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  Che cosa ci impedisce di diventare santi

Una lezione dello schi-archimandrita Ioachim (Parr), abate del monastero ortodosso di santa Maria l'Egiziaca a New York

(estratto dal libro "Conversazioni sulla terra russa")

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Noi monaci dobbiamo dimenticare di che genere siamo, femminile o maschile. Noi siamo monaci. Il Signore ci chiama per vivere al di fuori delle debolezze legate al genere e per unirci a lui. Quando nei monasteri maschili cominciamo a considerarci prima di tutto maschi, con questo danneggiamo la nostra vita monastica, perché nella nostra vita cominciano a prevalere l'aggressività e la sensualità. Anche quando prevalgono i sentimenti femminili, la vita si complica molto.

Dio è la semplicità, l'uomo è un essere complicato. Questo pensiero suona certamente come una concezione filosofica, ma significa che Dio è esclusivamente "Colui che è" (il nome di Dio che Dio stesso ha detto a Mosè, ndt), e non ha nessuna complicazione, come una linea retta in geometria non ha nessuna deviazione. Questa caratteristica, la chiamiamo "semplicità". Quando nel mondo entra una complicazione, le cose diventano aggrovigliate.

Per esempio, qualcuno vi fa una domanda e voi gli rispondete per un'ora, e il tema del vostro discorso diventa complicato. Ma se la vostra risposta sarà "sì" o "no", il discorso sarà chiaro e semplice.

Immaginiamo di avere delle tavole di legno delle stesse dimensioni, della stessa larghezza e lunghezza e dello stesso spessore. Sono semplicemente delle tavole. Si può prendere migliaia di queste tavole e metterle insieme, formeranno una costruzione ideale perché sono semplici. Se prendiamo tavole diverse tra di loro, di varie dimensioni, di vario spessore, lavorate e non lavorate, diritte e storte, e cerchiamo di metterle insieme, l'oggetto ottenuto non sarà uniforme perché queste tavole non potranno formare un insieme compatto. Altrettanto funziona anche un monastero. Più assomigliamo a Dio, e più siamo capaci di formare un unico organismo. Più complicati diventiamo, più ci occupiamo di noi stessi, e meno presentiamo un unico organismo. Chi siamo, noi? Tavole semplici che Dio unisce in un'unica costruzione, oppure siamo un insieme di tavole storte che non è possibile mettere insieme?

Per grazia divina abbiamo una grande possibilità di diventare santi. Però c'è una sola strada per la santità: morire. L'apostolo Paolo dice: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Galati 2,20) – e appena ciò diventa realtà, nella vita di una determinata persona, qualsiasi persona potrà stare insieme con questa realtà, ed essa potrà stare insieme a qualsiasi persona. Il santo vescovo Ignatij Brjanchaninov nel suo libro "Un'offerta al monachesimo moderno" dice che uno dei più grandi miracoli della vita monastica consiste non nel fatto che io posso convivere con qualcuno, ma che gli altri riescono a convivere con me.

Se avessimo la possibilità di clonare noi stessi sotto tutti gli aspetti, fisici, spirituali, sociali, con tutte le nostre virtù e difetti, e poi metterci davanti questa copia perfetta di noi stessi, scopriremmo  che questo clone ci irrita fino al punto di volerlo uccidere. E questo è proprio quel che facciamo con le altre persone senza accorgercene.

La causa di questo stato e del fatto che non ce ne accorgiamo di questo, si trova nel fatto che il centro della nostra vita siamo sempre noi stessi, e non Gesù Cristo. Se fosse Gesù Cristo il centro della nostra vita, potremmo amare qualsiasi persona senza irritarci mai. Ma noi ci irritiamo, ci preoccupiamo, perdiamo la pace solo perché prima di tutto amiamo noi stessi.

Se devo parlare di me, la mia vita interna si trova in uno stato di assoluto disordine. Io ho detto alla vostra superiora che mi vergogno di come sono stato accolto nel vostro monastero – vorrei nascondermi e fuggire, perché mi rendo conto di chi sono in realtà. E se tu cerchi di capire chi sei, e Dio ti benedice con questa consapevolezza, tu capisci che non meriti alcun amore, se non per il fatto che Dio ci ha amati per primo. Dio ci ama non perché possiamo o non possiamo fare qualcosa, Dio ci ama solo perché ci ha creati. E qualsiasi cosa faremo, non smetterà di amarci.

E proprio questo dobbiamo imparare a fare anche noi. Ma il problema è che noi amiamo noi stessi. Voi direte: "No, non mi amo!" Quando lo sento da uno dei miei monaci, gli dico: "Mettiti seduto, ti faccio una foto e la do ai pittori perché facciano un'icona: abbiamo un santo che vive tra noi!"

Vi insegnerò tre cose.

La prima – l'ubbidienza è la vita. La seconda – è meglio essere ubbidienti che avere ragione. La terza – se non morirai prima della morte, morirai quando morirai... (v. san Paolo)

Tutto che ci serve per diventare santi, l'abbiamo appieno in questo monastero. Non c'è bisogno di andare a cercarlo altrove. Basta cominciare la lotta contro noi stessi, contro le passioni.

Noi tutti siamo dei bambini cattivi del nostro Padre...

