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  La preghiera di assoluzione sui defunti

del lettore John Nichiporuk

Russian Faith, 8 marzo 2021

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Durante il servizio funebre, mentre svolge gli ultimi riti per un cristiano deceduto, il sacerdote legge la preghiera di assoluzione scritta su un apposito certificato che egli porta con sé. Poi fa sul defunto il segno della croce e gli pone il certificato tra le mani. Cos'è questo documento ecclesiastico e qual è il suo scopo? Può un sacerdote perdonare i peccati di una persona già morta? Proviamo a trovare le risposte in questo articolo.

L'assegnazione di una penitenza

Nella tradizione ecclesiastica antica, in contrasto con la pratica pastorale moderna, era piuttosto diffusa l'usanza di ricorrere a varie penitenze ecclesiastiche. La penitenza era costituita da un periodo di scomunica dalla partecipazione alla comunione, che significava essenzialmente una scomunica dalla Chiesa stessa, poiché l'appartenenza al "piccolo gregge" si esprime prima di tutto nella comunione ai santi doni. A seconda della gravità del peccato commesso, la scomunica poteva durare fino a 20-25 anni, per esempio in caso di adulterio, omicidio, ecc. I cristiani che avevano peccato dovevano "provare" in pratica la loro correzione e diventare "più virtuosi", per essere riammessi nella comunità dei fedeli.

Inutile dire che, nelle condizioni moderne di una società secolarizzata, la chiesa è governata dall'economia pastorale (greco: οἰκονομία, ikonomìa) e non applica la lettera delle norme disciplinari, per non infliggere gravi danni pastorali, perdendo per sempre un frequentatore della chiesa che ha sbagliato ma che è desideroso, tuttavia, di essere in comunione con Cristo. È generalmente degno di nota che la disciplina penitenziale rimane ancora nella chiesa, avendo assunto, tuttavia, un carattere piuttosto "terapeutico", espresso attraverso esercizi spirituali, letture di preghiere, partecipazione a servizi, osservanza del digiuno e altre opere pie. Viene ammesso al sacramento della comunione il parrocchiano che si è confessato e ha compiuto un'adeguata preparazione. Tuttavia, nell'antichità, come già accennato, il vescovo o il sacerdote doveva assicurarsi che l'afflizione peccaminosa fosse superata e la penitenza fosse "eseguita". Solo a questo punto, il chierico leggeva al figlio pentito della chiesa una preghiera di perdono, assolvendo sacramentalmente i peccati di una persona e rimuovendo anche le censure ecclesiastiche.

Ora che abbiamo delineato questa pratica, possiamo passare alla preghiera di assoluzione, il cui significato, nei casi particolari in cui viene letta su un defunto, non è del tutto chiaro. Lo scopo di questa preghiera sembra essere cambiato dall'originaria abolizione della scomunica a quello che può essere figurativamente descritto come uno scopo "preventivo e profilattico", cioè il perdono dei peccati trascurati.

La preghiera d'assoluzione

C'è un'opinione tra i credenti che la preghiera di assoluzione, letta dal sacerdote sul defunto, sia un analogo del perdono sacerdotale durante il sacramento della confessione. Questo però non è del tutto vero. In questa preghiera il sacerdote chiede a Dio di perdonare tutti i peccati e pensieri peccaminosi che "legano" il credente, ma di cui il credente si è pentito con la contrizione. Come si può vedere, la preghiera intercede solo per il perdono dei peccati di cui ci si è pentiti, non di tutti i peccati in generale, men che meno di quelli degli impenitenti. La seconda parte della preghiera è direttamente correlata alla penitenza ecclesiastica, o, più precisamente alla regola ecclesiastica esistente (Canone 32 dei Santi Apostoli) secondo la quale tutte le penitenze o le censure ecclesiastiche sono rimosse da una persona che si avvicina alla morte, in modo che il viatico spirituale finale potesse essergli dato sotto forma della comunione. Se la persona sopravviveva, la penitenza riprendeva effetto.

Di solito solo il vescovo poteva revocare una penitenza, ma il presbitero poteva farlo anche per i moribondi. A tal fine, gli era consegnata una lettera del vescovo, che leggeva sul letto di morte di un cristiano scomunicato per potergli impartire liberamente i santi misteri (Scritti dell'Accademia Teologica di Kiev, 1876). In caso di morte, la lettera arrotolata veniva posta nelle mani del defunto, a testimonianza che era stato perdonato e che si poteva pregare per lui durante la Proscomidia. Ci sono molti esempi storici che testimoniano l'antichità di questa tradizione ecclesiastica. Una delle prime testimonianze in questo senso è la biografia di san Gregorio Magno (+ 604), che menziona una preghiera di assoluzione dagli anatemi ecclesiastici, da leggere sulla tomba di un monaco morto in stato di scomunica. Preghiere simili furono lette anche in Oriente; per esempio, l'imperatore Costantino VII Flavio Porfirogenito (905-959) una volta implorò i vescovi di leggere una preghiera di assoluzione per suo padre che era morto scomunicato (suo padre Leone VI il Saggio era al suo quarto matrimonio, proibito dalla Chiesa). L'usanza di mettere la lettera nelle mani del defunto apparve in Russia nell'XI secolo.

La preghiera d'assoluzione, sebbene in una forma leggermente diversa, ha le sue radici nell'antichità. Il prototipo di questa preghiera (che però non menziona penitenze o censure) si trova nella versione siriaca della Liturgia di san Giacomo ed è contenuto nella sua parte di intercessione, dopo la consacrazione dei santi doni. La forma attuale della preghiera potrebbe essere stata composta nel XIII secolo dal vescovo Germano di Amathus a Cipro. Questa preghiera non è letta per i bambini deceduti a un'età inferiore ai sette anni, nel qual caso viene sostituita da una particolare preghiera del funerale degli infanti.

Vediamo dunque che la preghiera di assoluzione (popolarmente chiamata "preghiera del viaggio") era originariamente letta per rimuovere le censure e le scomuniche della chiesa. Tuttavia, al momento, la sua enfasi è spostata sul perdono dei peccati trascurati per debolezza, così come l'assoluzione sacerdotale finale di tutti i peccati volontari e involontari, possibilmente commessi da un cristiano, con la sola condizione che non si tratti di peccati da impenitenti.

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