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  San Dionisio sull'epidemia di Alessandria

di Matthew Namee

Orthodox History, 16 marzo 2020

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San Dionisio il Grande fu papa di Alessandria dal 248 al 264. Durante quel periodo, la Chiesa di Alessandria subì orribili persecuzioni. Proprio mentre le persecuzioni stavano finendo, un'epidemia scoppiò in città, proprio mentre si stava avvicinando la Pasqua. San Dionisio descrisse l'epidemia e la risposta della Chiesa in una lettera ad alcuni membri del suo gregge al di fuori di Alessandria. Questa lettera è particolarmente rilevante oggi, poiché i nostri attuali dirigenti ecclesiali cercano di rispondere alla pandemia di coronavirus, che sta accadendo proprio mentre ci prepariamo per la Pasqua.

La lettera di san Dionisio fu inclusa da Eusebio nella sua fondamentale Storia ecclesiastica, al capitolo 7. La traduzione inglese è di G. A. Williamson, pubblicata da Dorset Press nel 1965 e di nuovo nel 1984.

* * *

[Eusebio scrive:] Più tardi, quando una grave epidemia seguì alla guerra proprio mentre si avvicinava la festa [della Pasqua], [Dionisio] di nuovo comunicò per iscritto con la comunità cristiana, rivelando gli orrori del disastro:

Gli altri non lo avrebbero ritenuto un momento adatto per una festa: né questo né qualsiasi altro momento, anche se, lungi dall'essere un momento di angoscia, è un momento di gioia inimmaginabile. Adesso, ahimè, tutto è lamento, tutti sono in lutto e la città risuona di pianto a causa dei numeri di  quelli che sono morti e che muoiono ogni giorno. Come dice la Scrittura a proposito dei primogeniti degli egiziani, così ora c'è stato un grande pianto: non c'è una casa in cui non ci sia un morto – come vorrei che ce fosse solo una!

Molte cose terribili erano accadute ancor prima. Per prima cosa siamo stati istigati e circondati da persecutori e assassini, eppure eravamo gli unici a tenere la festa anche allora. Ogni luogo in cui siamo stati attaccati è diventato per noi un luogo di celebrazioni, che si tratti di campo, deserto, nave, locanda o prigione. La festa più luminosa di tutti fu quella dei martiri, che furono festeggiaati in cielo. Dopo ciò arrivarono la guerra e la carestia, che colpirono sia i cristiani che i pagani. Solo noi abbiamo dovuto sopportare le ferite che ci hanno fatto, ma abbiamo approfittato di quello che si sono fatti l'un l'altro soffrendo a vicenda; così ancora una volta abbiamo trovato gioia nella pace che Cristo ha dato solo a noi. Ma quando sia a noi che a loro era stato concesso un piccolo momento di sollievo, all'improvviso arrivò questa malattia, una cosa più terrificante per loro di qualsiasi terrore, più spaventosa di qualsiasi altro disastro, e come scrisse una volta uno dei loro storici [Tucidide]: "l'unica tra tutte le cose a superare le aspettative". Per noi non era così, ma era un insegnamento e una prova preziosa come tutte le nostre prove precedenti; perché non è passata sopra di noi, anche se il suo pieno impatto è ricaduto sui pagani... [sospensione nell'originale]

La maggior parte dei nostri fratelli cristiani ha mostrato amore e lealtà illimitati, senza mai risparmiarsi e pensando solo l'uno all'altro. Incuranti del pericolo, si sono presi cura dei malati, occupandosi di ogni loro necessità e assistendoli in Cristo, e sono dipartiti con loro serenamente felici; poiché sono stati infettati da altri con la malattia, attirando su se stessi la malattia dei loro vicini e accettando allegramente i loro dolori. Molti, prendendosi cura degli altri, trasferirono la loro morte a se stessi e morirono in loro vece, trasformando la formula comune che è normalmente una vuota cortesia in una realtà: "Il tuo umile servitore ti dice addio". I migliori dei nostri fratelli hanno perso la vita in questo modo, un certo numero di presbiteri, diaconi e laici hanno avuto un alto elogio, in modo che la morte in questa forma, risultato di grande pietà e di forte fede, sembra in ogni modo uguale al martirio. Con mani volenterose sollevarono i corpi dei santi ai loro seni; chiusero loro gli occhi e la bocca, li portarono sulle spalle e li distesero; si aggrapparono a loro, li abbracciarono, li lavarono e li avvolsero in abiti pesanti. Molto presto gli stessi servizi furono prestati anche a loro, poiché quelli lasciati indietro seguivano costantemente quelli precedenti.

I pagani si comportarono in modo del tutto opposto. Al primo insorgere della malattia, allontanarono i malati e fuggirono dai loro cari, gettandoli nelle strade prima che fossero morti e trattando i cadaveri insepolti come sporcizia, sperando così di evitare la diffusione e il contagio della malattia mortale; ma per quanto facessero, trovarono difficile scampare.

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