Nella vostra città viveva un grande santo (Ioann di Kronshtadt – ndt). Non so quanto sia vero, ma un anziano vescovo, l'arcivescovo Averkij (Taushev, 1906-1976) mi ha raccontato che si interessava molto di psicologia, e una volta uno studente gli ha detto che il santo Ioann di Kronshtadt leggeva Sigmund Freud, e che lo studente era molto curioso di sapere l'opinione dell'arcivescovo Averkij. Lo studente domandò:

- Lei ha sentito parlare di Sigmund Freud?

- Certamente – rispose l'arcivescovo.

- E lei crede nell'esistenza delle malattie psichiche?

L'arcivescovo rispose:

- Certamente, perché le vedo ogni giorno. Chiunque è amato da Dio e, nonostante questo, è pronto a peccare di propria volontà e a non amare in risposta, è veramente un malato di mente.

Potete immaginare, chi siamo?

La vita monastica esiste allo scopo di aiutarci di morire a noi stessi. Pensate, quanto tempo e quante forze abbiamo perso invano pensando a cosa fanno e a cosa dicono le altre persone, invece di pensare a cosa facciamo e a cosa diciamo noi stessi? Il modello per il nostro comportamento ci è stato dato da Cristo: lui è venuto sulla terra non per essere servito, ma per servire, è venuto per amare. Noi dobbiamo imparare da lui a farlo. Se non ami tutti, vuol dire che ami solo te stesso, perché l'amore non fa differenza. Altrimenti non si tratta di amore, ma di compiacenza.

L'unica libertà reale per noi come creature di Dio è l'ubbidienza. Dio infatti ci ha creati e sa che cosa è per noi la cosa migliore. Se siamo ubbidienti a lui, facciamo quello per cui siamo stati creati.

Per esempio, abbiamo un'automobile e al posto della benzina mettiamo dello sciroppo. In queste condizioni persino l'auto migliore non funzionerà, perché non è stata creata per questo combustibile.

Se noi facciamo ubbidienza a noi stessi e non a Dio, non entreremo in Paradiso, perché siamo stati creati esclusivamente per amare Dio e il prossimo.

Noi, dell'amore, non sappiamo niente. Guardate voi stessi! Nessuno di noi può amare se non crediamo in Dio. È importante sapere in che cosa credi. Ognuno di noi vive per se stesso persino dentro un monastero, e per questo la nostra presenza in un monastero perde ogni senso.

Parlando con le monache dico sempre: le emozioni forti che fanno parte della natura femminile, sono sia una benedizione sia una maledizione per le monache. Ma non sono le emozioni il problema, il problema è fidarsi di loro.

A causa delle emozioni le donne vivono come dentro un vortice. Quando visito un monastero femminile, invece di provare una gioia costante della presenza di Dio, mi trovo sempre in un campo di emozioni.

Il segno dell'amore spirituale è la gioia. Questo non significa che dobbiamo correre, ridere e gridare. Questo significa sapere lo scopo della nostra presenza qui ed essere grati a Dio perché ci dà tutto ciò che ci serve.

Quando vi alzate di mattina, dovete ringraziare Dio per un giorno in più in cui possiamo pentirci. Invece il primo pensiero quando ci svegliamo è: "Devo andare di nuovo in chiesa, devo andare di nuovo a lavorare, dove ho messo le mie pillole?".

Cosa c'è che non va, in noi? - siamo innamorati di noi stessi, siamo egocentrici.

Penso che tutte voi leggiate le Sacre Scritture, ma se per qualche ragione non lo possiamo fare, le sentiamo leggere in chiesa. Il Signore Gesù Cristo ci dice: "...ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Matteo 25, 40).

Cosa sarebbe successo se avessimo visto Gesù Cristo di Persona, nel nostro tempio, quando vi entriamo, come al solito, irritati e cattivi, cosa ci avrebbe detto? Cosa ci sta succedendo? Rispondo ripetendo: siamo innamorati di noi stessi.

Parliamo dell'esperienza della preghiera, ma precisamente, dell'assenza di questa esperienza.

Voi sapete cosa sia una pioggia di meteoriti. Quando un meteorite entra nell'atmosfera, all'istante viene circondato da una fiamma e esplode in piccoli frammenti che piovono come una doccia. Nelle vostre teste quando pregate succede qualcosa di simile - piovono mille pensieri che non hanno a che fare con Dio. Questo succede per il motivo che amiamo noi stessi, e non Dio... Noi preferiamo a lui qualsiasi cosa.

Quello che dice Dio è semplicissimo, ma noi complichiamo tutto all'inverosimile. Lui ci dice: "Avendo occhi, non vedete? Avendo orecchie, non sentite?" (Marco 8,18)

Questo succede perché noi vogliamo che sia fatta la nostra volontà, sempre e comunque, noi facciamo solo quello che ci fa piacere, e facendo piacere a noi stessi diventiamo o gli schiavi dei nostri piaceri, oppure ci irritiamo se non li riceviamo appieno.

Io prego perché Dio non vi dia mai niente di quello che gli chiedete, ma che vi dia solo quello di cui avete bisogno, perché voi, come me, non siete ragionevoli e non sapete di che cosa avete bisogno, ma sapete solo quello che volete per viziarvi.

Sono venuto come un esperto in un'unica cosa: come peccare. Lo faccio sempre. Ecco tutto ciò che so. Però ho lottato per sapere cosa sia la vita monastica. Il Signore è stato misericordioso con me, perciò vorrei condividere con voi l'esperienza di questa lotta per avvertirvi delle trappole, la più grande delle quali è il nostro "io". Non esiste, sulla terra, nessuna persona che vi può danneggiare più di voi stessi.

