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  La benedizione delle icone è in accordo o in contraddizione con la Tradizione della Chiesa ortodossa?

Di padre Steven Bigham

Orthodox Arts Journal, 31 luglio 2012

Padre Steven Bigham è un prete ortodosso in Quebec. Ha completato il suo dottorato nel campo dell'arte cristiana all'Università di Montreal nel 1989. Ha pubblicato diversi studi sull'arte dell'icona. È un ricercatore di teologia ortodossa alla Facoltà di Teologia, Etica e Filosofia all'Università di Sherbrooke.

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La questione

I cristiani ortodossi ordinariamente fanno benedire le loro icone da un sacerdote o da un vescovo. I vescovi spesso le ungono con il Sacro Crisma. Ci sono anche servizi speciali per benedire diversi tipi di icone: di Cristo, della Madre di Dio, di feste, ecc La maggior parte delle persone non immaginerebbe mai di mettere un'icona non benedetta nelle proprie case, sarebbe una specie di sacrilegio, ma una volta che la icona è benedetta - qualunque sia il suo oggetto, il suo gusto, la sua canonicità, ecc - molti pensano che quella che era una semplice immagine prima della benedizione, diventa in seguito un'icona, a causa della benedizione. Diventa almeno un'icona "migliore". Essendo solo un'immagine "profana", prima, diventa "santa" dopo, perché è stata benedetta. Pochissimi ortodossi metterebbero in discussione questa pratica che sentono legittima, tradizionale e del tutto in accordo con la Tradizione della Chiesa. Spero di dimostrare che, nonostante la diffusa abitudine della benedizione delle icone, questa pratica non è in accordo con la Tradizione della Chiesa, e che in realtà è in contrasto con essa e si basa su una teologia delle icone che è estranea all'Ortodossia.

Un prete che benedice diverse icone

La storia

Dalla Pentecoste (33) al settimo Concilio Ecumenico (787), che ha condannato l'iconoclastia:

Durante questo periodo, c'è un silenzio totale nei documenti storici. Per quanto ne sappiamo, nessuno ha mai scritto sul tema delle benedizione delle immagini, e non c'è traccia di una preghiera per la loro benedizione.

Il tempo dell'iconoclastia, 730-843:

II Concilio di Nicea, 787 [1]. Ecco uno degli attacchi effettuati dagli iconoclasti contro gli iconoduli, letto durante il Concilio insieme con la risposta data dai Padri [2].

Gli iconoclasti: ...né vi è alcuna preghiera di consacrazione per essa [un'icona] per trasferirla dallo stato di oggetto comune allo stato di oggetto sacro. Invece, rimane comune e senza valore, come il pittore l'ha fatta.

Gli ortodossi: ...molti degli oggetti sacri che abbiamo a nostra disposizione non hanno bisogno di una preghiera di santificazione, poiché il loro nome stesso dice che sono consacrati e pieni di grazia. Di conseguenza, noi li onoriamo e li baciamo come oggetti venerabili. Così, anche senza una preghiera di santificazione, veneriamo la forma della croce vivificante. La sua stessa forma è sufficiente perché noi riceviamo santificazione. Con la venerazione che le offriamo, quando tracciamo il suo segno sulla nostra fronte, e anche quando tracciamo il suo segno in aria con il dito, come un sigillo, esprimiamo la speranza che metta in fuga i demoni. Allo stesso modo, quando indichiamo un'icona con un nome, trasferiamo l'onore al prototipo; baciandola e offrendole il culto d'onore, ne condividiamo la santificazione. Inoltre ci baciamo i diversi utensili sacri che abbiamo, ed esprimiamo la speranza di ricevere da loro una benedizione. Pertanto, o costoro [gli iconoclasti] devono dire oziosamente che la croce e gli utensili sacri sono comuni e senza valore - poiché li ha fatti un falegname, o un pittore, o un tessitore, e poiché non c'è preghiera di consacrazione per loro - o dovranno accettare anche le venerabili icone come sacre, sante, e degne di onore.

Perché, proprio come quando si dipinge un uomo, non lo si priva dell'anima, ma rimane uno che ha un'anima e l'icona è chiamata la sua a causa della sua somiglianza, così accade quando facciamo una icona del Signore. Confessiamo che la carne del Signore è divinizzata, e sappiamo che le icone non sono altro che icone, a significare l'imitazione del prototipo. È da questo che l'icona ha preso anche il nome del prototipo, che è l'unica cosa che ha in comune con il prototipo. Questo è il motivo per cui è venerabile e santa [3].

La vita di Stefano il Giovane [4]

Capitolo 55: "Richiamo dall'esilio. Conversazione con Costantino V "

Il santo [Stefano] rispose [a Costantino V]: "O Imperatore, non è la materia delle icone che i cristiani siano mai stati ordinati di adorare, ma essi si prosternano davanti al nome della persona che si vede sull'icona ... "

Quindi il santo replicò: "E chi poi se è sano di mente adora una creatura quando si prosterna davanti agli oggetti che sono nelle chiese, sia che siano di legno, pietra, oro, o argento, e che sono stati trasformati in oggetti sacri per mezzo del nome scritto su di loro?"

Niceforo di Costantinopoli, Discorsi contro gli iconoclasti [5]:

"In verità, proprio come le chiese ricevono il nome dei loro santi patroni, così anche le immagini di quei santi hanno i loro nomi scritti su di loro, perché è ciò che è scritto su di loro [il nome] che li santifica".

