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  Liturgia e live streaming: due cose che non vanno assieme

dell'arciprete John Klingel

Orthochristian.com, 27 marzo 2020

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Con lo scoppio del coronavirus sentiamo ripetutamente appelli da molti preti e vescovi a praticare il distanziamento sociale, evitare la partecipazione alla Liturgia e fare affidamento invece sulla visione in live-streaming dei servizi liturgici. Si tratta di un buon consiglio?

Mentre l'assenza temporanea dai servizi liturgici può essere una parte necessaria della nostra risposta allo scoppio del virus, l'efficacia spirituale del live streaming è seriamente dubbia. Sì, in determinate circostanze, per esempio per coloro che sono gravemente malati, costretti a letto o troppo deboli per fare qualcosa di diverso da guardare un televisore o lo schermo di un computer, il live streaming della Liturgia può essere utile. Certamente, esiste la possibilità che l'innografia cantata nei servizi in live streaming possa essere ascoltata da coloro che altrimenti sarebbero stati disattenti se fossero stati fisicamente presenti. Molti hanno beneficiato qualche volta nel vedere servizi liturgici registrati su YouTube, che sono altamente educativi e spesso profondamente stimolanti. Perché, dunque, le funzioni registrate o trasmesse in streaming dal vivo rappresenterebbero per noi un pericolo spirituale, soprattutto in questo tempo di grave malattia e angoscia?

La risposta è perché nel vedere un servizio liturgico in questo modo, si frappone un'ulteriore barriera – lo schermo – tra lo spettatore e il celebrante della funzione. Questo unico elemento, e la postura che evoca nello spettatore, sono sintomatici del problema stesso che la Liturgia pone alla persona moderna. Sbirciare su un monitor per vedere qualcosa a cui saremmo destinati, invece, a partecipare attivamente, porta la Liturgia a essere ancora una volta fraintesa e abusata dallo spettatore. Invece di lasciare lo spettatore attivamente impegnato come un membro del corpo riunito assieme e manifestare la sua pienezza, il computer scompone l'unicità della Liturgia in isolamento, separazione e divisione. In effetti, il coronavirus scatena un devastante assalto alla Liturgia sconvolgendo tutto ciò che la Liturgia dovrebbe essere. Dovremmo stare spalla a spalla con i nostri fratelli, non tenerli a una distanza di due metri. Dovremmo stare insieme mentre lavoriamo per unire le nostre voci nel canto, non preoccuparci della diffusione dell'infezione. Dovremmo condividere intimamente un pasto con i nostri fratelli e sorelle, anche condividendo le stesse posate, non mangiare da soli in un ambiente di laboratorio perfettamente igienico. La Liturgia, quindi, è pensata per riflettere la vita stessa, che non è né ordinata né pulita. E la Liturgia – correttamente compresa – è pensata per essere lavoro, non intrattenimento, uno sforzo corporativo, non individuale. Dobbiamo lottare, cooperare e lavorare insieme per realizzare l'offerta a Dio delle cose che ci ha benedetti a condividere in questa vita.

Lo schermo del computer (simbolo rivelatore della modernità) continua e migliora semplicemente l'esclusione dalla Liturgia che noi già sperimentiamo ripetutamente. Il fatto è che per molti laici la Liturgia è noiosa, troppo lunga, incomprensibile e sconnessa dalla vita quotidiana. Nella nostra totale passività, la Liturgia è vista come qualcosa da guardare invece che da fare. È un dovere particolare da compiere e di cui sgravarsi il ​​più facilmente possibile. È l'uomo moderno, seduto passivamente in un banco con le gambe incrociate e l'occhio all'orologio, che è completamente privo di solidarietà e ignaro della ragione, dello scopo e del profondo bisogno dell'azione liturgica. Forse questa persona gravemente estraniata (che è ciascuno di noi) ha bisogno di una tragedia come quella attuale che gli serva da allerta, che lo risvegli e lo conduca a una consapevolezza della nostra totale dipendenza dalla misericordia di Dio e da Dio come fonte e arbitro ultimo della vita.