E ora spiegatemi per quale ragione vi fidate di voi stessi? Noi dobbiamo fidarci di Dio, delle altre persone, ma mai di noi stessi!

...Care sorelle, voi capite cosa sia il pentimento? Quando facciamo i voti, ci dicono che il monastero è il luogo del pentimento. Cosa significa? Se non lo sapete, vuol dire non lo fate! Il Signore ci esorta: "Pentitevi, poiché il regno dei cieli è vicino" (Matteo 3, 2). Voi vi pentite? Che cosa vuol dire pentirsi? Come possiamo pentirci se non sappiamo cosa sia?

Il pentimento non vuol dire vivere piagnucolando, nella tristezza e nei guai, il pentimento non è una tortura che facciamo a noi stessi e agli altri.

Il pentimento è il cambiamento radicale della direzione della propria vita. Se andavi verso il nord e ora stai andando verso l'ovest, questo non è un cambiamento radicale. Radicale vuol dire cominciare ad andare a sud.

Allora che direzione ha la vostra vita? Non ditemi che direzione deve avere, ma quella che ha ora. Vi posso dire della mia vita – ha una direzione verso me stesso, mentre deve andare verso Dio.

Il Signore ci dice: per vivere dovete morire, per trovare la vita dovete perderla. Se volete venirmi dietro, dovete prendere la croce, rinnegare voi stessi e seguirmi (v. Matteo 16, 24). Il Signore ci dice che l'unica strada per seguirlo è morire a noi stessi e vivere in lui. Questo è il radicale cambiamento di direzione della nostra vita. Il Signore pensa a noi, si prende cura di noi e ci ama sempre. Sempre, in ogni momento, altrimenti non sopravivremmo.

Ma voi... se tutto va bene, in ventiquattro ore pensate a Dio per dieci minuti, il resto del tempo penserete solo a voi stesse.

Se Dio pensasse a noi solo dieci minuti in ventiquattro ore, saremmo morti. Se sposandoci lavorassimo per la nostra famiglia solo dieci minuti al giorno, saremmo morti di fame. Se entrando in un'università studiassimo solo dieci minuti al giorno, non finiremmo mai gli studi.

Se vogliamo entrare in paradiso e stare con Dio, ma gli dedichiamo solo dieci minuti al giorno, e il resto del tempo lo dedichiamo a noi stessi, non troveremo mai Dio.

...Care sorelle, la vostra vita spirituale è un caos totale, e può metterlo in ordine solo Dio. Ma voi dovete permettergli di farlo, e non lottare con lui. Se volete essere le prime, dovete essere le ultime.

Io trovo sempre strano e triste quando i sacerdoti si trovano insieme per celebrare la liturgia e si domandano: "Quando sei diventato sacerdote? Quante onorificenze hai? Che posto devo prendere e dietro a chi?" Questa è una follia! Nessuno ha alcun diritto di trovarsi all'altare! Ma noi all'altare vogliamo sapere chi sia il primo. Siamo dei folli. Noi entriamo nella casa di Dio vivente dove il Signore si apre in tutta la sua pienezza, dove Dio sta con noi, e il nostro primo pensiero è: "Ho freddo! Ho caldo! Sono stanco, ho mal di schiena, e ai piedi; questo è cattivo, quello è buono..." Ma persino con questo atteggiamento verso il sacro, i Misteri s'avverano – Dio ci ama nonostante tutto. È sorprendente!

Padre, da che cosa cominciare per smettere di amare se stessi?

Prima di tutto bisogna capire che l'amor proprio è corruzione. È paura, presunzione che vi divorerà vive e vi renderà orribili. Le persone che amano se stesse non possono convivere con nessuno. Vi è capitato di vedere una persona che dopo aver visto un'altra mettere qualcosa sul tavolo, dice: "No, questo bisogna metterlo lì e non qui"? Perché siamo così folli?

Una volta sono stato in un monastero femminile... a proposito, non critico solo le monache, i monaci fanno le stesse cose. Ma questa storia è successa in un monastero femminile. Allora facevo delle cure, la mia temperatura corporea ora saliva ora scendeva, come anche la pressione, perciò in chiesa ero costretto a stare seduto vicino ad una finestrina aperta, altrimenti soffocavo. Vicino alla finestrina c'era un tavolino con una lampada. A un certo punto si è avvicinata una monaca, ha acceso la lampada dicendo: "Padre, le faccio un po' di luce, e starà meglio". Ho detto: "Grazie". Dopo cinque minuti si è avvicinata un'altra monaca: "Caro padre, forse, la luce la disturba" – e ha spento la lampada. Poco dopo arriva la terza, accende la luce dicendo: "Padre, perché sta qui al buio?" E tutto questo è successo durante la funzione. Ho domandato alla superiora: "Come mai le sorelle sono così ansiose? Stavo pregando, ma loro pensano a questa stupida luce, se io stia male o bene al buio o alla luce".

È come se entrasse il Signore in questa stanza e qualcuna di voi gli dicesse: "Aspetta, Signore, permettimi di aggiustarti i capelli". Siamo folli, no? Ma lo facciamo ogni secondo.

Le sorelle volevano semplicemente farle piacere...