In questo trattato, il Patriarca attacca le affermazioni e le argomentazioni dell'Imperatore Costantino V che convocò il Concilio di Hieria nel 754 per dare l'approvazione alla sua dottrina iconoclasta. L'imperatore sosteneva che l'immagine di una persona, al fine di essere correttamente chiamata immagine, deve essere consustanziale con il prototipo. Allora l'unica immagine di Cristo che è consustanziale con lui, della sua stessa sostanza, è l'Eucaristia, i santi doni della comunione. Tutte le altre "immagini" di Cristo e dei santi sono erroneamente chiamate immagini perché la loro sostanza - legno, pietra, colori, ecc - è diversa da quella delle persone rappresentate. Per di più, perché il pane e il vino diventino l'immagine consustanziale di Cristo, ci deve essere una preghiera di consacrazione nella liturgia per cambiarli. Le "immagini" di Cristo e dei santi sono erroneamente chiamate immagini per due motivi: [le loro sostanze sono diverse, e] non c'è la preghiera di benedizione per trasformarle nella sostanza di Cristo e dei santi.

Nel rispondere all'imperatore, il patriarca Niceforo attacca la sua posizione dicendo che l'imperatore era intrappolato in un duplice errore. In primo luogo, alla tesi secondo cui l'immagine e il suo prototipo devono essere consustanziali, Niceforo risponde che il legame tra l'immagine - il tipo - e la persona rappresentata - il prototipo - non è una di consustanzialità, ma di somiglianza e di condivisione del nome della persona. L'immagine di Cristo, egli continua, essendo fatta di legno e di colori, si chiama Cristo, perché gli assomiglia nel senso che riproduce le caratteristiche fisiche della sua umanità e perché porta il suo nome. Inoltre, Costantino era di nuovo in errore, perché non distingueva due tipi di santificazione: la sacralizzazione che è prodotta dalle preghiere della Chiesa - la benedizione dell'acqua alla Teofania, per esempio - e la santificazione che avviene imitando Cristo, con la partecipazione ai suoi atti, parole, e morte - i martiri ed altri, per esempio. Nel primo caso, una preghiera di benedizione è necessaria, nel secondo, no.

L'inglese ha anche due parole, in realtà la stessa parola, ma pronunciata in modo diverso, per distinguere questi due tipi di santità: blessed, due sillabe, e blessed (pronunciato blest), una sillaba. "Il loro matrimonio è stato un evento benedetto che è stato benedetto dal vescovo e da cinque bambini sani". L'icona non appartiene alla seconda categoria, ma alla prima. Pertanto, è santa, non a causa di una preghiera di benedizione, di cui il patriarca e gli ortodossi in generale non conoscevano l'esistenza, ma a causa della sua somiglianza con il prototipo e del fatto di avere il nome del prototipo scritto su di essa.

Dal IX secolo alla metà del XVII secolo

Durante questi secoli, regna un altro silenzio nei libri di preghiere e negli scritti di autori ortodossi sul tema della benedizione delle icone.

1649, Metropolita Pietro Moghila di Kiev

Questa è la data di pubblicazione del Trebnik - Eucologio, o benedizionale - del metropolita in cui, per la prima volta in una fonte ortodossa, abbiamo brevi servizi di preghiera per la benedizione delle icone. Vediamo qui di seguito i testi e le analisi di queste preghiere.

1669-1706, Patriarca Dositeo di Gerusalemme [6]

L.H. Grondijs [7] cita un passo di Dositeo

Solo nel XVII secolo qualcuno inizia a fare domande sul tema [della benedizione delle icone], e Dositeo di Gerusalemme ne discute in un lungo testo accusatorio contro gli scismatici, ovvero i cattolici romani. Nel 4° capitolo della sua Storia dei Patriarchi di Gerusalemme, Dositeo attribuisce ai suoi avversari (i cattolici), che favorivano la venerazione delle icone, l'argomento che il Papa recita queste preghiere su di loro. Ecco cosa Dositheos ebbe a dire: "Noi rispondiamo a questo terzo argomento dicendo che la benedizione delle icone non è necessaria né indispensabile. Rimandiamo i lettori alla sesta sessione del Concilio (il VII Concilio ecumenico di Nicea), dove ci si occupa del Concilio tenuto sotto Copronimo [Costantino V, il Concilio di Hieria nel 754], che ha criticato le icone in questo modo: [Nicea II cita gli iconoclasti] 'L'icona non ha una benedizione per essere santificata e trasferita dal comune al sacro. Rimane comune e profana come il pittore che l'ha creata'. [8] Per di più, il Concilio ha risposto con la voce del diacono Epifanio, ma non ha detto che vi era una benedizione per le icone, ma che l'immagine della croce non era benedetta e che era fatta senza una benedizione.

1730, la prima preghiera benedizione per un'icona in un Eucologio greco [9]

Quando un vescovo benedice l'icona, egli unge i suoi quattro lati con il Santo Crisma, e poi dice la seguente preghiera:

Vescovo: Preghiamo il Signore.

Risposta: Kyrie, eleison.

