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  San Cipriano di Cartagine sulle epidemie
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San Cipriano, vescovo di Cartagine (210-258 d.C.), scrisse il De mortalitate (Sulla mortalità) in occasione di un’epidemia che colpì l’Impero romano dal 249 al 262, forse trasmessa all’uomo dagli animali e per la quale la popolazione non aveva alcuna immunità pregressa. Alcuni storici parlano di febbre emorragica (tipo Ebola), altri di vaiolo o morbillo. La mortalità fu elevatissima, anche fra i cristiani, che peraltro erano anche sottoposti alla terribile persecuzione ordinata dall’imperatore Decio.

Ecco qualche brano, che può esserci utile nei tempi correnti (da Cipriano di Cartagine, I trattati, Siena, Cantagalli, 1969):

“[…] osservo il popolo, che, data la debolezza d’animo, la poca fede, le dolcezze della vita nel mondo, le blandizie del sesso, e, quello che è peggiore, l’errore, vacilla senza forza e non dà alcun senso di vigore. Questa situazione non deve sconcertare, anzi, bisogna affrontare con ogni energia e con le parole dell’insegnamento divino la codardia degli spiriti fiacchi, impegnati ad essere uomini di Dio e di Cristo; siamo degni di Lui!

Fratelli carissimi, colui che serve nella milizia di Cristo, chi fa parte dell’esercito del cielo e spera la ricompensa divina, non deve avere nessun timore dinanzi alle burrasche del mondo, nessun vacillamento, dato che il Signore lo ha predetto, esortando, istruendo, preparando e fortificando i fedeli della sua chiesa per sopportare i futuri avvenimenti. Infatti vaticinò ed annunciò che in molti luoghi sarebbero venuti la fame, la peste, i terremoti. […] È vicino il Regno di Dio, fratelli carissimi. E con esso la ricompensa della vita, il godimento della salvezza eterna, l’allegria senza fine. […] Che cecità, che demenza perdersi nelle angustie, nei lavori, nelle pene di questo mondo e non avvicinarsi di più al godimento che non può mai perdersi!

Questo succede, fratelli carissimi, perché manca la fede, perché nessuno crede nella varità delle promesse di Dio, che è verace, le cui parole sono indefettibili per quelli che credono. Se un uomo sensato e probo ti promette qualcosa gli credi, senza alcun timore di inganni, perché sai che è fedele nelle parole e nella condotta. Dio parla con te e tu dubiti di Lui? Dio ti promette l’immortalità senza fine quando lasci questo mondo e tu non ti convinci? Questo è già disconoscere in assoluto Dio. Questo è offendere Cristo, maestro di fede. […] Alcuni si lamentano come i pagani della violenza di questa peste. Il cristiano non ha accettato la fede per essere immune dai mali e sfruttare la felicità di questo mondo, ma è stato destinato al godimento di un’altra vita dopo aver sofferto qui molte avversità. Alcuni si meravigliano perché siamo soggetti come gli altri alla peste. Che cosa non abbiamo in comune con gli altri uomini, in questo mondo, quando siamo della stessa carne, secondo le leggi della nascita naturale? […]

Se il cristiano conosce e capisce perché crede, comprenderà che deve soffrire più degli altri nel mondo, perché deve lottare contro gli attacchi del diavolo. Già lo previene la Sacra Scrittura dicendo: “Figlio, quando inizi a servire Dio, mantieniti nella giustizia e nel timore, prepara la tua anima per la tentazione”. Ed in un altro posto “Soffri nel dolore e sopporta con umiltà, perché nel fuoco si provano l’oro e l’argento”. […]

Non mi dilungherò nel dire quanto utile, vantaggiosa e necessaria sia questa pestilenza e questa piaga mortifera, che prova la rettitudine di ognuno e chiarifica le intenzioni degli uomini. Se sono aiutati i malati, se i genitori amano veramente i figli, se i padroni hanno pietà per gli schiavi infermi, se i medici attendono ai pazienti che li chiamano, se i violenti reprimono la loro ferocia almeno per il timore di morire, se gli orgogliosi abbassano il loro orgoglio, se i malvagi mitigano la loro audacia, se i ricchi muoiono senza lasciare eredi, se le persone sono caritatevoli verso i loro parenti che vedono morire. Benché non ci venga altro vantaggio da questa peste, si farebbe un grande servizio ai cristiani e ai servi di Dio col far temere loro la morte. Tutto questo ci serve di esercizio e di prova, non di fine. Dà forza all’animo, ci prepara per la corona col disprezzo della morte. […]

Non dimentichiamo mai che noi dobbiamo compiere non la nostra volontà, ma quella di Dio, come ci insegnò il Signore nella preghiera. È cosa perversa, quando Dio ci chiama da questo mondo, non obbedire al mandato della sua volontà. Noi resistiamo, respingiamo e siamo portati al male, come servi ribelli alla presenza del Signore; quando dobbiamo lasciare il mondo più per necessità che per nostra volontà, pretendiamo il premio celeste da Lui, che è disgustato di noi? Perché preghiamo e chiediamo il Regno dei cieli, se ci troviamo tanto bene nella schiavitù della terra? Perché supplichiamo che acceleri il tempo del nostro Regno, se desideriamo di più servire il diavolo qui nel mondo che regnare con Cristo? […]

Dobbiamo pensare, fratelli carissimi, ai nostri interessi. Che abbiamo rinunciato al mondo, che viviamo qui, durante la vita, come ospiti e viaggiatori, che siamo in attesa del giorno in cui a ciascuno sarà assegnato il suo domicilio, che ci verrà restituito il nostro Regno e il Paradiso, una volta scampati da questo mondo, liberi dai suoi lacci. […]

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