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  L'icona di san Cristoforo dalla testa di cane (parte 2): incontro con san Cristoforo

Di Jonathan Pageau

dal blog Orthodox Arts Journal, 26 agosto 2013

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Nel mio ultimo articolo sull'icona di san Cristoforo dalla testa di cane, ho promesso di portare il lettore in un incontro con il santo. Per fare questo, dovremo viaggiare molto lontano dal nostro argomento principale dell'iconografia, ma questo è necessario per comprendere un santo così particolare. Speriamo che il lettore che si avvicinerà con me al bordo ed entrerà persino nell'acqua con me emergerà con una visione più chiara di san Cristoforo e del perché merita la nostra attenzione.

La forma del mondo

Come ho già detto, la chiave per capire la stranezza di san Cristoforo si trova nel cogliere veramente la stretta analogia tra l'uomo individuale e il cosmo intero. San Massimo ci ricorda che l'uomo è un microcosmo, che contiene in sé tutto il creato ed è il centro della creazione, il luogo dove tutta la creazione converge. L'uomo come centro, come mediatore tra cielo e terra, ha due orizzonti, uno che conduce verso l'interno e verso l'alto ai regni angelici e infine all'increato, e uno che porta verso l'esterno e verso il basso verso il resto del creato e, infine, raggiunge il caos primordiale. L'uomo partecipa anche all'esistenza stessa del Cosmo con l'atto di "dare i nomi". Questo si vede nella Genesi, quando Adamo dà il nome agli animali, agendo, per essere sinceri, come una sorta di "demiurgo" per quanto riguarda la creazione. L'uomo rispecchia sulla scala più limitata ddel suo stesso verbo ciò che il Logos fa essendo il mezzo della creazione del Padre. Il Logos divino è la fonte dell'essere reale: "Vi sia...". Il logos dell'uomo è la fonte della specificità: "questo è un...".

Nella caduta, l'uomo è stato "decentrato" dal suo stesso cuore, e il risultato è anche quello di essere inseguito dal centro cosmico, il santo dei santi, il giardino in cui sta l'albero della vita. In questo stato, i due orizzonti che ho citato, uno che porta verso Dio e uno che porta verso il caos, sono trasformati in limiti, in confini. Prima della caduta si dice che l'uomo era rivestito di gloria, e allo stesso modo aveva accesso alle glorie di Dio. La caduta ha "indurito" queste glorie, trasformandole in limiti. Ci sono due limiti che appaiono all'uomo, un limite per ogni "orizzonte". Il limite interno è il cherubino con la spada fiammeggiante che impedisce l'ingresso in paradiso, e il limite esterno è quello strato di pelle, quel limite di corporeità o animalità che blocca la nostra completa dissoluzione nel caos della morte. Anche se, ovunque uno si trova, si può percepire un solo limite su ogni orizzonte, ci sono molti di questi confini, molti veli del cuore, molte tuniche di pelle. Dobbiamo vederli come simili a strati di una cipolla, come i gradini della scala del paradiso, i livelli della gerarchia descritti dall'Areopagita. L'immagine più evidente è nel tabernacolo dell'Antico Testamento, con un cherubino sul suo velo di lino più interno, poi una serie di spesse coperture "selvatiche", un velo di lana, una pelle di ariete tinta di rosso, e poi quella che è forse la pelle di una focena o almeno un animale completamente selvaggio (vedi Esodo 36).

