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  "Andrej Rublev" (1966) di Andrej Tarkovskij

dal blog Honey and Hemlock, 29 gennaio 2014

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Nel 1932, l'anno di nascita di Andrej Tarkovskij, Stalin dichiarò che la Chiesa ortodossa russa sarebbe stata spazzata via entro cinque anni. Attraverso la chiusura forzata di chiese, il sequestro di beni della Chiesa, la prigionia e l'esecuzione di vescovi, sacerdoti e laici accoppiata con la propaganda anti-religiosa, il regime sovietico, dopo la rivoluzione, aveva speso grandi quantità di energia per combattere "l'oppio delle masse". Nonostante il decreto del 1927 in cui il capo ad interim della Chiesa ortodossa russa, il metropolita Sergio, aveva dichiarato la fedeltà della Chiesa al regime sovietico, nel tentativo di mitigare le persecuzioni, la Chiesa ortodossa rimaneva uno dei principali avversari ideologici del comunismo. La vita spirituale era vista come antitetica al dogma comunista materialista.

Nel 1966, l'anno in cui uscì l'epico Andrej Rublev di Tarkovskij, il regime sovietico aveva in qualche modo modificato la sua posizione nei confronti della Chiesa. Nel 1943, dopo la vittoria russa a Stalingrado, Stalin sancì la ricreazione del patriarcato di Mosca, utilizzando la Chiesa come agente unificante per rafforzare il patriottismo e l'identità nazionale dopo una guerra devastante. Anche se la persecuzione della Chiesa ebbe fasi alterne nel corso dei successivi due decenni, al momento dell'uscita di Andrej Rublev, il regime sovietico era ancora disposto ad accettare alcuni aspetti della vita religiosa che potevano essere utilizzati per costruire un sentimento nazionalista.

Anche la posizione sovietica sull'arte era utilitaristica, essendo riassunta in questa dichiarazione del Partito Comunista, fatta meno di un decennio dopo la rivoluzione: "Il cinema può e deve occupare un posto importante nel processo di rivoluzione culturale come mezzo per un'ampia opera educativa e per la propaganda comunista, per l'organizzazione e l'educazione delle masse intorno agli slogan e ai compiti del partito". Con la morte di Stalin nel 1953 arrivò il "disgelo" di Krusciov. Gli artisti cominciarono ad allontanarsi un po' dai parametri del realismo socialista e dell'arte creata per scopi di partito. Ma anche allora, l'arte che non rispettava le norme sovietiche era sanzionata dall'Unione degli Artisti, sponsorizzata dallo Stato. Ancora nel 1974, artisti non conformisti affrontarono vessazioni da parte delle autorità quando le loro esposizioni furono rase al suolo dal KGB per non essere conformi alle norme del realismo socialista. Questo è il clima in cui è stato prodotto Andrej Rublev, un film su un santo cristiano ortodosso considerato il più grande degli iconografi russi per le visioni sulle realtà spirituali offerte dalla sua opera.

Andrej Tarkovskij nacque a Jur'evets sul Volga il 4 aprile 1932 e morì a Parigi l'8 dicembre 1986. Era il figlio del poeta Arseni Tarkovskij e dell'attrice Maria Tarkovskaja. Dal 1951 al 1954 Tarkovskij studiò arabo presso l'Istituto di Lingue Orientali di Mosca, e poi per un breve periodo studiò geologia in Siberia. Nel 1956 Tarkovskij entrò nella scuola cinematografica sovietica di Stato, dove studiò sotto la direzione di Mikhail Romm. Romm era diventato famoso per le sue raffigurazioni di Lenin in una serie in tre parti intitolata Leniniana. Per questa e altre sue opere, a Romm era stato assegnato un totale di cinque premi Stalin. Anche se la sua impostazione era del tutto in contrasto con lo stile di Andrej Rublev, l'insegnante di Tarkovskij riteneva che il cinema dovrebbe essere una "osservazione diretta della vita".

Non si sa molto sui dettagli della vita religiosa di Tarkovskij. Tuttavia, l'amico di Tarkovskij Michal Leszczylowski ha detto che "la religione aveva un ruolo importante nella vita di Tarkovskij e lui era sempre pronto a incontrare persone religiose, per discutere con loro i problemi della fede". È attraverso l'arte di Tarkovskij che arriviamo a comprendere più pienamente la natura della sua fede.

