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  Frammenti dalla vita di San Giovanni di Kronstadt

traduzione dal Blog http://ioandekronstadt.wordpress.com/

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Il santo Ioann Sergiev di Kronstadt nasce il 19 ottobre 1829 nel piccolo villaggio di Sura nel lontano governatorato nordico dell’Impero russo, Arkhangelsk, sul Mar Bianco; è figlio del povero sacrestano Ilya Mikhailovich Sergiev e di Feodora Vasilevna. Al battesimo riceve, secondo la bella tradizione cristiana conservata dal popolo russo, il nome del santo nel cui giorno di festa è nato, cioè quello del santo asceta Giovanni di Rila (Bulgaria, XI secolo), per il quale avrà in seguito una grande devozione. In famiglia riceve un’educazione religiosa ortodossa di grande semplicità, profondità e sensibilità, tradizionale in un villaggio russo.

Il padre, che discende da una famiglia che ha dato sacerdoti di padre in figlio da oltre 350 anni, è sempre malato e muore nel 1851 a 48 anni. D’inverno, ha l’abitudine di leggere sempre a tutta la famiglia le Scritture e le Vite dei Santi. La mamma è un esempio di devozione e di preghiera fervente e costante. Vivrà fino a età avanzata, assistendo alla celebrità del figlio, che la visiterà e la consulterà sempre con rispetto e venerazione.

Il bambino cresce sotto il doppio fascino del culto divino nella chiesa parrocchiale del paese e della natura maestosa del nord della Russia, che amerà fino alla fine della vita. A causa di una salute cagionevole, il bambino comincia a imparare a leggere e scrivere in casa con grande difficoltà - l’insegnamento era per lui un vero e proprio dolore. Con le lacrime aglio occhi la mamma prega davanti alle icone per la salute del bambino, e spinto dall’esempio della preghiera materna, il bambino incomincia a pregare Dio di donargli la comprensione. E la sua preghiera di bambino è esaudita. In seguito è in grado di leggere senza alcuna difficoltà. Il piccolo Vanja fa in tenera età l’esperienza fondamentale che segnerà tutta la sua esistenza, la forza della preghiera fervente con fede e semplicità. Comprende la vocazione della sua vita: essere un uomo di preghiera per eccellenza, un sacerdote.

Giovanni diventa l’ultimo allievo

A nove anni è inviato alla scuola parrocchiale di Arkhangelsk, in cui riprendono le difficoltà. Separato dai genitori, ridicolizzato da parte dei compagni per la sua goffaggine di contadino,  solo, Giovanni diventa l’ultimo allievo. Disperato, cade in ginocchio e ricorre di nuovo alla preghiera, ma i suoi effetti tardano a farsi sentire. I voti cominciano a crescere, e nel 1851 termina il seminario di Arkhangelsk come primo della classe.

Sulla base dei buoni voti ricevuti è inviato con una borsa di studio presso l’Accademia spirituale (teologica) di San Pietroburgo, dove si laurea nel 1855 con una licenza di magistero come 35° di 39 candidati. Le prestazioni piuttosto mediocri dello studente Ioann Sergiev nello studio accademico si spiegano in gran parte con l’orientamento scolastico dominante nelle accademie russe dell’epoca, nonostante gli sforzi di ripresa neopatristica intrapresi dal metropolita di Mosca Filarete Drozdov (1789-1867).

Taciturno, prega molto e legge intensamente non tanto i corsi, i manuali e l’arida letteratura accademica quanto le Vite dei Santi, i Commentari ai Vangeli di San Giovanni Crisostomo e le ispirate prediche teologiche del Metropolita Filarete. Nelle discussioni parla molto, soprattutto dell’umiltà e dell’amore che tutto perdona. Tuttavia, nonostante la sua natura interiorizzata, non è attratto dalla vita monastica. Lo infiamma invece lo zelo missionario, e desidera partire come missionario in Siberia, in Cina o in America.

Ben presto capisce che gli imperativi missionari sono ugualmente validi per la società russa del suo tempo. Nel 1851 muore suo padre ed egli rimane l’unico sostegno per la famiglia, e accetta il lavoro di impiegato all’Accademia per poter mandare a casa l’intero stipendio. Dopo una breve crisi spirituale, accompagnata da depressione e disperazione, tutte superate con la preghiera, decide di diventare sacerdote. In un sogno si vede come prete che serve in una chiesa sconosciuta. A una festa dopo la laurea conosce per caso la figlia dell’arciprete Nesvitskij di Kronstadt, Elizaveta Konstantinovna, che presto sposerà.

