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  Lo ieromartire Macario, arcivescovo di Macedonia e metropolita d’Italia
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Historia vero testis temporum, lux veritatis,

vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis

Marco Tullio Cicerone, De Oratore

Tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII, mentre nei paesi del nord Europa prendeva vita la Riforma, nel meridione d’Italia si consumava l’ultimo atto del sistematico genocidio della popolazione greco-ortodossa. Attraverso la “Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del santo Offizio” (1542) vennero, infatti, sterminati migliaia di abitanti del sud Italia colpevoli di essere cristiani ortodossi e greci.

Scrive Antonio monaco che solo tra il 1562 ed il 1563, “l’Inquisitore Pietro Antonio Panchez (dagli stessi gesuiti definito “boia”) condannò al rogo centinaia di eretici di Reggio e dei “paesi greci” del reggino (Cardeto, Sant’Agata, San Lorenzo, ecc.), facendo bruciare le loro case e pure gli animali domestici: i sopravvissuti furono costretti a portare addosso un contrassegno di panno giallo” [1]. La più illustre vittima di questa persecuzione ad opera del boia Pietro Antonio Panchez, fu lo ieromartire Macario, arcivescovo di Macedonia e metropolita d’Italia. Occorre sapere che “per le comunità ortodosse della Dalmazia, di Venezia, dell’Italia meridionale (in particolare Puglia, Abruzzo, Basilicata, Calabria) e della Sicilia, che si erano create dopo il sacco di Costantinopoli per l’afflusso di rifugiati di popolazione greca o albanese, era stata formata una apposita metropoli - d’Italia - che apparteneva alla diocesi di Ohrida, ma questa fu presto abolita per la reazione del clero latino” [2]. L’arcivescovo Macario, dunque, agli occhi del clero latino si era reso colpevole di aver garantito il mantenimento dei contatti tra le popolazioni ortodosse del sud Italia (ovvero la Magna Graecia), e la Chiesa-madre di Costantinopoli; colpevole di portare ai sacerdoti il sacro Myron per i battesimi; e colpevole di compiere chirotonie sacerdotali per rifornire di nuovo clero questi territori martoriati dalla persecuzione. Arrestato dal Tribunale dell’Inquisizione, fu condotto a Roma nel carcere di Tor di Quinto, certamente anche per estorcergli informazioni con la tortura e possibilmente l’abiura, e dopo un breve processo farsa (processo a cui però non ebbero diritto gli altri cristiani ortodossi di quelle terre messe a ferro e fuoco dai latini e dai latini bruciati con le loro case e coi loro animali…), infine la condanna ad essere impiccato al Ponte di Tor di Quinto la notte del 10 giugno del 1562 [3].

L’esecuzione della sentenza fu preceduta dall’ultima confessione di fede dell’arcivescovo Macario di fonte ai fanatici membri della Confraternita di San Giovanni Decollato, che lo avevano preso in consegna per estorcergli inutilmente l’abiura. Scrive Gianni Olmi che “la venerabile Arciconfraternita di S. Giovanni Decollato della Nazione fiorentina in Roma, conosciuta altresì come confraternita della Misericordia, venne istituita da Innocenzo VII l’8 maggio 1488. Nelle sue mansioni rientravano l’assistenza ai condannati a morte e la loro sepoltura. I verbali del sodalizio costituiscono una fonte di prima mano sulle esecuzioni capitali in Roma, dall’ultimo scorcio del Quattrocento fino al 1870, ovvero alla caduta del potere temporale. Dai documenti si desume che i confortatori sottoponevano i condannati a un vero e proprio assedio, per indurli a rappacificarsi con la Chiesa cattolica, cioè con l’istituzione che non di rado ne aveva determinato la rovina affidandoli, per mano del S. Uffizio, all’autorità civile, unitamente a copia della sentenza pronunziata dall’autorità ecclesiastica. Muniti di tavolette sulle quali erano dipinte scene macabre e sacrali per favorire il ravvedimento, i confortatori solevano ricorrere all’ausilio di predicatori e di confessori per vincere la resistenza dei più ostinati reprobi. Nell’imminenza delle esecuzioni s’ingaggiava una battaglia impari tra sventurati sul punto di perdere tragicamente la vita e fanatici addestrati alle controversie in materia di fede. Desta stupore che, in quei terribili frangenti, tante persone abbiano trovato le energie per ricusare siffatta assistenza e rigettare i conforti spirituali.

