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  Due martiri ortodossi del nazismo
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IL VESCOVO GORAZD DI PRAGA

 

 

Matěj Pavlík nacque il 26 maggio 1879 nel villaggio moravo di Hrubá Vrbka (oggi nella Repubblica Ceca). Cresciuto nella società cattolico-romana dell’Impero Austro-Ungarico, studiò alla facoltà teologica di Olomouc e fu ordinato prete. Alla formazione della Cecoslovacchia dopo la prima guerra mondiale, molti lasciarono la Chiesa cattolica romana, alcuni di loro diretti verso l’Ortodossia. Padre Pavlík  era uno di questi ultimi, ai quali offrì rifugio la Chiesa ortodossa serba. Come leader del movimento ceco ortodosso, padre Matěj fu tonsurato monaco con il significativo nome di Gorazd (il primo santo vescovo moravo successore di san Metodio nell’885), nominato vescovo di Moravia e Silesia il 24 settembre 1921, e consacrato all’episcopato il giorno successivo alla Cattedrale di san Michele Arcangelo a Belgrado, per mano del patriarca Dimitrije.

Negli anni successivi, il vescovo Gorazd e i suoi fedeli organizzarono parrocchie e costruirono chiese (undici chiese e due cappelle in Boemia), tradussero e pubblicarono tutti i libri essenziali degli offici nella lingua ceca, che era usata nelle funzioni. In Slovacchia e nella Russia sub-carpatica (che al tempo erano entrambe parte della Cecoslovacchia) furono di assistenza a molti che erano ritornati alla loro fede ortodossa ancestrale. Ci furono molte pressioni da parte cattolico-romana per far tornare il vescovo Gorazd all’obbedienza romana, tra le quali anche un’offerta di una diocesi uniata. Ma nonostante fatiche e defezioni, il vescovo Gorazd era convinto di poter continuare l’opera missionaria iniziata oltre mille anni prima dai santi Metodio e Gorazd in Moravia. In questo non gli mancò l’appoggio del metropolita Antonij (Chrapovickij), primo ierarca del sinodo dei russi in esilio. Quando era giovane vescovo della Volinia, Vladyka Antonij era intervenuto più volte per salvaguardare i diritti della locale minoranza ceca, insistendo che potesse avere i propri preti e difendere la propria identità linguistica e culturale.

Nel corso di 21 anni di episcopato il vescovo Goradz si sforzò di mettere in pratica questi principi, insistendo su un approccio di approfondimento graduale dell’Ortodossia, invece della pura e semplice adozione formale del sistema di pratiche religiose di un altro paese. Il successo della sua chiesa dipese molto dal rispetto per la mentalità locale e dall’allontanamento graduale dagli elementi di maggiore contrasto con la pratica ortodossa.

Alla conquista della Cecoslovacchia da parte dei nazisti nel 1938, la Chiesa ortodossa del paese fu posta sotto il metropolita di Berlino, Serafim (Liade), che assicurò una protezione senza interferenze, fino al giorno in cui la Chiesa cecoslovacca avrebbe potuto riprendere la sua autonomia canonica sotto il Patriarcato di Serbia.

Come governatore del Protettorato di Boemia e Moravia fu assegnato Reinhard Heydrich, chiamato “il macellaio di Praga”, ideatore dello sterminio totale degli ebrei, e ritenuto probabile successore di Hitler. Il 27 maggio 1942 un gruppo di militari cechi della resistenza assalì e uccise Heydrich nella sua macchina, a poca distanza dalla cattedrale dei santi Cirillo e Metodio a Praga. Fuggendo, il gruppo si rifugiò nella cripta della cattedrale. Quando il vescovo Gorazd venne a sapere dei fuggitivi alcuni giorni dopo, comprese la seria posizione che questo gesto poneva sulla sua chiesa, e dovendo partire per la consacrazione del vescovo russo-scozzese Filipp (Gardner) a Berlino, chiese ai soldati della resistenza di spostarsi appena possibile. Il 18 giugno 1942, in seguito a una delazione, i nazisti scoprirono il rifugio del gruppo della resistenza, che fu sterminato.