Vescovo: O Sovrano, nostro Re Onnipotente, Padre del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, hai dato ordine al tuo servo Mosè di raffigurare l'immagine di un cherubino nella santa tenda, e da questo, abbiamo preso l'abitudine di dipingere icone come ricordo di coloro che esse rappresentano. Pertanto, noi ti preghiamo, o Signore nostro Re, di inviare la grazia del tuo Spirito santo, insieme con il tuo angelo, su questa santa icona in modo che ogni preghiera offerta a te attraverso questa icona sia accettata per la grazia, la misericordia , e la compassione del tuo Figlio unigenito, il nostro Signore, Dio e Salvatore, Gesù Cristo, amico degli uomini.

Poiché a te si addice ogni gloria, onore e adorazione, al Padre, al Figlio e al santo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

Il brano che segue è una nota inclusa nell'Eucologio dal suo editore.

Circa la preghiera che il vescovo dice sopra l'icona appena dipinta, si prega di notare che la Sacramentaria Latina contiene una benedizione simile senza unzione con il crisma, soprattutto quella utilizzata nell'Ordo Praedicatorum, così come nel Pontificale Romanum. Anche se in passato, a causa di troppa negligenza, è stato rifiutato l'uso di una benedizione di questo tipo, ora questi libri fondamentali [che abbiamo] in mano la conserva e la mantiene.

Il XIX secolo: l'opposizione di sant'Atanasio di Paros e di san Nicodemo l'Aghiorita sul Monte Athos

Uno studio condotto da Philip Meyer in materia [10]

Si sono avute alcune divergenze di minore importanza a fianco dei principali punti di contrasto. Tra di esse, questa: le immagini hanno bisogno di una benedizione per essere sante e funzionare come icone? Atanasio di Paros [2] ha negato la necessità di una benedizione e ha affermato che le immagini funzionano come immagini a causa della loro somiglianza con la persona rappresentata. Nicodemo l'Aghiorita concordava [3] e faceva riferimento a Dositheos di Gerusalemme che aveva detto che la benedizione delle icone era un affare "papista" e un'innovazione.

[2] (anche nella Ekthesis già citata)

[3] Il Timone (Pedalion), s. 261, 1887, pag. 261; Dositheos, Historia peri tôn en Hierosolymois patriarcheusantôn, Bucarest, 1715, p. 658.

Atanasio di Paros [11]

Da Dionisio Tsentikopoulos:

La necessità di affermare definitivamente la verità nel tempo e nello spazio, così come la realtà della partecipazione della creazione alla grazia divina e increata di Dio riguarda anche il più piccolo dettaglio dell’attività liturgica vivificante della Chiesa. A causa di questo, sant’Atanasio di Paros ha ritenuto adeguato correggere ogni nozione che ha falsificato la teologia e il dogma della vita liturgica. Questo è il motivo per cui si scagliò contro la preghiera di benedizione delle sante icone dell’Eucologio. Sant’Atanasio riflette sulla questione teologica e dogmatica di una tale preghiera. Vede come l'esistenza stessa della preghiera ha ribaltato l'insegnamento della Chiesa.

Le icone diffondono la loro santità nella Chiesa, perché la grazia dello Spirito Santo non si limita alle persone rappresentate [i prototipi], ma si estende alle icone stesse [i tipi]. L’icona della Chiesa rappresenta la creazione trasfigurata nella Luce increata. Sant’Atanasio affermava fortemente la distinzione teologica tra l'essenza e le energie di Dio, tra l'essenza inaccessibile e le energie alle quali la creazione può partecipare. Ecco perché crediamo nella partecipazione reale alla grazia increata e luminosa di Dio. Crediamo anche che questa grazia santifica le persone rappresentate e le loro icone. Pertanto, noi riconosciamo che "una preghiera e una benedizione esterna non sono necessarie perché le icone diventino sante, sacre, e degne di venerazione in quanto è dalla loro forma e significato che esse sono santificate." Le icone sono sante senza una preghiera di benedizione in quanto rappresentano la creazione rinnovata e santificata. Il settimo Concilio Ecumenico ha reso la teologia dell'icona molto chiara di fronte alla sfida iconoclasta. (Atanasio di Paros, Ekthesis, pag. 122) Sant’Atanasio di Paro vide tracce iconoclaste nella preghiera di benedizione delle icone, e propose la dichiarazione del Concilio Ecumenico come argomento contro quella preghiera.

San Nicodemo l'Aghiorita [12]

Non è necessario ungere le icone sacre con il Miro (o crisma), né farle santificare dal vescovo con preghiere speciali [per tre motivi]:

1) Perché noi non adoriamo [sic] le icone sante perché sono state unte o perché hanno avuto preghiere dette su di loro, ma a prescindere, appena posiamo gli occhi su una santa icona, senza fermarci a esaminare la possibilità che sia stata unta o che vi sia stata detta sopra una speciale preghiera, procediamo subito a porgere loro adorazione [sic] sia a causa del nome del Santo e in ragione della somiglianza che porta all’originale. Ecco perché nell’atto 6 del presente Concilio, il Concilio degli iconomachi nel regno di Copronimuo ha denigrato le sante icone, affermando che il nome delle immagini non ha avuto alcuna preghiera sacra che lo ha santificato, in modo che da ciò che è comune, potessero essere trasferite a ciò che è santo, ma che, al contrario, essa (vale a dire, l’immagine) rimane comune e disonorevole (cioè non ha diritto di essere onorata), proprio come il pittore l’ha fatta. Per queste accuse, il santo Settimo Concilio rispose attraverso il diacono Epifanio, affermando di non avere detto che una preghiera speciale è detta sopra le icone, ma ha detto che, come molti altri oggetti sacri, non erano in grado di ricevere (beneficio) da una preghiera speciale, ma, al contrario, per il loro stesso nome sono piene di grazia e di santità, nello stesso modo in cui la forma della Croce è vivificante, e ha il diritto alla venerazione e all’adorazione [sic] in mezzo a noi, nonostante il fatto che essa non abbia avuto alcuna speciale preghiera detta su di esso, e crediamo che con la sua sola forma acquisti la santità, e l'adorazione [sic] che le tributiamo, e il suo segno che tracciamo sulla nostra fronte: e il suo sigillo che è fatto in aria con il dito (si noti che in quel tempo il segno della croce non era fatto con tre dita, come lo è oggi, ma con un dito solo, cosa che infatti è riportata da san Giovanni Crisostomo in uno dei suoi discorsi: e si veda riguardo a questo la nota al canone XCI di Basilio), nella speranza di scacciare i demoni. Allo stesso modo in cui abbiamo molti vasi sacri, e li baciamo e li veneriamo piamente, e speriamo di ricevere da loro santità, nonostante il fatto che essi non abbiano avuto particolari preghiere dette su di loro, in modo simile, baciando e venerando e offrendo un’adorazione d’onore [sic?] a una santa icona che non ha avuto particolari preghiere dette sopra di essa riceviamo santità, e siamo analogicamente elevati e trasportati all'onore della persona originale attraverso il nome dell’icona. Ma se gli iconomachi non possono affermare che i vasi sacri sono disonorevoli e comuni a causa del fatto che non hanno avuto alcuna preghiera speciale detta su di loro allo scopo della loro santificazione, ma sono proprio come il tessitore, il pittore e l'orafo li hanno finiti, eppure li considerano sacri e preziosi, allo stesso modo essi dovrebbero considerare le venerate icone come sante e preziose e sacre, anche se non hanno avuto particolari preghiere dette su di loro per santificarle.

2) Le sante icone non hanno bisogno di preghiere speciali o di qualsiasi applicazione di Miro (o crisma) perché, secondo Dositeo (pag. 658 del Dodecabiblus), sono solo i papisti (o cattolici romani) che commettono l'iniquità di qualificare le immagini con alcune preghiere e devozioni. Essi si vantano che il Papa produce immagini con cera pura, olio santo, e acqua di santificazione, e che egli legge meravigliose preghiere su di loro, e che a causa di queste caratteristiche speciali queste immagini fanno miracoli (proprio come mentendo affermano che Leone III ha inviato una simile immagine a re Carlo di Francia, e lui l’ha riverita: e che Papa Urbano inviato un'altra immagine a Giovanni Paleologo, e questo è stato onorato con una litania nella Chiesa), vedete che la preghiera che si legge sopra le sante immagini è un affare papale, e non ortodosso: e che è un affare moderno, e non antico? Per questo motivo, nessuna preghiera di questo genere si può trovare in qualsiasi parte degli antici Eucologi manoscritti. Infatti, abbiamo notato che questa preghiera non si trova nemmeno negli Eucologi stampati appena un centinaio di anni fa!

3) È evidente che le sante icone non hanno bisogno di alcuna preghiera speciale o applicazione di Miro (cioè olio santo), perché le immagini dipinte sui muri delle chiese, e sulle loro navate e nei loro vestiboli, e, in generale, nelle strade e sulle porte, e sui vasi sacri... non sono mai unte con Miro e mai nessuna preghiera speciale è detta su di loro, eppure, nonostante questo, è tributata loro l’adorazione [sic] e sono onorate da tutti a causa della somiglianza che portano agli originali. Ecco perché l’erudito vescovo della Campania, Kyr [Signore] Teofilo il Santo non ha nascosto la verità, ma ha dichiarato nel libro che ha recentemente prodotto che le icone sacre non hanno bisogno di alcuna unzione con il crisma, né la recitazione di alcuna speciale preghiera da parte di un vescovo.

Analisi delle preghiere di benedizione

I testi slavonici [13]

Esaminiamo in primo luogo tutte le preghiere introdotte dal metropolita Pietro Moghila nel suo Eucologio / Trebnik nel 1646. Ci sono cinque servizi brevi per la benedizione delle icone:

La Santa Trinità: i tre angeli (Ospitalità di Abramo), la Teofania, la Trasfigurazione, e la discesa dello Spirito Santo;

Cristo e le feste del Salvatore;

La Madre di Dio;

I santi;

Varie icone disposte insieme.

Prima di tutto, si noti il ​​numero di categorie, cinque; perché moltiplicare il numero dei servizi separati, soprattutto quando l'ultimo servizio di benedizione unisce tutte le categorie? Ovviamente il metropolita ha pensato che fosse una buona cosa avere cinque servizi di benedizione. Anche se aveva inclinazione verso le cose latine, il cattolicesimo romano era a quel tempo il grande avversario dell'Ortodossia, e mi chiedo se non volesse impressionare i cattolici, così come gli ortodossi, con il numero di preghiere. Sentendosi in realtà inferiore ai cattolici latini, ha probabilmente voluto suonare il corno ortodosso per dimostrare la superiorità dell’Ortodossia: "Vedete, voi cattolici, che pensate di essere così superiori, noi ortodossi abbiamo cinque servizi per la benedizione delle icone" Questa, tuttavia, è solo una mia ipotesi.