I due limiti dopo la caduta. Il cherubino e le tuniche di pelle

La struttura che ho appena descritto è la forma ontologica delle cose: la forma di uomo, una chiesa, un tempio, una città, una civiltà, e anche del cosmo stesso. È immergendosi in questo tipo di simbolismo che le civiltà antiche hanno sviluppato la loro cosmologia, l'idea che il "loro" centro, il loro "omphalos" (ombelico), era circondato da popoli e creature sempre più caotici, stranieri, e anche mostruosi fino a quando si raggiungeva un limite, come i cancelli del Caspio a nord, al di là dei quali si trovavano un' oscurità e un caos quasi "senza nome". C'era anche l'altro limite, un insieme più interno di "veli ", che portava alla fine in una terra lontana dei beati, un paradiso, un Eden. In una chiesa questi due limiti sono l'iconostasi che vela l'altare, e il limite occidentale della chiesa dove si trova la porta principale. Ormai non saremo più sorpresi di sapere che in alcune tradizioni greche l'icona di san Cristoforo è collocata sopra la porta d' uscita occidentale in modo che sia in un certo senso l' ultima icona vista prima di andare fuori nel mondo caotico. Si tratta naturalmente di un simbolismo simile a quello dei gargoyle posti sulle pareti esterne delle chiese occidentali.

La forma del limite

 

Razze mostruose che appaiono sul bordo di una mappa medievale

Il limite, bordo o cuscinetto tra due cose, come una manifestazione delle tuniche di pelle, viene a noi come morte e oscuramento. Questo spazio marginale può anche apparire come un ibrido, una miscela, una via di mezzo che mescola insieme gli elementi. L'ibridismo, come un ponte che tocca entrambi i lati di un fiume, è la forma naturale di un luogo mediano. È anche qualcosa che accade inevitabilmente quando l'ignoto si presenta a noi. Quando ci imbattiamo in qualcosa di insolito per noi, è per noi un caos relativo, potremmo dire che non è ha ancora avuto un "nome" adeguato, nel senso di Adamo che dà il nome agli animali, e non è in unità con il nostro logos. Qualunque sia la cosa straniera che si presenta a noi, cercherà di apparire all'interno delle categorie che conosciamo, ma questo causerà mostruosità, miscela tra due categorie o qualche altro eccesso o difetto di qualcosa. Ciò che è sconosciuto può, in casi estremi, mancando della propria possibilità di esistere, presentarsi come una inversione di una categoria che conosciamo. Tutti i mostri e razze fantastiche dei tempi antichi hanno una di queste forme, giganti, sirene, unicorni, amazzoni; anche il drago nell'iconografia tradizionale appare come un ibrido: un serpente o una lucertola, con le ali e spesso alcune parti pelose.

 

Il drago come una creatura ibrida che rappresenta il caos

Il contatto con lo straniero come manifestazione sociale del caos e della morte è simile alle nostre passioni individuali, anch'esse causate dalla nostra mortalità, e questi due livelli inevitabilmente si sovrappongono tra loro, uno è il segno esteriore o interiore dell'altro. Il caos è una mancanza di ordine, una mancanza di logos, una domanda che richiede una risposta. Proprio come una passione, essa appare come la fame, come una mancanza che ci tormenta fino a quando non è soddisfatta. E quindi c'è un certo pericolo quando incontriamo il relativo caos che si annida al limite di ciò che siamo, sia in termini individuali sia sociali. Il pericolo è un travolgente desiderio di "riempire il vuoto", per conoscere impetuosamente ciò che abbiamo di fronte. Questo desiderio di conoscere è lo stesso desiderio di Eva per il frutto della conoscenza, il desiderio di mangiare, di ricevere in se stessi. È una voglia di "partecipare" subito a quel caos, di consumarvi e spesso di perdervi noi stessi, non attraverso la mediazione ragionevole del logos ma attraverso un mescolarsi con il confine. Se ci si lascia tentare dal caos, si proietterà in quello che è sconosciuto quelle cose che sono al nostro bordo, le nostre passioni segrete, le nostra voglie e i desideri, o la nostra paura e l'odio. Non c'è differenza tra questi due estremi in termini spirituali. Alla fine, sia il barbaro selvaggio e cannibale sia il buon selvaggio unito alla natura sono le due facce della stessa medaglia, due modi di proiettare le nostre passioni nell'estraneità. (1)

