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Una storia degli allarmi infondati delle tecnologie mediatiche, dalla stampa a Facebook

di Vaughan Bell

slate.com

15 febbraio 2010

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Un rispettato scienziato svizzero, Conrad Gessner, potrebbe essere stato il primo a lanciare l'allarme sugli effetti del sovraccarico di informazioni. In un libro che è stato una pietra miliare nel campo, ha descritto come il mondo moderno travolge le persone con flussi di dati, e come questa sovrabbondanza sia "confusa e dannosa" per la mente. I mezzi di comunicazione fanno oggi eco alle sue preoccupazioni con rapporti sui rischi senza precedenti della vita in un ambiente digitale "sempre acceso". Vale la pena notare che Gessner, da parte sua, non ha mai utilizzato una singola e-mail ed era completamente ignorante dei computer. Questo non perché fosse un tecnofobo, ma perché è morto nel 1565. I suoi avvertimenti si riferivano all'apparentemente ingestibile alluvione di informazioni scatenata dalle pagine a stampa.

Le preoccupazioni per il sovraccarico di informazioni sono antiche quanto l'informazione stessa, con ogni generazione che reinventa gli impatti pericolosi della tecnologia sulla mente e sul cervello. Dal punto di vista storico, ciò che colpisce non è tanto l'evoluzione di queste preoccupazioni sociali, ma la loro somiglianza reciproca da un secolo all'altro, al punto che si sostituiscono le une alle altre con poco di cambiato tranne l'etichetta.

Queste preoccupazioni risalgono alla nascita dell'alfabetizzazione stessa. In parallelo con le preoccupazioni moderne circa l'abuso della tecnologia da parte dei bambini, Socrate notoriamente metteva in guardia contro la scrittura perché avrebbe "creato dimenticanza nelle anime dei discenti, perché questi non useranno le loro memorie". Egli suggeriva anche che i bambini non riescono a distinguere la fantasia dalla realtà, così i genitori devono consentire loro di ascoltare solo allegorie sane e non racconti "impropri", per timore che il loro sviluppo andasse fuori strada. L'avvertimento socratico è stato ripetuto molte volte da allora: La vecchia generazione mette in guardia contro una nuova tecnologia e si lamenta che la società stia abbandonando i media "sani" con i quali essa è cresciuta, apparentemente inconsapevole che questa stessa tecnologia è stata considerata dannosa quando è stata introdotta.

Le ansie di Gessner sulla tensione psicologica sorsero quando si accinse al compito di compilare un indice di tutti i libri disponibili nel XVI secolo, poi pubblicato con il nome di Bibliotheca universalis. Analoghe preoccupazioni sono sorte nel XVIII secolo, quando i giornali sono diventati più comuni. Lo statista francese Malesherbes si scaglia contro la moda di ottenere notizie dalla pagina stampata, sostenendo che questa isolava socialmente i lettori e penalizzava dalla pratica comune e spiritualmente edificante di ottenere notizie dal pulpito. Un centinaio di anni più tardi, quando l'alfabetizzazione divenne un requisito essenziale e furono ampiamente introdotte le scuole, le critiche dei musoni si rivolsero contro l'istruzione come qualcosa di innaturale e un rischio per la salute mentale. Un articolo del 1883 sulla rivista medica settimanale the Sanitarian sosteneva che le scuole "esauriscono i cervelli e i sistemi nervosi dei bambini con studi complessi e molteplici, e rovinano i loro corpi con una reclusione prolungata". Nel frattempo, lo studio eccessivi era considerato una delle principali cause della follia da parte della comunità medica.

Quando è arrivata la radio, abbiamo scoperto l'ennesima piaga dei giovani: il telegrafo senza fili è stato accusato di distrarre i bambini dalla lettura e di diminuire le prestazioni a scuola, entrambe attività che erano ormai considerate adeguate e sane. Nel 1936, la rivista musicale the Gramophone riferiva che i bambini hanno "sviluppato l'abitudine di dividere l'attenzione tra la preparazione monotonia dei loro compiti di scuola e l'irresistibile eccitazione dell'altoparlante" e descriveva i programmi radiofonici come disturbi dell'equilibrio delle loro menti eccitabili. La televisione ha causato allo stesso modo una diffusa preoccupazione: la storica dei media Ellen Wartella ha notato come "gli avversari esprimevano preoccupazioni su come la televisione potesse danneggiare la radio, la conversazione, la lettura e i modelli di vita familiare, provocando l'ulteriore volgarizzazione della cultura americana".