La struttura di ciascun servizio è la stessa. Le differenze tra di loro si trovano nei riferimenti alla Bibbia e alla storia della Chiesa, riferimenti che cambiano con le varie categorie di icone: per esempio, il canto del tropario della Teofania per un'icona del Battesimo di Cristo, la menzione della storia del re Abgar per un'icona di Cristo, ecc. Ecco la struttura dei servizi:

Una benedizione iniziale: "Benedetto il nostro Dio ...", preghiere iniziali e un salmo adeguato alla categoria dell’icona;

Una grande preghiera di benedizione (quasi un’anafora),

La commemorazione della manifestazione nella Bibbia o nella storia della Chiesa che è alla base dell'icona,

La prima epiclesi che chiede al Signore di benedire l'icona,

Un’ecfonesi;

Una seconda epiclesi per la benedizione;

L’aspersione con l'acqua benedetta;

Il tropario o inno dell'icona o della festa;

Il congedo.

Diamo ora uno sguardo più da vicino alle parti significative della benedizione: abbiamo qui una vera e propria invocazione, un’epiclesi, perché il Signore agisca e benedica le immagini. È interessante notare che l'epiclesi è fedele alla tradizione ortodossa che vede ogni benedizione come una invocazione che chiede che la grazia di Dio, lo Spirito Santo, discenda non solo su un oggetto particolare, ma anche e prima di tutto, su di "noi", i fedeli che si accingono alla preghiera davanti all'immagine. L'esempio più evidente di tale epiclesi è quella nella liturgia eucaristica.

Nella prima epiclesi, sentiamo petizioni come la seguente:

…ti chiediamo e ti preghiamo, invia con misericordia su di noi la tua benedizione e, nel tuo nome tre volte santo, benedicila e santificala… Posa il tuo sguardo, con bontà, su di noi e su questa icona [oppure su queste icone], …invia su di essa [su di esse] la tua benedizione celeste e la grazia del santissimo Spirito, benedicila[e] e santificala[e].

La seconda epiclesi:

…ascolta, Signore Dio mio, dalla tua santa dimora e dal trono della gloria del tuo regno e manda con misericordia la tua santa benedizione su questa(e) icona(e). Nell'aspersione di quest'acqua benedicila(e) e santificala(e)…

L'aspersione con l'acqua benedetta:

Questa icona è santificata per la grazia del santissimo Spirito e per l'aspersione di quest'acqua santa, nel nome del Padre e del Figlio e del santo Spirito. Amen.

La preghiera greca

La prima cosa che notiamo è che la preghiera greca è molto più breve, solo una semplice preghiera. Ecco la sua struttura:

Istruzione al vescovo (pontifex / archiereus) per ungere l'icona sui suoi quattro lati;

Un breve riferimento e commemorazione di Mosè e dei cherubini;

Epiclesi per la grazia dello Spirito Santo, perché discenda così come un angelo sull’icona "in modo che ogni preghiera offerta a te attraverso questa icona sia accettata...";

Ecfonesi.

È molto importante sottolineare la nota aggiunta, presumo, dal redattore greco ortodosso dell'Eucologio. (si veda il testo sopra.) Egli ammette che la pratica della benedizione delle icone è una novità, ma attribuisce la mancanza di preghiere di benedizione alla "troppa negligenza" nel passato. L'editore sembra felice di aver "eliminato" il problema aggiungendo la preghiera. Ovviamente trae parte della sua ispirazione da tre testi cattolici, e si sente - leggendo tra le righe - sollevato ora che i greci ortodossi fanno come i cattolici romani. Non solo ha preso un modello cattolico, ma giudica anche la tradizione ortodossa di non benedire le icone come una "negligenza". Ciò in cui la preghiera greca manca in lunghezza e in sviluppo in relazione ai testi slavi, essa, e la sua nota, lo compensano con la loro chiarezza circa il motivo per cui la preghiera è stata introdotta in un Eucologio greco. Ho il sospetto, però, senza una conferma diretta, che il metropolita Pietro Moghila avesse la stessa ragione. Il Grande Fratello di Roma benedice le immagini, mentre i poveri ortodossi non lo fanno. Un segno evidente che gli ortodossi devono abbandonare la propria tradizione e adottare una nuova pratica, e una teologia che la giustifica, entrambe provenienti da una fonte diversa da quella dei concili e dei padri della Chiesa.

Un confronto tra i testi slavonici e greci presenta le seguenti similitudini e differenze.

