasparenti. La forma viene così creata per prima, e poi questa si arricchisce con il colore.

Nella tecnica a proplasmos si comincia a stendere uno strato piatto della tonalità più scura, e poi si sviluppa l'opera sotto forma di aree sempre più leggere di colore.

Entrambe queste tecniche sono tradizionali, ma la prima costringe almeno a capire la forma in modo più chiaro.

La tecnica a membrana utilizzata dall'archimandrita Zinon, con figure monocrome appena abbozzate sulla destra, e figure più sviluppate in vari stati di completamento sulla sinistra. Feodorovskij Sobor, Pietroburgo 2013

Ho sentito spesso affermare che l'unico modo corretto e tradizionale di dipingere icone è con la tecnica a proplasmos dal momento che si sta seguendo il racconto della Genesi della creazione, che passa dal buio e dal caos verso la luce. Mentre una particolare tecnica può essere usata per illustrare un punto teologico, è pericoloso creare un parallelismo per giustificare una tecnica ad esclusione di altre. Si può leggere qualsiasi cosa in qualsiasi cosa. La tecnica a membrana potrebbe per esempio essere altrettanto affermata come l'unico metodo corretto dicendo che, come nel racconto biblico, crea prima il corpo (la pittura monocroma di base della forma) e poi respira in essa il soffio della vita (colore e luce). È necessario un po' di buon senso. È il risultato finale che conta, non l'uso spurio della teologia che ci impedisce di studiare la vasta gamma di tecniche usate nella storia dell'icona – e forse anche alcune tecniche nuove in ​​futuro.

Buona proporzione figurativa

Anche se le icone sono leggermente astratte – per esempio, possono allungare certi tratti, o addirittura l'intera figura – devono comunque preservare i principi di base della proporzione. Astrazione e distorsione sono cose molto diverse.

C'è grande varietà nella proporzione figurativa tra diverse scuole di iconografia, che vanno da corpi alti quattro volte la testa nelle icone copte, attraverso le più usuali sette-otto volte la testa e fino alle quasi undici volte la testa nel caso delle icone di Dionigi di Mosca.

Cristo e san Mina, copto, VI secolo

la Crocifissione, di Dionigi di Mosca, c. 1500

Ma per agire bene, bisogna sapere ciò che si sta cambiando. Si devono fare astrazioni partendo da una base di conoscenza delle proporzioni e delle forme, e non dall'ignoranza. Incoraggio pertanto i miei studenti a studiare i modelli delle icone, come quelli di padre Zinon, che utilizzano proporzioni medie intorno alle altezze di sette volte e mezzo la testa. Una volta che queste proporzioni sono ben comprese, sono poi liberi di espandersi, ma con una comprensione di ciò che stanno facendo.

Una somiglianza interna ed esterna

È interessante, e sconcertante per alcuni, che per la maggior parte le descrizioni bizantine delle icone contemporanee lodano la loro verosimiglianza. Questo sembra contraddire molti scrittori recenti che vogliono opporre l'icona alla pittura naturalistica. Varie spiegazioni sono state offerte per l'uso del termine 'verosimiglianza'.

Una spiegazione è che la natura conservatrice di omiletica, scrittura e poesia bizantina rendeva necessario utilizzare forme letterarie di espressione (chiamate topoi) tratte da scritti classici. E questi topoi apprezzavano le opere d'arte nella misura in cui erano verosimili e realistiche.

Altre persone hanno sottolineato che non dobbiamo far rientrare a posteriori in questo termine le nostri attuali associazioni di verosimiglianza con il realismo fotografico. La verosimiglianza è più della riconoscibilità fisica, poiché ha a che fare anche con il carattere della persona. In quanto tale, un ritratto realistico richiede un notevole grado di astrazione al fine di tirare fuori il carattere interiore. Un asceta, per esempio, tende ad essere dipinto con guance incavate, mentre un insegnante può avere una fronte ampia.

Va inoltre tenuto presente che la parola greca tradotta come 'verosimile' è tradotto in modo più accurato come qualcosa di simile a 'vivente' o 'vivo'. Questo spiega perché i passi che utilizzano questa parola spesso aggiungono che lo scrittore si aspettava quasi che il santo uscisse dall'icona.

Grazia e immobilità

Ciò che mi ha impressionato di più sulle persone sante che ho incontrato o conosciuto personalmente è la loro unione di quiete interiore con l'attività. Padre Paissio dell'Athos, per esempio, durante il giorno incontrava un flusso costante di visitatori in cerca di consiglio, e di notte pregava per molte ore. Eppure mi ha colpito come una persona che riposava interiormente. Come scrive san Paolo: "...io lavoro più di tutti gli apostoli, ma non io, ma la grazia di Dio dentro di me" (I Cor 15:10).

