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  Lettera di un vescovo ai suoi sacerdoti

ieromonaco Petru (Pruteanu)

dal blog Teologie.net

27 gennaio 2015

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Recentemente, ho ricevuto da alcuni preti di una diocesi della Chiesa ortodossa romena una lettera che il loro vescovo aveva inviato loro via e-mail. Riproduco il contenuto della lettera, poi aggiungo alcuni commenti.

"Il Signore ci aiuti, fratelli,

Nonostante la nostra abitudine "tradizionale" di benedire le icone in base alla santa Tradizione, non c'è bisogno di benedire un'icona, perché l'immagine stessa di chi vi è rappresentato costituisce di fatto la sua "benedizione". Vi aggiungo una disposizione del Pedalion (verso la fine), in cui si dice di non seguire le abitudini "papiste" di benedire le icone...

Perché, tuttavia, è apparsa questa pratica e perché si continua a seguirla?

Personalmente credo che lo spirito mondano (cioè "secolare", da cui viene la "secolarizzazione"), che ha svuotato della fede le anime umane, abbia determinato il bisogno umano di "santificare" un oggetto che normalmente non ha bisogno di santificazione (essendo già munito del sigillo di santificazione di chi vi è rappresentato). Ma l'indebolimento del senso del sacro e della pietà dei pittori di icone (che raramente fanno digiuno e pregano prima di dipingere), a cui si aggiunge anche l'apparizione delle riproduzioni litografiche, che non hanno più molta parte di preghiera e digiuno, a mio parere, hanno determinato la necessità di "benedire" l'icona, non avendo più la coscienza e la convinzione che ciò che vi è rappresentato è la fonte da cui viene la benedizione... Pertanto, è consuetudine lasciare l'icona all'altare 40 giorni per "permearla" di un po' della santità delle funzioni all'altare... per non parlare delle icone su carta o litografate e incorniciate su cui è scritto "santificata" per tranquillizzare le coscienze più scrupolose...

Credo che questa mentalità si sia sviluppata sullo sfondo della mancanza della comunione ai santi misteri tra coloro che utilizzano le icone e che, essendo in carenza di grazia, cercano di compensare come possono, perdendo vere e sane intuizioni liturgiche e sacramentali... Purtroppo, il clero (a tutti i livelli) si è compiaciuto di questa situazione, rispondendo con inventiva alle domande dei fedeli e accordando loro ogni tipo di "biberon di plastica" e di "surrogati" liturgici, a causa della secolarizzazione e della perdita del suo senso del sacro, della svalutazione del ministero e dell'ingresso di routine nell' altare come in uno spazio "ordinario", della celebrazione della Liturgia senza neppure "pregare" (ma limitandosi a sollecitare gli altri a farlo) e dell'accostamento ai misteri senza la pietà e l'emozione avute all'ordinazione, ma solo in virtù di un "automatismo" derivante dallo status di "chierico"...

• Così è apparsa l'abitudine di porre il calice (che in quel momento contiene solo vino e acqua benedetti) sul capo dei pii cristiani all'ingresso con i "doni";

• così è apparsa l'abitudine di "scavalcare" i credenti che si sdraiano sul pavimento all'ingresso con gli stessi "doni" ancora non santificati;

• così è apparso il cosiddetto rito delle "preghiere di svestizione del sacerdote" alla fine della Liturgia, per far partecipare anche i poveri cristiani alle "briciole di santità" che dovrebbe dare loro il sacerdote;

• così è apparso il "servizio della biancheria" (come lo chiama Padre Arsenie Boca in una lettera al metropolita Nicolae Balan di Sibiu), l'aspersione con l'acqua santa e l'unzione con l'olio degli infermi di biancheria intima e foulard scroccati ai propri familiari, a loro beneficio;

• così si è accentuata la necessità di leggere "preghiere di liberazione" per risolvere i problemi (senza alcuno sforzo, se non quello finanziario, da parte del "cliente") invece di fare esortazioni a cambiare vita;

• così è apparsa la svalutazione dell'acqua benedetta della Teofania, come un sostituto della comunione, come se chi è indegno di comunicarsi fosse degno di una "santificazione minore"...;

• così è apparsa la benedizione dell'antidoro durante la Liturgia, dopo la consacrazione, dimenticandosi che il termine "anafora" riferito al pane benedetto indica solo l'elevazione "in alto" alla Proscomidia, della prosfora da cui è preso il santo agnello, un gesto che santifica il pane che non deve essere benedetto una seconda volta (mentre le altre piccole prosfore sono "santificate"estraendo da loro le particole delle commemorazioni, e neppure queste hanno bisogno di essere benedette di nuovo);