La struttura del rapporto del centro con la periferia, dei logos con il caos illustra alcuni degli aspetti più strani della tradizione ortodossa. Quando leggo dei problemi di certe persone con san Cristoforo e il modo in cui si presenta a noi, spesso mi chiedo se queste persone abbiano mai letto le vite dei santi. Negli scritti monastici, soprattutto nei Padri del deserto, vedremo questa struttura all'opera più e più volte. Nella stessa vita di sant'Antonio, troviamo l'inizio dello schema. Sant'Antonio incontra Satana come un ragazzo etiope, e questo continuerà ad essere una caratteristica della scrittura monastica per tutto il Medioevo, dove i demoni, strettamente legati alle passioni del santo, appariranno come etiopi. L'etiope, proprio come nella storia di conversione negli Atti, diventa l'immagine del limite, anche se qui vediamo gli aspetti negativi della morte, il lato pericoloso delle tuniche di pelle che fungono da veicolo per il demoniaco. Queste storie di etiopi hanno portato molte persone a interpretare queste storie monastiche come una sorta di proto-razzismo, anche se questa è una interpretazione molto anacronistica e semplicistica. Per coloro che hanno seguito le mie continue discussioni sulle tuniche di pelle e sul doppio movimento della periferia, apparirà una immagine molto più sottile e profonda.

In effetti ci sono altre storie di etiopi nella tradizione. Per esempio, nella storia di sant'Arsenio, che aveva deciso di lasciare il deserto, si legge che: "Vicino al fiume una schiava etiope si avvicinò e gli toccò la pelle di pecora, e il vecchio la rimproverò. Pertanto la schiava disse: 'Se sei un monaco, vai nel deserto'. Il vecchio, colpito da rimorso a questa parola, disse a se stesso, 'Arsenio, se sei un monaco, vai nel deserto'." (2) Il lettore non sarà più sorpreso di trovare la struttura della 'traversata dell'acqua' esposta nel mio ultimo articolo. Tutti i simboli sono lì: Succede presso un fiume, il monaco "vestito di pelle" viene toccato dalla ragazza etiope, e anche se in un primo momento il santo è terrorizzato e la rimprovera, trova in lei il mezzo per ritornare al deserto, per attraversare di nuovo il fiume come fece Eliseo. Quindi, in questa storia, l'etiope appare come il lato positivo della periferia, come l'Arca per mezzo della quale il santo è salvato dalle sue tentazioni. Anche nella vita di san Mosè il Nero, troviamo la stessa struttura. Nella sua storia è bloccato da un cane nel commettere una rapina e poi nuota attraverso un fiume per massacrare le pecore del proprietario del cane. Si nasconde quindi con i monaci dove diventa un cristiano e poi un santo. Notate il cane, il fiume, gli animali morti e la traversata che conduce alla salvezza. Più e più volte si ripete la stessa storia di come il confine può essere l'immagine della morte come limite o della morte come passaggio.

Sant'Antonio non solo incontra il demonio come un ragazzo etiope, trova anche il confine come essere ibrido. Nel deserto si trova di fronte un satiro e un centauro, due ibridi animali-umani legati nel pensiero greco-romana anche alla lussuria, alle passione e ai confini. (3)

 

San Mosè il nero. Affresco dalla Macedonia

 

Il centauro Nesso rapisce Deianira, la moglie di Eracle. Vaso greco

 

Arte africana e passione. Foto del fotografo di avanguardia Man Ray

A questo punto vi darò un chiaro esempio di storia recente per evitare il pericolo che quello che sto dicendo possa sembrare speculazione esoterica. Alla fine del XIX secolo, attraverso l'espansione imperialista delle potenze occidentali, tanta arte "tribale" cominciò ad apparire all'orizzonte europeo. Salutate come "curiosità", queste immagini, che erano state strappate via dal loro contesto tradizionale, apparivano come oggetti di speculazione e di fantasia. Molte persone provavano sorpresa e un po' di disgusto di fronte queste immagini, le cui caratteristiche, come i denti a punta, le scarificazioni, l'astrazione geometrica erano estremamente estranee alla sensibilità occidentale.