Entro la fine del XX secolo, i personal computer sono entrati nelle nostre case, Internet è divenuto un fenomeno globale, e preoccupazioni quasi identiche sono state ampiamente trasmesse attraverso titoli agghiaccianti: la CNN ha riferito che "l'Email fa male al quodiente d0intelligenza più della marijuana", il Telegraph che "Twitter e Facebook potrebbero nuocere ai valori morali" e "la generazione di Facebook e MySpace 'non sa formare relazioni'," e il Daily Mail ha pubblicato un pezzo su "Come usare Facebook potrebbe aumentare il rischio del cancro". Non un solo straccio di prova alla base di queste storie, ma fanno notizia in tutto il mondo, perché riecheggiano le nostre paure ricorrenti sulle nuove tecnologie.

Questi timori sono apparsi anche in articoli di approfondimento su pubblicazioni più serie: l'articolo influente di Nicolas Carr "Google ci sta rendendo stupidi?" su the Atlantic suggerisce che Internet stia minando la nostra attenzione e arrestando la crescita del nostro ragionamento, l'articolo del Times of London "Attenzione: sovraccarico del cervello" , ha detto che la tecnologia digitale sta danneggiando la nostra capacità di provare empatia, e un pezzo sul New York Times intitolato "La seduzione dei dati: crea dipendenza?" solleva la questione se la tecnologia possa causare disturbi da deficit di attenzione. Tutti questi pezzi hanno una cosa in comune: non menzionano uno solo studio su come la tecnologia digitale abbia effetti sulla mente e sul cervello. Raccontano aneddoti su persone che credono di non potersi più concentrare, parlare con gli scienziati che fanno lavori correlati in modo periferico, e questo è tutto. Immaginate se la situazione in Afghanistan fosse discussa in modo simile. Potreste scrivere 4000 parole per un mezzo di comunicazione importante, senza mai citare un singolo fatto rilevante sulla guerra. Invece, potreste basare la vostra tesi sulle opinioni dei vostri amici e del ragazzo in fondo alla strada che lavora nel negozio di kebab, e che in realtà viene dalla Turchia, ma comunque è lo stesso, non è vero?

Vi è, in realtà, una serie di ricerche che affronta direttamente questi problemi. Fino a oggi, gli studi suggeriscono non vi è alcuna prova coerente che Internet provochi problemi mentali. Semmai , i dati mostrano che le persone che utilizzano siti di social networking in realtà tendono ad avere una vita sociale migliore quando sono offline, mentre coloro che giocano ai giochi per computer riescono meglio dei non giocatori ad assorbire e reagire alle informazioni senza perdita di precisione o aumento di impulsività. Al contrario, l'accumulo di molti anni di prove suggerisce che un pesante uso della televisione sembra davvero avere un effetto negativo sulla nostra salute e la nostra capacità di concentrazione. Ma ora non sentiamo quasi più parlare di questo tipo di studi, perché la televisione è roba vecchia, e gli allarmi tecnologici devono essere nuovi, e la prova che qualcosa è sicura non ha presa nell'ordine del giorno dei media shock-horror.

Lo scrittore Douglas Adams ha osservato come la tecnologia che esisteva quando siamo nati sembra normale, tutto ciò che è sviluppato prima che compiamo 35 anni è emozionante, e ciò che è sviluppato in seguito viene trattato con sospetto. Questo non vuol dire che tutte le tecnologie multimediali siano innocue, e c'è un importante dibattito da svolgere su come i nuovi sviluppi influenzano i nostri corpi e le nostre menti. Ma la storia ha dimostrato che raramente consideriamo questi effetti, se non nei termini più superficiali, perché i nostri sospetti hanno la meglio su di noi. Col senno di poi, i dibattiti sul fatto che la scuola offusca il cervello o che i giornali danneggiano il tessuto della società sembrano strani, ma i nostri figli proveranno senza dubbio lo stesso riguardo agli allarmi tecnologici che noi nutriamo ora. Non passerà molto tempo prima che il ciclo abbia inizio di nuovo.

Vaughan Bell è un neuropsicologo clinico alla Universidad de Antioquia, Colombia, e al King's College di Londra.

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