• così si è iniziato a dare il pane benedetto come "antidoro" (al posto dei doni) a chi non si può comunicare o non è "preparato a comunicarsi", quando in realtà era destinato proprio a quelli che si comunicavano al santo agnello preso dalla prosfora "elevata" alla Proscomidia e quindi diventata "anafora" (questo è ancor più evidente nel caso dei santi agnelli estratti per la Liturgia dei doni presantificati, mantenendo il resto delle prosfore dopo la rimozione degli agnelli, e tagliando tale resto come "anafora" da offrire ai credenti che si sono comunicati, durante il canto del Salmo 33 alla fine della Liturgia in cui si è utilizzato il santo agnello estratto da tale prosfora);

• così si è arrivati a dare in alcuni casi, dopo la comunione, invece di un po' di vino dolce mescolato con acqua calda (per risciacquare la bocca dopo la comunione – nota di padre Petru), "acqua santa" ai comunicanti aggiungendo così una "santificazione" a una "santificazione", fatto benedetto dalla Chiesa, in via eccezionale, solo nei giorni della festa dell'Epifania, fino alla conclusione della festa (oggi interpretato male, come se fosse una riduzione dei tempi in cui i cristiani possono bere l'acqua santa della Teofania solo in quei giorni, quando, in realtà, l'acqua santa della Teofania si può bere al risveglio in tutti i giorni dell'anno, ad eccezione di quelli in cui ci comunichiamo: ecco la ragione principale per cui l'acqua santa della Teofania è conservata per tutto l'anno); etc ...

Qual è il modo per tornare sul sentiero autentico e liberato dalle "innovazioni" aggiunte alla santa Tradizione?

Non credo che abbia un valore pedagogico iniziare a rifiutare ai cristiani la benedizione delle icone (essendoci preghiere a questo fine nell'Eucologio, fin dai tempi di [san] Pietro Movila), ma piuttosto deve lavorare per ripristinare il senso spirituale di ciò che si compiere nei servizi divini e, poco a poco, troveremo anche il senso liturgico e sacramentale del ministero divino, comprenderemo il vero significato (a differenza di quello erroneo di oggi) delle parole del diacono all'inizio della Liturgia: "è tempo di agire per il Signore" che in realtà significa: "è tempo che IL SIGNORE agisca", cioè È LUI QUELLO CHE AGISCE e noi concelebriamo con lui e NON VICEVERSA!; riscopriremo il contenuto profondo della "fede", della "pietà" e del "timore di Dio" con cui siamo invitati (ANCHE NOI, IL CLERO, NON SOLO I LAICI!) a entrare in chiesa, e così le nostre anime torneranno a essere permeabili alla grazia e all'azione dello Spirito Santo, per la nostra realizzazione e per l'aiuto e la consolazione dei fedeli... allora potremo offrire altre spiegazioni ai poveri cristiani assetati di santificazione e dare loro LA VERA SANTIFICAZIONE, con ogni mezzo che la Chiesa ci mette a portata di mano ...

Che Dio ci aiuti!

Le mie osservazioni:

1. Purtroppo, la Chiesa ortodossa, inclusa quella romena, è giunta a una situazione in cui i vescovi possono comunicare liberamente e comodamente con i loro preti solo quando si tratta di soldi. Per il resto, quando vogliono comunicare qualcosa di spirituale, sono costretti a farlo attraverso le email private, quasi clandestine, per non scontentare i loro superiori. Ma è bene che anche così alcuni compiano il loro dovere. Apprezzo molto questa vicinanza ai propri sacerdoti.

2. Dal momento che il testo della lettera non appare sul sito ufficiale della diocesi, e non è stato inviato come circolare ufficiale, ho pensato che non devo rivelare il nome del vescovo. Tuttavia, per l'importanza delle idee, non ho potuto nascondere la lettera, soprattutto perché conferma alcune idee che ho scritto ed esposto per anni. Mi auguro che il vescovo non si offenda per questo mio gesto, fatto solo sulla base di buone intenzioni e di un sincero apprezzamento.

3. Devo precisare che, oltre a correggere alcuni errori di ortografia (che parlano del carattere spontaneo e naturale della lettera), ho rimosso fin dall'inizio un'intera frase, che poteva tradire l'identità del mittente. Ma la mancanza di questa frase non cambia l'essenza della lettera, anzi la rende ancor più comprensibile e generale.

4. Alcune questioni liturgiche indicate nella lettera sono discutibili e non possono essere trattate in modo così semplicistico, ma in generale tutto è ben esposto e merita di essere ascoltato da tutti i sacerdoti ortodossi.

5. I temi affrontati meritano di essere dibattuti in circoli più ampi, così come, eventualmente, di ricevere un apprezzamento sinodale, che spero sarà fatto nello stesso spirito. La mia speranza si basa sulla felice costatazione che ci sono molti vescovi con un punto di vista simile. Tuttavia, temo che essi siano ancora lungi dall'essere una maggioranza nel Sinodo della Chiesa ortodossa romena.

P.S. Vi prego di astenervi dal rivelare l'identità del mittente (se lo conoscete), perché non succeda che, volendo lodarlo e apprezzarlo, finiamo per fargli del male...

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