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  La visione cristiana ortodossa sui trapianti d'organo

Russian Faith, 11 giugno 2019

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Secondo l'antropologia della Chiesa ortodossa, la cessazione dell'attività cerebrale non indica la separazione dell'anima dal corpo. Pertanto, non c'è giustificazione per identificarla con la morte.

Secondo l'antropologia ecclesiastica, l'anima come entità speciale riempie l'intero corpo umano, essendo presente in tutte le sue parti. Il cervello non è il suo contenitore, ma il suo organo. La morte cerebrale significa la cessazione delle manifestazioni ovvie dell'anima, ma non necessariamente la sua separazione.

* * *

Le origini del trapianto d'organi risalgono a tempi antichissimi. Nell'antico Egitto si effettuavano innesti cutanei. Tuttavia, è solo ai nostri giorni che i tentativi di trapiantare organi e tessuti vitali del corpo umano sono stati coronati da successo.

Il primo trapianto di rene riuscito avvenne nel 1954, il primo trapianto di cuore riuscito nel 1967. In futuro, il trapianto di organi, un metodo che non si accontenta di una terapia sintomatica, ma che elimina la fonte stessa della malattia, si è diffuso e ha suscitato entusiasmo in tutto il mondo.

Trapianti d'organo: una ricerca dell'immortalità terrena?

La ragione di questa euforia non erano solo gli ovvi vantaggi della trapiantologia, ma anche il fatto che vi si vedeva l'incarnazione del sogno dell'uomo moderno di raggiungere l'immortalità terrena. E quindi non sarebbe esagerato affermare che nel clamore che ne è seguito sta il pericolo di distrarre una persona dal fine ultimo della sua esistenza e dai suoi compiti più importanti. E se teniamo conto del fatto che il numero delle vite che possono essere salvate dai trapianti di organi non può nemmeno avvicinarsi alla millesima parte delle vite uccise dagli aborti, diventerà ancora più evidente che il trapianto difficilmente può essere considerato una panacea per la salvezza dell'umanità.

L'eccessiva credenza nei trapianti di organi concentra l'interesse di una persona solo sulla sua salute fisica, dandogli allo stesso tempo l'illusione di una sorta d'immortalità terrena, come già accennato. La ricerca di tale "immortalità" non può essere combinata con l'attesa dell'eternità e la fede nella vittoria sulla morte in Cristo. Ciò significa che la Chiesa non può porsi come obiettivo la propagazione di slogan come "Donate e salvate", che, peraltro, acquistano facilmente colorazioni consumistiche e commerciali. Una tale posizione significherebbe arrendersi e cedere alle tendenze dei tempi.

Nella visione della Chiesa, la vita biologica e la morte biologica non sono opposte l'una all'altra, ma sono interconnesse. Non è un caso che, per sua stessa natura, vita e morte vadano sempre di pari passo e siano due facce di un insieme unico. La vita si dispiega verso la morte. La morte è presente in ogni fase della vita. La morte è innanzitutto un passaggio da una fase all'altra della vita: dalla vita temporanea alla vita eterna. Questa visione non solo priva la morte della sua tragedia, ma dà anche luogo alla possibilità di un atteggiamento positivo nei suoi confronti. Sia l'uomo che gli animali sono ugualmente suscettibili alla morte biologica. Non è necessario che un cristiano veda nella morte solo un principio distruttivo. Può accettare la morte in buona fede, avendo ricevuto da essa la vita eterna.

E proprio come la morte fisica può essere l'inizio della vita spirituale, così anche la malattia fisica può servire alla salute mentale. Da ciò, però, non ne consegue che si debba trascurare la salute del corpo e la vita. Non è un caso che l'antropologia ecclesiastica, che proclama l'integrità psicosomatica di una persona, valuti positivamente non solo la salute mentale, ma anche quella fisica. Ciò è dimostrato da numerose preghiere ecclesiali per la salute dell'anima e del corpo. La Chiesa ha sempre benedetto e tuttora benedice le cure mediche per i malati.

