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  Le preghiere ai santi e le preghiere per i defunti

di Gabe Martini

dal blog On Behalf of All

18 gennaio 2013

 

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L'idea di pregare per i santi defunti (o di chiedere le loro preghiere) per molti oggi è piuttosto controversa, e senza dubbio tiene lontane molte persone dal prendere sul serio sia la Chiesa cattolica romana o la Chiesa ortodossa. Dal momento che questo sembra essere un ostacolo importante, ho pensato che sarebbe stato utile per me, e forse per altri, delineare semplicemente cosa vuol dire rivolgersi ai "morti". È biblico? È storicamente radicato nella vita della Chiesa? È cosa buona per la Chiesa e il suo popolo? Guardiamo un po' più da vicino. (Devo avvertire che questo post è più lungo rispetto ai miei soliti).

Mentre ho forse dimostrato altrove che il canone protestante delle Scritture è sia impreciso sia storicamente insostenibile, questo non è lo scopo principale del testo presente. Così, per il bene di questa discussione, cercherò di concentrarmi principalmente sui passi delle Scritture che si trovano all'interno del loro canone (ma includerò in seguito anche alcuni degli altri, per una prospettiva più ampia).

Uno dei passaggi più suggestivi relativi a questo argomento si trova nella seconda epistola di Paolo a Timoteo, dove Paolo scrive (1:16-18):

"Il Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesiforo, perché egli mi ha più volte confortato e non s'è vergognato delle mie catene; anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché mi ha trovato. Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno.

Se si guarda a questo passo con attenzione, si può notare che San Paolo sta di fatto pregando che il Signore abbia misericordia di Onesiforo nel giorno del giudizio, con l'implicazione che egli è già morto. Questo è in genere sostenuto dal punto di vista che san Paolo prega per la famiglia di Onesiforo separatamente dall'uomo stesso, e più avanti in questa stessa epistola durante i suoi commenti di "addio", scrive: "Salutate Prisca e Aquila e la famiglia di Onesiforo" (4,19). Alcuni commentatori, come il pastore riformato Matthew Henry, hanno sostenuto che questo significa semplicemente che Onesiforo era con san Paolo in quel momento, e così lui stava salutando tutta la loro famiglia in sua assenza. Tuttavia, san Paolo dice in questo stesso capitolo: "Solo Luca è con me" (4,11), e poi chiede che gli sia inviato anche Marco. Non viene fatta menzione di Onesiforo individualmente se non nel contesto di pregare per la sua salvezza "in quel giorno."

Non sorprende che ci siano molti modi in cui gli studiosi evangelici cercano di evitare di venire alla conclusione che san Paolo sta pregando per la salvezza di una persona morta. In effetti, alcuni ammetteranno che Onesiforo è morto, ma poi diranno che san Paolo sta semplicemente esprimendo un "bel pensiero" su di lui, e non sta formalmente "pregando per" lui. Questo, però, dimostra una visione un po' strana della preghiera. Come cristiani dobbiamo essere sempre in uno stato di preghiera (Filippesi 4:6; 1 Tessalonicesi 5:16-17), e la preghiera è poco diversa da un dialogo con Cristo, come se fosse proprio qui in mezzo a noi; un bel pensiero per Cristo è una bella preghiera a Cristo.

D'altra parte, ho scoperto che molti studiosi evangelici – con una certa riluttanza, nella maggior parte dei casi – concedono che san Paolo di fatto sta pregando per la "salvezza" di una persona morta in quest'epistola. La maggior parte di loro preferirà sottovalutare questa realtà, ma ammetteranno che è la più probabile spiegazione a noi disponibile.

Per esempio, Alfred Plummer dice di questo passaggio:

"Certamente il saldo delle probabilità è decisamente a favore del parere che Onesiforo era già morto quando san Paolo scrisse queste parole [...] egli qui parla della "casa di Onesiforo" in connessione con il presente, e di Onesiforo stesso solo in connessione con il passato [...] non è facile spiegare questo duplice riferimento alla famiglia di Onesiforo, se egli stesso era ancora vivo. In tutti gli altri casi è menzionato l'individuo e non la famiglia [...] C'è anche il carattere della preghiera dell'Apostolo. Perché limita suoi i desideri aspettando il ricambio della gentilezza di Onesiforo 'al giorno del giudizio? [...] Anche questo è del tutto comprensibile, se Onesiforo è già morto.