No, le sorelle volevano fare piacere a loro stesse. In questo preciso caso era importante non fare il bene, ma ricevere da me una reazione. Di che cosa ho bisogno, essendo un monaco? Di preghiera. Non ho bisogno del cibo, ho bisogno delle vostre preghiere, ho bisogno vedere la vostra fede, ho bisogno che voi mi mostrate come bisogna amare Dio. Tutto il resto, lo posso fare da me. Non voglio dire che sono ingrato per l'attenzione, ma non mi serve, e voi non ci dovete pensare.

Padre, vorrei fare una domanda sull'ordine esterno. In un libro sugli startsy del Monte Athos è scritto che uno starets ci teneva molto all'ordine prestabilito e avvertiva i novizi di non cambiare niente: "Per due volte vi avvertirò, alla terza vi manderò via!". Nei monasteri di lunga tradizione ci sono cose che non cambiano da secoli. E lì infatti ci tengono, a queste cose. Per esempio, in uno dei monasteri le sorelle mostrano una pentola usata dalle monache per decenni. Ma nei monasteri, come il nostro, che è stato fondato da poco, questo sembra spesso ridicolo. Per esempio, qualcuna dice: "È già da un mese e mezzo che abbiamo questo, è una tradizione del nostro monastero". Qualcuno lascia un lavoro, viene un'altro per fare lo stesso lavoro, e gli dicono: "È da tre giorni che è la tradizione del nostro monastero". Ma è peggio ancora quando arrivano persone nuove e distruggono anche questo piccolo ordine. Possiamo dire che persino in queste piccole cose esterne dobbiamo essere ubbidienti, altrimenti ci saranno anarchia e caos?

Il problema non è quello che facciamo, ma perché. Se in un monastero si è formata una tradizione nel fare le cose, quali che siano, è importante capire perché non vogliamo rispettare la tradizione. Una pentola ha venti o trent'anni, non è importante; importante è fare quello a cui sei stato assegnato, per ubbidienza. La struttura di ogni monastero esiste per educare la nostra ubbidienza. L'ubbidienza è superiore a qualsiasi lavoro. Abbiamo una legge. La legge ci è stata data da Dio. La nostra Chiesa ci ha dato delle leggi. E tutte queste leggi sono state date per rafforzare i legami tra l'uomo e Dio. La legge non è superiore ai nostri rapporti con Dio, i rapporti sono superiori alla legge.

Vi darò un esempio semplice e ovvio. La Chiesa dice che ogni ortodosso deve rispettare i digiuni, i periodi di astinenza. C'è però un'eccezione: chi non pecca, non ha bisogno di digiunare. Perché facciamo i digiuni? Perché siamo peccatori. Noi digiuniamo per vincere il peccato e per imparare ad amare Dio. Noi non facciamo i digiuni per fare i digiuni. Noi facciamo i digiuni per liberarci dalle passioni.

Se non avete niente in contrario, vi racconterò ancora un poco del nostro monastero. Noi siamo una riunione di peccatori. Noi sappiamo peccare meglio di qualsiasi altra cosa. Ma stiamo cercando di aggiustarci. Io dico di continuo ai monaci: "Siete venuti al monastero per trovare Dio e imparare ad amarlo. L'ubbidienza è la strada per raggiungere questo scopo. La preghiera è il lavoro più importante tra tutti quelli che può fare un monaco. Non siete venuti al monastero per lavorare. Lavorare, lo si può fare anche altrove. Non siete venuti al monastero per insegnare. Siete venuti per studiare.

Alcuni monaci hanno difficoltà a capirlo. Dico loro: "Se la cena sta bruciando, che si bruci del tutto, ma nessuno avrà il permesso di assentarsi dai Vespri!" Se mi rispondono: "Ma il cibo si brucerà!", io rispondo: "È meglio se si brucerà il cibo piuttosto che ti bruci tu. Mangeremo la cena bruciata, ma pregheremo".

Io rimango scioccato quando visito i monasteri e vedo che i monaci non vengono in chiesa per la funzione perché preparano il pranzo per i pellegrini.

Guardate voi stesse – non avete bisogno di mangiare! Nessuna di voi morirà di fame! State in chiesa e pregate, date da mangiare prima di tutto alla vostra anima, non preoccupatevi del vostro corpo, il corpo morirà in ogni caso. Alcuni di noi sono più vicini alla fine, ma le nostre anime sono affamate come prima. Sono affamate di Dio, ma noi non diamo loro da mangiare, facendo ingrassare invece i nostri corpi.

Io dico ai miei monaci: "Se dovete andare da qualche parte, andateci, ma dovete essere in chiesa per la funzione in ogni caso. Se l'ora di tornare al monastero vi coglierà a metà del lavoro, lasciate il lavoro e tornate. Altrimenti a che scopo siamo qui se non preghiamo?".

...Se mettiamo Dio al di sopra di tutto, e subito dopo a lui i nostri fratelli e le nostre sorelle, avremo la pace interiore indisturbata. Niente e nessuno la potrà far vacillare. Non avremo mai nessuna preoccupazione. Nessuno ci farà irritare. Solo noi lo potremo fare!