La medicina moderna, nonostante i suoi incredibili successi, è un riflesso e uno sviluppo dell'antropologia umanistica, rifiutata dall'Ortodossia a causa del fatto che imprigiona una persona nei limiti della sua arroganza e mortalità. L'interesse di una tale antropologia per una persona è limitato alle sue funzioni biologiche e la vita è ridotta a un'esistenza biologica. E spesso si nota che dove tale medicina regna da sola, Dio viene espulso.

Nonostante tutto quanto sopra, non si deve trascurare il significato della medicina, che è un dono di Dio, per una persona che si trova in uno stato fisico o mentale debole. Cristo stesso è venuto nel mondo come guaritore delle anime e dei corpi umani. La manifestazione del regno di Dio si manifesta, tra l'altro, attraverso la guarigione dei malati. I numerosi miracoli di guarigione degli infermi, compiuti dai santi, sono considerati segni della grazia speciale di Dio. È significativo che tra le guarigioni vi fossero quelle in cui veniva donato un nuovo organo a una persona, come quando il Signore guarì un cieco privo di occhi dalla nascita (Gv 9:1-7), così come quelle in cui un organo veniva trapiantato, come un trapianto miracoloso di una gamba a un paziente, effettuato dai santi Cosma e Damiano. Infine, la malattia fisica è per molti versi simile alla malattia mentale. E quindi, la guarigione dei disturbi corporali può essere trattata come un modello per l'educazione spirituale e la guarigione di una persona. In presenza di malattia fisica è necessario astenersi dal cibo spazzatura e in presenza di malattia mentale è necessario osservare i comandamenti del Signore.

Nulla impedisce a un cristiano di cercare aiuto medico e di cercarlo dai medici più qualificati. Ma indipendentemente dal fatto che si affidi all'aiuto dei medici o meno, il proposito del Signore dovrebbe rimanere il suo obiettivo e un bene per la sua anima. Egli è chiamato a impegnarsi in ogni sua azione, come diceva l'apostolo Paolo: "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio" (1 Cor 10:31). Così, il credente, se necessario, ricorre ai medici e alle conquiste della medicina, senza però affidarsi interamente a loro.

La medicina si occupa della conservazione e del miglioramento della salute delle persone. In questo, si preoccupa dell'estensione della vita di una persona. La Chiesa non interferisce con la medicina in tale sforzo, tuttavia ne comprende bene tutta la relatività. Allo stesso tempo, la Chiesa esprime anche il suo punto di vista su una persona e sulla sua vita, offrendo a una persona non una via di sopravvivenza, ma una vita che vince la morte. Si noti che la tradizione ascetica della Chiesa prescrive l'uso moderato della medicina, per non cadere nel desiderio peccaminoso di fare della vita un culto. Naturalmente, ciò riguarda principalmente i monaci asceti. Tuttavia, ogni cristiano non dovrebbe rifiutare completamente un simile approccio, perché la ricerca dell'ascesi dovrebbe far parte della sua vita. E questo impegno si unisce alla maturità spirituale del credente, portandolo naturalmente al desiderio di dare di più, non di prendere. Ovviamente, questo vale anche per la questione del trapianto d'organi.

Il trapianto d'organi comprende un'ampia gamma di procedure e copre un'ampia varietà di forme. Inizia con le trasfusioni di sangue, cioè con il trasferimento di liquidi, quindi procede al trapianto di parti di organi doppi e termina con un trapianto di fegato o cuore. Negli ultimi anni, le cellule del midollo osseo geneticamente modificate sono state trapiantate nella medicina genetica per curare malattie come la fibrosi cistica. Inoltre, il trapianto di tessuto può essere eseguito da una parte del corpo all'altra nella stessa persona e gli organi e i tessuti possono essere trapiantati da una persona all'altra. Infine, un donatore di organi può essere vivo o morto. Vari circoli ecclesiastici e teologici esprimono paure legittime, o obiezioni categoriche, al diritto umano di partecipare a tali azioni. E queste obiezioni, ovviamente, sono particolarmente forti nel caso di un trapianto di un organo vitale – come un cuore – effettuato solo dopo la morte del donatore.