Il 12 novembre 1855 è ordinato sacerdote al servizio della Parrocchia di Sant’Andrea  di di Kronstadt – il porto militare di San Pietroburgo – al posto di suo suocero, da parte del Vescovo Cristoforo, rettore spirituale dell’Accademia. Sulla soglia della Chiesa che servirà per 53 anni, capisce con stupore che questa è proprio la chiesa che gli era apparsa in sogno da parte della provvidenza di Dio, in risposta alle sue ansie e dolori precedenti.

Ogni giorno si alza alle quattro del mattino per andare in chiesa

Uomo semplice e contadino tutto d’un pezzo, Padre Giovanni non ama le mezze misure. Di conseguenza, prende estremamente sul serio la vocazione e il ministero sacerdotale. Fondamentalmente incentrati sulla preghiera a Dio e agli uomini, questi assumono la forma di un servizio concreto e attivo a Dio e al prossimo. La Liturgia quotidiana, l’insegnamento della religione nella scuola elementare e nel ginnasio, la predicazione, la cura pastorale delle anime fedeli, la misericordia e la carità attiva verso i poveri occuperanno da ora senza sosta, giorno e notte, per oltre mezzo secolo, la vita del pastore di Kronstadt.

Si fissa un insieme di regole semplici di una esemplare spiritualità sacerdotale, di cui non si discosterà mai. Alimentato dalla lettura e dalla meditazione assidua delle Scritture, strettamente intrecciata con l’impegno nel servizio quotidiano del culto divino, coronato dalla Santa Liturgia e accompagnato da un approfondimento del senso teologico dei libri di culto, e al tempo stesso, con l’intensificazione della preghiera e della meditazione personale, della veglia interiore con l’invocazione incessante del nome di Gesù e la compilazione di un “diario” – questa spiritualità semplice e a disposizione di tutti i credenti, senza sforzi e con obiettivi ascetici straordinari, devono sostenere il lavoro estenuante di realizzazione pratica, con la massima coscienziosità, dei molti compiti e responsabilità pastorali e caritative.

Ogni giorno si alza alle quattro del mattino per andare in chiesa, tornando a casa dalle visite ai malati e ai poveri poco dopo le dieci di sera. Presto scopre che solo celebrazione quotidiana della Santa Liturgia e la comunione regolare ai santi misteri gli può dare l’energia spirituale necessaria per sostenere un’attività che lo crocifigge letteralmente (negli ultimi 35 anni, fatta eccezione per i giorni in cui è malato o in viaggio, serve quotidianamente la Divina Liturgia).

Dopo una breve esitazione, sua moglie Elisabetta sceglie di accettare il regime di castità imposto dalla celebrazione quotidiana della Santa Liturgia – i coniugi vivono tutta la vita come fratello e sorella – così come il discreto e amorevole ritiro nell’ombra di colui che le ricorda il fatto ascetico elementare che, in quanto sacerdote, non appartiene più a se stesso o alla sua famiglia, ma è essenzialmente un “uomo per gli altri”.

Padre Giovanni inizia il suo ministero sacerdotale in un momento estremamente sfavorevole per la Chiesa. La vita religiosa della Russia nella seconda metà del XIX secolo è profondamente segnata dalle conseguenze delle riforme petrine volte a portare la Russia sulla strada della modernizzazione. Praticando un culto dello stato e della nazione, il regime zarista impone una visione riduttiva, formalista e utilitaristica della religione e della Chiesa, considerata esclusivamente nella prospettiva del suo contributo al mantenimento della moralità sociale e al sostegno dell’Impero. L’educazione religiosa e la pratica liturgica sono dominate dal formalismo e dal ritualismo.

Il culto divino ortodosso diviene un semplice decoro ritualista

La confessione una volta all’anno (durante la Grande Quaresima) è obbligatoria per tutti i cittadini ortodossi, e i sacerdoti devono fare rapporto alla polizia dell’adempimento di questo obbligo “civico” (chiamato govenie, cioè “esercizio di pietà”). La comunione è raccomandato solo una volta all’anno (a Pasqua), perfino nel Catechismo del metropolita Filarete. I credenti vivono praticamente isolati dalla vita dei sacramenti e della grazia di una Chiesa ufficiale degradata al rango di un semplice settore nel quadro del dipartimento degli affari interni dello Stato (accanto alla polizia e alla gendarmeria).