Alla confraternita venivano assegnate le vesti e il corredo dei condannati, e la vendita di tali beni serviva a saldare le spese sostenute, incluse quelle per i generi di conforto dei confortatori: vino greco, confetti e biscotti di Savoia. Al termine del loro lavoro, infatti, i confratelli di S. Giovanni Decollato erano spossati, dovendosi lasciare alle spalle – secondo un’efficace osservazione di Luigi Firpo – le “notturne fatiche e l’orrore degli spettacoli di mazzolati, scannati, appiccati, decapitati, squartati ed arsi, cui avevano dovuto assistere con pio zelo stranamente congiunto alla più distaccata indifferenza”. Sui registri si trovano burocratiche annotazioni sulle spese connesse con le esecuzioni, nonché le ultime volontà dei morituri, quando ciò risultava possibile. Se i condannati persistevano nel rifiuto della religione, perdevano la facoltà di fare testamento” [4].

Riportiamo, dunque, il verbale inerente il nostro ieromartire Macario che nella sostanza nulla ha da invidiare agli autentici Acta Martyrum dei primi secoli; documento breve ma eloquente, dove la confessione di fede ortodossa dell’arcivescovo, bollata come “maledetta ostinazione”, ci è stata involontariamente trasmessa dal confrate redattore, insieme alla violenza verbale di quest’ultimo.

[vol. 26, p. II, c. 159]

Reu.mo Maccario arciuescovo di Macedonia

Adì 10 di giugnio 1562

Essendo costituito in carcere in Torre di Nona Maccario monacho greco arciuescovo di Macedonia et condennato a morte per uia di iustitia per eretico pertinace, et sempre stette in quella sua maledetta ostinatione et mai si uolse confessare ne lassar memoria alcuna.

Al fine fu menato in Ponte e li fu appiccato e poi abrusciato. Presenti si trouorno la notte li sottoscritti.

Confortatori

Messer Lucantonio Orlandi

Messer Giambattista Perini

Messer Rafaello Benozzi

Messer Vincenzo Cenciolini

Messer Pagolo Guarnacci

Per Giambattista delli Albizi proueditore – Antonio Strambi scriuano. [5]

Come ultimo atto dunque, il corpo esanime del martire venne bruciato, in quanto non avendo abiurato e avendo anzi confessato la fede dei Padri, non aveva diritto alla sepoltura, motivo per cui non ebbe diritto nemmeno di lasciare una memoria scritta. Il suo testamento spirituale, noi lo sappiamo, fu firmato col sangue del suo martirio e suggellato con la confessione dell’apostolo Paolo: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione (2 Timoteo 4: 7-8).

In questi tristi giorni in cui innumerevoli cristiani ortodossi dall’Ucraina alla Siria e nel resto del mondo soffrono persecuzione a causa dell’occidente e dei suoi vari bracci clericali (scismatici, uniati e fondamentalisti islamici) è bene fare memoria di queste dolorose pagine della nostra storia e farle conoscere, soprattutto a chi ostinatamente, per crassa ignoranza o per malafede, nega la persecuzione dei cristiani ortodossi del sud Italia, e anche a chi oggi la storia e la teologia ortodossa preferisce apprenderle nel biellese.

Per le preghiere dello ieromartire Macario, Signore Gesù Cristo, abbi misericordia di noi e salvaci!

sacerdote Eugenio Miosi,

Palermo 13 settembre 2017

Note

[1] ANTONIO MONACO, Ombre della storia. Santi dell’Italia Ortodossa, Asterios Editore, Trieste 2005, 224.

[2] VAKALOPOULOS APOSTOLOS, Historia tou Hellinismou Neou, Vol. 3, Salonicco 1968.

[3] Antonio monaco, o. c., 241.

[4] GIANNI OLMI edd, Il santo rogo e le sue vittime, MILLELIRE STAMPA ALTERNATIVA. Anno I, numero 21-22 del 24/10/1993, Viterbo.

[5] DOMENICO ORANO, Liberi pensatori bruciati in Roma dal XVI al XVIII secolo, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1904 (ristampa ed. Bastogi, Foggia 1980, 14-15).

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