Argomenti contro i trapianti d'organo

Inoltre, un cristiano non solo può, ma deve anche osservare la volontà di Dio, espressa nei suoi comandamenti. Agendo secondo la volontà di Dio, ha sempre come meta la vita eterna, anche se la via per raggiungerle tale vita passa attraverso la morte. Una caratteristica distintiva dell'antropologia cristiana, che ha fatto una rivoluzione nei punti di vista dell'uomo, è stata che la vera vita dell'uomo è vista attraverso il prisma della morte. Sorge la domanda: diventando donatori dei tessuti e degli organi del nostro corpo, osserviamo i comandamenti di Cristo, la cui essenza trasmette il comandamento dell'amore per Dio e per l'uomo, e seguiamo il suo esempio?

Cristo ha insegnato il sacrificio di sé e si è sacrificato per la pace. Egli nutre le persone con il suo corpo e il suo sangue, certo, non per allungare la loro vita terrena, ma per rinnovarle e portarle all'incorruttibilità. Tuttavia, compiendo miracoli, prolunga la vita umana terrena. Così, egli condiscende alla nostra debolezza. Il suo scopo non era la guarigione miracolosa, ma la liberazione dell'uomo dal peccato: "Ma per farti sapere che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati", dice al paralitico, "io ti dico: alzati prendi il tuo letto e va' a casa tua" (Mc 2:10-11).

Le guarigioni miracolose e le resurrezioni dai morti, che Cristo fece, sono allo stesso tempo segni della venuta del suo regno. Se questi segni non portano una persona nella giusta direzione, perdono il loro significato. Allo stesso modo, la Chiesa è chiamata ad agire, mostrando segni del suo amore per una persona, senza dimenticare il suo obiettivo principale. E l'obiettivo principale della Chiesa non è la liberazione temporanea dell'uomo dalla morte biologica, ma la sua liberazione finale dalla paura della morte e dalla morte stessa. Per la Chiesa è molto più importante far disprezzare la morte che essere liberati dalla morte.

Naturalmente, l'aspirazione costante agli obiettivi più importanti non significa che vi sia disprezzo per questioni meno importanti. La Chiesa opera non solo con acrivia (serverità), ma anche con economia (condiscendenza). In se stessa, la teologia non può essere economia, ma l'economia ha una sua logica teologica. La donazione volontaria di tessuti o organi corporei a seguito di amore disinteressato è un atto che certamente ispira rispetto e richiede un atteggiamento pastorale serio e delicato. È difficile non ammirare l'atto di un uomo che dona un rene o un occhio per amore, per donare la vita o la vista al prossimo. Ed è tanto più ammirevole quando un donatore è pronto a sacrificare la propria vita per quella del prossimo. Certo, in questo caso si tratta di vera grandezza di spirito, che si rivela nella sua prospettiva teologica, e non solo dell'atto di inclusione nelle liste dei donatori volontari.

Definizioni scientifiche ed ecclesiastiche di morte

Nel trapianto di cuore, una definizione precisa di morte diventa cruciale. La Chiesa si riferisce alla morte di una persona come alla separazione dell'anima dal corpo. La medicina moderna spesso identifica la morte di una persona con la morte del cervello. Così la morte, dal punto di vista dell'antropologia meccanicistica della medicina moderna, è definita come una cessazione irreversibile dell'attività cerebrale, accompagnata da una perdita finale di coscienza. Se una cessazione irreversibile dell'attività cerebrale può essere stabilita a livello puramente biologico, allora la perdita finale di coscienza non può essere ridotta solo alla biologia, perché secondo l'antropologia ecclesiale, la coscienza è inseparabilmente connessa all'anima umana.

Secondo l'antropologia della Chiesa ortodossa, la cessazione dell'attività cerebrale non indica la separazione dell'anima dal corpo. Pertanto, non c'è giustificazione per identificarla con la morte. Secondo l'antropologia ecclesiastica, l'anima come entità speciale riempie l'intero corpo umano, essendo presente in tutte le sue parti. Il cervello non è il suo contenitore, ma il suo organo. La morte cerebrale significa la cessazione delle ovvie manifestazioni dell'anima, ma non necessariamente la sua separazione.

