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  Intervista di Tudor Petcu all’igumeno Ambrogio sui viaggi spirituali

Nella foto: Tudor Petcu

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Prima di tutto, le chiederei di dirmi: quali sono i più importanti luoghi spirituali che ha visitato fino ad ora? Quando le pongo una tale domanda, faccio riferimento ai luoghi spirituali che riguardano il mondo ortodosso.

La lista delle mie visite a paesi e luoghi spirituali ortodossi è facile da stilare:

Grecia e Monte Athos (1995)

Romania (1995-1996)

Ucraina (2000)

Serbia, Kossovo e Montenegro (2003)

Israele e Palestina (2004)

Romania e Moldova (2006)

Serbia (2011)

Kossovo e Albania (2014)

Tuttavia, sarebbe riduttivo localizzare i luoghi spirituali solo nei paesi di tradizione ortodossa. Ho visitato chiese, monasteri ed eremi ortodossi in paesi occidentali, e non posso non menzionare quei centri che attirano ogni anno pellegrini ortodossi da molti paesi. Bari è l’esempio più noto, ma anche la mia stessa città di Torino attira pellegrini alla Sindone... per cui posso dire di sentirmi parte di un’onda di pellegrinaggio anche stando in casa!

Prendendo in considerazione i suoi viaggi spirituali, oppure diciamo i suoi pellegrinaggi, dove ha scoperto veramente la profondità dell’Ortodossia e, non ultimo, la presenza di Dio? In altre parole, dove ha avuto di fatto luogo il suo incontro con l’Ortodossia, vale a dire con la Verità del Signore?

Onestamente, posso affermare che per l’incontro con l’Ortodossia non ho avuto bisogno di lunghi o ripetuti spostamenti. Certo, a portarmi a prendere la mia decisione di entrare nella Chiesa ortodossa hanno contribuito diversi fattori, tra cui incontri personali, letture, riflessioni... ma queste cose avrebbero potuto accadere dovunque. Ancora oggi, posso dire che sento la profondità dell’Ortodossia in qualsiasi chiesa, per quanto modesta, e questo è un grande incentivo a sentirmi bene ovunque.

Lei sa già che mi piace moltissimo parlare dell’Italia ortodossa, e che cerco di farla conoscere anche nel mio paese, per questo mi interesserebbe che mi dicesse dove lei, come italiano convertito all’Ortodossia, ha incontrato l’eredità ortodossa dell’Italia.

Quando ci si familiarizza con la Chiesa ortodossa, è facile trovare le radici ortodosse dell’Italia: resti di iconostasi, di battisteri a immersione, frammenti di affreschi, usanze e detti popolari... da una parte, tutto questo testimonia che l’Ortodossia è ancora latente sotto la superficie, e che nemmeno un millennio di tabula rasa è riuscito a cancellarne tutte le tracce; d’altra parte, è la prova di un genocidio culturale tanto profondo da far perdere le speranze di riuscire un giorno a colmare l’abisso che si è creato, e che l’ecumenismo contemporaneo ingenuamente definisce “diversità di espressione locale”.

Penso che lei abbia viaggiato molto anche fuori d’Italia, facendo riferimento al mondo occidentale da questo punto di vista. Potrebbe mettere in evidenza le personalità ortodosse occidentali che ha incontrato durante i suoi viaggi spirituali?

Ho avuto occasione di incontrare alcuni degli autori ortodossi più letti, e che hanno avuto un ruolo nella conversione all’Ortodossia di molte persone. Per non nominare che tre famosi metropoliti delle Chiese russa, romena e greca, ho conosciuto ancora nei miei anni pre-ortodossi Antony (Bloom), e in seguito Serafim (Joantă) e Kallistos (Ware). Tuttavia, non sono solo le persone che risiedono nei paesi occidentali a svolgere un ruolo importante. Per citare ancora un paio di metropoliti, non posso non ricordare le mie frequentazioni con sua Beatitudine Onufrij (Berezovskij) di Kiev e di tutta l’Ucraina, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’avviare la riunificazione tra il Patriarcato di Mosca e la ROCOR, cambiando così il panorama della Chiesa russa nel mondo, e con sua Eminenza Nikolozi (Pachuashvili) di Akhalkalaki e Kumurdo, che ha svolto un grande lavoro nel far conoscere la Chiesa georgiana in Occidente. Potrei continuare con una lista molto lunga di chierici, monaci e laici molto importanti per lo sviluppo dell’Ortodossia in Occidente, ma rischierei di lasciarne fuori molti: il loro numero non si esaurisce con le molte personalità che sono state descritte in più di sette anni di divulgazione costante sul sito della nostra parrocchia a Torino.

Ora avrei una domanda molto semplice che esprime infatti una mia curiosità personale vista la mia voglia di comprensione spirituale: cosa significa davvero essere un pellegrino dal suo punto di vista?

Vedo il pellegrino come un viaggiatore con una dimensione spirituale, che non viaggia necessariamente all’esterno (la categoria degli “entronauti” descrive bene i viaggiatori che vivono la dimensione spirituale nella loro interiorità). Ovviamente i viaggi cambiano chi li compie, e il pellegrino deve pertanto essere disposto a vivere qualche cambiamento spirituale, per lo meno in chiave di approfondimento della propria fede.

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