Tarkovskij capiva che vi è un legame tra arte e spiritualità. "L'arte nasce e prende piede ovunque ci sia un desiderio senza tempo e insaziabile per lo spirituale". Questo legame tra arte e spiritualità è caratterizzato nella rappresentazione di Andrej Rublev fatta da Tarkovskij. Completato nel 1966, ma non uscito in Unione Sovietica fino al 1971 a causa della censura, Andrej Rublev vinse il Premio FIPRESCI al Festival di Cannes nel 1970. Fu salutato dai critici cinematografici come uno dei più grandi film, se non il più grande, di tutti i tempi. Appena sei anni prima del completamento del film, il 600° compleanno di Andrej Rublev fu celebrato in Unione Sovietica con l'appoggio ufficiale delle autorità. Inclusa nelle celebrazioni era l'apertura del Museo Andrej Rublev di arte russa antica. La diffusa attenzione alla memoria di Rublev in questo momento fornì a Tarkovskij l'occasione di "occuparsi di questioni spirituali con il pretesto della mitopoiesi patriottica". Nonostante quello che sembrava un tempo maturo, la persecuzione religiosa continuava, rendendo ancora la produzione di Andrej Rublev una sorta di rischio. L'anno 1962 vide la reiterazione di una legge che negava ai genitori il diritto di educare i propri figli come credenti, sostenuta da giustificazioni ideologiche. Tra il 1958 e il 1966, il numero delle comunità ortodosse registrate nella diocesi di Vladimir, dove è fu girata gran parte del film, diminuì del 17 per cento, lasciando solo 54 chiese e monasteri. Mosca vide un declino del 19 per cento nel corso di questi anni. Eppure, Tarkovskij continuò con la produzione.

Andrej Rublev, in termini semplici, è il racconto biografico del celebre iconografo. Rublev era un monaco della Lavra della Trinità e di san Sergio e un discepolo del fondatore del monastero, San Sergio di Radonezh. A Rublev sono attribuite, tra le altre opere, l'iconografia della cattedrale dell'Annunciazione a Mosca e la cattedrale della Dormizione a Vladimir, e la più famosa icona della Santissima Trinità. Lo stile di iconografia di Rublev si diparte dallo stile bizantino più angolare. Forme meno nitide sono utilizzate per creare un'immagine più morbida. L'icona della Santissima Trinità è molto apprezzata per la sua pura rappresentazione della teologia trinitaria ortodossa. Il genio di Rublev entra nella sua presentazione dell'unico Dio cristiano in tre ipostasi, o persone. Le tre ipostasi della santissima Trinità – Padre, Figlio, e santo Spirito – sono rappresentati come figure uguali, ma uniche. Il perfetto posizionamento che Rublev dà alle tre persone permette un senso di unione tra le tre, che si riconoscono tutte a vicenda, mentre un simbolo dell'eucaristia, la vita che hanno dato al mondo, poggia su un tavolo tra di loro. Tra di loro esiste anche lo spazio in cui lo spettatore dell'icona sembra quasi chiamato ad entrare dalla posizione delle tre persone. Questo spazio può essere inteso come le energie creative e l'amore che scorre tra i tre. È qui, in questo spazio apparentemente vuoto , eppure del tutto completo e unificato, che possiamo cominciare a penetrare il significato di Andrej Rublev.

Robert Bird sottolinea che l'icona della Trinità ha ispirato Tarkovskij "nella struttura tematica del film, nella sua composizione visiva, e anche nella sua aspirazione a dare voce a una cultura messa sotto silenzio". È attraverso questa ispirazione dell'icona che Tarkovskij arriva a presentare la storia di Andrei Rublev, che visse sotto l'opprimente giogo mongolo del primo quarto del XV secolo. Un giogo, naturalmente, per molti aspetti non molto diverso da quello sovietico sotto il quale viveva Tarkovskij. In questo senso il film traccia un parallelo tra Tarkovskij e Rublev nel trattamento delle avversità che un artista deve sopportare mentre allo stesso tempo mantiene l'integrità artistica e produce arte di qualità.