Vorrei raccontarvi una storia di un rabbino. C'era un monastero maschile molto grande e molto ricco. Una volta c'erano tanti monaci, ma poi pian piano i fratelli iniziarono a invecchiare e ad ammalarsi, perciò molti di loro cominciarono a portare con loro in chiesa sgabelli e cuscini dove sistemarsi durante le funzioni. Uno aveva bisogno di un tappeto sotto i piedi, l'altro doveva mettersi sulle spalle uno scialle, ed ecco che sciocchezze venivano fuori: "Devo stare comodo durante la funzione". E così pregavano, senza amore e senza ardore. Si preoccupavano piuttosto della loro posizione nel monastero che del fatto che si presentavano agli occhi di Dio. Perciò pian piano il monastero ha cominciato a deteriorarsi, i vecchi monaci morivano, non ne venivano di nuovi. Quelli rimasti vedevano il degrado ed erano nella malinconia.

Una mattina alle porte del monastero bussò un rabbino che disse al portinaio:

- Vorrei parlare con il priore.

- Aspetti qui, - ha detto il monaco ed è andato dal priore.

- Che cosa vuole? Non conosco nessun rabbino – si stupì il Priore.

- Non so cosa vuole.

- Vai a domandare.

Il monaco tornò al portone e chiese al rabbino lo scopo della sua visita. Allora il rabbino rispose:

- Sono ormai vecchio e mi rimane poco da vivere. Non ho dove vivere, voi invece avete molto spazio. Ho visto che nel bosco si trova una cella (una piccola casetta) che appartiene al vostro monastero. Se me lo permettete, ci vivrò io e pregherò, finché arriverà la mia morte.

Il priore pensò che questa casetta abbandonata non serviva al monastero ed permise al rabbino di viverci.

Il rabbino passò tutto l'autunno nella sua casa nuova a pregare. Arrivò l'inverno, poi la primavera, e il priore mandò i monaci nel bosco per tagliare la legna. Tornando, i monaci raccontarono con stupore al priore che il rabbino pregava ogni giorno nella sua casetta.

Il priore si incuriosì e ci andò di persona. Quando si avvicinò alla casetta, il rabbino spuntò fuori, lo abbracciò e disse:

- Vi sono molto grato. Ho pregato tutto questo tempo, e Dio mi ha detto che nel vostro monastero si trova il Messia.

Il priore domandò meravigliato:

- CHI si trova da noi???

E il rabbino ripeté:

- Tra voi si trova il MESSIA!!!

Il priore lo guardò e si convinse che il rabbino era semplicemente diventato matto. Tornato al monastero, raccontò ai monaci, anche loro incuriositi, del rabbino:

- Ha detto che tra noi si trova il Messia.

Tutti cominciarono a scherzare e ridere. Ma nella stessa notte il priore non riusciva a prendere sonno e pensava: "Forse è quello, o questo, oppure quell'altro, o forse sono io?" La mattina successiva quando entrò in chiesa, osservò i monaci pensando: "Forse quello è il Messia, oppure l'altro?" Altrettanto i monaci, incontrando i fratelli, si domandavano: "Ma forse questo è il Messia, come mi devo comportare, con lui?" E pian piano ogni monaco cominciò a comportarsi con ogni suo fratello come se quello fosse il Messia. Tutti cominciarono a pregare di più, a cantare con gioia, cominciarono a trattarsi l'un l'altro con amore, pazienza e tenerezza. Da fuori iniziarono ad arrivare nel monastero altri monaci, e il monastero riprese a crescere.

Però, col passare degli anni, i monaci cominciarono a dimenticarsi, per cosa si erano radunati, e il monastero cominciò di nuovo a degradarsi, fino alla sua chiusura.

Io vi domando, sorelle: forse il Messia si trova tra voi? E se si trova tra voi, come vi comportate, con lui? Il Signore ha detto: "Chi vede me, vede il Padre" (Giov. 14, 9). Ha detto anche: "...ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Matteo 25, 40).

Credetemi: tra voi vive il Salvatore, è nella vostra sorella, ma voi non vi comportate in modo adeguato, come bisogna comportarsi con il Messia. E quando verremo al Giudizio Universale, il Signore ci dirà:

- Va' via, non ti conosco. Avevo fame, e non mi hai dato da mangiare; ero triste, e non mi hai rasserenato; quando tremavo dal freddo, non mi hai scaldato.

E voi risponderete:

- Signore, ma quando mi sono comportata così, con te?

E Lui nominerà ognuna delle sorelle e domanderà:

- Ricordi? Ricordi?..

Sorelle, ancora una volta vi faccio questa domanda: credete a Dio, oppure pensate che sia un imbroglione? Se non facciamo quello che ha detto, o siamo stupidi, oppure davvero crediamo che sia un imbroglione.

Perché questo monastero non è santo? Questo monastero non è santo perché voi amate voi stesse più che Dio. E se mi direte che questo non è vero, vi dirò: "Mostratemi almeno una sorella che amate più di voi!" E voi risponderete: "Ma io non posso amare tutti in modo uguale!" Ma proprio questo significa che voi amate prima di tutte e più di tutte voi stesse. Ma se amate voi stesse, non amate Dio. Allora, in questo caso, cosa ci fate, in questo luogo?

Come si dice da noi in America, una persona può essere una parte della risoluzione del problema, oppure una parte del problema stesso. Allora, chi siamo? O ci mettete del vostro per far diventare questo monastero un luogo santo, oppure state uccidendo voi stesse e le sorelle attorno a voi.