Arrivarono presto le rappresaglie, con l’arresto dei due preti e dei consiglieri della cattedrale. Il vescovo Gorazd, volendo aiutare i suoi confratelli e la Chiesa, prese su di sé la responsabilità per tutte le azioni nella cattedrale. Scrisse tre lettere ai tedeschi con le parole: ‘Mi consegno alle autorità e sono preparato ad affrontare ogni punizione, inclusa la morte’. Il 27 giugno 1942 fu arrestato and torturato. Il 4 settembre 1942 il vescovo Gorazd, i preti della cattedrale e i consiglieri anziani furono fucilati.

Le rappresaglie continuarono con ampi rastrellamenti di cechi, che inclusero lo sterminio della popolazione del villaggio di Lidice. Furono chiusi tutti i luoghi di culto della Chiesa ortodossa, che fu messa fuorilegge in Boemia e Moravia. I preti ortodossi del paese furono internati in campi di lavoro forzato. Il metropolita Serafim coraggiosamente si rifiutò di emettere dichiarazioni di condanna del vescovo Gorazd.

Il vescovo Gorazd fu riconosciuto come neomartire per decisione della Chiesa ortodossa serba il 4/17 maggio 1961. Il 24 agosto / 6 settembre 1987 fu canonizzato nella cattedrale di san Gorazd a Olomouc in Moravia, e il suo giorno di festa cade nell’anniversario del suo martirio, il 22 agosto / 4 settembre.

 

 ALEXANDER SCHMORELL

 

 

Alexander Schmorell (Orenburg, Russia, 3/16 settembre 1917 – Monaco di Baviera, 13 luglio 1943) fu uno dei fondatori del gruppo di resistenza noto come Rosa Bianca (Weiße Rose), creato da cinque studenti universitari di Monaco e attivo contro il regime nazista dal giugno 1942 al febbraio 1943.

Alexander era figlio di Hugo Schmorell (un medico tedesco) e di Natalia Vvedenskaja (figlia di un prete ortodosso russo). Fu battezzato nella Chiesa ortodossa russa. Sua madre morì di tifo nella guerra civile russa quando Alexander aveva solo due anni. Nel 1920 suo padre si risposò con Elisabeth Hoffman, una donna tedesca che, come lui, era cresciuta in Russia. In fuga dai bolscevichi, la famiglia Schmorell emigrò in Germania nel 1921, quando Alexander aveva quattro anni. La sua balia russa, Feodosija Lapshchina, accompagnò la famiglia con il pretesto di essere la vedova del fratello del dottor Schmorell (per questa ragione fu poi sepolta con il nome di Franziska Schmorell). La famiglia si stabilì a Monaco di Baviera, dove nacquero Erich e Natascha, i fratelli minori di Alexander.

Anche se la famiglia viveva ora in Germania, la lingua di casa rimase il russo. Di fatto, anche in molti anni in Germania, Feodosiya Lapschina, che aveva preso il posto della madre nella crescita di Alexander, non imparò mai bene il tedesco. Elisabeth Schmorell era cattolica, e furono battezzati cattolici i fratelli di Alexander, che tuttavia rimase ortodosso, in gran parte per l’influenza di Feodosiya Lapschina. Anzi, la sua matrigna fece in modo che potesse frequentare classi di religione ortodossa a Monaco.

Alexander crebbe bilingue, e si considerava allo stesso tempo tedesco e russo. Nella mentalità nazista gli slavi appartenevano alla grande orda degli untermenschen, subumani, un concetto che Alexander non poté mai accettare: quando il suo gruppo giovanile divenne parte della gioventù hitleriana (Hitler Jugend), smise di frequentarlo.