The Expositor’s Bible (ed. W. Robertson Nicoll), "The Pastoral Epistles", pp 324-326

Più tardi, nella stessa sezione, Plummer conclude che, poiché "secondo l'opinione più probabile e ragionevole, il passo davanti a noi contiene una preghiera offerta dall'Apostolo a nome di un morto, ci sembra di aver ottenuto la sua sanzione, e quindi la sanzione della Scrittura, per l'utilizzo di simili preghiere noi stessi. "

Un altro evangelico, lo studioso anglicano J. N. D. Kelly, scrive di questo passaggio:

"Partendo dal presupposto, che deve essere corretto, che Onesiforo era morto quando furono scritte queste parole, abbiamo qui un esempio, unico nel Nuovo Testamento, di preghiera cristiana per i defunti [...] l'affidamento di un morto alla divina misericordia. Non c'è nulla di sorprendente nell'uso da parte di Paolo di questa preghiera, perché l'intercessione per i defunti era stata sanzionata nei circoli farisaici almeno da quando fu scritto 2 Macc 12:43-45 [...] Le iscrizioni nelle catacombe romane e altrove dimostrano che la prassi si è affermata tra i cristiani sin dai tempi remoti.

A Commentary on the Pastoral Epistles, p. 171

E, infine, Philip Schaff (un evangelico presbiteriano) scrive:

"Partendo dal presupposto già menzionato come probabile, questa, ovviamente, dovrebbe essere una preghiera per i defunti. Il riferimento al grande giorno del giudizio rientra in questa ipotesi [...] Da un punto di vista delle controversie, ciò sembra favorire la dottrina e la prassi della Chiesa di Roma.

The International Illustrated Commentary on the New Testament, Vol. 4: “The Catholic Epistles and Revelation,” p. 587.

Ci sono alcuni altri commenti che condividono lo stesso punto di vista (ad esempio Henry Alford, The Greek Testament, Vol. 3, p. 376 ; J. E. Huther, Critical and Exegetical Handbook to Timothy and Titus, p. 263; ecc), ma non è necessario qui fare riferimento a tutti. È sufficiente a dire che questa non è una "nuova" o "strana" interpretazione di questo passo, e trova il suo posto non solo nell'antichità della Chiesa apostolica e nei padri della Chiesa primitiva, ma anche tra i recenti studiosi evangelici.

Un altro argomento da prendere in considerazione è quello della "consapevolezza" dei santi e dei martiri defunti in cielo (cioè in presenza di Dio o in Paradiso, e non nell'Ade in attesa del giudizio finale con la maggior parte dell'umanità defunta). In altre parole, essi sono consapevoli di ciò che sta succedendo qui sulla terra, mentre sono in cielo? Dopo tutto, se non sono in grado di osservare ciò che accade qui sulla terra, come potrebbero non solo unirsi a noi nel culto ma anche pregare per noi o essere consapevoli del fatto che stiamo chiedendo loro di pregare per noi, in primo luogo? La Scrittura, a quanto pare, non tace nemmeno su questa particolare questione.

Per esempio, nel Vangelo secondo Luca, è riportato che Gesù dice: "Io vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di pentimento" (15: 7), e ancora: "Allo stesso modo, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte" (15:10). Sembra che Gesù crede che sia le persone sia gli angeli in cielo siano consapevoli di ciò che avviene sulla terra, e non sono radicalmente separati da ciò che accade.

Altrove, la lettera agli Ebrei sembra sostenere sia la presenza sia la consapevolezza dei santi in cielo rispetto ai santi che sono in formazione sulla terra. Dopo un resoconto della fede dei molti israeliti e profeti che ci hanno preceduto nel Capitolo 11 (quasi identico ai resoconti che si trovano nella Sapienza di Salomone, cap. 10, e nella Sapienza di Siracide, cap. 44-50, per non parlare dei riferimenti fatti all'assunzione di Mosè), l'apostolo Paolo scrive: "Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede"- (12,1-2). Qui la descrizione di una corsa e dell'essere circondati da tali testimoni (letteralmente "martiri" in greco) è simile a quella di un ippodromo greco-romano o di una gara olimpica. In questo caso, gli spettatori sono i santi che hanno già "finito la gara," e sono con noi, sostenendoci fino alla fine (e senza dubbio, attraverso le loro preghiere).