... La saggezza dei santi Padri non consiste nella nostra imitazione dei loro atti. La Vita di sant'Antonio il Grande non è stata scritta perché noi, dopo averla letta, corriamo nel deserto. Questo non farà di noi dei santi. Quando leggiamo queste pagine, dobbiamo capire con il cuore le cause dell'amore di sant'Antonio per Dio. Non dobbiamo fare atti simili a quelli di sant'Antonio, ma amare con tanta forza, come amava lui, per poter fare poi tutto ciò che bisogna fare per quest'amore. Lui si lasciava cadere dentro i rovi non perché Dio voleva questo da lui, ma perché lui cercava di liberarsi da tutto che lo separava da Dio.

Immaginate una piazza piena di persone affamate che hanno un solo pezzo di pane, un pezzo in tutto il mondo. Come si azzufferanno, per questo pane! E proprio questo facevano i santi: loro rinnegavano assolutamente tutto ciò che li separava da Gesù Cristo. Noi non lo facciamo, perché amiamo noi stessi e ci preoccupiamo solo di noi stessi.

Una volta avevo l'abitudine di applicare sulle pareti della mia cella dei foglietti con scritte, finché i monaci che venivano da me per la confessione non hanno cominciato a distrarsi leggendole, invece di pensare ai peccati. Allora, ho messo sulla porta una scritta: "Tutto è per te, Signore. Niente è per me". E quando uscivo dalla mia cella, tutto che facevo era in nome di Dio, e non nel mio, perciò in ognuno vedevo Dio, e non me.

Nessuno di noi entrerà in Paradiso se non cambierà. Non vi è nessun dubbio che Dio ci ama molto di più di quello che potremo mai capire. Ma il problema è se noi amiamo qualcuno più di noi stessi.

E ora, dopo che ho dipinto il quadro molto negativo di cosa siamo in realtà, posso domandarvi: cosa dobbiamo fare?

La risposta è semplice: amate il prossimo. Non sopportatelo, non sfuggitelo, non deridetelo, ma amatelo: prendetevi cura dei bisogni delle persone che stanno attorno a voi, cercate di aiutarli a salvarsi, pregate per loro. Fate di tutto perché il prossimo stia bene, augurategli la salvezza nell'eternità, pregate per lui!

... l'amore non è un sentimento. L'amore è fede, fiducia.

Noi diciamo: "Io sento Dio vicino a me". È una dichiarazione terribilmente miope! Dio non è per niente vicino, Dio è totalmente dentro noi! Il fatto è che non ce ne rendiamo conto, ma è proprio lì, nonostante le nostre incapacità di capirlo. Lui è lì, invece voi non siete dov'è lui.

Nessuno può essere costretto ad amare. Fare il bene al prossimo senza amore, non è amore. Lo sanno tutti, e anch'io ho sperimentato quando qualcuno fa qualcosa per noi sinceramente, per amore, oppure con indulgenza, oppure semplicemente sopportandoci. E quando qualcuno vi ama davvero, voi lo sapete. È inspiegabile, è come un legame istantaneo che si crea tra voi. Questa è una cosa autentica.

Quando incontrate qualcuno che ha la pace nel cuore, non sapete ancora cos'abbia, ma volete parteciparvi. Voi vedete l'integrità di questa persona.

I fratelli mi dicono: "Padre, perché lei è così clemente? Cacciamo via dal monastero quel fratello". Io rispondo: "Per la stessa ragione perché non caccio via anche voi – non sono stato io, a portarlo qui, Dio ha portato qui questa persona, e Dio stesso, se sarà necessario, la caccerà via".

È una follia... Esigono da me che cambi il comportamento di una persona. Ma loro stessi non vogliono elevare questa persona con il loro amore fino allo stato di integrità. Loro mi chiedono di tenere sotto controllo quello che li irrita in questa persona. Questo non è amore.

Lo schi-archimandrita Ioachim (Parr) a Tredwell

Allora, ecco la nostra lotta di ogni giorno: tutto sia per Dio, niente per noi. Ogni persona del monastero, indipendentemente dal lavoro che fa, deve partecipare alle funzioni della chiesa.

Mi dicono:

- Ho appena versato il cemento, si solidificherà.

Io rispondo:

- Vai a pregare, e che si solidifichi. È più facile fare altro cemento che imparare a pregare.

 Uno dei fratelli mi ha detto:

- Padre, con queste funzioni non è possibile finire nessun lavoro! Non abbiamo mai tempo per lavorare bene!

Gli ho risposto:

- L'unica causa per cui sei venuto qui è il lavoro sulla tua anima. Perché sprechi le tue energie per queste stupidaggini?

Sono convinto che i monasteri si trovano in gran pericolo quando i monaci non vogliono, non amano e non cercano di pregare. Potete inventare una cosa più importante della preghiera? Cosa vi sta succedendo?..

Vi racconterò un'altra storia. Sono diventato monaco sul santo Monte Athos, nello skit del profeta Elia. Poco lontano da quel posto c'è un luogo degli eremiti, si chiama Kapsala. Ci saranno circa quaranta celle nel bosco, in ogni cella vivono quattro – cinque monaci. Una volta celebravo i Vespri della Festa dell'Esaltazione della Croce del Signore. E quando sono uscito dall'altare, ho visto un vecchio monaco vestito molto semplicemente, ma accuratamente. Tutti nel tempio gli si avvicinavano per prendere la benedizione. Ho pensato che fosse un sacerdote. Durante il canone è entrato nell'Altare e ha chiesto di confessarsi. Ho acconsentito, e durante la confessione ho saputo che è un vescovo... Il giorno successivo dopo la Liturgia abbiamo parlato e gli ho chiesto di raccontarmi di lui. Mi ha risposto:

- La mia vita è come quella di tutti gli altri. Sono un peccatore, continuo a peccare e cerco di fermarmi.