Tuttavia, secondo la moderna antropologia medica, che riduce l'anima a fenomeni mentali o azioni mentali, la morte cerebrale si identifica con una perdita finale di coscienza. Diventa così evidente che la controversia sulla morte cerebrale si riduce, in definitiva, a confondere i concetti dell'essenza e dell'energia dell'anima. Per l'antropologia ecclesiale, l'anima è un'entità e un'energia speciali. Al contrario, per l'antropologia medica moderna, l'anima è solo energia. Quindi, se, secondo l'antropologia medica, l'arresto del cervello è identificato con una perdita finale di coscienza, allora per l'antropologia ecclesiale è un arresto della manifestazione della sua energia.

In definitiva, la morte come separazione dell'anima dal corpo non cessa di essere un mistero. È impossibile dire con certezza che la separazione dell'anima dal corpo coincida con la morte del cervello. Può coincidere, può precedere o può addirittura seguire la morte del cervello. Le persone che sono sopravvissute alla morte clinica e sono tornate in vita, hanno sentito la separazione dell'anima dal corpo e hanno lasciato molte storie sull'esperienza indimenticabile di andare oltre i limiti del proprio corpo. Questa può essere considerata una prova della possibilità di separazione dell'anima e del corpo prima della morte cerebrale. Altre persone sono tornate in vita dopo l'arresto cardiaco e la temporanea cessazione dell'attività cardiaca e respiratoria. Ciò significa che la cessazione dell'attività cardiaca e respiratoria non è la separazione definitiva e irreversibile dell'anima e del corpo. Cosa si può argomentare sulla separazione tra anima e corpo nei casi di mantenimento artificiale della respirazione e dell'attività cardiaca? La domanda rimane senza risposta.

La percezione e l'apprezzamento dell'uomo come immagine di Dio

Qualsiasi tipo di donazione di organi o tessuti è un atto peculiare di sacrificio di sé. Nonostante ciò, è irragionevole paragonare questo atto al sacrificio di Cristo. Cristo ha sacrificato il suo corpo e il suo sangue affinché le persone ricevessero la vita non temporanea, ma eterna, la cui acquisizione può essere accompagnata dal sacrificio della vita temporanea. La vita temporanea non dovrebbe essere separata dalla vita eterna e diventare indipendente. Tuttavia, l'eccessivo attaccamento alla vita temporanea attenua il desiderio della vita eterna. "Perché chi vuole salvare la propria anima, la perde, e chi perde la propria anima per causa mia, la ritrova" (Mt 16:24 / Mc 8:35). "Chi ama la sua vita la perderà, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna" (Gv 12:25).

In altre parole, chi ama la sua vita la perde. Chi può rinunciare alla sua vita in questo mondo conserva la vita eterna. Questo cammino evangelico, in cui Cristo era in conflitto con la logica umana quotidiana, si trova indubbiamente su un piano diverso rispetto alla logica del trapianto. Nonostante quanto sopra, la misericordia e il coraggio richiesti per la donazione volontaria di organi non perdono di significato. Non si può ignorare la necessità di un sostegno pastorale per le persone che vivono gravi problemi di salute.

Le preoccupazioni sollevate da alcune persone circa la distruzione dell'integrità postuma dei corpi dei donatori di organi sono chiaramente scolastiche. L'uomo non si identifica con il suo corpo, con la sua anima, o semplicemente con la loro mescolanza o con la loro composizione. Tuttavia, c'è qualcosa che supera e unisce in sé tutto questo, che non è contenuto in alcun modo in nessuno di essi e non è definito in alcun modo in nessuno di essi. Una persona creata a immagine di Dio è sempre percepita e valutata attraverso l'immagine di Dio. Queste intuizioni e valutazioni si applicano simultaneamente a tutta l'umanità, a ogni singola persona e alle sue attività individuali. Nonostante ogni separazione tra materia e spirito, corpo e anima, individuo e società, le persone che sono immagine di Dio e che osservano il comandamento dell'amore, sono con Dio (che è amore), e insieme formano l'unico corpo della Chiesa di Cristo.