Il culto della Chiesa come descritto in Ebrei è il culto dei santi di tutte le età, insieme con gli angeli in cielo. Non siamo in alcun modo sconnessi o separati l'uno dall'altro – e soprattutto nel contesto della preghiera o del culto liturgico. "Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell'aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele" (12:22-24). È nel culto liturgico e nella preghiera che noi siamo più presenti con i santi e gli angeli che rendono culto in cielo, e la cui unione con Cristo è anche maggiore di quella della nostra (allo stato attuale), dopo aver "finito la corsa" e con i loro "spiriti ... resi perfetti".

Il corpo di Cristo è unico, e non ha molto senso credere che non possiamo pienamente comunicare e interagire in modo significativo – soprattutto nel contesto del culto – con i santi e i martiri dipartiti da questa vita e accolti con Cristo in cielo. In realtà, essi devono essere considerati soprattutto come esempi di fede da seguire, sapendo che hanno finito la gara e non svaniscono alla fine. Ancora una volta, san Paolo scrive: "Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede" (13:7). Se guardiamo solo a quelli che sono ancora in vita sulla terra come esempio di fede, questa potrebbe certamente essere la rovina delle nostre anime, poiché le persone in questa vita potranno sempre deluderci e molti tragicamente si allontaneranno anche dalla fede stessa. Tuttavia, con i santi fedelmente defunti, sappiamo che hanno finito la gara, perseverato sino alla fine, e sono salvati; imitare la loro fede e santità è certamente una "scommessa sicura".

Ciò non significa, tuttavia, sottovalutare l'importanza che i cristiani ortodossi devono dare all'obbedienza ai nostri padri spirituali qui sulla terra, in particolare a coloro ai quali sono affidate le nostre anime e i nostri corpi (Ebrei 13:17). Ci deve essere un giusto equilibrio tra la nostra venerazione dei dipartiti da questa vita e al sottomissione a coloro a cui cristo ha affidato il compito di vegliare sulla nostra vita spirituale mentre compiamo ancora la nostra corsa.

Tuttavia, anche in contesti diversi da quelli del culto o della preghiera, i santi in cielo sono consapevoli di ciò che avviene sulla terra.

Per esempio, al suo ritorno sulla terra, Samuele rimprovera Saul per la sua condotta mentre egli era morto e sepolto, dicendo: "Non hai ascoltato la voce del Signore, né hai compiuto la sua ira contro Amalek. Questo è il motivo per cui il Signore ti ha fatto questo oggi "(1 Re 28:18 LXX). Inoltre continua a prevedere per Saul quello che sta per accadere il giorno dopo, avendone già conoscenza (forse perché il cielo – e Dio – sono al di fuori del tempo). In modo simile, durante la Trasfigurazione del Signore Gesù Cristo, i santi profeti Mosè ed Elia parlano con Cristo della sua imminente crocifissione, intimamente consapevoli di ciò che sta accadendo sulla terra, al momento in cui appaiono a lui e agli apostoli con lui (Lc 9:31).

Anche in questo caso, dal momento che il Corpo di Cristo è unico, è ragionevole che siamo intimamente e unicamente "collegati" tra di noi in un modo che spesso è indescrivibile. Soffriamo l'uno con l'altro (Eb 13:3), preghiamo gli uni per gli altri (Eb 13:18), e rendiamo culto uno accanto all'altro (Eb 12:22-23,28) – sia quelli che stanno sulla terra sia quelli nei cieli.

Infine, su questo punto, leggiamo nell'Apocalisse dell'apostolo Giovanni che i martiri sono consapevoli del passare del tempo sulla terra e di ciò che vi è o non vi è trapelato, poiché si lamentano "Fino a quando, o Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra? "(Ap 6:10). E più tardi, è scritto: "E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e furono date loro sette trombe. Poi un altro angelo, reggendo un turibolo d'oro, venne e si fermò presso l'altare. Gli fu dato molto incenso, perché l'offrisse insieme alle preghiere di tutti i santi sull'altare d'oro posto davanti al trono. E il fumo dell'incenso, insieme con le preghiere dei santi, salì davanti a Dio dalla mano dell'angelo" (8:2-4).