Allora ho domandato:

- Com'è successo che lei, essendo vescovo, è finito all'Athos?

Lui mi ha raccontato la sua storia:

- Ho studiato all'Università di Atene alla Facoltà di Teologia ed ero il miglior studente in tutto il corso. Durante le ultime cerimonie il patriarca di Alessandria che aveva partecipato, ha detto all'Arcivescovo greco: "Vorrei che questo giovane sacerdote insegnasse nel mio seminario. La Chiesa di Alessandria sta morendo, abbiamo bisogno di gente istruita per aiutare la Chiesa". Si sono accordati, e io sono andato ad Alessandria per tre anni. Ma invece di tre, ci sono stato dieci anni e sono diventato vescovo. Sono passati altri anni e una sera piovosa d'inverno, dopo che avevo finito la lezione all'Università Aristotele, mentre tornavo a casa sono stato coinvolto in un incidente stradale. L'ambulanza mi ha portato al reparto di rianimazione. Quando sono rinvenuto, i dottori mi hanno detto: "Lei ha subito un grave trauma, dobbiamo controllare se il suo cervello non abbia subito danni". A questo punto ho domandato di chiamare un sacerdote, e loro hanno trovato, tra i pazienti, un anziano monaco del Monte Athos. Era vecchio, di bassa statura e sporco. Io ho cominciato a confessarmi, ma lui mi ha interrotto e ha detto che dovevo smettere con la vita sfarzosa, andare sul Monte Athos e diventare un vero monaco. Avrei dovuto, secondo lui, smettere di andare in giro per tutto il mondo e di fare finta di essere una persona molto importante. Mi sono molto arrabbiato e l'ho cacciato via dalla stanza. Ma questa storia è rimasta nella mia memoria per lungo tempo. Da una parte, mi sono arrabbiato fino a punto che ho sentito il mal di cuore, dall'altra parte capivo che quello che aveva detto il vecchio monaco era una verità che non volevo ascoltare.

Dopo un po' sono stato dimesso e si è interessato di me il Patriarca Ecumenico. Lui mi ha invitato a partecipare a un evento. Dovevo tenere un discorso. Ma appena l'ho cominciato, ho avuto mal di cuore. Sono caduto, ho rovesciato il tavolo e sono finito di nuovo in rianimazione. All'ospedale periodicamente perdevo i sensi, ed i dottori hanno dovuto lavorare tanto. Tra la vita e la morte, no fatto una preghiera: "Madre di Dio, se mi salverai ora, ti prometto che andrò sul Monte Athos e tutta la vita che mi rimane la consacrerò al pentimento". La Madre di Dio mi ha salvato, ma io non sono andato sul Monte Athos.

Sono andato dal Patriarca e ho detto:

- Santità, ho promesso alla Madre di Dio di andare sul Monte Athos, mi lasci andare.

Il Patriarca mi ha risposto:

- Ma non eri in te, si può promettere di tutto, in quello stato! Sei vivo, non ti preoccupare.

Ho cominciato a pregare il Patriarca, ma lui ha risposto:

- Devi essere ubbidiente alla Chiesa. La Chiesa ti ha fatto vescovo, ubbidisci e lavora!

Ogni anno portavo al Patriarca la mia richiesta, ma lui non mi lasciava andare. Ma ecco una volta, quando credo che l'avessi infastidito abbastanza, ha detto:

- Ti do tre anni, lavora, e poi andrai all'Athos.

Dopo tre anni ci sono andato. Non sapevo niente del monachesimo. Ero un vescovo grasso con mani morbide e tenere. Portavo un paio di belle morbide scarpe italiane con la suola molto sottile, e una tonaca di seta. E vestito così sono arrivato sul Monte Athos. A Dafni i monaci mi hanno domandato:

- Eminenza, chi vuole vedere?

Ho risposto:

- Sto cercando un monaco, - e  ho descritto il piccolo monaco sporco che molti anni prima mi aveva confessato.

I monaci mi hanno domandato:

- Come si chiama? Dove abita?

Ma io non sapevo niente, l'ho di nuovo descritto, e mi hanno risposto:

- Tutti al Monte Athos hanno questo aspetto.

Mi sono rattristato, perché volevo trovare il monaco che mi aveva indirizzato sul Monte Athos.

Allora uno dei monaci ha detto:

- Se questo starets esiste, allora vivrà nel punto più lontano del Monte, a Karulia. Salga il monte, forse lo troverà lì.

E ci sono andato. Mente salivo, sudavo, le pietre mi pungevano attraverso le suole sottili delle mie scarpe italiane e mi sono stancato fino al punto di credere che sarei morto strada facendo. Ma i monaci mi dicevano:

- Vada avanti, lo starets è lì.

E finalmente qualcuno mi ha detto che ero arrivato. Davanti a me c'era una piccola cella con una finestra chiusa con gli scuri. Era circondata da un muro in pietra, ma la vista che si apriva da quel posto era tale che veniva la voglia di volare.

Vicino alla cella c'era una fila di monaci. Io volevo passare avanti, ma sono stato fermato.

Ero un vescovo e non ero abituato ad aspettare. Mi sono arrabbiato, ma ho deciso di rimanere. Ed ecco esce dalla cella il novizio dello starets e mi dice:

- Ma tu, cosa vuoi?

