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  L'etica sociale del Patriarcato ecumenico: un momento importante di autocritica?

Orthodox Synaxis, 27 maggio 2020

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Anche se sembra essere passato in gran parte inosservato, l'Arcidiocesi greco-ortodossa americana ha recentemente pubblicato un lungo documento intitolato Per la vita del mondo: verso un'ethos sociale della Chiesa ortodossa. Il testo è manifestamente il prodotto di un comitato di accademici di lingua inglese che non ha esperienza pastorale nel mondo reale, ma nondimeno dietro le parole astratte ci sono un certo numero di punti di interesse, non ultimo quello dell'apparente ripudio del divieto, sancito dal Concilio di Creta, del secondo matrimonio dei chierici.

Le critiche iniziali a questo documento si possono trovare altrove. Qui, tuttavia, è più utile concentrarsi su due questioni che affronta con ammirevole chiarezza e candore: ciò che definisce "bizantinismo", e il razzismo. Ciò è tanto più straordinario e lodevole, dato che queste due malattie danneggiano cronicamente la reputazione e le relazioni del Patriarcato di Costantinopoli con le altre Chiese ortodosse. Stiamo assistendo a un momento di riflessione e autocritica atteso da molto tempo?

Il documento inizia saggiamente la sua discussione sull'ecumenismo sulla base di una ferma affermazione che la Chiesa ortodossa è identica all'Una Sancta del Credo: "La Chiesa ortodossa comprende se stessa come la Chiesa unica, santa, cattolica e apostolica, di cui parla il simbolo di fede niceno-costantinopolitano". In seguito, ammette in modo cruciale che:

Le particolari forme culturali della tradizione non devono essere confuse né con la vera autorità apostolica né con la grazia sacramentale che è stata affidata [alla Chiesa]. La Chiesa cerca un dialogo prolungato con i cristiani di altre comunioni per offrire loro una piena comprensione della bellezza dell'Ortodossia, non per convertirli a qualche "bizantinismo" culturale.

Altrove, la dichiarazione denuncia la nostalgia che confonde la Chiesa con un impero morto da tempo:

È una sorta di pericolosa tentazione tra i cristiani ortodossi arrendersi a una nostalgia debilitante e per molti aspetti fantastica per qualche epoca d'oro da tempo svanita, e immaginare che essa abbia costituito qualcosa come l'unica politica ortodossa ideale. Questo può diventare un tipo particolarmente pernicioso di falsa pietà, che confonde le forme politiche transitorie del passato ortodosso, come l'Impero bizantino, con l'essenza della Chiesa degli apostoli.

Ciò è in linea con l' osservazione dell'archimandrita Touma (Bitar) secondo cui "la Chiesa nella sua interezza ha sofferto e continua a soffrire di un complesso psicologico permanente nei confronti dell'Impero bizantino", che si manifesta in "una profonda convinzione o sottomissione [...] al caso ipotetico e delirante che l'impero, con tutto il suo peso e la sua gloria, continui a esistere ecclesiasticamente senza alcun chiaro confine tra ciò che appartiene a Dio e ciò che appartiene a Cesare". Il fatto che l'ethos sociale del Patriarcato di Costantinopoli affronti questa malattia del bizantinismo è un passo in avanti molto positivo... ma solo se prima di tutto tale passo è ritenuto una forma di autocritica. Dopotutto, quale potrebbe essere un'espressione più palese di questo complesso psicologico, se non la recente omelia dell'arcivescovo Elpidophoros (Lambrianides) per la festa dei santi Costantino ed Elena, in cui afferma:

la città di Costantino rimane fino a questo momento la fonte e la sorgente da cui scaturisce la nostra fede ortodossa […] l'eredità di questo impero cristiano – incarnato nella sacra persona del patriarca ecumenico e nella continua diakonia della Grande Chiesa – continua fino a oggi.

C'è un ovvio doppio anacronismo qui: la fede ortodossa, consegnata una volta per tutte ai santi dal nostro Signore Gesù Cristo, è sia precedente sia sopravvissuta a Bisanzio (e in effetti, anche ai tempi d'oro dell'Impero, gran parte dell'Ortodossia esisteva al di fuori dei suoi confini e in opposizione alle eresie spesso promosse dai suoi imperatori e patriarchi). Quindi è assurdo che questa città sia la fonte di una fede che l'ha vista andare e venire, lasciando dietro di sé solo sentimenti confusi nei cuori dei nostalgici dell'Impero.

Ma c'è una serie ancora più inquietante di conflitti nel pensiero dell'arcivescovo Elpidophoros. "L'Impero cristiano" si confonde con la persona stessa del patriarca di Costantinopoli che, se ricordiamo l'ideologia di sua Eminenza del primus sine paribus, è nella sua persona "la fonte del proprio primato". È come se Cristo, il cui regno non era di questo mondo, arrivasse a realizzare un impero mondano al quale la sua Chiesa è ontologicamente secondaria. In effetti, sono forse queste confusioni di impero, patriarca e Chiesa che portano alla pretesa del Patriarcato di Costantinopoli, articolata in modo più celebre nel recente "Tomos di Autocefalia" ucraino, dove si dice che la Chiesa ha come capo" il santissimo trono ecumenico apostolico e patriarcale". Cioè, se seguiamo la logica dell'arcivescovo, questa figura in cui è "incarnato" Bisanzio – vale a dire Cesare – usurpa il posto di Cristo nella Chiesa! Questo linguaggio dell'incarnazione in Costantinopoli non sembra essere accidentale, poiché ricordiamo la parodia blasfema del patriarca Bartolomeo del prologo del Vangelo di Giovanni, quando affermò che "il principio della Chiesa ortodossa è il Patriarcato ecumenico; in esso è la vita e la vita è la luce delle Chiese".