Nelle categorie di questa antropologia multiforme e in via di sviluppo, ogni goccia di sangue donata per amore del prossimo è sacrificio comune di tutta la persona. In questo caso perde di significato la ricerca scolastica delle conseguenze che la donazione di organi o tessuti può avere sull'integrità postuma del corpo. Allo stesso tempo, tuttavia, diventa evidente quanto incompatibile con questa antropologia sia la visione meccanicistica dell'uomo e l'esame dei tessuti e degli organi del suo corpo come materie prime mediche o pezzi di ricambio.

L'approccio ortodosso

L'approccio ortodosso a tutti i problemi del nostro tempo deve realizzarsi sulla base della misura della perfezione, la cui pienezza ritroviamo in Cristo. Questa misura, che ogni cristiano dovrebbe vedere davanti a sé, non deve però trasformarsi in spada, che ferisce i deboli nella fede. Senza dubbio, la perfezione cristiana esiste per tutti e non dovrebbe essere nascosta a nessun credente. Ma la debolezza umana è anche inerente a tutti ed è inammissibile per questo incolpare qualcuno. La Chiesa apprezza infinitamente la libertà umana e, in nome della sua conservazione, può esaurire tutta la profondità della sua condiscendenza.

La Chiesa dice il suo "no" decisivo solo nei casi in cui la libertà di una persona è violata e la sua santità è contaminata. È impossibile giustificare una situazione in cui le persone sono costrette contro la loro volontà a diventare donatori di organi o tessuti, prima o dopo la morte. Il corpo umano deve essere santo. E questa santità sia dei vivi che dei morti va rispettata. Il corpo non può essere considerato come materia prima medica o come magazzino di pezzi di ricambio.

Non si può presumere che una persona abbia accettato di essere un donatore, o che abbia dato il consenso, semplicemente perché non esiste un rifiuto documentato di essere un donatore. Gli standard per stabilire il consenso informato devono essere notevolmente elevati.

Infine, non vi è alcuna giustificazione per considerare la morte cerebrale come un criterio assoluto per determinare il momento effettivo della morte. I cristiani ortodossi capiscono che la morte è il mistero della separazione del corpo e dell'anima e una misurazione biologica dell'attività cerebrale non è sufficiente per stabilirlo.

La teologia ortodossa di solito non stabilisce regole di comportamento formulate una volta per tutte quando si risolvono vari problemi quotidiani, ma offre linee guida di base. Ciò non avviene per amore dell'ambiguità e del doppio linguaggio, ma per rispetto della verità e della personalità. Se la meccanica quantistica, considerando la materia, utilizza due concetti mutualmente esclusivi (onda e particella) come complementari e richiede di tenere sempre conto della posizione dell'osservatore, allora come si può considerare soddisfacente un approccio meccanicistico unidimensionale a una persona e alla sua salute? Lo stesso fatto oggettivo può avere due valori diametralmente opposti per una persona. La verità delle cose non rientra nel quadro delle regole esterne.

Come il privarsi della vita può diventare o la più alta manifestazione di amore (sacrificio di sé), oppure un atto di egoismo, di codardia e di un estremo grado di disperazione (suicidio), così il trapianto di organi o tessuti può diventare sia una manifestazione suprema dell'amore, oppure una manifestazione del disprezzo, che fa dell'uomo una mera merce.

Può essere una vittoria sulla morte attraverso l'accettazione volontaria della morte, oppure può essere la piena accettazione della caducità con una contemporanea scomparsa di tutto ciò che è spirituale. La teologia ortodossa non può accettare il trapianto di organi o tessuti da persona a persona, o anche la consueta trasfusione di sangue, come una mera procedura meccanicistica. Può, tuttavia, accettarlo come atto di servizio al prossimo e di sacrificio di sé. Pertanto, non considera i problemi del trapianto dal punto di vista di regole casistiche prestabilite, ma affronta individualmente ogni caso in base al criterio dell'amore disinteressato e del rispetto dell'individuo.

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