- Sono venuto a vedere lo starets.

- Lo starets si è stancato, oggi ha ricevuto i fratelli per tutto il giorno e ora è andato a dormire. Oggi non può vederti.

- Ma io ho fatto una strada lunga così, sono salito sulla montagna! Cosa devo fare?

- Vieni domani.

- Non ho un posto dove andare.

- Tutti dormono per terra, fa' così anche tu e dormi.

Ho passato quella notte sulla strada. Non ho chiuso occhio per tutta la notte. Arriva l'alba, esce il monaco e dice:

- Lo starets oggi non parlerà con nessuno, lui pregherà.

Non riuscivo a credere a ciò che sentivo. Un'altro giorno è andato perso. Avevo fatto una lunga strada, non avevo un posto dove andare, e allora ho deciso di aspettare. Quel giorno, l'ho passato sotto un albero, ho cercato di pregare, ma tutto di che ero capace di pensare era la rabbia che provavo verso lo starets.

Il giorno successivo il monaco si è avvicinato a me e mi ha detto:

 - Sei ancora qui? E va bene, sei stato paziente, vieni, lo starets parlerà con te.

Sono entrato. Lo starets mi ha visto e mi ha domandato:

- Cosa vuoi?

- Voglio essere un monaco, – gli ho risposto.

- E perché sei venuto qui se vuoi essere un monaco?

Gli ho raccontato la mia storia, com'era venuto, all'ospedale, il monaco dell'Athos.

Lo starets mi ha domandato:

- Quanti anni sono passati?

- Trentadue anni.

- Ma sei matto? Lui è già morto da un pezzo! Tu stesso hai detto: piccolo, vecchio, trentadue anni fa! Nemmeno tu, qui, sopravviverai.

Io gli domando:

- Perché?

- Perché non potrai mai eseguire quello che ti dirò. Che cosa facevi prima di venire qui?

- Sono un vescovo.

Lo starets si è messo le mani tra i capelli:

- Dio mio! Nella vita, solo le donne possono recare più tentazioni! Vai via da qui!

Io mi sono messo a pregarlo:

- Ti prego, aiutami a diventare un monaco!!!

Lui mi dice:

- Ti permetterò di rimanere nella cella solo a un patto.

- Cercherò di farlo.

- No. Tu devi dire: "Lo farò, starets". Perché se dici che cercherai di fare qualcosa, significa che ti sei già arreso.

- Lo farò, starets.

- Va bene. Allora, ascolta. Non hai permesso di parlare con nessuno - né con me, né con quelli che vengono da me. Con nessuno! Solo se ti chiederò di dire qualcosa, solo allora potrai parlare.

E mi ha dato l'ubbidienza di fare tutte le cose di casa.

Dallo starets veniva sempre gente. Io preparavo il tè, lavavo le tazze e ascoltavo. E volevo sempre dire qualcosa mentre lo starets parlava con gli ospiti. Veniva, per esempio, un monaco e diceva: "Ecco, Gregorio Palamas ha detto...", ma io sapevo di certo che quello lo aveva detto non Gregorio, ma un'altro santo! Gli volevo dire: "Idiota! Questo non lo ha detto Palamas, lo ha detto un'altro santo..." Dentro di me tutto bolliva dalla rabbia, e questo è durato per anni... Ma poi mi sono calmato e non provavo più niente, semplicemente lavavo le tazze, pregavo, versavo del tè. Una mattina sono venuto dallo starets per cominciare la giornata di sempre, e lui mi dice:

- D'ora in poi, puoi parlare.

Ho pensato e ho risposto:

- Non ho niente da dire.

Lo starets mi fa:

- Fratello mio, quando sei venuto, anche allora non avevi niente da dire, ma non lo sapevi. Quando hai lasciato il mondo pensavi che tutto il mondo avesse bisogno di te. Guarda ora, se ha bisogno di te. Ma nemmeno prima aveva bisogno di te. L'unica cosa di cui noi abbiamo bisogno, è Dio.

Ecco che storia mi ha raccontato quel vescovo.

Voi avete bisogno di Dio. Non vi serve altro. Nessuno ha bisogno di una vostra parola.

Se ora andrete nelle vostre celle e al posto delle preghiere andate a dormire, siete stupide.

"O Signore, volevo pregare, ma sono così stanca..." Che bella scusa! Dio dirà: "Volevo svegliarti oggi, ma anch'io ero così stanco..." Noi questo non lo sentiamo, da Dio.

Io cerco di sera fare le preghiere in piedi, ma per via della malattia sono costretto ad appoggiarmi sul leggio. E, che ci posso fare, qualche volta mi addormento.

Una volta mi sono svegliato sotto il leggio, mi sono spaventato perché non riuscivo a capire cosa fosse successo. Poi ho capito che mi ero addormentato, sono caduto e il leggio è caduto sopra di me. Sentendo un rumore nella mia cella, è entrato di corsa un fratello e ha domandato:

- Padre, va tutto bene?

- Non ti preoccupare, – gli ho risposto, – pregavo...

 - Eh, – ha sogghignato lui, – lo vedo.

Allora, finendo il nostro discorso, vi dico: andate a rovesciare i vostri leggii, ora. È sempre meglio addormentarsi facendo una preghiera che addormentarsi senza preghiere. Vi auguro buona notte, ma non vi auguro buon sonno.

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