Non c’è da meravigliarsi che, in tali condizioni il culto divino ortodosso sia diventato un semplice decoro ritualista che maschera nelle città il più crasso materialismo e l’indifferenza spirituale della nobiltà e delle élite, e nei villaggi l’oscurantismo e le superstizioni di tutti i tipi. La situazione è, ovviamente, aggravata da notevoli disparità economiche e sociali, e dalla radicalizzazione dell’“intellighenzia”, ​​sempre più conquistata da idee materialiste, socialiste e rivoluzionarie.

In questo contesto di malcontento generato dal formalismo e dallo statalismo della religiosità pubblica, ma in accordo con la linea generale della riduzione utilitaristica e ideologica del cristianesimo a moralismo, pietismo, gnosi o utopie secolarizzate, si inserisce anche la deriva di una parte significativa dell’aristocrazia pietroburghese, così come larghi strati delle zone rurali, verso il settarismo di tipo neoprotestante. Gli anni 1860-1870 segneranno la fioritura dello “shtundismo” nei villaggi del sud della Russia e, nella capitale dell’Impero sulle rive della Neva, dello “scisma dell’alta società” (come lo chiamerà lo scrittore N. Leskov).

Si parla di un’epidemia di “conversioni” di tipo “revivalista” protestante, prodotta nella nobiltà della capitale dalle prediche di Lord G. V. Redstock (1843-1913) negli anni 1874, 1875-1876 e 1878. Nel 1876 gli adepti di Redstock fondano la “Società per la promozione del pensiero religioso e morale”, guidata da un ricco filantropo di San Pietroburgo, il colonnello Vasilij A. Pashkov, che mette il proprio palazzo a disposizione dell’organizzazione e delle sue riunioni. Ma la censura e la polizia segreta zarista non tollerano l’attivismo predicatorio e filantropico del “pashkovismo”, reprimendo le riunioni e determinando nel 1884 l’esilio dalla Russia dei leader del movimento.

Questo pietismo secolarizzato, individualista, moralista e nichilista, troverà la sua espressione letteraria e dottrinale nel “Tolstoismo”. Contemporaneo di Padre Giovanni, Leone Tolstoj (1828-1910) tra il 1880 e il 1896 crea il proprio “cristianesimo” e il suo “vangelo”, formulato in aperta polemica con lo stato zarista e la Chiesa ortodossa. La premessa fondamentale è la presunta inconciliabile contraddizione tra Vangelo e Chiesa, tra Vangelo e civiltà (stato, cultura, tecnologia, scienza). Tutto ciò bloccherebbe l’accesso al “cristianesimo” autentico. Le prime colpevoli di falsificare il Vangelo con le “assurdità” dei dogmi e le “superstizioni” dei riti sarebbero le chiese. Queste ultime sarebbero colpevoli di “ipnotizzare” le masse attraverso la seduzione estetica del culto e di renderle “idiote” con la violenza ascetica della preghiera, dei digiuni e della sottomissione cieca all’autorità.

Tutti gli sforzi di Tolstoj si concentreranno verso una ricostruzione del “cristianesimo” come religione morale e umanitaria, antistatale e anti-intellettuale. I rituali devono essere esclusi, i dogmi eliminati, l’Antico Testamento abolito, e il Nuovo Testamento e i Vangeli severamente purgati dalla teologia (“cabalista”) paolina e dai miracoli (nascita verginale, resurrezione). L’intero “cristianesimo” sarebbe ridotto alla “morale” del discorso della montagna, anch’essa concentrata in cinque prescrizioni (affermate in modo sentenzioso dal principe Nechljudov alla fine del romanzo Resurrezione, 1899) che si conclude con la “non resistenza al male”. In ultima analisi, il colto “settarismo” tolstoista porta a una versione nichilista, gnostica, secolarizzata di un “cristianesimo” rappresentato dal rifiuto non violento, ma non meno radicale e anarchico, di storia, chiesa, stato, proprietà, servizio militare e cultura, abbinato a un “risveglio” morale di tipo individualista e al ritorno alla vita “semplice” e non falsificata di un “popolo” idealizzato.