Il film di Tarkovskij manca di "narrazione lineare chiara", e si presenta principalmente per mezzo di impressioni estetiche che lo spettatore deve ricevere e interpretare per ottenere un senso del significato globale del film. Tarkovskij utilizza queste impressioni, o immagini, come se fossero pezzi di un mosaico. Quando uno si trova troppo vicino ad un mosaico tutto l'insieme non può essere adeguatamente compreso. Bisogna arretrare e visualizzare il mosaico nella sua interezza per vedere la sua vera bellezza e dargli un significato. Le scene di Tarkovskij presentano un'estetica o un sentimento, non una rigorosa trama o narrativa. È questo stile che permette l'assenza di Rublev, il protagonista, per grandi parti del film. Attraverso le sue impressioni Tarkovskij ritenne possibile catturare l'essenza del carattere e della vita di Rublev, anche senza la sua presenza, proprio come il "vuoto" tra le tre persone nell'icona della Trinità di Rublev è in grado di catturare l'essenza della Trinità.

Questa mancanza della partecipazione di Rublev nel film si vede meglio nell'episodio intitolato "La scorreria". Qui Tarkovskij pone Rublev come "uno spettatore al nostro fianco". È in questo segmento del film che Rublev incontra lo spirito del defunto Teofane dopo la distruzione da parte dei tartari di una chiesa in cui Rublev aveva completato una iconostasi. Teofane, che ora dimora con Dio, non ha bisogno di forme fisiche per elevare la sua mente al divino. Teofane spiega che le immagini e le parole non riescono a dare la misura della gloria della verità e dell'esperienza diretta di Dio. Queste immagini esistono per dare agli uomini impressioni pie come mezzo di contatto con il divino, eppure non vi riescono pienamente. È a questo punto che Rublev, scosso dalle parole di Teofane, rinuncia sia alla parola sia alla pittura di icone come sforzi essenzialmente inutili.

L'episodio successivo, "Il silenzio", manca di qualsiasi discorso di Rublev, e Tarkovskij ci presenta personaggi asciutti, banali, a volte incomprensibili, come i mongoli che non parlano russo. "Il silenzio" è seguito da "La campana", in cui Rublev riacquista la sua volontà di parlare e creare. Il tentativo apparentemente senza speranza della fusione di una campana sotto la guida di Boriska, un giovane con poca abilità, viene a rappresentare le speranze di un intero villaggio. La campana, di fatto, viene fusa e suona. Al suono della campana si vede Rublev mentre conforta Boriska, che temeva la campana non suonasse. Boriska qui serve come una rappresentazione di Rublev che viene a patti con i talenti che Dio gli ha ispirato. Boriska temeva che la sua campana non suonasse, nello stesso modo in cui Rublev temeva il fallimento nella sua rappresentazione delle cose divine. Vediamo Rublev che sorregge Boriska vicino allo stesso punto in cui due episodi prima era stata girata la scena della crocifissione. Ora, però, la croce è stata sostituita dalla risurrezione che la campana serve a rappresentare.

La mancanza in Andrej Rublev di un chiaro movimento lineare non legato al tempo e allo spazio può creare un effetto di vertigine nello spettatore. Eppure sono le impressioni estetiche create da Tarkovskij che legano le parti apparentemente disgiunte per creare una verità più misteriosa a un livello più profondo delle parti stesse. È questa attenzione alla bellezza, piuttosto che un chiaro e ordinato costrutto filosofico, che io ritengo la caratteristica fondante del film. Una caratteristica che, a mio avviso, è decisamente russa. È un amore per la bellezza che supera la comprensione che ha aiutato Rublev a creare la sua icona della santissima Trinità, una vera e propria "finestra sul cielo", in un momento in cui il dominio tataro sembrava ostacolare tale creatività. È questa stessa comprensione e l'amore per la bellezza che ha permesso a Tarkovskij di creare Andrej Rublev, in un periodo della storia russa dominato da coloro che hanno cercato di sradicare questo amore e sostituirlo con freddo realismo e materialismo. In questo film Tarkovskij unisce questi due mondi insieme per presentare l'atemporalità dell'impulso creativo e del desiderio di verità dell'uomo. Non limitando Rublev a un iconico status storico, cosa che la narrativa lineare e il linguaggio arcaico avrebbero aiutato a fare, Tarkovskij è in grado di creare un Rublev più universale. Tarkovskij voleva che "lo spettatore vedesse Rublev con 'gli occhi di oggi'," per dimostrare che lo spirito umano può trionfare nelle circostanze più difficili.

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