L'Ethos sociale offre un rimprovero conciso a questo tipo di pensiero patologico: la Chiesa degli apostoli non è l'Impero bizantino. L'Ortodossia non può testimoniare Cristo, non può offrire a nessuno la sua piena bellezza, se rimane incantata dalla memoria di Bisanzio.

Allo stesso modo, il documento fa una chiara e inequivocabile condanna del razzismo e del filetismo, che definisce come "la subordinazione della fede ortodossa alle identità etniche e agli interessi nazionali". Ciò è accompagnato ancora una volta dall'ammissione che una tale subordinazione "ha spesso inibito la Chiesa nella sua vocazione di proclamare il Vangelo a tutti i popoli". Le basi teologiche per condannare il razzismo e il filetismo vanno al cuore stesso della nostra fede cristiana:

C'è solo una razza umana, a cui appartengono tutte le persone, e tutte sono chiamate come una sola persona a diventare un unico popolo in Dio creatore. Non esiste umanità a parte l'unica umanità universale che il Figlio di Dio ha assunto nel diventare umano, e abbraccia tutte le persone senza distinzioni o discriminazioni.

Ὑπάρχει μόνον ἕνα ἀνθρώπινο γένος, στό ὁποῖο ἀνήκουν ὅλοι οἱ ἄνθρωποι καί ὅλοι καλοῦνται νά γίνουν ἕνας λαός ἐνώπιον τοῦ Δημιουργοῦ Θεοῦ. Δέν ὑπάρχει ἀνθρωπότητα πέρα ἀπό τήν οἰκουμενική ἀνθρωπότητα, τήν ὁποία ὁ Υἱὸς τοῦ Θεοῦ προσέλαβε μέ τήν ἐνανθρώπησή Του, καί ἡ ὁποία ἐμπερικλείει ὅλους τούς ἀνθρώπους, δίχως διαχωρισμό ἤ διάκριση.

Questa semplice affermazione, secondo cui esiste una sola razza umana, ένα ανθρώπινο γένος, segna una dipartita dal linguaggio abituale del Patriarcato di Costantinopoli, dipartita tanto brusca e inaspettata quanto benvenuta. Proprio lo scorso novembre, il patriarca Bartolomeo è stato accolto nella metropolia del Belgio con molta fanfara come il "Patriarca della Razza" (ο Πατριάρχης του Γένους). Un anno prima, parlava pubblicamente della "precedenza che il Patriarcato ecumenico e la nostra Razza hanno nell'Ortodossia" In effetti, l'intera carriera patriarcale di sua Santità è stata caratterizzata da continui appelli al nazionalismo greco e alla solidarietà razziale, di cui forse quello esibito nel modo più grave e cinico è quello nella sua lettera di questo gennaio al patriarca Teofilo di Gerusalemme, un prelato greco di un gregge arabo maltrattato e privo di diritto di voto, dove fa un appello spudorato alla solidarietà razziale, parlando di Teofilo come persona "dello stesso sangue e che condivide con noi la stessa Razza (Γένος) storica e martirica, a cui naturalmente la Divina Provvidenza dai tempi antichi ha affidato la protezione dei sacri luoghi di pellegrinaggio di Terra Santa attraverso la Confraternita del Santo Sepolcro".

Come giustamente spiega l'Ethos sociale, tale linguaggio e atteggiamenti sono del tutto incompatibili con la fede cristiana e rappresentano un serio impedimento a testimoniare il nostro Salvatore, che ha assunto "la nostra unica umanità universale".

Possiamo solo supporre che il patriarca Bartolomeo e l'arcivescovo Elpidophoros abbiano approvato il documento in buona fede, quindi abbiamo motivo di sperare che abbiano avuto il tempo e la saggezza di considerare le implicazioni del suo messaggio. Tuttavia, anche se l'Ethos sociale è destinato a parlare a tutto il mondo ortodosso e a un pubblico più vasto, pochissime persone saranno interessate a sentire il suo messaggio fino a quando i leader del Patriarcato di Costantinopoli non avranno ripudiato inequivocabilmente le loro precedenti dichiarazioni razziste e filetiste e non avranno ammesso un fatto che apparentemente ha eluso loro e i loro predecessori in passato: che l'ellenismo, la Romiosyni e il nazionalismo greco sono ideologie razziste e filetiste degne di condanna come tutte le altre.

Dovremmo tutti prestare attenzione a come l'Ethos sociale ci spinge a rispondere ai sostenitori del razzismo e del nazionalismo all'interno della Chiesa:

La Chiesa ortodossa condanna incondizionatamente i loro punti di vista e li chiama a un completo pentimento e a una riconciliazione penitenziale con il corpo di Cristo. E deve spettare a ogni comunità ortodossa, quando scopre queste persone in mezzo a loro e non può far loro rinunciare ai mali che promuovono, il compito di smascherarle, denunciarle ed espellerle. Qualsiasi comunità ecclesiale che fallisca in questo ha tradito Cristo.

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