Nella crisi nella società russa nel XIX secolo si trova tuttavia anche una comprensione della natura ecclesiale dell’esperienza cristiana, e in modo specifico della Chiesa, della sua identità spirituale e della sua pratica concreta, liturgica, sacramentale e sociale, mistica e storica. Una rinascita della coscienza ecclesiologica basata sul concetto di “sinfonicità” inizia, come reazione, tra i pensatori religiosi russi slavofili (in particolare A. Chomjakov). Ma il loro progetto ecclesiologico è tipicamente romantico, nazionalista, puramente speculativo e gravato dalle tendenze utopistiche e ideologiche, essendo orientato in principio verso una distinzione critica dal cristianesimo occidentale individualista (decaduto), a cui si contrappone l’immagine idealizzata di un cristianesimo comunitario, autentico, conservato dal “popolo” russo (la Chiesa e il popolo sono identificati in modo pericoloso nella visione slavofila, nell’esperienza della mistica e integratrice “sinfonicità”,  travestimento religioso della nozione di unità nell’idealismo tedesco).

Divide il suo denaro e i vestiti tra i poveri e i mendicanti, visita quotidianamente i malati e le famiglie bisognose piene di bambini affamati, congelati, malati...

In questo contesto di una chiesa contestata e calunniata, denigrato o esaltata in modo inappropriato, deve essere inteso il significato profondamente teologico e profetico dell’attività e del pensiero di Padre Giovanni Sergiev di Kronstadt. Con un notevole senso del concreto, riesce a reintrodurre nella coscienza stessa dei contemporanei la realtà “pragmatica” liturgica e sacramentale, personale e comunitaria, mistica e sociale della Chiesa di fronte alla riduzione semplicistica del cristianesimo a moralità, etica e pietà individuale, la Chiesa riappare di nuovo come realtà divino-umana incarnata nel culto e nella carità, come una comunione vivente (“famiglia”) degli uomini in Cristo e nello Spirito Santo, con Dio, con i santi e gli angeli, come un luogo di verità e di libertà autentica.

Solo la Liturgia e misteri della Chiesa portano agli uomini la liberazione dalla torturante schiavitù del peccato e, quindi, la vera pace e la gioia nella grazia e nella libertà. E un ruolo decisivo nel rendere la Chiesa come realtà mistica e sociale tocca al sacerdote: uomo di preghiera ardente, pieno di Spirito Santo e di amore, è un angelo in carne, profeta e servo di Dio nel culto divino, pastore dei fedeli nella società, aperto a tutte le loro necessità, sulla strada del regno di Dio, il cui nartece è la Chiesa e la sua Liturgia.

È difficile immaginare un contrasto più forte a quello originariamente esistente tra la mentalità e lo zelo ecclesiale e liturgico di Padre Giovanni e l’indifferenza diffusa per la vita liturgica della Chiesa in Russia nel suo tempo in generale e nella sua parrocchia in particolare. Kronstadt vive una vita per nulla virtuosa, piena di passioni e di miserie morali e sociali di un porto militare e di un tradizionale luogo di confino per i reietti della capitale imperiale. Pieno di marinai, soldati e lavoratori portuali, di bettole, vagabondi e prostitute, mendicanti e poveri, è lungi dall’essere una città di pietà. Al contrario, la miseria si sposa bene con il vizio. In un primo momento il giovane sacerdote cerca di ricondurre a casa le “pecore smarrite”, attraverso discussioni e prediche moralizzanti.

Non solo non ha alcun successo, ma si espone a scherni e umiliazioni di ogni tipo. Guadagna di più con l’esempio personale, per esempio con l’abnegazione con la quale divide denaro e vestiti con i poveri e i mendicanti, e con la visita quotidiana ai malati e alle famiglie bisognose piene di bambini affamati, congelati, malati, con le quali prega e alle quali porta anche aiuti materiali. Diviene molto amato da bambini e mendicanti (“Il reggimento di Padre Giovanni”, come sono chiamati). Scendendo nelle baracche dei poveri, non trascura neppure le anime di altri gruppi sociali. Compatisce tutti, consiglia tutti, aiuta tutti.