Dopo la scuola superiore fu chiamato nell’organizzazione del lavoro civile del Reich e quindi nell’esercito, al tempo dell’occupazione dell’Austria e delle invasioni della Cecoslovacchia e della Francia. Al momento del giuramento del servizio militare, disse al suo comandante di non poter giurare fedeltà assoluta ad Adolf Hitler. Chiese l’esonero, che non gli fu dato, ma sorprendentemente non ebbe ripercussioni per il suo rifiuto di fare il giuramento. Durante il servizio militare sviluppò una marcata avversione al nazismo.

Non trovando altro modo per reagire alla politica del regime si isolò nei suoi studi sulla cultura russa (era un attento estimatore di Dostoevskij), nella poesia e nella scultura. Soltanto dietro pressione del padre accettò di intraprendere studi di medicina. Iniziò gli studi ad Amburgo nei 1939, e nell’autunno del 1940 rientrò con i suoi colleghi studenti a Monaco, alla Ludwig-Maximilian-Universität. È in questo periodo che fu presentato da Jürgen Wittenstein a Hans Scholl. Con Hans e sua sorella Sophie intrecciò una grande amicizia fatta di discorsi culturali sulla teologia, la filosofia e la letteratura, e con loro fondò la Rosa Bianca (riferimento a un’immagine dalla leggenda del grande inquisitore ne I fratelli Karamazov).

Nel 1942, il controllo nazista della Germania era pressoché totale. I piani di pulizia etnica erano stati avviati, e i campi di sterminio erano stati messi in funzione. Ogni sospetto nemico di Hitler era un candidato naturale all’arresto e all’invio in quei campi. La pratica diffusa della Sippenhaft (responsabilità familiare) esponeva all’arresto ogni parente o amico di un sospetto oppositore di Hitler.

Gli eventi della Rosa Bianca furono uno dei pochi contesti nella storia del Terzo Reich nei quali vi fu la possibilità di parlare contro Hitler. Nell’estate del 1942, Hans Scholl e Alexander Schmorell ottennero una macchina copiatrice e composero quattro fogli nei quali, sotto il nome della Rosa Bianca, invitavano il popolo tedesco a ribellarsi e a resistere a Hitler. La distribuzione di questi fogli, limitata ai dintorni di Monaco, non fu l’unica: per esempio, vi era già stata la distribuzione delle omelie del vescovo cattolico Clemens von Galen, che denunciava il programma di eutanasia di Hitler. I fogli della Rosa Bianca furono comunque i primi ad appellarsi a tutti i tedeschi perché resistessero in ogni modo possibile. Nel secondo volantino, in un passo scritto da Alexander Schmorell, è contenuto l’unico appello pubblico di un gruppo di resistenza tedesco contro l’olocausto.

Nel giugno 1942, Schmorell prese parte come medico militare alla campagna di Russia, assieme a Hans Scholl, Willi Graf e Jürgen Wittenstein, assistendo al brutale  e oltraggioso trattamento nazista di soldati e civili catturati, che includeva stupri di massa. In ossequio alle teorie della subumanità degli slavi, i prigionieri potevano essere trattati con la stessa mentalità genocida che altri popoli dell’Europa occidentale avevano utilizzato con i nativi delle Americhe e dell’Africa.

Con tutta la repulsione per le barbarie a cui dovette assistere, per Alexander questo periodo era pari a una sorta di ritorno a casa: era la prima volta nella vita che poteva avere un’esperienza e un ricordo personale della Russia. Disse agli altri che non avrebbe mai potuto sparare a un russo, pur dicendo che non avrebbe potuto sparare neanche a un tedesco. In Russia, fornì un legame tra i suoi amici e il popolo russo. Cercò contatti con gente ordinaria, dottori e preti ortodossi; assieme a Hans e Willi partecipò (in uniforme nazista!) a liturgie ortodosse.

Di ritorno dalla Russia, Alexander proseguì i suoi studi a Monaco nel semestre 1942-1943. Gli sforzi della Rosa Bianca raddoppiarono (a rischio della vita), coinvolgendo diverse persone, tra cui amici e professori, e si cercò un contatto con il gruppo di resistenza legato al pastore Bonhoeffer.