Ora, se questa è l'esperienza della Liturgia che alcuni o molti hanno quando viene condotta all'interno delle mura della Chiesa, che tipo di esperienza speriamo di avere della Liturgia quando celebriamo quella che è stata chiamata la liturgia dopo la Liturgia nelle nostre case? Innanzitutto, dobbiamo riconoscere con profondo rammarico che per molti cristiani ortodossi la casa non è più  un luogo di preghiera. Abbiamo perso l'abitudine della preghiera in casa. Se ci preoccupiamo di mantenere un angolo delle icone nelle nostre case, questo rimane per molti semplicemente un ornamento culturale ma non un luogo vivente di preghiera. E coloro che praticano regolarmente la disciplina della preghiera quotidiana in casa, sanno per esperienza che la preghiera condotta in questo modo è, per definizione, lavoro e sforzo. Stare davanti alle icone sacre, inchinarsi e prosternarsi, leggere le preghiere ad alta voce e ricordare i nomi dei nostri cari, richiede tempo e fatica. Ed è questo tempo e questo sforzo che collega effettivamente la nostra preghiera individuale e privata con la preghiera corporativa e pubblica della Chiesa. È questa dipendenza dalle preghiere scritte nel libro di preghiere che ci unisce alla santa Tradizione della Chiesa e modella i nostri pensieri e percezioni. E quindi è profondamente ironico che quando ci troviamo di fronte a una minaccia internazionale alla nostra salute e al nostro benessere che alcuni vescovi si accontentino di sostituire la visione dei servizi liturgici al posto dell'esercizio (che qui è la parola perfetta) della preghiera personale, al posto del comandare i fedeli di prosternarsi davanti a Dio. L'idea di offrire ancor di più della stessa cosa che è il nostro problema, la nostra passività e la completa mancanza di impegno, come se fosse la soluzione al problema, è sorprendente.

Ma c'è un lato oscuro nella dipendenza da Internet. Abbiamo visto l'onnipresente diffusione del male, del vizio e dell'oscenità in un modo unico attraverso questo mezzo. Le immagini degli aspetti più sacri della vita sono state catturate e abusate nei modi più profondi e profani. Le cose intime e belle sono state pervertite e oggettificate puramente per il piacere sensuale. E ora si suggerisce che qualcosa di estremamente sacro – la stessa Liturgia – sia visto qui. Dimentichiamo, tuttavia, che la Liturgia ha determinati requisiti umani. Il nostro culto ha una fisicità che non è negoziabile. Entriamo nella chiesa (un luogo) e accendiamo candele davanti alle icone. Sentiamo l'odore della cera d'api e dell'incenso. Il diacono ci dice di chinare il capo al Signore e noi lo facciamo. Il sacerdote eleva l'agnello, lo spezza e lo posiziona in parti precise nel calice in modo che possiamo mangiarlo, non guardarlo. Ma ora, per qualsiasi motivo, io non posso soddisfare i requisiti umani della riunione, il sobor, la sinassi. Piuttosto che riconoscere che mi viene negato qualcosa di ineffabile e insostituibile, nel mio istinto moderno e caduto preferisco provare gli stessi sentimenti che proverei se le circostanze mi permettessero di fare il lavoro necessario (cioè la Liturgia) anche quando non posso farlo o non lo farò. Quindi creo un mondo artificiale di immagini per gratificarmi e produrre quei sentimenti. Ma la Liturgia non è offerta per questo scopo. Sebbene possa produrre sentimenti di profonda emozione nel credente, l'obiettivo della Liturgia è di chiamare l'umanità a una realtà più alta e più nobile, una realtà noetica in base alla quale riconosciamo i limiti della vita e dell'esperienza creativa. Il percorso verso questa realtà noetica, tuttavia, non è attraverso il sotterfugio o l'oggettificazione, ma attraverso la moderazione delle passioni, la lotta e l'ascetismo. Almeno, questo è ciò che ci dicono i santi.

Dimentichiamo che la Liturgia è una ierofania [manifestazione del sacro, ndt]. Quando sono stato ordinato era permesso fotografare, ma c'erano ancora persone che ricordavano quando questo non era permesso all'interno di una chiesa. Le funzioni sono sacre e il divieto della fotografia era inteso a preservare la loro sacralità, a prevenire la loro rappresentazione come qualcosa di comune o banale. In effetti, qualcosa si perde quando riproduciamo artificialmente ciò che è puramente originale nella vita.

Il Coronavirus è una grave minaccia per la nostra salute, molti ne hanno sofferto e ne sono morti e, per essere sinceri, probabilmente molti ne soffriranno nei mesi a venire. Parte di questa sofferenza comporta l'interruzione della nostra vita, del nostro lavoro, delle nostre celebrazioni, della nostra economia. Dobbiamo venire a patti con tutto questo e piangere queste perdite, non cancellarle con l'apparenza di normalità. Anche la nostra perdita della capacità di celebrare la Liturgia con la regolarità e la frequenza che normalmente avremmo è parte di questa sofferenza. Dobbiamo riconoscere questo e quindi reindirizzare il nostro dolore verso una devota preghiera a Dio, condotta nelle nostre case e davanti alle sante icone, secondo la Tradizione e attraverso le preghiere dei nostri santi Padri.

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