Vive in quel tempo a Kronstadt una pia vedova, Paraskovia Ioannovna Kovrighina, che si era trasferita a Kronstadt con la benedizione del suo padre sprituale, Padre Ilarion. Discepolo di San Serafino di Sarov (+1833), questi la invita prima di morire, in modo profetico, ad andare a Kronstadt perché là c’è un grande luminare di Cristo da assistere e servire. Costei comincia a chiedere a Padre Giovanni – a quel tempo ancora uno sconosciuto – di intercedere in preghiera per le persone bisognose che conosce.

La preghiera comincia a fare miracoli, in particolare guarigioni

All’inizio Padre Giovanni non ne ha il coraggio, sostenendo la sua indegnità personale. Ma alla fine, non di buon animo, si lascia convincere. La fede del bambino nel potere della preghiera rivive, e ora il sacerdote maturo, con studi accademici, inizia di nuovo con la stessa fiducia e fervore a pregare per gli uomini, come il ragazzino di sei anni che pregava per comprendere i segni del suo abbecedario.

E come a quel tempo, la sua preghiera di fronte all’altare o nelle case degli uomini è ascoltata e comincia a fare miracoli, in particolare di guarigione. Essenziale nei miracoli di padre Giovanni – che è tutt’altro che un taumaturgo specializzato o uno sciamano improvvisato – è il fatto che queste guarigioni sono solo e unicamente effetto della preghiera. Deve pregare insieme non solo il prete, ma anche i parenti del malato e tutti i presenti, per il perdono dei peccati, la salvezza dell’anima e il ritorno di tutti a Dio. Padre Giovanni sa molto bene – lo mostra il suo “Diario” – che non è lui, ma Dio a operare i miracoli per chi prega con fede nella promessa di Dio: “Tutto ciò che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” (Matteo 21, 22).

Un fatto sorprendente e degno di nota è che Padre Giovanni non ha rifiuta di pregare per persone di altre fedi e stranieri. Anche se è un ortodosso convinto della verità divina conservata nella sua interezza nella Chiesa ortodossa, non guarda “dall’altro” le persone di altre fedi e non fa distinzione fra ortodossi e non ortodossi nelle sue intercessioni.

Al momento in cui serve la Divina Liturgia si sentono sempre nomi stranieri che chiaramente appartengono a persone di altre fedi. Gli si rivolgono per preghiere non solo cristiani di altre confessioni, cattolici o protestanti, ma anche non cristiani, musulmani, ebrei, tartari. Padre Giovanni prega per tutti coloro che sinceramente credono in Dio. Un giorno viene in chiesa una donna tartara. “Tu credi in Dio?” le chiede Padre Giovanni. “Sì”, risponde lei. “Bene, inginocchiati e prega il tuo Dio, e io pregherò il mio Dio”. E Dio adempie la preghiera della donna.

Negli anni 1870-1880 le notizie sul prete insolito di Kronstadt, la sua vita santa, le sue preghiere e guarigioni iniziano a diffondersi in Russia. Una dichiarazione di ringraziamento pubblicata il 20 dicembre 1883 in un giornale di grande tiratura lo rende noto all’intero Impero, dal Baltico alla Siberia orientale.

Migliaia di pellegrini cominciano a venire a Kronstadt per la confessione e comunione, centinaia (a volte migliaia) di telegrammi di ringraziamento e di richieste di preghiera arrivano tutti i giorni e soprattutto durante la Grande Quaresima.

Per Padre Giovanni il centro della vita è il compimento degli offici divini e soprattutto della Santa Liturgia. Con il suo esempio e la sua predicazione mostra in modo concreto la centralità definitiva e insostituibile della vita sacramentale e liturgica della Chiesa nella vita cristiana autentica, per ogni credente individuale. Ci sono alcune testimonianze impressionanti che descrivono in dettaglio il modo unico in cui Padre Giovanni celebra il culto divino e la Divina Liturgia nella chiesa di Sant’Andrea di Kronstadt, di fronte a migliaia di fedeli provenienti da tutta la Russia (fino a 7000-8000 durante la Grande Quaresima).