Molti artisti, però, videro in queste maschere e statuette un'immagine di creatività selvaggia, di libertà visiva e passioni sessuali lasciate libere. Gli artisti dadaisti saltellavano in giro mezzi nudi indossando maschere e tamburi, emettendo suoni incongrui in una sorta di frenesia emotiva e sessuale, con cui pensavano di imitare la cultura tribale. Gli artisti tesi a distruggere l'ordine artistico delle cose cominciarono a includere queste maschere nei loro dipinti, soprattutto gli espressionisti tedeschi, ma anche persone come Picasso, che mise maschere africane sulle prostitute nelle famigerate "Demoiselles d'Avignon". Lo straniero, in questo caso, è stato usato come veicolo per proiettare tutto ciò che era sul bordo della loro civiltà, uno strumento per distruggere le regole della coerenza visiva. Queste immagini dei primi artisti moderni sono state utilizzate in un modo che può essere chiamato solo "demoniaco". Ma avendo vissuto in Africa per 7 anni posso dire che contrariamente a essere "selvaggiamente creativi", questi oggetti sono estremamente tipologici e le loro forme vengono copiate e tramandati di generazione in generazione. Inoltre, in un panorama africano, questi oggetti sono per lo più utilizzati come "formazione d'identità", come modi per preservare le effettive strutture e le pratiche sociali, comprese le norme e i tabù sessuali e sociali, non come modi per distruggerle, che è ciò per cui li hanno usati gli europei. È stata la natura "straniera" di queste immagini, il fatto che sono apparsi distaccati da tutto ciò che conoscevano, che ha portato la gente a proiettare in loro quello che avevano nei loro "angoli bui". (4)

 

Picasso. Demoiselles d'Avignon: le prostitute portano maschere africane come espressioni di sessualità sfrenata

Al fine di bilanciare il mio ultimo punto, è importante precisare che l'ibridismo e le tenebre non appaiono solo sul limite esterno, ma possono anche apparire sul limite interno, come il velo che copre la gloria di Dio. I cherubini che formano il propiziatorio sull'Arca, i cherubini cuciti sul velo del Santo dei Santi, il cherubino che brandisce la spada di fuoco alla porta del Paradiso, il cherubino che appare a Ezechiele mentre si avvicina alla gloria di Dio sono descritti come un ibrido con quattro facce di animali: l'uomo, il bue, il leone e l'aquila.

 

Tetramorfo dai monasteri delle Meteore

Essi sono descritti come esseri con quattro ali con cui si ricoprono e le gambe di un bue. Il cherubino è stato collegato da molti al kerub babilonese che svolge una funzione simile alla sfinge, entrambi custodi di luoghi santi.

 

kerub babilonese

Nell'iconografia, la struttura del cherubino appare nel tetramorfo ed è collegata al limite, agli "angoli" della gloria di Cristo, pur essendo associati all'"indurimento", all'esteriorizzazione del Logos nei quattro Vangeli. Ma anche gli altri angeli "personali", come san Michele o san Gabriele, anche se hanno volti umani, appaiono come ibridi con le loro ali di uccelli. E proprio come il cherubino con una spada, o come san Cristoforo il santo guerriero, l'iconografia originale degli arcangeli li mostra come soldati. La nostra percezione degli angeli è stata molto ammorbidita a partire dal Rinascimento, cedendo ai biondi pastello fluttuanti delle sensibilità New Age. Ma anche la santissima Theotokos fu dapprima terrorizzata al suo contatto con l'Arcangelo.