Un'icona dovrebbe rappresentare quest'unione di quiete e di vigore. Non dovrebbe essere artificiosa o rigida, ma non dovrebbe neppure mostrare agitazione. Quindi vi è solitamente un forte asse verticale, una mancanza di gesti disturbanti, e un certo equilibrio tra sinistra e destra. D'altra parte, ci sono asimmetrie e movimento: le teste di rado ci guardano direttamente, ma sono un po' voltate; una figura in piedi sposta il suo peso leggermente; il drappeggio si muove in ritmi.

sant'Alessandro, di Ivan Polverari, Italia. Quest'opera mostra l'equilibrio classico tra movimento (la leggera rotazione del capo, drappeggi ritmici, posa asimmetrica) e immobilità (assenza di espressioni e gesti esagerati, colori armoniosi, equilibrio, come per esempio la lancia simmetrica alle lettere)

4. CONCLUSIONE

Alcuni iconografi di grande talento riescono a organizzare la propria formazione. Ma questa è l'eccezione. Abbiamo bisogno di avere scuole e tirocini per insegnare abilità e teologia, stabilire i parametri, impostare gli standard. Per gli standard non intendo la promozione di parte di uno stile particolare, ma gli standard di eccellenza artistica e di linee guida teologiche che possano ispirare la variazione e precludere gli errori.

E questa conoscenza è importante non solo per i produttori di icone, ma anche per chi le commissiona: vescovi, sacerdoti e architetti. Non serve dare una formazione a buoni iconografi se coloro che richiedono icone le commissionano sentimentali, o non sanno capire la differenza tra lavoro inetto e qualificato.

Oltre alla loro funzione nel culto, le icone stanno dimostrando di essere un profondo mezzo di missione nel nostro mondo. Questo presenta un bisogno ancora più pressante per i più alti standard nelle nostre icone, affreschi, mosaici, e tutte le altre forme di iconografia. Non vogliamo fare i preziosi sulle nostre icone, e diventare critici d'arte piuttosto che uomini di preghiera e devozione. Ma così come vogliamo un buon sermone o un canto devoto e competente, vogliamo icone che ci ispirano, piuttosto che icone che ci irritano.

NOTE

[1] Testo adattato da una lezione al Kellogg College, Oxford, 27 febbraio 2015, The Christian Religious Image, organizzata dalla St John Cassian Association.

[2] Leonid Ouspensky, Theology of the Icon, Vol. 1, SVS Press, 1992

[3] Da poco è stata pubblicata una relazione di Evan Freeman, Rethinking the Role of Style in Orthodox Iconography: The Invention of Tradition in the Writings of Florensky, Ouspensky and Kontoglou, in “Church Music and Icons: Windows to Heaven: Proceedings
of the Fifth International Conference on Orthodox Church Music University of Eastern Finland Joensuu, Finland
3–9 June 2013”, pubblicato da The International Society for Orthodox Church Music, 2015, p. 350-369.

[4] In lingua inglese abbiamo Landscape elements in Iconography, Irina Gorbunova-Lomax, Brussels Academy of Icon Painting, Brussels.

[5] Si veda per esempio il suo blog, http://ikonographics.blogspot.gr/2016/02/revisiting-patristic-theology-of-icon.html

[6] Per esempio George Kordis, “Μορφή και Εικόνα. Η Προβληματική για την σχέση μορφής και εικόνας κατά τους Εικονομάχους και Εικονοφίλους, tesi di dottorato, Università di Atene, 1991. Inoltre, in traduzione inglese, Icon as Communion, Caroline Makropoulos (trans.), Brookline, Holy Cross Orthodox Press, 2010.

[7] http://ikonographics.blogspot.co.uk/2016/02/revisiting-patristic-theology-of-icon.html

[8] Atti del VII Concilio Ecumenico. Mansi 13, 340E

[9] Atti del VII Concilio Ecumenico. Mansi 13, 340E-342A

[10] Wilhelm Worringer, Abstraction and Empathy, trans. Hilton Kramer (New York: International Universities Press, 1953; pubblicato in origine in tedesco come Abstraktion und Einfühlung nel 1908), 17.

[11] http://ikonographics.blogspot.co.uk/2016/02/revisiting-patristic-theology-of-icon.html

[12] The Pictorial Metaphysics of the Icon: Part II, di p. Silouan Justiniano, 5 gennaio 2016, in “Orthodox Arts Journal” http://www.orthodoxartsjournal.org/the-pictorial-metaphysics-of-the-icon-part-ii/#_edn11

[13] Sulla prescrizione degli eretici, vii, 45

[14] St. Maximos the Confessor, “Second Century on Theology,” in: The Philokalia: The Complete Text, by St. Nikodimos of the Holy Mountain and St. Makarios of Corinth (ed.), G.E. E. Palmer, Philip Sherrard, Kallistos Ware (trans.), Vol. II, London, Faber and Faber, 1981, p. 156.

[15] Giovanni Damasceno, Sulle immagini sacre, 1.17, traduzione di D. Anderson da On the Divine Images: Three Apologies against Those who Attack the Divine Images (Crestwood, NY: St Vladimir’s Seminary Press, 1980), p. 25

[16] G. Kordis, Icon as Communion, Caroline Makropoulos (trans.), Brookline, Holy Cross Orthodox Press, 2010, p. 2.

[17] Ibid., p.51.

[18] St. John of Shanghai and San Francisco, “Discourse in Iconography” in Orthodox Life, Vol. 30, No. 1 (Jan-Feb 1980), pp. 42-45.

Citato in http://archangelsbooks.com/articles/iconography/DiscourseIcon.asp, (consultato il 7 febbraio 2016).

[19] https://biblethingsinbibleways.wordpress.com/2013/07/14/paul-and-his-use-of-greek-philosophy/

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