Il 18 febbraio 1943, Hans e Sophie Scholl furono catturati e arrestati mentre distribuivano il sesto dei fogli della Rosa Bianca all’Università di Monaco.

Dopo l’arresto di Hans e Sophie Scholl, processati e condannati alla pena capitale assieme all’amico Christoph Probst, ebbe inizio la caccia a Schmorell, che cercò senza successo di rifugiarsi in Svizzera con un passaporto falso. La Gestapo diffuse un avviso con le sue generalità e il suo aspetto, e benché fosse riuscito per qualche tempo a nascondersi, fu riconosciuto il 24 febbraio 1943 (il giorno del funerale dei suoi amici) durante un bombardamento da alcune persone che erano con lui in un rifugio antiaereo. Denunciato, fu immediatamente arrestato, e condannato a morte il 19 aprile 1943 nel secondo dei processi della Rosa Bianca. Nelle lettere che scrisse dalla prigione cercò di consolare la sua famiglia e assicurarla che era in pace con se stesso e non temeva la morte. Seguendo il fato dei suoi amici, fu ghigliottinato il 13 luglio 1943 assieme al professor Kurt Huber nella prigione di Stadelheim a Monaco. Aveva 25 anni.

Anche se la Rosa Bianca non era un gruppo dichiaratamente religioso è innegabile che la fede in Dio di questi studenti fu uno dei fattori primari del loro coraggio. Alexander Schmorell era l’unico ortodosso del gruppo: anche se la sua fede è stata svalutata in diverse biografie, e razionalizzata come un semplice legame con il suo retaggio russo o come mero fascino del rito, è innegabile la sua frequentazione regolare delle funzione ortodosse, oltre al fatto che portava sempre con sé una Bibbia e che dimostrò un costante amore per l’Ortodossia. Nelle lettere alla famiglia scrive di come la sua fede si sta approfondendo, di come sente di avere compiuto la missione della sua vita, e nell’ultima lettera esorta la famiglia a non dimenticarsi mai di Dio.

Alexander Schmorell fu sepolto dietro la prigione di Stadelheim nel cimitero a Perlacher Forst. Dopo la guerra le forze americane costruirono una base dietro a Perlacher Forst. Alla loro partenza a metà degli anni Novanta, misero in vendita gli edifici della base, tra i quali una chiesa. La Chiesa russa all’estero di Monaco cercava in quegli stessi anni un locale di culto, e fu in grado di comprare la chiesa degli americani, proprio dalla parte opposta della strada del cimitero dove erano sepolti i resti di Schmorell. La nuova parrocchia fu dedicata ai nuovi martiri della Rus’, nel cui numero è stato canonizzato nel 2012 lo stesso Alexander Schmorell.

Sabato 3 e domenica 4 febbraio 2012, ha avuto luogo la canonizzazione del neomartire presso la parrocchia dei nuovi martiri della Rus’; la canonizzazione ha compreso il servizio dell’ultima panichida (officio funebre) sulla sua tomba nel vicino cimitero (le funzioni alla tomba di un santo dopo la sua canonizzazione non hanno più carattere di commemorazione, ma di richiesta di intercessione).

Alla canonizzazione hanno partecipato sei vescovi della Chiesa ortodossa russa: l’arcivescovo Mark (che è a capo della Chiesa ortodossa russa all’estero in Germania), il metropolita Valentin di Orenburg (la città russa dove era nato Schmorell), il metropolita Onufrij of Chernovtsy in Ucraina, l’arcivescovo Feofan di Berlino, il vescovo Michele di Ginevra, e il vescovo Agapit di Stoccarda.

La storia di Alexander Schmorell, profugo del genocidio del comunismo sovietico e martire del razzismo del neopaganesimo nazista, ricorda come nel ventesimo secolo tutta l’Europa abbia sofferto per gli estremismi delle ideologie post-cristiane. Solo quando l’Europa tornerà alle sue radici cristiane in una nuova Europa spirituale, si realizzerà la visione di genuina “libertà e onore” della Rosa Bianca.

 

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