 

I quattro aspetti ibridi del tetramorfo appaiono come i quattro angoli della gloria di Cristo. Dettaglio della mia scultura

Sperimentare il limite nella nostra cultura

Tutti noi abbiamo avuto in misura diversa l'esperienza di ciò che è estraneo, come un caos relativo. Se si sente un linguaggio vicino al nostro, se uno che parla inglese sente parlare tedesco o latino, per esempio, sarà in grado di capire alcuni significati. Se uno che parla inglese sente parlare russo, forse non capirà niente, ma sarà probabilmente in grado di percepire la struttura, le parole, il tono. Ma se sente parlare vietnamita, potrebbe trovarsi in difficoltà anche a percepire qualsiasi struttura o qualsiasi tono, e ci sono alcuni suoni che un inglese non sarà nemmeno in grado di percepire perché sono "troppo lontani" dal proprio orizzonte dell'udito. Per noi sono rumori. Tale esperienza è l'origine più citata della parola "barbaro", che è come la lingua degli stranieri appariva al mondo greco-romano, come versi di animali, una specie di abbaiare: Bar-Bar-Bar-Bar. L'uomo dalla testa di cane è una versione visiva di questa percezione. Il problema per noi oggi è che a causa dei mass media e della cultura dell'immagine, abbiamo "visto tutto" e così è difficile avere un'estrema esperienza visiva dello straniero, ma forse tutti noi ne abbiamo avuto almeno una versione un po' più mite. La maggior parte delle persone ha avuto l'esperienza di parlare con qualcuno pensando che questa persona sia un estraneo, e poi per qualche motivo si scopre che la persona è qualcuno che conosciamo. Improvvisamente la nostra percezione del loro volto cambia sotto i nostri occhi, ciò che era un volto a caso diventa il volto della nostra conoscenza, così tanto che avremmo difficoltà a ricordare come vedevamo la stessa faccia prima della nostra piccola rivelazione. (5) Anche se non esiste una categoria scientifica o formula che potrebbe cogliere la differenza tra quel volto che non conoscevamo e il volto che conosciamo, sarebbe molto disonesto dire che una delle due esperienze era "sbagliata". I "dati" scientifici, la fredda descrizione clinica di un volto, se questa descrizione in realtà esiste ancora, non può aiutare a distinguere tra ciò che è estraneo e ciò che è familiare. Lo straniero e il familiare non sono quantificabili eppure sono interamente all'interno del regno dell'esperienza umana. Ed è proprio l'esperienza umana, non una specie di dissezione clinica e alienata del mondo, che è la base di tutta la simbologia cristiana. Negare questo significa mettere molto a repentaglio. Negare questo significa rendere incoerente il "cielo" stesso dove Cristo è asceso, perché di certo non è andato a galleggiare tra le stazioni spaziali.

Credo che nel caso dell'icona di San Cristoforo abbiamo una rappresentazione visiva di questa esperienza dello straniero. È l'incontro con una faccia che è così lontana dalla nostra capacità di percepire la familiarità che si presenta come mostruosa e ibrida. Se si guarda alle storie di uomini dalla testa di cane o di altre razze mostruose, i viaggiatori le incontrano in ogni confine, anche se questo confine si sposta più a est, a ovest e a nord. Se Alessandro nel suo Romanzo incontra i cinocefali in Asia minore, Re Artù li incontra in Scozia, Carlo Magno li incontra come vichinghi dalla Scandinavia, e anche Marco Polo e altri viaggiatori li incontrano ai confini, e, infine, anche lo stesso Colombo penserà di averli trovati nelle Americhe. Il limite appare sempre come mostruoso. Questo è proprio come gli esseri umani interagiscono con il mondo, e sia che temiate e odiate quel mostro, sia che lo desideriate e lo idealizzate, nondimeno resta mostruoso. San Cristoforo è per noi la persona "più lontana", la persona che possiamo a malapena a vedere a causa del nostro orizzonte limitato. È anche per noi il nostro limite, la nostra tunica di pelle, di  cui non dovremmo negare il pericolo e la mostruosità, ma che ha il potenziale di essere 'cristoforo', proprio come la più lontana delle persone ha lo stesso potenziale, perché le ultime parole di Cristo a noi dicono che egli sarà con noi fino alle estremità della terra. E alla fine, come i gentili, siamo noi a essere questo originale 'straniero', così come insiste san Paolo: "E voi che un tempo eravate stranieri e forestieri con la mente intenta ad azioni malvagie, egli vi ha riconciliati nel suo corpo di carne per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui". (6)