Lo aspettano decine di poveri che gli chiedono l’elemosina

Alzandosi alle 4 del mattino, dice le preghiere di preparazione del prete al servizio della Santa Liturgia, passeggiando nel giardino della casa parrocchiale. Uscendo di casa sulla strada della chiesa lo aspettano decine di poveri che gli chiedono l’elemosina. Dopo aver condiviso la carità, accompagnato dalla folla, Padre Giovanni entra in chiesa dalla porta laterale dell’altare, perché non riesce a entrare dalla porta principale della chiesa. Anche se è spinto da tutte le parti dalla folla, non perde in alcun modo la mitezza e la serenità del volto. Vestito in abiti rossi (il suo colore preferito) celebra egli stesso il Mattutino. Non salta una sola stichira, né un solo canone, canta e legge tutto. Brusco di natura, non gli piace il culto trascinato, allungato. Chiede esplicitamente ai coristi e ai diaconi di cantare e leggere in modo vivace e allo stesso tempo chiaro e, soprattutto, con il cuore, per riempire non l’aria, ma i cuori con le loro voci. I Canoni del Mattutino in coro li leggere lui stesso dal coro.

Non legge, ma annuncia in modo comprensibile, come in un colloquio diretto con il Salvatore, con la Madre di Dio e con tutti i santi. Per le litanie entra nel santuario cadendo in ginocchio davanti al tavolo dell’offertorio, appoggiando il capo sulle mani incrociate sotto cui si trovano i fogli dei memoriali con i nomi dei viventi e dei defunto da ricordare. Mentre il coro leggere le Ore, inizia a preparare la Divina Liturgia. Dà un’importanza particolare al compimento della Proscomidia, in cui gli si portano in grandi cesti fino a 5000 prosfore. Durante la celebrazione esclama ai preti concelebranti: “Da noi tutto è buono, padri! Questa Proscomidia è una grande cosa! Un mondo intero sul santo disco! Ma tra gli altri [cristiani] non c’è niente di simile. Non hanno la Proscomidia!” “Guardate, padri! Ecco Cristo! È qui tra noi, e noi con Lui, come gli apostoli! “

Padre Giovanni celebra la Santa Liturgia con un ritmo attento, interiorizzato, con grande timore, con preghiere e lacrime, allo stesso tempo sobrio e pieno di maestà. Lontano da ogni pietismo e sentimentalismo lacrimogeno, cerca di aumentare in tutti i partecipanti la consapevolezza della presenza del mistero liturgico, come dono senza pari agli uomini da parte dell’amore di Dio, e ingresso reale dei fedeli alla mensa del suo regno. Non apre quasi il libro della Liturgia, perché conosce a memoria tutte le preghiere. Recita le preghiere a mezza voce, concentrato, aggiungendo anche molto da parte sua, talvolta di nascosto, a volte ad alta voce. Recita le ecfonesi a occhi chiusi, nel profondo, vivendo come in un altro mondo. La prima parte della Liturgia è per lui la parte di preghiera, di intercessione per il popolo, per la cui liberazione e salvezza prega Dio con passione, perseveranza e coraggio.

A partire dall’Inno Cherubico inizia la seconda parte del cammino della Divina Liturgia. Padre Giovanni è immerso nella meditazione profonda sul mistero della nostra salvezza in Cristo, come se rivivesse davvero a partire dal Grande Ingresso le sofferenze di Cristo: il Getsemani, il Pretorio, il Golgota, la deposizione nella tomba. Spesso prende il fazzoletto per asciugare le lacrime che scorrono in silenzio sul viso dalla profondità nel cuore di fronte alla presenza reale, viva e attiva nel mistero liturgico, dello stesso signore Gesù. Elevando i cuori di tutti al cielo insieme con gli angeli, si eleva assieme all’elevazione dei Santi Doni per la gioia della sua risurrezione e la sua venuta sul santo altare sotto le specie del pane e del vino trasformati dallo Spirito Santo nel Corpo e Sangue del Signore.

Tutti in chiesa devono pregare con il sacerdote invocando lo Spirito Santo e recitando assieme a lui il Tropario “Signore, tu che all'ora terza hai mandato sui tuoi apostoli il tuo Spirito tuttosanto...”. Subito dopo miracolo della trasformazione eucaristica gli piace pronunciare ad alta voce: “Dio si manifestato nella carne! Il Verbo si è fatto carne!” Avvicinandosi poi sia al Santo Disco, sia al Santo Calice, recita, come un bambino che balbetta a sua madre, la grande preghiera di intercessione del sacerdote per tutta la Chiesa e per tutto il mondo. Al momento della comunione ai Santi Misteri, Padre Giovanni si infiamma tutto e si colma fino alle lacrime di una intensa gioia spirituale che cerca invano di nascondere ai suoi concelebranti.

(testo in continuazione)

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