I TESTI SLAVONICI

LA PREGHIERA GRECA

1. testi molto lunghi e sviluppati, diverse categorie di icone

1. breve, semplice testo, una preghiera per tutte le icone

2. pubblicati in lingua slava, 1649, Kiev

2. pubblicata in greco, 1730, Venezia

3. un sacerdote o un vescovo benedice

3. un vescovo benedice

4. epiclesi, invocazione dello Spirito Santo, sul popolo e sull'icona

4. epiclesi, invocazione dello Spirito Santo, sulla sola icona

5. nessuna richiesta di un angelo da inviare sull'icona

5. petizione per un angelo da inviare sull'icona

6. aspersione con acqua santa

6. unzione con Myron

7. nessuna spiegazione per l'innovazione della benedizione delle icone

7. la nota del redattore spiega la ragione per la nuova pratica della benedizione delle icone

8. teologia della benedizione: trasferire un oggetto profano al dominio sacro

8. teologia della benedizione: trasferire un oggetto profano al dominio sacro

9. una teologia sviluppata della sacralizzazione; ragione per la benedizione: ottenere per i fedeli che pregano davanti all'icona a) la misericordia, la grazia, la liberazione dal male e dall’afflizione, la remissione dei peccati, b) dotare l'icona del potere di guarigione per mantenere lontano il diavolo e ogni male, e farne una fonte di guarigione, liberazione e protezione.

9. una teologia non sviluppata di sacralizzazione; ragione per la benedizione: che le preghiere dei fedeli davanti all'icona siano ascoltate

10. servizi complessi, ben strutturati

10. preghiera semplice

11. i servizi si trovano tra le altre preghiere e servizi di benedizione: per gli animali, campi giovanili, feste della madri, paramenti sacerdotali, vasi sacri, e le campane

11. la preghiera è situata tra la benedizione del diskos (patena) e un servizio di preghiera generale (Moleben)

Qual è la teologia espressa nelle preghiere di benedizione delle icone? Prima di tutto, le formule di benedizione, nonché l'aspersione con l'acqua benedetta e l'unzione con il sacro crisma sono quasi le stesse rispetto a quelle utilizzate per benedire gli altri oggetti utilizzati nella Chiesa: campane, paramenti, frutta, ecc. Le icone quindi sono poste nella categoria degli oggetti realizzati da artisti e artigiani e offerti per il servizio di Dio e la sua gloria. E per iniziare il servizio, si recita una preghiera di benedizione.

Ed ecco allora la domanda cruciale: le icone sono nella categoria generale di oggetti che usiamo nella Chiesa, o sono piuttosto in una categoria a parte perché portano la somiglianza e il nome di Cristo o dei santi, due cose che gli altri oggetti non hanno? Sembra che le preghiere stesse, l'aspersione o unzione suppongono che un’immagine di Cristo o dei santi è appunto come gli altri oggetti della Chiesa, ed è con la benedizione, aspersione o unzione, che tali immagini diventano icone degne di essere utilizzate nella Chiesa, o almeno, diventano icone "migliori". Con la preghiera e l'azione del sacerdote, un’immagine non santificata, forse profana, passa nella categoria di "icone sacre." E questo non è appunto ciò che hanno detto gli iconoclasti, in modo leggermente più negativo? "Le immagini Sacre sono falsamente chiamati sacre, perché non c'è la preghiera di benedizione per trasferirle dalla categoria del profano alla categoria del sacro."

Una nota in calce

Recentemente mi sono imbattuto in una piccola pubblicazione per la benedizione delle icone [14]. Madre Thekla non è tanto l'autrice del libretto, quanto la traduttrice, ma fa precedere il testo delle preghiere di benedizione del metropolita Pietro Moghila da un piccolo paragrafo che è degno di nota. Divido il suo testo in due sezioni: la prima, abbastanza buona e la seconda, meno. Alla luce di quanto detto finora, penso che il lettore vedrà perché dico questo.

Prefazione

Questo tentativo di traduzione delle preghiere per la benedizione delle icone dal Trebnik russo [in realtà i testi del metropolita Moghila] è destinato principalmente a rendere più generalmente conosciuto il significato teologico [15] della composizione e della venerazione delle nostre icone. Le preghiere in primo luogo situano saldamente la venerazione delle icone all'interno del culto della Chiesa perché ne formino parte integrante all'interno dell'intero tessuto dell'Ortodossia: una confessione di fede, la pienezza della riverenza data alle icone, sia nel fare che nel pregare, non può essere isolata da tutto il contesto della fede poiché, come indicano le preghiere di benedizione, [la venerazione] sorge dalla stessa fonte teologica comune al nostro culto liturgico; può essere una corrente tra le altre, ma l'acqua è comune a tutto e sgorga dalla singola fonte della Chiesa Una.

Fin qui tutto bene. Ma poi (enfasi aggiunta):

Così, fin dall'inizio, per un vero apprezzamento dell’icona, non è alla composizione che ci dobbiamo rivolgere, né all'atteggiamento di coloro che la riveriscono, né addirittura alla devozione personale, ma alle preghiere iniziali della sua benedizione che la rendono quello che è. È in queste preghiere che c’è il prologo, in effetti l'idea, della teologia: nel fatto stesso dell’istituzione di una benedizione liturgica, e nella dottrina del testo.