Ebbene, speravo di arrivare alla fine di tutto questo nel giro di due articoli, ma nonostante tutto quello che è stato detto, sembra che non ho ancora risposto pienamente alla grande obiezione a san Cristoforo: come mai nella nostra epoca scientifica, con gente pienamente razionale e oggettiva, non abbiamo più queste razze mostruose negli angoli bui delle nostre mappe. Beh, sembra che potremmo dover guardare di nuovo quelle mappe, perché con la coda dell'occhio, credo di aver visto qualcosa di strano che vi si muove! Ho anche lasciato aperta una strana questione di come il cherubino e il mostro sul bordo del mondo sembrano condividere tratti comuni. Questo può essere un problema pericoloso da lasciare aperto, quindi abbiamo bisogno di una parte finale di questa serie, in cui parleremo di cannibalismo, di donne straniere e di omini verdi. Creso che sarà l'articolo più strano che avrò mai scritto per l'Orthodox Arts Journal. Dopo di che, potremo tornare all'arte liturgica.

Note

(1) Si dice spesso che questa struttura di estremi nella percezione dello straniero abbia avuto origine nel XVII secolo con la forte ripresa della schiavitù, con l'opposizione all'altro estremo del buon selvaggio di Rousseau, ma anche in epoca romana la Germania di Tacito utilizza i popoli germanici come un contrasto all'identità romana.

(2) Citato in David Brakke, Demons and the Making of The Monk: Spiritual Combat in Early Christianity, Harvard University Press, 2006, p.171

(3) Un esempio chiaro appare nella storia del centauro Nesso dalle Metamorfosi di Ovidio. Eracle chiede al centauro Nesso di portare la moglie sull'altro lato di un fiume. Ma in questa versione della traversata del confine dell'acqua, l'ibrido centauro inganna Eracle e se ne va con la moglie. C'è spesso un elemento di trucco nella storia del passaggio dell'acqua. Questo è legato alla stessa doppia natura delle tuniche di pelle, l'ultimo "trucco" a essere vinto da Cristo, la morte con la morte. Nella storia di san Cristoforo, questo trucco è interpretato da Cristo che sta sulle spalle di san Cristoforo e non rivela chi sia fino alla fine della traversata. Nella traversata del Giordano dell'Esodo, non dobbiamo dimenticare che erano due spie che avevano attraversato il fiume. Nella storia di Ulisse e del ciclope, Ulisse inganna il ciclope e gli fa credere il suo nome è "nessuno", e rivela il suo vero nome solo quando è sfuggito tenendosi alla parte inferiore (pelli) delle pecore.

(4) Il mio punto non è di fare una critica dettagliata o una difesa delle religioni africane, ma è piuttosto di mostrare come l'esperienza monastica del confine come straniero è ancora valida oggi. Ho usato l'arte africana perché la conosco bene e per il riferimento agli etiopi negli scritti monastici, ma si può vedere lo stesso modello nelle ossessioni contemporanee con il buddhismo, dove la mancanza di conoscenza permetterà alle persone di proiettare nel buddhismo tutte le loro fantasie e ideali. Questo è anche qualcosa a cui dovrebbero stare attenti quelli di noi che si sono convertiti all'Ortodossia, ovvero come l'originale fascino "esotico" dell'Ortodossia può alla fine diventare un ostacolo alla vera comunione per chi viene da fuori.

 (5) Mia moglie e io abbiamo vissuto in Africa per 7 anni. Anche se io sono cresciuto in America del Nord, dove le persone di origine africana sono una parte normale della vita, mia moglie è cresciuta in Slovacchia, dove non aveva quasi mai visto un africano fino a quando si è trasferita nel Nord America. Poiché l'incontro con gli africani è stato per così tanto tempo al di là dell'orizzonte di mia moglie, mentre era in Africa ha sempre avuto difficoltà a riconoscere le persone e differenziare i loro volti. Questa non era una cosa faceva deliberatamente, e anzi le ha causato molta difficoltà nella sua vita quotidiana.

(6) Col 1:22

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