Oltre ad essere una vivida descrizione della liturgia tardo-apostolica, questo passo significa che le preghiere dei santi sono presentate a Dio. Affinché questo non includa le preghiere dei "morti", dovremmo anche dire che i morti non sono santi. Chi, sano di mente, parlerebbe di un cristiano in cielo come di qualcosa di diverso da un santo? Sono i santi di Cristo che abitano nella presenza del Signore e lo adorano e lo pregano continuamente, a nome del mondo intero.

Consapevole del fatto che i protestanti rifiutano il "canone" ortodosso-cattolico della Scrittura, voglio comunque condividere pochi passi dagli altri libri che sembrano presupporre una visione simile dei santi defunti, così come si trova nei passi precedenti.

Nel meraviglioso libro di Tobia, l'arcangelo Raffaele dice (cap. 12):

"Quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l'attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti. Quando poi tu non hai esitato ad alzarti e ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a curare la sepoltura di quel morto, allora io sono stato inviato per provare la tua fede, ma Dio mi ha inviato nel medesimo tempo per guarire te e Sara tua nuora. Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore.

Ci sono alcune cose importanti da notare da questa breve rivelazione.

In primo luogo, i "sette santi angeli" (i sette arcangeli, come elencati anche da 1 Enoc) che portano le "preghiere dei santi" di fronte al "Santo" – di fronte a Cristo stesso – sono menzionati solo qui e nell'Apocalisse. In secondo luogo, la cura adeguata per i morti è lodate come qualcosa di buono e degno di lode, comprese presumibilmente le preghiere per i defunti (Raffaele era lì presente alla cerimonia per i defunti). In terzo luogo, se solo i santi ancora in vita possono portare le preghiere davanti a Cristo attraverso il ministero di questi sette angeli, allora coloro che sono già in cielo non sono santi, il che non ha alcun senso. Sono gli "spiriti resi perfetti", secondo l'apostolo Paolo, già alla presenza di Dio. Se siamo "un solo corpo", allora sono certamente coinvolti in preghiera e adorazione insieme a noi qui sulla terra, come a quanto pare insegnano le Scritture; ciò che troviamo in Tobia lo troviamo anche nelle scritture citate in precedenza.

Un altro passo relativo a questo argomento, al di fuori del canone dei protestanti, si trova in 2 Maccabei. In questo esempio, Giuda e il suo esercito stanno recuperando i corpi caduti di uomini morti in battaglia. Vengono a scoprire che gli uomini morti in battaglia indossavano sotto le loro tuniche oggetti sacri agli idoli di Iamnia, cosa ovviamente vietata dalla loro Legge, come equivalente dell'idolatria. E così, "la ragione per cui questi uomini erano morti in battaglia divenne chiara a tutti" (12:40). In risposta a questo, gli uomini di Giuda "rivolsero una supplica e pregarono che il peccato che avevano commesso fosse completamente cancellato" (12,42). Giuda ordinò ai suoi uomini di non ripetere gli errori di questi soldati caduti e di rimanere devoti a Dio, e poi fece una raccolta di duemila dracme d'argento "e la inviò a Gerusalemme da presentare come offerta per il peccato" (12:43), mostrando misericordia verso i compagni traviati e caduti.

Quello che viene dopo, è quanto mai significativo (vv. 43-45):

"agì così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.

Ciò che possiamo imparare da questa storia è che la ragione per pregare per un "morto", è a causa della speranza della risurrezione e della necessità che tutti gli uomini hanno di continua santificazione e perfezionamento dello spirito, anche nell'aldilà. La storia ci insegna anche a fidarci della misericordia di Dio – anche per coloro che sono morti – sapendo che concedere misericordia è solo nelle sue mani. Apprendiamo anche che l'espiazione non richiede che abbia luogo una "punizione" (come l'Antico Testamento insegna in numerosi luoghi, per esempio la storia di Fineas in Num 24:1-9), ma questo è un altro argomento. I più fedeli degli ebrei non vedevano le preghiere per i defunti come qualcosa di blasfemo, superstizioso, o vietato, ma anzi come una cosa "santa e devota".