In altre parole, secondo Madre Thekla, per capire correttamente le icone non dovremmo essere molto preoccupati della "composizione", vale a dire, ciò che vi è effettivamente dipinto, se è canonico o no, perfino se è eretico o no, né dovremmo dare troppa attenzione all’"atteggiamento di coloro che le riveriscono", cioè, se essi stessi - laici e clero - capiscono che cosa è una icona, se in realtà hanno un atteggiamento superstizioso o, nel peggiore dei casi, idolatrico verso le icone, e infine non dobbiamo preoccuparci molto della "devozione personale" delle persone, delle loro pratiche, cioè, di come usano le icone. Ciò che è essenziale per apprezzare correttamente le icone della Chiesa è capire le preghiere di benedizione, perché esse rendono l'icona quello che è. Possiamo dedurre solo che qualunque cosa l’"icona" sia stata prima delle preghiere di benedizione non era un'icona, e attraverso la preghiera, la "non-icona" è diventata un'icona. Non è forse proprio ciò che hanno detto gli iconoclasti: un quadro comune non è santo né si può propriamente definire icona perché non c'è una preghiera di benedizione per trasformarlo in una santa icona? Sotto un tale attacco, i Padri del Concilio niceno II non si sono sentiti in alcun modo obbligati a creare tali preghiere in quanto la loro comprensione di ciò che rende l'immagine una santa icona non aveva nulla a che fare con tali preghiere. Non è strano quindi che, dal momento che le preghiere di benedizione non sono esistite per 1500 anni di storia della Chiesa, essendo state composta solo a partire dal 1649, possiamo dedurre ulteriormente, se Madre Thekla ha ragione, che i cristiani ortodossi, e la Chiesa stessa, non hanno veramente apprezzato ciò che è l'icona per tutto quel tempo, perché non solo non c'erano preghiere di benedizione, ma anche perché i padri consapevolmente si rifiutarono di crearne. Erano ovviamente "negligenti", come ha effettivamente detto l'editore dell'Eucologio greco. Spero di aver dimostrato che i Padri e la Chiesa non sono stati negligenti nel loro apprezzamento di ciò che sono davvero le icone. Sono infatti il metropolita Moghila e l'editore dell’Eucologio greco, così come quelli che condividono il loro pensiero, che non apprezzano veramente ciò che è un'icona. Pace, Madre Thekla.

Conclusione

Quindi, se la mia analisi è corretta, dobbiamo semplicemente riconoscere un fenomeno molto bizzarro: una pratica e una teologia che la giustifica, entrambe ampiamente accettate tra i cristiani ortodossi e "ufficializzate" da parte di servizi negli eucologi / trebniki, sono di fatto contrarie alla tradizione della Chiesa ortodossa come espressa dal settimo Concilio ecumenico, così come alla pratica universale della Chiesa fino al 1649. Anche se alcuni hanno protestato contro questa situazione, le loro proteste non sono stati sufficienti per riallineare la pratica e il pensiero dei fedeli e dei chierici ortodossi circa la benedizione delle icone. Questa situazione è sorprendente? Tragico sì, ma sorprendente? No.

Rispondo "no" quando prendo in considerazione il fatto che l'introduzione delle preghiere di benedizione delle icone coincide con la decadenza dell’iconografia. Dal XVII secolo, le immagini, tra gli ortodossi, hanno cominciato a discostarsi dalla tradizione canonica. Allora perché dovremmo essere sorpresi se la teologia di alcuni e le preghiere di molti hanno fatto lo stesso? Dal punto di vista dello storico dell'arte, questa situazione è solo un fenomeno in più da riconoscere e da studiare, niente di più. Ma, per i cristiani ortodossi, l’iconografia della Chiesa non deve mai essere studiata al di fuori della Tradizione che le ha dato la vita, come fanno gli storici dell'arte. Noi ortodossi dobbiamo affrontare il tema all'interno della Tradizione, come un’espressione della nostra fede - e anche meglio, come espressione della fede della Chiesa, punto. Gli storici dell'arte - anche quelli sovietici - hanno fatto notevoli studi sulle icone, e siamo enormemente in debito con loro per le loro opere. Quanto più possiamo imparare, tanto meglio, qualunque sia la fonte, ma per la storia dell'arte, come per gli studi religiosi in contrasto con la teologia, i ricercatori studiano il loro oggetto di studio come qualcosa di staccato da sé; lo esaminano "scientificamente", "oggettivamente", con "freddezza". La storia dell'arte non può mai studiare le icone come un fenomeno teologico, vale a dire, come una manifestazione, una rivelazione di Cristo nella sua Chiesa. Ma alla fine, è proprio questo il nostro punto di vista. Pertanto, può essere solo catastrofico quando la tradizione iconografica della Chiesa Ortodossa si allontana dalle proprie fonti; può essere solo un inquinamento di quella tradizione e della rivelazione stessa. Ma, come abbiamo visto, ci sono state voci che gridano nel deserto.

Se è vero che viviamo nella piena fioritura di una rinascita delle icone tradizionali e canoniche, nonostante l'opposizione stessa di alcuni ortodossi, non possiamo limitarci al solo aspetto visibile della tradizione, vale a dire, alle icone in sé, ma dobbiamo esaminare tutti gli elementi che circondano la tradizione iconografica. Questo è il motivo per cui voglio attirare l'attenzione su un fenomeno che, dal mio punto di vista, non è in accordo con la tradizione più pura della Chiesa; cerco di invitare i fedeli e il clero a una maggiore vigilanza. Se tutti gli ortodossi sono d'accordo che è sempre necessario difendere la Santa Tradizione contro le influenze corruttrici, allora dobbiamo fare in modo che ciò che noi difendiamo sia infatti parte di quella tradizione.