Infine, c'è anche un precedente fissato per le preghiere per i morti – insieme con le richieste ai santi defunti di pregare Cristo per nostro conto – nella storia della Chiesa primitiva. Le catacombe romane del I e II secolo, per esempio, sono piene di scritte, che chiedono ai cristiani sulla terra di pregare per coloro che sono in cielo, e viceversa. Non è un problema trovare numerose citazioni dei primi Padri della Chiesa su questo tema. Fornirò solo alcuni esempi di questo, ma ce ne sono troppi da elencare in un unico luogo. Per esempio, le Costituzioni apostoliche (Libro 8, sez. 4 e 41):

"Preghiamo per i nostri fratelli che riposano in Cristo, affinché Dio, l'amante del genere umano, che ha ricevuto la loro anima, possa perdonare loro ogni peccato, volontario e involontario, e possa essere misericordioso e compassionevole verso di loro e concedere loro una parte nella terra dei giusti, nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe, con tutti coloro che lo hanno compiaciuto e compiono la sua volontà fin dal principio del mondo, laddove sono banditi ogni dolore, tristezza e gemito.

San Cirillo di Gerusalemme, scrivendo nel 350 d.C., afferma:

"Poi facciamo menzione anche di coloro che si sono già addormentati: in primo luogo, i patriarchi, profeti, apostoli e martiri, affinché attraverso le loro preghiere e suppliche Dio riceva la nostra petizione; quindi, facciamo menzione anche dei santi padri e vescovi che si sono già addormentati, e, per dirla semplicemente, di tutti quelli tra noi che si sono già addormentati; perché crediamo che sarà di grande beneficio per le anime di coloro per i quali la preghiera viene effettuata, mentre questo sacrificio santo e solenne è preparato.

Io so che ci sono molti che dicono: 'Se un'anima si diparte da questo mondo di peccati, che cosa le giova di essere ricordata nella preghiera' [...] [Noi] concediamo una remissione delle loro sanzioni [...] anche noi offriamo preghiere a lui per coloro che si sono addormentati, anche se sono peccatori. Non intrecciamo una corona, ma offriamo Cristo che è stato sacrificato per i nostri peccati; e in tal modo propiziamo Dio benevolo per loro così come per noi stessi.

23 [Mistagogie 5], 8, 9, 10

Nel suo Testamento, sant'Efrem il Siro (A.D. 373) richiede:

"Non mi seppellite con spezie dolci: questo onore non mi avvale; né con incensi e profumi: quest'onore non mi porta benefici. Bruciate spezie dolci nel luogo santo: e quanto a me, conducetemi alla tomba con la preghiera. Offrite incenso a Dio: e su di me inviate inni. Invece di profumi e spezie, fate memoria di me nella preghiera.

Questa offerta di incenso e preghiere per i defunti è esattamente ciò che la Chiesa ortodossa fa fino a oggi con il Trisaghion per i morti.

Sant'Epifanio di Salamina dice dei defunti:

"È utile anche l'orazione fatta per loro, anche se non cancella tutto l'onere delle loro colpe. Ed è anche utile, perché in questo mondo spesso cadiamo volontariamente o involontariamente, e quindi è un ricordo per agire meglio noi stessi.

Panarion, 75:8

E, infine, san Giovanni "Crisostomo", scrive (A.D. 392):

"Aiutiamoli e commemoriamoli. Se i figli di Giobbe erano purificati dal sacrificio del loro padre (Giobbe 1:5), perché dovremmo dubitare che le nostre offerte per i morti portino loro qualche consolazione? Non esitiamo ad aiutare coloro che sono morti e a offrire le nostre preghiere per loro.

Omelie sulla prima lettera ai Corinzi, 41:5

Così si può vedere, quindi, che le preghiere per i defunti non sono qualcosa di nuovo e di tardivo, inventato da una Chiesa corrotta, ma sono state tra il popolo di Dio fin da prima ancora dei tempi di Cristo, proseguendo senza interruzione nella nuova era della Chiesa della risurrezione. Dopo tutto, come disse Giuda Maccabeo, è a causa della "speranza della risurrezione" che si cerca di offrire queste preghiere.