Quanto a una cerimonia di dedicazione per mettere un timbro di approvazione su un'icona e per iniziare la sua venerazione ufficiale e ricezione pubblica, perché non chiediamo a un liturgista di preparare un servizio di dedicazione che definirà la teologia dell'icona così come si trova nelle lunghe preghiere dei servizi slavonici? Questo servizio di dedicazione pubblica potrebbe includere una processione dell'icona al termine del quale questa si pone su un leggio al centro della chiesa. Poi, forse, una litania per tutti quelli connessi con la pittura delle icone, con una invocazione dello Spirito Santo su tutti coloro che la venereranno. Dopo di che, il clero ed i fedeli la possono venerare pubblicamente per la prima volta. Infine, il sacerdote può benedire i fedeli con l'icona, come fa con il libro del Vangelo. Tale cerimonia avrebbe il vantaggio di mostrare l'approvazione della Chiesa e la ricezione di una nuova icona, evitando il concetto enunciato dagli attuali servizi, ovvero che per mezzo di preghiere e ministeri sacerdotali, un dipinto non santificato diventa una santa icona.

Ho preparato tali servizi in inglese, sulla base di traduzioni dall’Eucologio in francese e in inglese, e ve li presento qui, in formato PDF.

Note

[1] II Concilio di Nicea, Mansi XIII, Icon and Logos: Sources in Eighth-Century Iconoclasm, Daniel Sahas, Toronto, Ontario, University of Toronto Press, 1986.

[2] Mansi XIII, 269E-272A, Sahas., P. 99.

[3] Mansi 344B, Sahas, pag. 159.

[4] La Vie d'Étienne le Jeune par Étienne Le Diacre, Marie-France Auzepy, Aldershot, Hampshire UK, Variorum Ashgate Publishing Limited, 1997, pp 253-254. Nostra traduzione.

[5] Niceforo di Costantinopoli, Discours contre les iconoclastes, Nicéphore de Constantinople, Marie-José Mondzain-Baudinet, trad., Paris, Éditions Klincksieck, III, 54, 1989, pp 259-260.

[6] Storia dei Patriarchi di Gerusalemme, Bucarest, 1715 (nove anni dopo la morte di Dositeo), pp 658-659.

[7] Actes du VIe congrès international d’études byzantines, tome II, Paris, École des Hautes études à la Sorbonne, "Images de saints d’après la théologie byzantine", L.-H. Grondijs, 1951, pp. 168-169.

[8] Il testo greco: "Hé tôn eikonôn onomasia ouk echei euchén hagiazousan autén, hin’ek toutou pros to hagion ek koinou metenechthé, alla menei koiné kai atimos hôs apértisen autén ho zôgraphos". Suggerimento di traduzione: Il fatto di dare il nome [di immagine] alle immagini non dipende da una preghiera di benedizione per trasferirle dal comune [profano] al sacro, senza la quale preghiera rimarrebbero comuni [profane] e non onorevoli [degne di onore e venerazione] come l'artista le ha fatte [create, prodotte]. Un altro suggerimento di traduzione: non è a causa di una preghiera di benedizione che l'immagine si chiama immagine, una preghiera la trasferirebbe da ciò che è comune a ciò che è sacro, e senza quella preghiera, essa rimarrebbe comune e non degna di venerazione, come l'artista l'ha creata.

[9] Euchologe selon le Rituel des Grecs 2, J. Goar, éd., Venezia, 1730, pag. 672. La presente traduzione inglese, fatta eccezione per la "Nota nell'Eucologio", che è dell'autore, viene dal Byzantine Melkite Euchologion pubblicato dall'eparchia di Newton (Nostra Signora dell'Annunciazione), Roslindale, Massachusetts. http://www.mliles.com/melkite/ikonbless.shtml

[10] Meyer Philip, "Lehrstreitigkeiten im achtzehnten Jahrhundert (VGL. Urkunde XIX)", Die Haupturkunden für die Geschichte der Athosklöster, 1894 ReprintAmsterdam, 1965, p. 79. ("Des différents savants du XVIIIe siècle (voir document XIX)", Les documents importants pour l'histoire du Mont-Athos).

[11] Atanasio di Paros, Ekthesis, eitouv homologia tés aléthous kai orthodoksou pisteôs genomené hypo tôn adikôs diabléthentôn hôs kainotomôn, (ekd. Theodôrétou hierom.) Pp, 122-123, citato in Dionisio Tsentikopoulos, "Basikes kateuthynseis Tés didaskalias tou hagiou Athanasiou tou Pariou", Agios Athanasios ho Parios, Paros, Grecia, 2000, pp 134-135.

[12] St. Nicodemos of the Holy Mountain on the blessing of icons, the Pedalion, "On the 7th Holy Ecumenical Council: Prolegoumena", The Rudder, Chicago, Illinois, The Orthodox Christian Education Society, 1957, pp 419-420 .

[13] The Great Book of Needs, vol II, A Monk of St. Tikhon’s Monastery, South Canaan, PA, St. Tikhon’s Press, 1987, pp. 210‑233.

[14] Mother Thekla, The Blessing of Ikons, Minneapolis MN, Light and Life Publishing Company, no date given, p. 1.

[15] Riteniamo che madre Thekla sia perfettamente in grado di esprimere il proprio pensiero, ma mi chiedo se non c'è qualcosa che manca in questa frase. La frase non sarebbe più chiara se si aggiungessero le parole "delle preghiere"?

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