In conclusione, è importante notare ciò che tutto questo non significa, dal momento che ci possono essere abusi di questa pratica.

In primo luogo, non dobbiamo pregare i santi nel senso di chiedere loro di compiere miracoli "a buon mercato" separati da Cristo. Qualcuno che esita ad accettare le preghiere ai santi e agli angeli potrebbe pensare a un amico che prega un santo solo per aiutarlo a trovare le chiavi perdute dell'auto o per qualche altra circostanza relativamente banale. A mio modesto parere, questo è un abuso superstizioso. Il punto delle preghiere ai santi è di chiedere la loro intercessione presso Cristo per conto proprio, e per il bene della propria guarigione, salvezza, o santificazione. I santi non sono incantesimi magici; sono i giusti defunti del corpo di Cristo.

In secondo luogo, tutto ciò che riguarda le nostre petizioni alla beata sempre vergine e Madre di Dio Maria, pure riguarda tutti i santi. La vergine Maria non è una "divinità" che invochiamo per salvarci senza Cristo, né è lei la nostra redentrice. È colei che umilmente ha aperto la strada perché attraverso l'Incarnazione entrasse in questo mondo il Redentore, e in lui la successiva redenzione del genere umano – ma non è lei stessa il Redentore in alcun senso. È stata la prima santa e cristiana a essere ripiena di Spirito Santo e a servire come tempio di Dio, prima della formazione e della crescita della Chiesa. Non dovremmo mai sminuire il ruolo di Maria nella storia della redenzione, né erroneamente sopravvalutare il suo ruolo di santa che ha partorito Dio (Theotokos). Chiediamo a Maria di "salvarci" attraverso le sue intercessioni a Cristo per nostro conto, e niente di più (ma anche, niente di meno). Proprio come l'apostolo Paolo ha pregato per la salvezza di Onesiforo, chiediamo alla vergine Maria e a tutti i santi in cielo di pregare anche per la nostra salvezza, sapendo che hanno finito la gara posta di fronte a loro e sono in un'unione più intima e realizzata con Cristo in cielo – in presenza dell'Agnello (Apocalisse 14:4-5) – rispetto a quella che abbiamo, al momento, qui sulla terra.

In terzo luogo, la dottrina della comunione dei santi e la retta pratica di intercedere e di chiedere l'intercessione dei santi defunti non è un avallo della dottrina del Purgatorio, né dipende da questa dottrina. Io non credo nel Purgatorio, né lo fa la Chiesa ortodossa; infatti, è stata una grande divisione dottrinale tra le Chiese ortodosse e la sede di Roma nel XV secolo e in quelli precedenti. Mentre esiste sicuramente un tempo per la tentazione e il pentimento nell'ora della propria morte (cioè le stazioni di pedaggio dell'aria, che sono chiaramente una parte della tradizione ortodossa), questa non è la stessa cosa del Purgatorio, né è stata in alcun senso sviluppata in modo critico come dottrina.

Alla fine, mi auguro che questa esplorazione sia servito per aiutare chi si preoccupa per l'intercessione dei / ai santi, e che faccia più bene che male a tutti coloro che la leggono. C'è molto di più che può essere detto, e io non sono attrezzato per andare davvero molto più in profondità in questo argomento di quanto ho fatto ora, quindi perdonatemi per tutto ciò che manca. Tuttavia, spero che abbia dato a tutti almeno qualcosa su cui pensare, riflettere e meditare, sapendo che questa è stata una pratica accettata della Chiesa per oltre 2.000 anni (e anche al tempo degli antichi giudei).

Come tale, questo argomento deve essere affrontato con riverenza e cura, con amore per Cristo e per la sua santa Chiesa.

"Con il santo profeta, precursore e battista Giovanni; con i santi gloriosi apostoli degni di ogni lode; con il santo ... (del giorno) di cui pure compiamo memoria, e con tutti i tuoi santi: per le loro suppliche visitaci, o Dio. E ricordati di tutti quelli che già dormono nella speranza di risurrezione a vita eterna, e dona loro il riposo dove veglia la luce del tuo volto."

Divina Liturgia di san Basilio il Grande

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